Title: Nabuco
Author: Ferdinando Fontana
Release date: May 3, 2008 [eBook #25312]
Most recently updated: January 3, 2021
Language: Italian
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(Concorso SICCARDI)
Nabuco il Grande re di Babilonia, figlio di Nabopolassar, assediò due volte Gerusalemme e conquistò la terra. Orgoglioso delle sue vittorie, osò credersi superiore a Dio, che lo punì rendendolo pazzo; sicchè egli andò errando come bruto nelle foreste. Non ricuperò la ragione che poco tempo prima di morire.
PRESSO L'AUTORE-EDITORE
Piazza Monforte, 1
MILANO
LECCO 1893
Tipografia e Cartoleria A. ROTA
Questo poema,—benchè opera a sè,—nella mia mente di autore-editore è il primo volume d'una Collezione che avrà per titolo generale «L'orrenda Macchia» e nella quale è mio desiderio di pubblicare scritti d'ogni sorta e d'ogni autore che giovino alla propaganda contro la guerra.
Oggi, iniziandola col Nabuco, mi sia permesso, oltre qualche idea fondamentale, d'esporre anche i criteri speciali, che mi indussero a comporre un poema, anzichè un lavoro letterario di indole diversa.
*
La fine del nostro secolo, caratterizzata dagli eserciti immani, rassomiglia ad una foce strozzata da rupi enormi, alla quale faccian capo molti fiumi. Tutte le grandi quistioni, che agitarono sempre l'umanità, vi ribollono e vi rigurgitano, volendo ogni onda, ogni opinione passare per la prima; ma, fino a quando le rupi enormi—gli immani eserciti—staranno, sobboliranno invano le contese di priorità e rigurgiteranno ben anco in dolorose reazioni, poichè la paralisi, cioè la confusione, cioè la menzogna (che è il peggior male di tutti!), laddove impera lo spettro della guerra, si impadronirà sempre più di ogni partito, accada ciò nelle monarchie o in una repubblica come la francese.
Mentono infatti i conservatori d'ogni tinta, chiusi fra le crescenti spese d'armi, che la loro politica richiede, e la necessità di non poterla abbandonare; e si cammuffano da liberali, persino da socialisti, pur di procrastinare la propria rovina. Mentono i repubblicani delle monarchie e quelli della repubblica francese: impotenti i primi a smuovere popoli inermi, dinanzi ai quali stanno falangi tanto raffinatamente armate, da valere ogni loro soldato un battaglione di vent'anni fa; impotenti i secondi a fondare una vera repubblica, cioè federale come la svizzera e l'americana, e a compiere le riforme sociali, sola missione che possa avere una repubblica moderna. Mentono persino i socialisti, che, pur tanto numerosi e tanto bene organizzati in Germania, anzichè poter mettere in pratica il loro programma, debbono ancora, o chinar la testa agli ulani minacciati dall'imperatore, o limitarsi a lottare, sul campo ristretto d'un parlamentarismo eunuco com'è il tedesco, contro un'aumento di spese militari.
La necessità prima, dunque, la più urgente, è quella di abbattere quelle rupi; e il prender parte all'agitazione di chi mira a tale scopo è obbligo di ogni uomo che voglia pretendere il nome di civile, qualunque sia la sua opinione politica. Poichè, egli non può accampare il solito sofisma: «esser la guerra una necessità storica» dovendo parergli evidente che le necessità storiche sono un derivato puro e semplice degli ambienti sociali; sicchè, se in tempi dal giure ristretto, quasi ancor schiavo della forza, poteva esser necessità il mantenimento della guerra, nei nostri, dal giure allargato, cioè capace di surrogarsi ai metodi arcaici della forza, diventa appunto necessità storica la sua abolizione.
Nè queste ragioni son di quelle, come si suol dire, campate in aria; no; poichè già abbiamo popoli che ce le mostrano ogni dì in pratica, quali la Svizzera e gli Stati-Uniti, che—per consenso universale,—sono a fatti più innanzi di noi nei metodi di civiltà.
Ivi la donna (pietra ai paragone, questa, per i popoli e per gli individui) è meglio trattata; non da mercanti di schiave truccati da cicisbei, come da noi, ma da galantuomini: nell'educazione, nelle leggi; tantochè essa può sperarvi molto meno lontana la propria compartecipazione alla vita politica. Il fanciullo più amato, non vezzeggiato soltanto. Il debole meno schiacciato dalla forza brutale, da balzelli, dal caro dei viveri, dalle fiscalità.¹ Il giure così perfezionato da render sacra l'ospitalità ai perseguitati politici. L'istruzione diffusa, larga, popolare. E, finalmente, i partiti politici, base prima della vitalità d'un popolo, nettamente definiti; non essendovi possibilità di confusione là dove tutte le opinioni possono essere ampiamente discusse, non soffocate da quei cannoni, i quali, come argutamente disse Filippo Turati, «hanno sì le bocche rivolte al confine, ma sparano dalla culatta».
¹ Negli Stati-Uniti le leggi obbligano il Governo a non far lavorare più di 8 ore tutti i suoi impiegati ed operai; colà non esiste il terribile libretto degli operai, il salario dei quali è, in media, 4 volte maggiore di quello d'un operaio italiano, mentre i viveri vi sono più a buon mercato che in Italia; colà finalmente gli operai sono armati, tantochè, prima di porsi in sciopero, gli operai di Homestead poterono esercitarsi alle armi liberamente su piazze pubbliche, preparandosi alla difesa!
*
Poichè è bene intenderci: Coloro che accusano gli amici della pace di voler ridurre gli uomini ad esser conigli o capponi, non possono essere che sciocchi o gente in mala fede; l'opera degli amici della Pace mirando appunto evidentemente allo scopo diametralmente opposto.
No, non contro la difesa delle genti, ma contro l'offesa, muove la propaganda degli amici della Pace, dei demolitori dei grandi eserciti; essa mira, non a togliere le armi che ognun può impugnare a propria salvaguardia, ma a sciogliere la coalizione delle armi fatta a danno di tutti; non a toglier la rivoltella a chi deve attraversare un bosco, ma a strappar i tromboni dalle mani dei briganti che attendono al varco.
Ciò è tanto evidente, che gran parte della loro propaganda ha per argomento la Nazione Armata e che i migliori loro uomini, come il Colajanni, ad essa dedicano attività di studi indefessi[1] volgarizzando, sì, l'odio all'arme liberticida, disumana, ma, in pari tempo, l'amore all'arme che si brandisce per il diritto; dimostrando a luce meridiana, che, perchè la guerra non sia, occorre che tutti abbiano un arme; che quello delle armi non deve essere un mestiere, ma un diritto; che padrone dell'armi deve essere soltanto il popolo, la collettività, non una parte sola di esso; che la sola forza di un paese sta nel programma: «Tutti militi, nessun soldato» La qual cosa accade appunto nella Svizzera; laddove, (secondo gli stessi scrittori appartenenti ad eserciti permanenti) non solamente lo spirito militare è senza paragone immensamente più sincero, la mobilitazione più facile, la difesa sacrosanta della patria più sicura; ma la pace vi è naturalmente mantenuta, poichè ogni infame idea di conquista, cioè di aggressione alla patria altrui, vi sarebbe impossibile, chè gli stessi cittadini si solleverebbero contro a colui che osasse loro proporla, adoperando così quelle loro armi non per la guerra, ma contro alla guerra. Forte popolo, forte davvero, perchè fornito del buon senso di quel barcajolo, (di cui, forse, leggerete più innanzi) il quale, interrogato se in certo viaggio dovevasi portare una spada, che pur aveva servito a orribili gesta, esclamava:
Un arme?… Sempre!… Finchè è tristo il mondo!
¹ Vedi Rivista Popolare fascicoli III, IV e V. (Luglio—Settembre 1893)
*
Chi non vede queste cose è un cieco; chi le vede e le nega è un iniquo; chi, giudicando l'età presente alla stregua delle passate, va predicando che i «bagni di sangue» sono necessità storiche è un rètore; chi crede che l'umanità potrà progredire,—cioè perfezionarsi fisicamente e moralmente, strumento vivo (nelle mani d'una forza ignota) la cui missione è di debellare la materia colle scienze, colle arti, con ogni umano ingegno—senza sciogliere prima la coalizione degli eserciti, senza prima escludere le cause d'ogni terrore, d'ogni inciampo, d'ogni indebolimento, d'ogni impellente menzogna giornaliera, che la obbliga a vivere nel minuto e non nel tempo,—costui è un visionario; chi odia la guerra e non offre, per quel che vale, la propria forza a coloro che si agitano per abolirla, è un vigliacco.
E poichè in memoria di quell'uomo veramente civile che fu Francesco Siccardi, l'Unione Lombarda fece appello agli scrittori italiani per un opera letteraria, che rispondesse e giovasse ai suoi ideali, io credetti mio dovere di scrittore e di uomo civile di rispondere a quell'appello presentando al pubblico questo poema drammatico.
*
E qui, certo, qualcuno esclamerà: «Un poema drammatico!…—Ma credi proprio tu, che questa fosse la miglior forma letteraria, che potevi scegliere, specialmente a questi lumi di luna di verismo, e specialmente ora (e si può dire da molti anni) che i versi trovano, sui palcoscenici e nelle platee, avversari così numerosi e quasi nessun amico?»
In parte rispondo nel Prologo a queste osservazioni. In linea generale rispondo quì:
Il temperamento letterario italiano è innegabilmente lirico: lo provano le schiere innumerevoli dei nostri musicisti; lo prova il fatto, che, non soltanto furono e sono poeti due terzi almeno dei nostri grandi scrittori, ma poeti furono altresì la maggior parte dei nostri grandi uomini; che poeti furono: e scultori come Michelangelo, e pittori come Salvator Rosa, e principi come Lorenzino De-Medici e Vittoria Colonna, e prosatori come Boccaccio, e statisti come Macchiavelli, e matematici come il Vinci; e furon persino uomini di governo Dante stesso ed Ariosto.
Aggiungasi l'attitudine al verso ed al canto delle nostre plebi; la devozione con cui, a Napoli, a Palermo, a Roma, il popolo oggi ancora sta a sentire i declamatori della Gerusalemme e dell'Orlando; i molti poeti vernacoli d'ogni provincia d'Italia (notate: quasi nessun prosatore vernacolo!) cioè i poeti più ingenui, direi quasi più indigeni, fra i quali molti sommi davvero e innegabilmente eguali, se non superiori, a poeti e scrittori nella lingua nazionale, come il Porta, il Meli, il Belli.
Che più!—Dopo tante lotte e tanti trionfi alterni di classici, di romantici, di veristi, ecc.; dopo tanta letteratura di indole così varia e così mirabile, che ci venne d'oltr'alpi, il temperamento lirico degli italiani è rimasto tal quale; sicchè si può affermare con sicurezza che basta ricordare i Sepolcri del Foscolo, tanto al più raffinato critico guanto al mediocrissimo dei lettori d'Italia, perchè la loro ammirazione scoppi egualmente sincera, come se tutta l'intima loro natura si risvegliasse, non sminuita neppure dal giusto tributo offerto ad altre forme letterarie nostrali o forestiere che sieno.
*
Ma il temperamento italiano non soltanto è lirico, è altresì teatrale.
I nostri musicisti, infatti, sono quasi esclusivamente operisti; l'opera, anzi, è nata qui. Il risorgimento delle lettere vi dà, addirittura ai primordi, commedie dello stesso Macchiavelli e di Bruno, insuperate ancora nell'arditezza. Il poema di Dante si chiama Commedia! Decisamente il teatro noi italiani l'abbiamo nel sangue, se—come alla lirica—statisti e filosofi al par di quelli, gli dedicano parte della loro vita.—L'abbiamo tanto nel sangue, che gli anglo-sassoni ci chiamano persino una «nazione teatrale».—Al che si potrebbe rispondere: che l'indole d'ogni popolo è fatale, ed ognuno—anche l'anglo-sassone—ha la propria, coi suoi difetti e colle sue virtù, colle sue esagerazioni e coi suoi equilibri. Ma si potrebbe soggiungere: che, per noi, il conservar questo temperamento teatrale è quistione anche di gratitudine; poichè esso ebbe la benefica influenza di tenerci vivi, nel mondo e fra noi, quando lo straniero ci schiacciava; quando, cioè, non potendo combattere battaglie, Guerrazzi scriveva dei libri, sì, ma, sulle scene, Goldoni era in fiore, e vi risonavano le melodie di Rossini, di Donizetti, di Bellini, di Verdi e i versi di Alfieri, di Niccolini, di Manzoni e di Romani.
Quanto al gusto, alla moda odierna, mi sembra esagerata l'affermazione di coloro, i quali ritengono che al pubblico ripugni il verso sulla scena drammatica.
Al pubblico ripugna soltanto la monotonia, e piace la varietà. Il verso gli venne in uggia quando se ne abusò, come gli venne in uggia la commedia a tesi, e come sta per venirgli in uggia la pochade per lo stesso motivo.—Ma già, nel Prologo, accenno a queste cose; qui mi sia concesso di osservare: che i fatti danno torto, anche nel presente, a quella affermazione; poichè, laddove il verso compare ancora sulla scena drammatica (e non son rare le volte) purchè vi compaja come varietà e non come consuetudine, e purchè gli attori siano eccellenti, il pubblico, specialmente la classe popolare, affolla ancora il teatro più dell'ordinario.
L'esser poi tali rappresentazioni quasi esclusivamente fatte appunto dai migliori attori, dimostrerebbe che esse richiedono maggior ingegno e maggior studio; cioè, che sono, in linea d'arte, d'una lega superiore alle ordinarie; sicchè sarebbe ignobile cosa, non solo il prestar ajuto al pregiudizio che le avversa, ma il non affrontarlo.
*
Dato adunque quest'evidente temperamento lirico-teatrale del popolo al quale io volevo rivolgermi, e del quale io sono parte, dovetti convincermi che avrei fatto opera disonesta—e di fronte ad esso e di fronte a me medesimo—col lasciarmi vincere da quel pregiudizio, il quale, nel rendermi dimentico delle tradizioni sue, avrebbe tolto a me la più preziosa e proficua dote d'un'artista: la lealtà; quanto dire: la franchezza di fare quel che si sente.
E, d'altronde, la forma del Poema drammatico—schiudendomi l'adito ad uno dei mezzi più efficaci di volgarizzamento qual è il teatro drammatico,—mi lasciava aperte anche, in pari tempo, le altre vie letterarie: cioè il libro, la conferenza e la scena melodrammatica.
Nulla infatti impedisce ad un poema (fosse pure il mio)—anzi gli può giovare—di esser letto e ponderato: vale a dire di poter ottenere il giudicio anche di quel pubblico più ristretto, è vero, ma più esigente, che non frequenta il teatro, ma si occupa di cose letterarie.—Quanto al servir di conferenza, G. Giacosa, colla sua Challant, ha dimostrato che in Italia non manca il pubblico da ciò.
Circa la possibile rappresentazione del mio poema le migliori assicurazioni mi furono date da eminenti attori:¹ e A. Ghislanzoni e molti musicisti mi tolsero ogni dubbio riguardo la sua possibile riduzione a melodramma, e alcuni maestri di musica, anzi, mi espressero già il desiderio di mettersi al lavoro.
¹ Giovanni Emanuel mi scriveva: «Non solo credo Nabuco rappresentabile, ma, se messo in scena come si deve, d'esito certissimo. Figurati con che cuore io te lo farei se stessi in Italia, ma debbo ripartire per l'estero…. e tu sai perchè! In Italia, pur non essendo degli ultimi, ed essendo, in ogni caso, fra gli studiosi e coscienziosi artisti, non riesco a…. E dire che ci starei tanto volentieri in questa Italia bellissima!… Il mio sogno era di far quattrini in America per poi tornar quì a dedicarvi all'arte nostra tutta la mia vitalità e la mia esperienza… Ma…. è un sogno ancora!… Basta…. lasciamo le geremiadi. Ti auguro un gran successo».
Mi permetto soggiungere che Nabuco verrà rappresentato dalla nuova compagnia di L. Pilotto e di E. Zaccone.
*
Non tacerò che, oltre le tradizioni del temperamento del popolo al quale io dovevo rivolgermi; oltre l'onestà mia di scrittore, che mi obbligava (anche per il mio meglio) a seguire la forma che sentivo dippiù; oltre lo scopo, non ignobile, parmi, d'andar contro ad un pregiudizio; oltre il criterio, che la forma del poema poteva darmi adito all'opinione pubblica per mezzo di ogni esplicazione letteraria—libro, conferenza, dramma, melodramma;— specialmente questo pensiero «di poter sposare alla musica l'opera mia» mi decise e determinò.
Herbert Spencer ha ragione: «la musica è linguaggio Universale.» Ed è perciò, che, dacchè l'umanità tende ad un ravvicinamento, ad un raggruppamento di tutte le sue forze verso quell'alta armonia di perfezione, che consiste nel maggior dominio possibile della materia (vale a dire nella maggior possibile felicità derivante da giustizia), la musica, presso le società antiche negletta, desta un'attrazione sempre più viva. Nessuna arte, adunque, più della musica,—più di questo linguaggio universale, che ha la magìa di commovere del pari facilmente uomini di disparatissimi paesi,—è meglio adatta a sposare l'idea universale che ispira il mio poema. Pensiero e linguaggio, allora, troveranno la loro completa forma artistica.
Certamente un poema non può essere un trattato, un volume di dati statistici. Trattati e dati statistici avranno il lor posto, del resto, nella Collezione. Ora è un'opera d'arte soltanto; ed essendo tale, mira, come il Proximus tuus di A. D'Orsi, più che a risolvere una quistione, a tenerla viva, a chiamar a raccolta tutti coloro nei quali sta il germe della risoluzione.
«La strofa d'oggi sarà un'articolo di codice domani» scriveva A. Ghislanzoni.
Sicchè l'opera mia,—per quel che vale,—avrà raggiunto il proprio scopo, se susciterà, almeno in un solo dei suoi lettori e ascoltatori, il desiderio di passare, eccitato dalla strofa, al campo del codice,—dal sentimentale al positivo;—il desiderio, cioè, di studiare gli scritti, che uomini eminenti, come il Siccardi, dedicarono a questa nobilissima causa.
IL PROLOGO
NABUCO
DAÌRA
ARGIASP
ZALA
JEROBOÀM, Esseno
AFRAISAB, gigante
KUNAREND |
BÈRHAM |
DARAB |
GHEV | Capitani
BALTAZÀR |
FASKUN |
LORASP |
TOGHRUL |
GURGHIN | Cortigiani
NUSHÈH |
MAHAFERID |
GERIRÈH | Dame
EFRAIM, schiavo ebreo
JERAK, mago
ORMUZDE, battelliere
Soldati—Satrapi—Sacerdoti—Schiavi medî, egizi, sciti, ebrei—Dame, Danzatrici, Citarede.
A Babilonia.—600 a. C. circa.
Io sono il vecchio Prologo, ma vecchio
Così per dir; poichè l'Arti non hanno
(Ed il Teatro, mio padron, con esse)
Un'età. Ben lo so: la moda e il gergo
Dei critici, talor, sembrano imporre
All'Arti Belle coll'età un costume….
Ma ridon l'Arti di critici e mode!
Figlie d'un Vero, che Finzion si chiama,
Piace ad esse vestir gli idoli e l'are
In varie foggie. Ad ogni nova foggia
I critici invasati afferman «quella
«Esser la sola che accettar si debba».
Ma ancor finito d'affermar non hanno,
Che i devoti s'annojano, esclamando:
«O classici, o romantici, o veristi,
«Siete uguali per noi!… Se mutar foggia
«Vi garba,… meglio!… A noi basta del Nume
«La presenza sentir!»
Ond'è, signori,
Che il buon pubblico ancor del pari ammira
Goldoni e Shakespear, Ibsen e Labiche;
Nè, forse, gli dorrà che sia poema
Questo spettacol scenico, per l'alto
Concetto suo.
Lagrime e sangue grondano
Della Storia le pagine; e di tante
Vittime e tante, che immolò la guerra,
Ignoto è il nome; sol vive il ricordo
Dei più truci carnefici.—Felici
Furon costoro almen?—No!—Dell'umana
Letizia fecondar non può le ajuole
La rugiada del sangue.—Da quei campi,
Ove sepolti i cadaveri a mille
A fior di terra stanno, o abbandonati
Tra solchi immondi, un vibrïon s'aderge
A vendicarli!—E te, forse, alla gola
Ghermì a Sedan, o Federico, o biondo
Imperator, che pur mite nascesti;
E te, o Nabuco, al cerebro ghermìa.
Or dunque, o genti, perchè ancor vorreste
Esser vittime voi, se neppur dànno
Felicità ai carnefici quel sangue
Che per lor voi versale, e quelle lagrime
Che versano per voi le vostre donne?
Qui Nabuco evochiamo; ed egli stesso,
Egli, l'orrendo sacerdote antico
Di questa orrenda religion dell'armi,
Urli e ripeta colle labbra sue:
«Anatèma alla guerra!»
Del poeta
Questo il pensiero,—A lui, siate cortesi.
Nella reggia di Babilonia.—Grande atrio in fondo.—Al di là dell'atrio vasto terrazzo, dal quale, per uno scaleo, si scende al cortile d'onore.—Il trono a destra, verso il proscenio.—Sul trono lo scettro e la corona.
DAÌRA e ARGIASP
(Daìra vien frettolosa dalla destra, in fondo—Argiasp l'insegue).
Perchè sempre mi sfuggi?
E perchè sempre
Mi segui tu?…—La figlia di Mitràne
Io sono; di colui, che fra i nemici
Fu di tuo padre.
E n'hai tu colpa?…
(dopo averla amorosamente fissata un istante, prendendole una mano)
Vuoi
Esser mia sposa?
DAÌRA (ritraendosi)
No….
Chi preferirmi
Dunque potresti?…—È vero, io re non sono;
Ma Nabuco, partendo, a me affidava
Il poter suo; sicchè nessun m'è eguale.
Polvere son gli umani eventi. Il soffio
Del destin li sconvolge e li rimuta!
È Nabuco lontan; per lui qui stanno
La lealtà d'Argiasp, i parassiti
Della sua stirpe, e l'eco affascinante
Delle vittorie sue.—Ma s'ei morisse?…
S'io lo tradissi?… Se, genìa mal fida,
Dei cortigiani il gregge a un re novello
Rivolgesse la fronte, e la vittoria
A lui le terga?—Qual sarebbe allora
La tua sorte, o fanciulla?…—Io sol salvarti
Potrei…. se m'ami….
E s'io non t'amo?
Ha l'odio
Ardenti impeti in me come l'amore!
E sia. Dunque al tuo amor dica il tuo odio: ch'io non lo voglio; e all'odio tuo l'amore Risponda: ch'io non so temerlo.
(fa atto d'allontanarsi)
(le prende un lembo della veste per trattenerla e, inginocchiandosi, lo bacia).
Ah…. no….
Fèrmati!
Addio!
(Essa gli strappa il lembo dalle mani e scompare per lo scaleo, mentre, a destra, sopravviene Zala).
ARGIASP (in ginocchio)
Io maledico, o Sole,
Al tuo splendor!… Di qualche torvo incanto
La preda io son, perchè ai suoi piedi io possa
Così strisciar!
E tu esser re dovresti!
ARG. (alzandosi)
Non l'han voluto i Numi eterni….
ZALA
I Numi
Stan coi forti soltanto! Ancor Nabuco
È lontano, fratello.
E la mia fede
Sacra.
No…. infame!… Poichè infame è quella
Che un figlio giura, del padre obliando
Le lagrime e la morte!
Io non dovea
Forse giurarla; ma giurarla volli,
E, sacra o infame, la terrò.
Stoltezza!
Satrapo di Nabuco esser non puoi
Tu, che suo re nascesti; e, re, è tuo dritto
Stringer fedi e dissolverle.—Ma spense
Adunque in te della lascivia il fango
Ogni scintilla di memoria?—Sei
Tu mio fratello?…—Fu una carne istessa
Quella che ci creò?—Perchè non io
All'armi nacqui e tu ai femminei vezzi?
(additando il trono)
Ah,… guarda…. là!—L'ultima volta il padre
Noi là vedemmo; noi, bimbi tremanti
Colle catene ai polsi!… Ei rantolava
Nell'agonia suprema, e si torceva,
Pallido come pario marmo, gli occhi
Sbarrando intorno!… E, dall'aperta gola,
Colava il sangue! Il suo prezioso sangue!…
Il sangue nostro!…—Giù colava a fiotti;
Giù, sovra il petto; giù, sui fregi d'oro;
Giù, sulle gemme, come rosso serpe;
E dilagava a terra, ove vincea
Il color delle porpore!—Ah, potessi
Viva evocar l'abbominevol scena!
Far che nell'aria risonasse ancora
Quel rantolo! E, dal suolo, ove alla figlia
D'un carnefice suo tu ti inginocchi,
Raccôr potessi di quel sangue un grumo
Per gettartelo in volto!
(Acclamazioni in lontananza)
Or quali grida?
DAÌRA (dallo scaleo, accorrendo)
Oh, la lieta novella!… Il re è tornato!
Il re?…
Nabuco?
Si…. Fa ressa, intorno
Ad un drappel di cavalieri, il popolo
Alla porta di Belo.—«Il re ci segue!»
Gridan essi, «Lasciateci alla reggia
Recar l'annunzio!»—Ma la folla chiude
A loro il passo, colle mille bocche
Mille domande a lor volgendo.
ARG.
(fra sè, osservando Daìra)
Lieta
Mai la vidi così!
ZALA
(piano ad Argiasp)
Tutto è perduto!
Va…. T'affretta…. Ti prostra!… Io, nella reggia,
Ove nacqui, l'attendo.
(s'allontana a sinistra)
DAÌRA
(a Argiasp, che muove verso lo scaleo, andando a lui)
Teco, Argiasp,
Verrò….
ARG. (ironico)
Di non seguirti a me imponevi….
E me seguire or vuoi?
DAÌRA (scostandosi)
No…. Va tu solo!…
D'un inutil sarcasmo ebbe la pena
La mia inutil richiesta…. All'occhio mio
Nulla sfuggir potrà s'io là rimango.
(indica il terrazzo in fondo e muove ad esso)
DAÌRA sul terrazzo—CORTIGIANI che vengono d'ogni parte, s'incontrano, parlano fra loro con concitazione—Fra i cortigiani, BALTAZÀR, LORASP, FASKUN, TOGHRUL, GURGHIN, NUSHÈH, MAHAFERID, GERIRÈH—Voci, grida e squilli man mano più vicini.
LORASP (accompagnato da Mahaferid, venendo dalla destra, a Baltazàr, che giunge con Nushèh dal lato opposto)
Fulmineo ritorno!
E ingrato forse
A molti.
A chi?
Meglio d'ognun tu il sai.
MAHAFERID (indicando Baltazàr)
Io so che insulti i suoi sospetti sono.
GURGHIN (incontrando Faskun)
Fulmineo ritorno!…
E trïonfale,
Gurghin!
Nè ai canti di gloria e di gioja
Mancherà la mia voce!
È dessa stanca
Forse di mormorar sempre nell'ombra?
GURGHIN
(con terrore e ipocrisia)
O Faskun, tolga Belo che tu mai
Alla calunnia porga orecchio!
(si lasciano)
BALTAZÀR
(incontrando Faskun)
Muta
In pecorelle timide i mastini
L'apparir del leone!
È vecchia storia!
(squilli nel cortile)
DAÌRA (sul terrazzo)
Eccolo!… È desso!… Il Re!
TUTTI (accorrendo al terrazzo, mentre Daìra, pensosa, se ne allontana)
Viva Nabuco!
MAHAFERID (a Gerirèh, mentre osservano entrambe nel cortile)
Sta sulla soglia della reggia Zala….
A lei si inchina il Re, non essa a lui,…
(Acclamazioni e nuovi squilli nel cortile)
DAÌRA (fra sè)
S'ei, vedendomi, più non ricordasse
Chi son, n'avrei troppo dolor!—Nascondermi
Voglio…
(dopo aver pensato un momento, come decisa, indicando a sinistra)
Là!… Sì…. Là!… Nel giardino antico,
Ove, fanciulli, insiem stavam sovente!
(come ricordando)
Nascosto fra i cespugli, ei m'attendeva,
Su me piombava e mi ghermìa… mentr'io
Dicea ridendo: «No… bel leopardo,
«Alla gazzella tu non fai paura!…»
(Nuove acclamazioni)
Di rose gialle, a lui sì care un giorno,
Vo' mandargli un canestro… e, s'ei ricorda
Quei fiori ancora, a lui n'andrò sicura
Ch'anche Daìra non può aver scordato!
(S'allontana rapidamente a sinistra.—Intanto la scena s'è nuovamente popolata.—I cortigiani fanno ala allo scalco).
AFRAISAB, il gigante—KUNAREND, BERHAM, DARAB, GHEV, poi NABUCO, alla destra del quale ARGIASP, alla sinistra ZALA. Dietro ad essi Capitani, Schiavi Medi, Egizî, Sciti, Ebrei. Fra questi JEROBOÀM e EFRAIM.—Detti.
AFRAISAB (apparendo dallo scaleo, con voce tonante)
Largo a Nabuco il re!
(Gran movimento—Si lascia libero il passo—Squilli, rintocchi, canti, acclamazioni, grida in scena e fuori),
Gloria a Nabuco!
NABUCO
(avanzandosi, riconoscendo Faskum, poi Baltazàr)
O mio vecchio Faskum…. E tu, tu pure,
Fedele Baltazàr….
Signor, la gioja
Mi toglie la parola….
LORASP
(avanzandosi con Mahaferid)
A noi degnate
Uno sguardo!
(indicando Mahaferid)
Mia figlia….
E tu?
Lorasp
Egli è….
Del sangue tuo….
ZALA (superba)
Sì, il regal sangue
Di Sàrak!…
NABUCO (ironico)
È regale la bellezza
Sempre…. e la forza….
(Va al trono e vi sale.—Afraisab gli porge lo scettro, mentre Argiasp gli toglie l'elmo e gli pone sul capo la corona).
Gloria al Re!
Le spade
Or deponiam.—Di Babilonia vinti
I nemici son tutti. Egizî, e Medi,
E Sciti, e Ebrei noi le traemmo schiavi;
E quelle mani, che alla sua rovina
Volgevan l'armi, or diverranno ancelle
Della sua gloria; e innalzeranno eccelsi
Templi ai suoi Numi; e aggiogheranno l'acque
Dell'Eufrate ribelli; ed in un vasto
Giardino muteran questo soggiorno;
E a me, che stringo nel mio pugno il mondo,
Eleveran statue d'argento e d'oro,
Che culto avranno come i simulacri
D'Auramazda e d'Istàr.—Nume son io
Com'essi!… A terra!… Innanzi a me prostratevi!
JEROBOÀM
(agli Ebrei che lo circondano)
Ah, per Gèova…. no!… no!… Nessun di voi,
O fratelli, si prostri.
ARG.
(a Jeroboàm e agli Ebrei)
A terra!
TUTTI
A terra,
O schiavi!
A terra non cadrem che spenti.
AFRAISAB (ai soldati indicando Jeroboàm)
Ch'ei muoja!
No…. soltanto i forti atterra
Nabuco!… Ch'egli viva.
E più feroce
Così sei tu,… chè men peggior la morte
È del vivere schiavi, e vecchi, e ciechi!
Chi sei?
Jeroboàm, figlio d'Elia,
Degli Esseni di Kyriat.¹
¹ Kyriat Sefor (la città dei libri) mutò il nome in quello di Debir, non meno significante, perchè vuol dire «seggio della parola e dell'oracolo.»—La si chiamava Città dei libri, fin dall'epoca di Giosuè.—Un passo del Talmud dice: «Vuoi fare acquisto di sapere? Va presso i dottori del mezzodì» cioè in quel paese, che sta al sud di Gerusalemme ed è limitato a levante dal lago Asfaltide, e fu per la Giudea quel che l'Attica per la Grecia e la Toscana per l'Italia.—Ivi abitavano gli Esseni, che incarnavano il tipo migliore dei migliori repubblicani d'ogni tempo, perchè amanti della libertà, odiatori dell'accentramento e dell'ipocrisia, miti e forti. Filone nel suo libro «Ogni uomo probo è libero» dice, che si chiamavano Esseni o Essei da una voce siriaca, che vale pio, santo, benigno, o parla a lungo della loro abilità medica, della loro longevità in causa del vivere temperato e operoso, delle facoltà profetiche che venivan loro attribuite, della loro morale, che condannava la schiavitù obbligandoli a servirsi l'un l'altro, ad esser proclivi al perdono, e poggiava sulla triplice base: l'amor di Dio, della virtù e degli uomini.—Il Talmud parla pure d'una scienza segreta degli Esseni, per meritare d'esser iniziati alla quale, condizione precipua era di saper vincere l'ira.—Il volgo credeva che deducessero l'avvenire dai sogni.—Non priva di fondamento è l'opinione che Gesù Cristo facesse parte di questa nobilissima setta. Conferma appieno questa opinione il modo allegorico, figurato (e quasi sempre con figure desunte dalla vita campestre) che Cristo ha comune cogli Esseni; i quali, com'egli ripete tante volte, solevan dire: «I precetti fanno il corpo della Scrittura, l'allegoria lo spirito.»—Gli Esseni prendevan parte alla vita pubblica, poichè essi non eran asceti, ma uomini che accoppiavano il pensiero all'azione.—Flavio e lo stesso Alessandro Severo tessono le loro lodi per l'invincibile coraggio che mostrarono nell'opporsi all'invasione romana; dice il Benamozegh, Storia degli Esseni (Firenze 1865): «Patirono il ferro, il fuoco e la mutilazione dei membri e la morte stessa, senza che una sola lagrima venisse a implorare la pietà del carnefice.»
Chi volesse conoscere meglio gli Esseni legga il bellissimo libro di G. De-Castro, Fratellanze segrete, cui attinsi queste brevi notizie.
Il tuo nome
Rammento.—Un dì, quando la prima volta
Soggiogai la Giudea, chiedendo pace
Con altri di tua setta a me venisti.
Quì schiavi, fin da allor, trarvi potevo;
Ma, affascinato dalla luce arcana
Dell'intelletto vostro, a voi lasciai
E vita e libertà, tenue tributo
Imponendovi ogni anno. Indi all'Egitto
Rivolsi l'armi.—Or ben qual fu la fede
Che mi serbaste?—Voi poneste a morte
Chi, in nome mio, raccogliere dovea
Il tributo promesso, e me assaliste
Alle terga. Ma invan!… Vinti gli Egizî,
A voi tornai;… e, allor, pietà non ebbi.
Noi trucidammo il messo tuo, che insulti
Lanciava al Tempio; e i tuoi guerrieri, a mille,
Trucidarono a noi donne e fanciulli!
Ascolta!… Ascolta!… A me crescea d'intorno,
Come campo di spiche rigoglioso,
Una vasta famiglia. Eran canzoni
Di robusti pastori; erano nenie
Di belle madri dal rigonfio seno;
Eran trilli di bimbi, a me avvinghiati
Nell'impeto talor di affettuosa
Festività infantil, sì ch'io sembravo
Grappolo enorme dagli acini lieti
Riboccanti di succo!…—Io non li vidi
Perir pugnando i miei gagliardi figli,
Ma, morti, a me furon recati!… Vidi,
Ahi, vidi, sì, sotto ai miei occhi, preda
Dei tuoi soldati, le mie donne, urlando,
Invocare la morte, e benedirla
Quando, dal petto lor, col sangue e il latte,
Dalle larghe ferite uscia la vita
E l'ignominia era compiuta!… E vidi
I miei bambini palpitar sbranati
A me dinnanzi…. E udii l'orrendo schianto
Delle piccole teste alle pareti
Fra le risate…. E mi sentii sul volto,
Sangue del sangue mio, mia carne istessa,
I cerebri schizzarne!… Ah, tanto io piansi
Da quel tremendo dì, che gli occhi miei
Più lagrime non han,… non han più luce!
NABUCO (ironico)
Dio vendicò quel dì gli Amaleciti!
JER.
(con grande impeto)
Sul capo tuo cada il lor sangue e il nostro!
Iddio giudicherà!
Non più!… Nabuco
Responsi attende dalla propria spada
Soltanto….
(pausa)
Alle sue cure ognuno ritorni.
Alla pena gli schiavi; ai vezzi loro
Le donne; ai riti i sacerdoti; ai balli
Ed ai conviti chi il piacere adora;…
E ai suoi pensier Nabuco.
(Tutti si allontanano.—Scende la sera.—Presso lo scaleo viene accesa una lampada)
NABUCO solo, sul trono.
NABUCO (cupamente)
E di Nabuco
Sono i pensieri, ahimè, i nemici soli
Ch'egli teme!…—La terra e il mar son vasti;
Ma, ad averne l'imper, basta una spada!
Oro, gloria, poter:… facili prede
Di volgari nature! Io li posseggo,
E non son lieto!…—Anch'io ringhio ed addento,
Come il mastin, se alcun li tocca…. Il suo
Brandel di carne esso difende, ed io
Il mio frusto d'impero…. Eppur, s'accheta
Il mastino satollo;… ed io non trovo
Riposo invece!… Un mendico, che geme
Agonizzante per eterna fame,
Sta in me Nabuco onnipossente: e invano,
Per sazïarlo, io gli gettai finora.
Cento vittorie, e cento regni, e il mondo!…
Ei sempre grida: «No! Non questo cibo
Mi sazia!…»
(Depone la corona e lo scettro—A poco a poco notte completa)
Ora vediam: Tutte le cose
Hanno una forma ed un mister: mutare
Noi la forma possiam; ghermir l'arcano
Mistero…. forse!….—Ogni volgar natura
Della forma si sazia; ogni divina
Sazierebbe il mistero?… Io del mistero
La conquista tentar dunque dovrei?
Oh, l'immane fatica!… In suo confronto
Gioco mi par di cerretani quella
Che già compii….
(alzandosi, come allucinato e come parlasse a un fantasma che sta in lui)
Ma, orsù, rispondi: «È questo
Forse il cibo che chiedi?»
(come dando ascolto e come ripetendo parole che gli giungono vagamente)
È questo!… È questo!
(con un grido, ergendosi della persona)
All'opra, dunque!… All'opra!
(ricade accasciato sul trono, momento di pausa)
Ahi, quante volte
Io fin qui giunsi…. e poi caddi spossato!
Non dell'armi il valor quì la vittoria
Può darmi! E, lo potesse, ad ogni cosa
Dovrei muovere battaglia; poichè ognuna
Ha il suo mistero!… E, li vincessi tutti
Della terra i misteri, in alto io volgo
Lo sguardo….
(fissa lo sguardo in fondo, dove appare il cielo stellato)
Il ciel tutto si ingemma d'astri….
Ed ogni astro è una sfida.
(alzandosi, con impeto)
E sia!… Degli astri
Alla conquista!
(ricadendo accasciato)
E come?… Son lontani….
E ignota è a me la forza, che potrebbe
Fino ad essi sospingermi!—La forza?
Che è dessa mai?…. Quella d'Afraïsàb,
Che cento affronta e uccide o fuga; o quella
D'Jeroboàm, che, vinto, parla…. e vince
Me, Nabuco? È la mia, che il mondo doma;
O quella dei sapienti di Giudea,
Che affascinò la mia?
(scende dal trono e passeggia)
Popolo grande
Dagli ermetici libri e dai profeti
Che leggono nei cieli….
(come stanco va a sedere sui gradini del trono)
«A re Nabuco
«Gloria!»… E Nabuco è un bimbo che si affanna
Per un balocco che gli vien negato,
E quei che ha già farebbe in pezzi!
(si copre il volto colle mani.—Pausa.—La luna sorge; un suo raggio penetra dal fondo).
VOCE DI DAÌRA
(che s'avvicina, a destra, cantando)
La rosa gialla come l'or risplende;
Essa alla pesca il profumo involò;
Sicchè del frutto il desiderio accende,
E pesche vuol chi rose gialle amò!
NABUCO
(fra sè, sollevando il volto)
E canta
Costei!
DAÌRA e NABUCO.
DAÌRA (viene dalla destra e fa per attraversare il terrazzo —Ha un lembo della veste rimboccato,—Canta.)
O rose gialle, o belle rose gialle!
(essa giunge dove cade ti raggio di luna)
NABUCO (riconoscendola, accorrendo a lei)
Daìra!….
(l'afferra la porta sul trono, e poscia siede ai suoi piedi).
DAÌRA
(dando un grido, poi ravvisando Nabuco e ridendo)
No, bel leopardo
Alla gazzella tu non fai paura!
NABUCO (contemplandola)
Sempre la stessa!
Me Nabuco, adunque,
Il gran re, ravvisò si tosto?
NABUCO (sorridendo)
Errai….
Tu Daìra non sei:… quella Daìra
Ch'io conobbi bambina…. Tua sorella
Certo ella fu!…
Di lei men bella io sono
Forse?
Oh…. molto dippiù!
Tu pur non sei
Il Nabuco d'allora!… Egli era forte,
È vero, come te;… ma il volto avea
Pallido e delicato.—Oggi di bronzo
Quel volto par….
Di quel Nabuco io sono
Men grato a te?…
(abbandonando il lembo della veste e lasciando cadere su Nabuco le rose gialle che vi teneva raccolte.)
Prendi!
NABUCO (con grande allegrezza)
Ah…. Le rose gialle!…
Le mie rose!…
Ed è ancor l'istesso cespo
Che le fiorì!
NABUCO (sorridendo)
Fra l'ultime, ch'io vidi,
E queste…. quanti eventi per Nabuco!
E per te?…
Nulla…. Ah, si…. Le rose!… Avvolta
Nel mio mantello, ad esse, nell'inverno,
Io ne andavo ogni giorno, a preservarle
Dall'insulto dei venti e delle brine;
Poscia, al tornar di primavera, quante
Assidue cure per toglierne i bruchi
Delle piante carnefici!—Giungea
L'estate…. Oh, allora, il mio trionfo!…—Sola
Colle mie rose dall'alba al tramonto
Sempre restavo, corone e ghirlande
Tessendo all'ombra.—Sovente la notte
Ad esse ne venia.—Oh, come acuti
Son gli olezzi dei fiori nella cheta
Oscurità notturna!… Io, per arcana
Voluttà, ne fremevo!…—Ahimè, l'autunno
Tutto spogliava il mio roseto…. ed io
Cader vidi talor, calda rugiada,
Sulle foglie disperse a me dinnanzi,
Qualche lagrima,… ch'io non comprendea
Quale dagli occhi mi spremesse vaga
Ineffabil mestizia!
NABUCO (sfogliando delle rose)
Il mio rosajo
Era la guerra; e a sorvegliare il campo,
Chiuso nel mio mantello, anch'io ne andavo
Nel verno; io pur temer dovea gli assalti
Coi novi soli; ed a me pur l'estate
Apportava trionfi, e tetri giorni
L'autunno!… Dunque hanno vicende eguali
Rose e battaglie!—Ami tu ancor le rose,
O mia Daìra.
Sempre!
Io le battaglie,
Ahimè, non amo più.
Lieta ne sono….
Così qui resterai…. E, se la brama,
Te ne riprende,… ebben…. t'offro le mie!
I bruchi ucciderai!…
NABUCO (ridendo)
Ah…. Ah…. Nabuco
Debellator di bruchi!…—E sia!… Mutato
Non sarà forse il mio destin sì tanto
Come appar sulle prime! Bruchi anch'essi,
Inver, gli uomini son!… Poter, ricchezza,
O voluttà,… ciascun vuol la sua rosa!
Or dunque, vieni.—Del giardino antico,
Quando la luna vi piovea, ricordi
Gli incanti?—Or vedi: alta è la luna, e, sovra
I cespi, a mille s'aprono le rose.
Io di là vengo, nè mi parve mai
Così pieno di fascini!… La luna
Vuol che le rose d'or sembrin d'argento;
Ed esse a lei rimandano indorati
I raggi suoi….
È una battaglia!
Quello,
Dunque, è il tuo posto!… Vieni….
NABUCO (baciandola)
Oh, la gioconda
Mia Daìra d'un tempo!
Io la sorella
Ne sono….
NABUCO
(allacciandole d'un braccio la persona)
Ebben tu come lei mi piaci!
(s'allontanano per lo scaleo).
Bosco in riva all'Eufrate.—Agli alberi stanno appese delle arpe.—Diverse capanne.—Quella di Jeroboàm, in mezzo, ai piedi d'un albero.—Fra tronco e tronco, si vede, poco lontano, scorrere il fiume, e, sulla sponda opposta, biancheggiare degli edifici in costruzione.
JEROBOÀM, seduto presso alla propria capanna.— EFRAIM alla sua destra.—Intorno siedono gli schiavi Ebrei.—Poi alcuni Aguzzini.
JER.
(come continuasse un racconto)
E poscia, in sogno, mi parea con voi,
Cieco qual sono, di fuggir tra i monti
Verso la patria. Al fianco mio venivi,
Sostegno e guida tu, Efraìm.—Dicevi:
«Fra poco il giogo toccherem!… Là giunti,
«Noi rivedrem il suol di Galilea!»
Ed ecco uscir da tutti i petti un urlo
E il popolo sostar. Ond'io ti chiesi:
«Che avvenne?»—E tu: «Oh, l'infausto portento!
«A precluderci il varco a un tratto è sorto
«Un colosso di bronzo!»—Allora ai miei
Occhi tornò la luce, e ch'esso avea
Di creta i piedi io vidi.—Una pietruzza
Raccolsi e la lanciai….—Ero lontano;
Debole al par del braccio d'un fanciullo
Era il mio braccio;… eppur colsi nel segno!
Sicchè il colosso tentennò, poi cadde,
E rovinò giù per l'erta montana
Come neve spezzandosi ai macigni.
È una promessa questo sogno!
ALCUNI AGUZZINI
(irrompendo, sferzando gli ebrei)
Schiavi,
Al lavoro!… Al lavoro!…
JEROBOÀM solo.
(sempre seduto ai piedi dell'albero)
O d'Israele
Arpe sospese sul mio capo; o nidi,
Da cui sono fuggiti i lieti canti,
Simili a rondinelle nell'inverno,
Dacchè su noi piombò l'ira divina;
Io non m'inganno, no,… sento che l'aria,
Spirante adesso tra le vostre corde,
Più non vi desta gemiti e lamenti!
Una melòde piena di dolcezza
Piove da voi dentro l'anima mia….
E mi sembra che parli di perdono!
JEROBOÀM—ZALA—ARGIASP, dal fondo.
Alla reggia torniam…. Lottar che giova
Contro i destini?….
Ah, no!… Lo stesso sangue
Non scorre in noi, che vil troppo o bugiardo
Nato tu sei!—Vil, se credevi incendio
Quell'amor, che soltanto era scintilla;
E bugiardo, se tal tu lo sapevi
E fingevi con me!—Poich'io comprendo
Chi trema innanzi all'idolo che adora
Per ignota malìa; ma chi si lascia
Quell'idolo rapir, ne rïaverlo
Tenta, anche a prezzo della vita, mai
L'adorò certamente!
ARG.
(con impeto di disperazione)
A Istàr io dunque
Sacrarmi debbo?—Ebben mi sacro!—Mite,
Leale io nacqui! Feroce gli eventi
M'han voluto!… Stassera essi morranno!
(fa per allontanarsi)
ZALA
(trattenendolo)
No…. Verrò teco anch'io, sacra ad Istàr,
Il giorno in cui l'estrema mia speranza
Svanir vedrò…. Ma tal speranza forse
Or per compiersi sta….—Dacchè Nabuco
Tornò, la reggia ogni notte risuona
Per allegri conviti; pur, seduto
A mensa, o a contemplar le danze, ei resta
Sol pochi istanti, e, spesso, non vi appare….
Perchè vive ei così?
Dell'amor suo
Egli vive soltanto!—Come un bimbo
Daìra lo conduce.—Ora discendono
Nell'antico giardino; or dalla reggia
Escon la sera.
Ma li segue un'ombra….
Io!—E a quest'ombra ora un mistero è noto!
Odi: Nabuco non ama Daìra!
ARG.
Non l'ama?
No!… Forse, nei primi giorni,
I ricordi d'infanzia e la bellezza
Della fanciulla aveano acceso in lui
D'amore una parvenza; ma, passato
L'impeto primo, egli è caduto preda
Di strano morbo che lo strugge.—Quando,
Soli, la sera, essi ne vanno insieme
Fuor della reggia, a lor, no, non sorride
Il tripudio che da questo pensiero:
«Esser liberi e amarsi!»—Egli cammina
Taciturno; e Daìra, al fianco suo,
Vien silenziosa….
È per gli amanti caro
Idioma il silenzio!
Ebben lo rompe
Nabuco; ma d'amor non parla; parla
Fra sè di strani sogni.—Essa, lo interroga
Timidamente; ma ei non l'ode. Entrambi
Erran del fiume in riva infin che annotta;
E, allora, come da fatal possanza
Spinto, ei qui move, mentre, dietro a lui,
Pallida ed ansimante ella s'innoltra.
E tu udisti quant'ei dice a sè stesso?
Sì….
Lo ricordi?
Sì…. D'astri egli parla.
Il senso invan comprenderne da sola
Sulle prime tentai;… poi lo fe' noto
Inconsciamente a me quel vecchio ebreo,
Che là tu vedi….
(indica Jeroboàm)
ARG. (riconoscendolo)
Ah, lo ravviso!… È il cieco
Jeroboàm!
Sì, desso!
Il dì ricordo
In cui Nabuco gli salvò la vita.—
Perchè or quì vien?… Lo riconobbe il cieco?
Ignoto gli è.—Giafìr, ricco mercante,
Egli lo crede, come a lui fu detto.
Forse potea la voce sua tradirlo;
Ma, al par dell'uragano, era tonante
Del re la voce il dì che a lui la vita
Serbava…. ed oggi di chi implora ha il suono!
ARG. (stupito)
Implora…. il re?!
Sì…. implora!—Questo io vidi
Evento prodigioso: a un mendicante
Volger Nabuco lagrime e preghiere!
A un mendicante?…. Egli?… Nabuco?:
Sì!
Da lui stesso l'apprendi!
(andando a Jeroboàm)
Jeroboàm.
Chi sei?… Forse la donna, che ogni sera
Vien con colui, che follemente il cielo
Vol conquistare?
ZALA (piano a Argiasp)
Udisti?
(a Jeroboàm)
Non son quella.
Ah, è ver!… Lo squillo d'una tromba pare
Il suon della tua voce, e quel dell'altra
D'un flauto ha la dolcezza.—Sei tu sola?
No…. mio fratello è meco.
Parli.
Il suono
Della mia ti ricordi?
JER.
(scosso, alzandosi)
Ah…. Non ignoto
Mi giunge…. No!—Ma dove io già l'udii?…
Quando?…—Nella tenèbra, che mi avvolge,
Ogni voce, ogni suono, ha un'eco lunga;
Sicchè, talor, nell'incessante rombo
Di quell'eco io mi perdo, e una memoria
Vaga e confusa sol mi resta!—Io posso
Ben dirmi: «Già l'udii!»…. Ma, d'onde l'eco
Cominci, invano a ricercar mi struggo!
A parlare con me vien da più notti
Un mercante, Giafìr, colla sua donna….
Orben, dal primo dì ch'ei mi rivolse
La parola, pensai: «Dove ho tal voce
Udita già?» Nè rispondere ancora
A tal domanda io posso!—È noto a voi
Questo Giafìr?
Egli è parente nostro….
A te veniam perchè un timor ne cruccia
E tu soltanto consigliar ci puoi.
Parla.
Da tempo egli negli occhi ha lampi
Di febbre; e, assorto in tetre idee, s'aggira
Farneticando; e non risponde; oppure
Con strani detti chi si volge a lui
Congeda o insulta…. e fugge….—Di qual morbo
Ei dunque è preda?…
Conquistare il cielo
Ei sogna…. Già tel dissi….—E, poichè a lui
Narrò qualcun, che a me son noti i libri
Dei sapïenti, egli da me pretende
Di conoscer l'ermetica potenza
Che della vita ogni mister discopre
E insegna quello che Dio sol conosce!
Poter da terra sollevarsi, e l'aria
Attraversar per conquistar le stelle,
A una freccia simìl:… questo egli brama.
Blandemente io risposi sulle prime,
Pietoso a lui ed alla sua compagna
Dalla voce gentil che sa di pianto;
E, della scienza dei miei libri santi,
Sì, gli parlai, ma qual maestro a alunno
Che gli scerne la lettera e lo spirto…
Ahimè, coi folli intendimenti suoi,
Ei tutto confondea!… Sicchè schermirmi
Ora soltanto alle sue inchieste io tento
E alle preghiere sue.
Ei, dunque, è pazzo?
Non ancor!… Ma la china egli discende
Di quell'abisso, in fondo al qual diventa
L'uom pari al bruto…. e, se chi l'odia, spingerlo
Nell'abisso or volesse, agevol cosa
Compier dovrebbe.
E tu non ve l'hai spinto?
Perchè?
Non l'odio.
Egli è Caldeo….
Nemico
Esser dovresti a lui….
Sì…. come a voi
Nemico io son, perchè Caldei voi siete,
Se del suo sangue; e come il son di tutta
La gente vostra.—Ma so ben che è vano
Una gente odïar!—Essa è la spada
Nella man del carnefice! È l'inconscio
Strumento ond'ei si val!…—No… Non ha colpa
La spada…. ma la man!… Soltanto a questa,
Al carnefice solo io l'odio serbo!
Al re, dunque?
A Nabuco!
Or ben, colui
Che conquistar il ciel vorrebbe…. è il re!
È Nabuco!
Nabuco?!
Argiasp io sono!
Io Zala!
I figli di Sârak!… Ed egli….
Egli è il colosso…. e la pietruzza io sono!
ZALA (indicando a destra)
Ei viene….
JER. (indicando la capanna)
Là…. là…. nella mia capanna!
(Argiasp e Zala entrano nella capanna.—Jeroboàm torna a sedere ai piedi dell'albero.—Entra Nabuco concitato, poi Daìra).
DAÌRA (a Nabuco)
Fermati…. Ascolta….
Lasciami!
Promesso
Pur tu mi avevi, che dal vecchio ebreo
Non saresti tornato….
Ed or vi torno
Poichè mutai pensier…. Ciò non ti garba?…
Alla reggia rimani!
E sei tu quello
Che mi parli così?…—Quando quì vieni
Son le tue notti spaventose!… Mille
Torvi fantasmi turbano i tuoi sogni….
Ed io, che veglio a te vicina, piango
I tuoi rantoli udendo e i tuoi lamenti!
Ah, dove son le dolcissime notti,
Che noi passammo nel giardino antico
Fra l'olir delle rose!
D'ogni olezzo
Oggi più grate a me son le parole
D'un sapïente!—Di Nabuco è questa
La vita!… Ei vuol non una gioja sola!
Amore, e gloria, e sapïenza:… tutte
Le gioie umane ei vuol, tutte le ebbrezze!
Lasciami!
JER. (dall'albero)
Olà…. Chi è là?… Sei tu, Giafìr?
Sì…. Son io!
(Daìra va verso il fondo, come spiando che nessuno si avvicini, e vi resta)
Mio signor, come mi scese
Al cuor la voce tua!… Che tu in eterno
Esser possa felice!
E lo può forse
Esser chi, al par di me, alla meta anela
Che tu conosci?
Ancor t'agita, dunque,
La stessa idea?
Sì….
Ancor, dunque, tu vieni
A me, credendo ch'io donar ti possa
La magica virtù che i sogni tuoi
Adempier deve?
Sì…. Non mi narrasti
Forse tu stesso dei profeti vostri
L'onnipossente fuoco?…
È ver….
Rapiti,
Essi vedean gli eventi del futuro
E i misteri del cielo e della terra….
Sì…. È vero!
Ebben…. come i profeti tuoi
Esser io voglio!… Or, perchè il rito, il verbo,
Tu sempre a me di rivelar negasti,
Con cui nel proprio sen potevan essi
La sacra fiamma suscitar?
Tremenda
Cosa chiedevi….
Ah!… Tu non sai chi sono!
(accorrendo frettolosa, piano a Nabuco)
Deh, non tradirti!
Chiunque tu sia,
Fino dal primo dì che mi parlasti
Forte tra i forti per l'ardir ti seppi
Della mente….—Ma ai vecchi vien compagno
Il dubbio…. ed esitai l'estrema prova
A rivelarti, perchè premio è dessa
Dei costanti soltanto.
Ed or, rispondi,
Lo vorrai tu?
JER.
Sì.
Vorrai dirmi come
Salire agli astri, e conquistarli, e il corso
Dominarne io potrò?
Sì….
Nella polvere
Prosternato t'ascolto!
E sia. Ma, prima,
In te stesso raccogliti.—La zolla,
Su cui fiorisce la magica pianta
D'ogni sapere, è l'estasi;… e può solo
L'estasi aver chi medita in silenzio.
(China il volto fra le mani e medita.—Nabuco, sempre in ginocchio, lo imita.—Scende la sera.—In fondo Babilonia si illumina).
DAÌRA (tornando dal fondo, piano a Nabuco, con grande passione)
Vieni, Nabuco…. Andiam…. Col mendicante
Assai parlasti…. Or non ti par sia tempo
Di tornare alla reggia?… Ascolta: Sazio
Forse sei tu di star tutte le notti
Fra rose gialle e baci di Daìra?
Ebben…. guarda: il regal palazzo splende
Per il convito consueto….—Vieni….
Te farà lieto degli altri il tripudio!…
E, se al tuo fianco a me concederai
Di rimanere, tu vedrai ch'io posso
Giocondamente mescer nelle coppe,
E toccar l'arpa, ed intonar canzoni….
Vieni, Nabuco….
(disperatamente, vedendo che egli rimane immobile)
Ahimè!…. Più non mi ascolta!
JER. (avanzandosi)
Giafìr, t'appressa…. A me porgi la mano
E rispondi: È sereno il firmamento?
NABUCO (alzando gli sguardi)
Risplendon gli astri nel glauco profondo
Di pura luce.
O soavissima notte!
Non una nube?
Non un velo!
Piove
Dal ciel soltanto un'armonia di raggi,
Che sembran sguardi lunghi e sfavillanti
Di voluttà infinita….
JER. (a Nabuco)
Or, dunque, torna
Alla tua casa, e in agape gioconda
Le membra riconforta; indi, allorquando
Il pianeta Ixïon volger vedrai
Verso occidente (indizio che la notte
Del suo cammin giunse a metà) alla torre
Più alta di Babele in vetta sali
E ai quattro venti grida: «O Dio ti sfido!»
E arditamente nelle stelle affisa
L'occhio dominatore; e, in te raccolto,
Nel glauco ciel l'anima tua sospingi.
Oh, non temer! Dell'infinito anch'esse
Sono schiave le stelle! E, quando vinte
Dell'infinito tu le leggi avrai,
Ne avrai facil vittoria, chè tu stesso
Diverrai l'infinito!…—Allor dell'aquila
L'estasi eccelsa avrà l'anima tua
L'aria fendendo; e le parrà guizzare
Attraverso un giardin, dai luminosi
Immani fior sospesi su un abisso
Senza limiti;… e, lieve come piuma,
Anche il tuo corpo s'alzerà da terra!…
O speranza!… O delirio!
Va! T'affretta!
È in te la febbre dei profeti!…
NABUCO (farneticando)
O cielo
Tu sarai mio!… Come la terra trema
Dinnanzi a me, tremeran gli astri!… Un solo
Signore avranno terra e ciel: Nabuco!
Un nome solo echeggierà nel vasto
Glauco infinito, un nome sol: Nabuco!
Eterno io solo!…. Io solo, Iddio!… La mia
Forza legge soltanto!… Io solo, io solo,
Dispensator di vita e morte!—Ah, sento
Che il soffio è in me dell'universo, e l'alba
Doman non spunterà s'io non lo voglio!
(si allontana rapidamente)
DAÌRA (a Jeroboàm)
Ah, giusto fu nel maledirti l'Jéova
Che adori tu!…—Ch'egli dannar ti possa
Eternamente a viver schiavo e cieco!
(Segue Nabuco.—Sulla soglia della capanna compajono Argiasp e Zala, che muovono verso Jeroboàm).
_Notte.—Giardini della reggia.—A sinistra la torre Borsippa,¹ alla porta della quale si accede per alcuni gradini.—A destra peristilio d'un'ala della reggia.—Fiori; vegetazione lussureggiante. In fondo la reggia vivamente illuminata_.
(Zala siede presso la torre guardando verso la reggia; Argiasp ne viene; Zala gli muove incontro)
S'io potessi sperar, che la memoria
Di quel che han visto cogli occhi si spegna,
Già conficcato di mia man vi avrei
Una punta rovente!—Ignuda quasi,
Essa la coppa gli riempie.—A lei
Egli protende la bocca scarlatta,
Qual ferita che sanguini ed implori
Il balsamo dei baci…. Ed essa chiude,
Come in delirio, le palpèbre, e preme
Colla sua quella bocca….
ZALA
Ed ei del folle
Sogno mai non parlò?
No…. Jeràk, il Mago,
Venìa talor; gli mormorava un detto
All'orecchio, e spariva….—Alla sua vista
Di Daìra oscuravasi la fronte….
Ma, poi, l'ebrezza divampar più ardente
Nel suo petto parea….—Perir dovessi
Fra i più atroci tormenti, ora, o Nabuco,
La tua rovina io vo' soltanto!
(squilli di trombe)
(indicando la torre)
Vieni.
(entrano nella torre)
NABUCO—AFRAISAB—KUNAREND—GHEV— DARAB—BÈRHAM—Dame, Cortigiani, Danzatrici, Schiave recanti anfore e coppe—DAÌRA entra colle Dame e va, intrattenendosi con esse, presso lo scaleo della torre, mentre guarda ad ogni tratto verso Nabuco.
AFR. (impacciato, sorridente, come sorpreso di quanto gli va dicendo Nabuco)
O Nabuco…. mio re….
Qual preferisci:
Una vittoria od un banchetto?
(dopo qualche esitazione)
Entrambi….
Ma preferir questo non è….—Rifletti:
Ti fa più lieto esser seduto a mensa
In molli vesti, o, coperto di ferro,
II cavallo spronar del sollïone
Sotto la sferza?…
(con un sospiro)
Oh, tempi!
Li rimpiangi?
AFR. (esitante, come temesse di contrariarlo)
No…. Nabuco, mio re!
NABUCO (ridendo)
«Mio re!… Nabuco!»
Altro tu non sai dir!
AFR.
(terribile, vedendo ridere anche gli altri capitani)
Di me ridete?
Evvia…. ti calma!… No, di te non ride
Alcun; ma ride della celia mia!
Che il ver direbbe l'epitaffio tuo
Se dicesse così: «Quì sta un gigante,
«Ch'ebbe braccio di ferro; e bronzeo petto;
«E lingua che esclamar sapea soltanto:
«O Nabuco, mio re!»
AFR.
(sulle prime ancora impacciato, poi animandosi)
Si,… questo è vero!
Questo solo io so dir!… Che dir potrei
Dunque dippiù?… So ben chi sono!… Un tronco
D'enorme abete, che dai medi monti
Precipitò….—Sì, tal sono io!—Or, chi strappa
Gli abeti enormi?… L'uragano!… E questo
Fosti tu!—Ma che val, se sradicato
Cade l'abete?… Esso rimane a valle
Immobile!… Or, qual forza lo solleva?
L'onda!—E l'onda tu fosti!—Io, per me solo,
Dunque vissuto non sarei!
Sì a lungo
Oggi hai parlato, che, dal tuo sepolcro,
In pochi istanti, cancellasti quello
Ch'ei detto avrebbe, per mill'anni forse,
Della tua lingua!
Gli è, che da gran tempo
Io non vedevo il tuo volto glorioso,
E il rivederlo in me destò tal gioia
Qual esprimer non posso!… Ed è ciarliera
La gioja!
Ah, dove son quei lieti giorni
In cui da te mai non stavam divisi!
Ghev, tu pure?
Oh, i bei giorni!
Io questa vita
Odio più della morte!
Perchè?
Vinta
Non abbiam noi tutta la terra?… Dunque
Più sperar non poss'io ch'essa si cambi!
Com'è piccino il mondo!
Anch'io sovente
Lo penso; e, allora, alla mia spada dico:
«O fior di gloria, il dì ch'io sarò certo
Che a te il destin purpuree rugiade
Non darà più,… ebben, col sangue mio
Io ti disseterò!»
Saper dovessi
D'esser sempre sconfitto, alle battaglie
Domani tornerei, tanto son stanco
Io di poltrir!…
Ah, così vili gli uomini
Or dunque son, perchè nessun dei vinti
Osi la fronte rialzar?…
Codardi
Gli animi fan le domestiche cure!
Voglionsi, a ritemprar le schiatte umane,
Bagni di sangue!
Ah; un vinto esser vorrei!
AFR. (guardando torvamente Darab)
Ribelle allor saresti tu?
Gigante,
Non guardarmi così!…
Come si guarda
Un ribelle ti insegno!
Io tal non sono:
Ma, se lo fossi, dei tuoi occhi al lampo
Risponderebbe quel della mia spada!
NABUCO (interponendosi)
L'armi serbate alle vicine pugne!…
(con grande esplosione di gioja)
Ah!… Un'altra guerra!… Gloria al Re!… Deh, parla!
Contro chi dunque pugneremo?
Quando
Vuoi che si parta?
KUN.
(ad alcuni scudieri)
Olà, datemi l'armi!
TUTTI (entusiasticamente)
Guerra!… Guerra!
JERAK—Detti.
(Jerak compare sul fondo.—Nabuco, appena lo vede, gli fa cenno d'avvicinarsi.—Daìra, all'apparir di Jerak, si avanza pallidissima).
JERAK
(a Nabuco, a bassa voce)
Signor, verso occidente
Volge Ixïon.
NABUCO (ai capitani)
Al novo dì, guerrieri,
Vi sarà noto il pensier mio.—Quì tutti
Fino allor m'attendete!
(muove verso la torre)
Ah…. no…. Ti ferma!
No…. Tu…. non salirai!
Fanciulla, scòstati!
Non pôrti fra il leone e la sua preda!
Scòstati…. Va!
Ah,… tu sarai soltanto
La preda…. Tu!
(si getta ai suoi piedi)
Mi lascia!
Ebbene, teco
Lassù verrò….
Per Ebli e i Devi inferni,
Più non sfidare il voler mio!
DAÌRA
(come pazza d'angoscia, rialzandosi)
A brani
Tu mi puoi far,… ma a te m'avvinghio;… e teco
Io salirò, se tu salir potrai!
(si avvinghia al collo di Nabuco disperatamente)
Vattene!… Solo io salir voglio!
(con impeto d'ira le afferra le braccia per staccarla da sè.—Daìra manda un grido alla stretta possente e arrovescia il capo.—Nabuco, impietosito a un tratto, le sostiene il capo colla destra, mentre Daìra non cessa di avvinghiarsi a lui).
No!…
Di me stesso vergogno…. ma non posso
Torturar queste membra!
(Dopo un momento di esitazione, come volesse che si compia ciò che è necessario e che il compiere a lui stesso ripugna:)
Afraïsàb,
Libero fammi!
(vedendo che Afraisab si avvicina a Daìra e ne afferra le braccia)
A lei pietoso sii,
O gigante.
AFR.
(impacciato, ritraendosi)
Signor, fragili sono,
Siccome puro caolin, le braccia
Di questa donna…. ed io…
(i guerrieri sorridono)
NABUCO (a Daìra)
Lasciami!
No!
(Nabuco fa un cenno ad Afraisab; questi riafferra le braccia di Daìra),
DAÌRA (a Afraisab, gemendo e resistendo nel rimaner avvinghiata a Nabuco)
Ah, tu perdi il tuo re nell'ubbidirgli!
(con un gemito più forte cede smarrendo i sensi,—Alcune schiave accorrono e la portano verso il fondo)
NABUCO
(a Jerak, indicandogli Daìra)
La sua vita ti affido….
(sale lo scaleo della torre, poi, dall'alto a Afraisab)
E a te la soglia!
Nessun la varchi!—Al novo dì, guerrieri!
(Entra nella torre.—Afraisab sguaina la spada, va a prendere una coppa e sale alla porta della torre)
AFR.
(vuotando la coppa d'un fiato)
Gloria a Nabuco!
TUTTI (colle coppe nelle mani)
Evviva l'orgia e il sangue!
Sulla torre Borsippa.—Agli angoli statue colossali di mostri.—In mezzo la vetta della torre, alla quale si accede per alcuni gradini.—Dinnanzi ai gradini una botola, che conduce all'interno della torre.—Vista di Babilonia e di una vasta estensione di paese.—Notte stellata.—Dai giardini vien l'eco dell'orgia.
ZALA (udendo le grida di guerra, che vengono dal giardino)
Voci di guerra!…
Del ciel la conquista
Forse ei promise!…
A folle capitano
Folli guerrieri!
ARG.
(indicando la botola)
Ah…. ascolta…. Un passo!
ZALA (appressandosi alla botola, origliando)
Ei viene.
(si nascondono dietro una delle statue colossali.—Nabuco compare dalla botola e sale alla vetta)
NABUCO
(dopo qualche istante di silenzio, fissando il cielo)
O Dio, ti sfido!—Io ti sfido; io, Nabuco
Conquistator d'un mondo, ove le statue
Erette a te strugger m'è dato, ed hanno
Culto maggior le mie! Io, che al volere
Di tutti, al par di te, la forza oppongo;
Del mio arbitrio la forza!—Io, che dispenso
Il bene e il male!—Io, che domar dei fiumi
L'impeto posso, e popolar deserti,
E in cumuli di morti e di rovine
Mutar genti e città!
(pausa)
Nelle tenèbre
Vibrano ancor le mie parole; e un segno
Di minaccia non han nè ciel, nè terra!…
E sulle stelle l'occhio mio si fisa,
Siccome sulla preda occhio di falco!
(sempre più fissando il cielo)
Ah, parlan gli astri! Un mormorio mi giunge,
Quale di perle lievemente scosse
In una coppa di zaffiro!—Oh, come
Nitida d'ogni stella ora m'appare
La forma!… Oh, come sottilmente brilla
Ora ogni raggio astrale, e a me discende,
Dal mio volere attratto a me!…—Piovete,
O tributi celesti, al re novello!
Ecco, la luce lor si fa più viva….
Ed, impalpabil come l'aere, parmi,
Che m'avviluppi una rete d'argento
Di fulgori siderei contesta!
Essa m'avvince…. e in me penetra,… e afferra
Di mia vita l'essenza!…—Un'infinita
Brama m'accende d'infinito, insieme
Angosciosa e dolce,… e, chiaramente
Il doppio arcan, che ogni cosa racchiude,
In questo istante io concepisco!
(con grande enfasi)
Or, dunque,
Risali, argentea rete; e, teco, in alto
Portami!… In alto!… In alto!
(ergendosi della persona)
Ah, nello spazio
Senza confini io sono! O stelle, a voi
Giunto è Nabuco!… Alla vostra conquista
Ei tornerà doman coi suoi guerrieri….
Oggi, di tanti luminosi fiori
Un solo ei coglierà, per riportarlo
Alla sua reggia….
(fissando una stella e snudando la spada)
E tu sarai quel fiore,
Tu, rosea stella!… Il fil della mia spada
Invincibile a te recida il gambo!
(spicca un salto fiedendo l'aria colla spada, e cade carponi a terra mandando un grido.—Pausa.—Dai giardini vien l'eco dell'orgia)
Oh, la grottesca, orrenda scena!
Taci!
NABUCO
(carponi, percorrendo la vetta)
Or dov'è il fiore? Oltre il confine, forse,
Del creato son io?…
(tocca il suolo)
Del cielo è forse
Questa la dura e fredda volta?!
(tenta di alzarsi, ricade)
Ah l'astro
Cadde su me!… Lo scuoterò!
(si scuote e ricade carponi gemendo)
Non posso!
ZALA (ad Argiasp)
Così Nabuco ora riveggan tutti….
(Zala e Argiasp stanno per muovere verso Nabuco, ma sostano, vedendo che egli si trascina fino alla gradinata e si erge un poco della persona)
Soldati,… a me!… Ciascuno avrà una stella
Per bottino!… Ciascun della sua spada
Sovra la punta, come un cuor lucente,
Un astro recherà!…—Olà, ove siete
Traditori?
(si aggira carponi disperatamente; tenta rialzarsi e ricade; poi si accoccola piangendo in un canto.—Zala e Argiasp salgono alla piattaforma)
ARG. (avvicinandosi a Nabuco)
Signor!
NABUCO
(scosso, imperiosamente)
Fèrmati, e parlami
In ginocchio, siccome a me, Nabuco,
Si deve.—Messaggier tu sei degli astri.
Sta ben. Ma, prima di parlar di pace,
Un patto impongo: tolto dalle spalle
L'astro mi sia che osò cadervi.
Evvia!
Nabuco, il re dei re, l'onnipossente,
Si fa beffa di noi, chiedendo ajuto
Per sì facile impresa!
NABUCO (fissando Zala)
Ah, la regina
Delle stelle è con te?… Farmi zimbello
Essa sperò dei lezî suoi?…—Non io
Nacqui a simili panie!
(a Argiasp)
Il braccio porgimi….
Io stesso l'astro scoterò….
(Argiasp interroga Zala collo sguardo.—Zala crolla il capo, come lo lasciasse arbitro di far quel che più gli aggrada.—Argiasp porge il braccio a Nabuco, il quale vi si appoggia, tenta di rialzarsi con uno sforzo supremo, ma ricade)
Oh, strazio!…. Oh strazio!
L'astro mi schiaccia!
(toccandosi alla nuca)
Il suo gelido disco
Quì una piaga m'ha aperto…. e su vi pesa!
Ha un gel che morde e dà più intensa angoscia
D'ogni vivida vampa!… Ah, chi mi uccide?!
(si torce, rantolando e gemendo, come in preda a spasimi atroci, cogli occhi fisi su Argiasp)
ARG. (arretrando)
Ah, guarda!… Guarda!… Orror, pietà m'incute!
Ah, quell'occhio!… Quel rantolo!…—La mia
Vendetta or maledico!—Colla spada
Assalirlo;… pagar vita con vita;…
E, vincitore, per salir su un trono,
Mettere il piede sul suo petto, o, vinto,
Senza un lamento a lui l'ultimo sguardo
Superbamente saettar:… sì, questa
Esser dovea la mia vendetta!—Ad opra
Bieca mi trascinasti!… Opra di serpe,
Che a tradimento addenta!… Opra d'jena,
Che i morti assale!…—Ebben, ch'essa si compia
Or io non voglio!—Vieni!… Sarai salva!…
Me solo accuserò!…—Purch'io quell'occhio
Più non riveda, e quell'orrendo rantolo
Non oda più, tutti i tormenti affronto!…
(fa atto di trascinar seco Zala)
ZALA
(arretrando, afferrandogli un braccio per trattenerlo)
Per regnar non nascesti!—E tu sei figlio
Di Sàrak? Tu?…—No, l'impeto bestiale
D'una lascivia, che gettò un istante
La madre nostra d'uno schiavo in braccio,
Te concepì!… Tu, come i rospi, puoi
Gracidar ma non mordere!—Costui
Dunque ti fa pietà?… Costui, che mai
Pietà conobbe e che passò ridendo
Fra gli eccidî?… Costui, che a terra vide
Torcersi mille nel supremo spasmo,
Com'ora lui, e non battè palpèbra?
Strage e rapina è il nome suo! Rapina
E strage quello dei suoi avi!… E il latte,
Che, bambin, lo nutrì, se non del tuo,
Fu di mio padre il sangue!
(lo lascia e brandisce un pugnale)
Or va! La sua
Morte affretti così; poichè ti giuro
Che rivederlo lo dovran soltanto
O morto, o pazzo!
(Nabuco geme)
Oh, l'affannoso gemito!
Ei muore!
NABUCO (riavendosi)
Ohimè!
ARG. (andando a Nabuco)
Signor….
Chi sei?
Argiàsp,
Il tuo servo fedele…. Assai dormisti….
Orsù ti leva!
No…. La propria legge
Impose il fato ad ogni creatura!
L'uom, come te, su due piedi cammina;
Ed il cane su quattro….—Or io su quattro
Camminar debbo, perchè un cane io sono!
Eccoti il collo…. Mettimi il guinzaglio….
(vedendo che Argiàsp rimane immobile)
Non vuoi?… Comprendo!… Il mio padron non sei!
Dov'è?,.. Chi fu?…
(come ricordando)
Ah…. Un cieco!… Io l'ho perduto….
Sventurato!… Poichè cieco due volte
Senza il suo can divenne.
(come colto da acuto spasimo, portando le mani alla nuca)
Oh, strazio!… Oh, strazio!
(s'erge della persona, rimane un momento immobile; poi, come colpito da un ricordo improvviso)
Ah…. Daìra….
(ricade svenuto)
L'udisti?…
Della mente
Anche nel buio quel nome gli splende!
La sua rovina e il vitupero nostro
Piombin dunque su lei!
ZALA (togliendosi una ciarpa che le cinge i fianchi, porgendola a Argiasp)
Ecco il guinzaglio!
ARG. (a Nabuco, legandogli la ciarpa al collo)
Vieni….
(Zala scende nella botola—Argiasp la segue, traendosi dietro Nabuco carponi).
Decorazione come nella Parte Prima.—Afraisab, ritto sullo scaleo della torre, guarda Daìra, la quale vorrebbe salirlo ed è trattenuta da Ghev e da Darab.—Gli altri guerrieri siedono intorno trincando.
AFRAISAB—DAÌRA—GHEV—DARÀB—KUNAREND—
BERHAM ecc.—A suo tempo JEROBOÀM
e GERIRÈH con LORASP, TOGHRUL,
GURGHIN ed altri cortigiani armati—
A suo tempo ancora ZALA, ARGIASP e NABUCO.
BERHAM (a Daìra)
Vattene alfine!
DAÌRA (a Afraisab)
Deh, mi lascia
Salir!
Morta tu sei se un passo muovi.
DAÌRA (lanciandosi verso di lui)
M'uccidi dunque!…
DARAB (afferrandola)
No, peggior augurio
Non v'ha di quel d'uccidere una donna
Alla vigilia d'una guerra!
E voi
Perir intanto il vostro re lasciate!
Perir?… Perchè?…
Chi osar potrebbe un arme
Sul suo petto levar?
Quì la rivolta,
Voi lontani fremea….
Bastò il suo primo
Sguardo trionfator, perchè svanisse
Della rivolta ogni speranza!
E surse,
Più degli altri terribile, un nemico
Contro di lui quel giorno….
Chi?…
Egli stesso!
Evvia…. vattene, stolta!
Oh, non son io
La stolta! No…. ma voi!—Noto è Nabuco
A voi qual era in mezzo alle battaglie,
Ov'io non lo seguii;… ma a me egli è noto,
Soltanto a me, dal dì che a questa reggia
Fece ritorno…. Ei d'un arcana febbre
Da allora è preda….—Un invisibil fuoco
Ei reca in sè, che lo consuma!…
AFR. (sprezzante)
Il fuoco,
O svergognata, della tua lascivia!
Fosse il tuo insulto verità!… Saprei
Guarir Nabuco dal suo mal!… Ma il vero,
Ahimè, non chiude!…—Più misterïosa
E più crudel n'è la cagione….—Io sola
L'udii smaniar dietro l'ardente brama
Di conquistar le stelle!… Io sola vidi
Le orrende notti sue…. quando, al mio fianco,
Ei spasimava tra gli incubi, come
Un bimbo stretto da serpenti!… Io sola
Vidi lui, re, trionfator del mondo,
Inginocchiarsi a un mendicante ebreo!
Non più!… Costei Nabuco insulta!
Sempre
Questo dei folli fu securo indizio,
Folli gli altri chiamar.
Vattene!
DAÌRA
(al colmo dell'angoscia)
E, intanto,
Ei si perde!… Oh, tortura!… Ah, no…. m'udite:
Accorrete a salvarlo…. Forse ancora
Lo potete…. Stassera il mendicante
Di Babilonia la più alta torre
Gli imponea di salire, e i Numi e gli astri
Sfidarvi dalla vetta…. e, come un bimbo,
Ei gli ubbidiva!…—Le vicine pugne,
Ch'egli a voi promettea, son della luna
E delle stelle la conquista!… All'alba
Lo attenderete invano…. o a voi soltanto
Del vostro re non tornerà che un'ombra
Dall'occhio spento!…
(vedendo che tutti si allontanano da lei crollando le spalle)
Ahimè,… nessun mi ascolta!
(Jeroboàm, condotto da Gerirèh, e seguìto da Lorasp, Toghrul, Gurghin, e da altri cortigiani armati, compare nel peristilio a destra)
DAÌRA
(ad un tratto, vedendo Jeroboàm, con un grido)
Ah…. È lui!… Guardate!… Là! È il mendicante!
Lo schiavo ebreo!
GHEV
(movendo verso Jeroboàm)
Che fai tu quì?…
LORASP (avanzandosi)
Quì venne
Per volere d'Argiasp…. Nessun l'offenda….
Or lo vedete se una stolta io sono?
Dei nemici del re son quelli i volti!…
Li conoscete?—Li credeste vinti
Dal primo sguardo di Nabuco…. e in armi
Tornan quest'oggi alla riscossa….
BÈRHAM (a Kunarend)
Il vero
Dunque costei forse diceva?…
DARAB (ai guerrieri)
In armi
Perchè son essi?
E noi quì inermi siamo!
(Altri cortigiani, colle spade ignude, appajono sul fondo)
KUN. (vedendoli)
E in un agguato….
GHEV (movendo verso la torre)
Il re si salvi!
AFR.
(terribile, alzando la spada)
Niuno,
Me vivo, passerà.
Ma il re è in periglio!
A lui soltanto ubbidir debbo….
Or, dunque,
Pera il gigante!… A noi!…
TUTTI I GUERRIERI
(movendo contro Afraisab)
Il re si salvi!
(apparendo sulla soglia della porta della torre con Argiasp, il quale tiene sempre Nabuco, carponi, al guinzaglio, indicando Nabuco)
Ecco il re vostro!
(Daìra, con un grido accorre a Nabuco, si curva verso di lui.—Nabuco le lambe le mani, poi cade assopito.—Argiasp e Zala scendono lo scaleo)
Evviva Argiaspe, re
Dei Caldei!…
DAÌRA
(sorgendo, con grande impeto)
Non ancor!… Vive Nabuco!…
Vive?… Sì!…. vive!…. se son vive anch'esse
Le foglie gialle con cui giuoca il vento….
Auramazda così vendica il sangue
Di nostro padre.
Menti. Di tuo padre
Lasciato avresti invendicato il sangue
S'io sovra gli occhi t'avessi baciato!
Me volevi colpir! Me sola!—Io sono
Della ruina sua l'artefice!—Oh, potesse
Ebli soffiare sulla terra, e tutti
Struggerne i fiori ed i profumi, e quanto
Suade a questa maledetta ebbrezza
Che si chiama l'amore, e in cui, sul capo
Che più adoriam, noi evochiamo, inconsci,
Le più orrende bufere!
(scendendo, a Argiasp)
Ed or, m'ascolta:
D'amarmi un tempo tu dicevi…. Ancora
M'ami?
ARG.
Sì….
Ebbene io sarò tua, se, prima
Che si compia di Bel la sacra decade,
Ei tornerà qual fu.—Ma, se la fiamma
Dell'intelletto nelle sue pupille
Spenta ancora sarà; se, come un bruto,
Striscierà a terra ancora;… allor, deh, lascia
Ch'io rimanga con lui;… che noi, lontani,
Ignoti, insiem possiam morire….
E sia.
DAÌRA (andando a Nabuco)
Vieni….
(Nabuco fa uno sforzo per alzarsi e ricade gemendo)
(chinandosi su di lui, scoppiando in lagrime)
Mio re!…
DAÌRA (ad Afraisab)
Il tuo braccio or gli sia trono! (Afraisab si toglie Nabuco in braccio.—Daìra gli accenna di seguirlo.—S'allontanano).
Terrazzo d'un vecchio giardino.—Molti cespi di rose gialle.—In fondo la campagna.—Monti in lontananza.—Meriggio.—Nabuco, Daìra, Afraisab, sotto una tenda, stanno asciolvendo.
NABUCO
(guardando la campagna)
Oh, il fulgido meriggio!… Io, più d'ogni altra
Ora del giorno, adoro questa.—Lieta
Parmi ogni cosa nella luce immensa;
Scintillan l'acque; la verzura sembra
Sfavillante smeraldo; e l'aria, accesa
Da un diffuso splendor, ricorda intense
E generose idee senza confine
Prodiganti la vita!—Piena ho l'anima
D'una pace gioconda!—Ami tu, forse,
O mia Daìra, più di questa, l'ore
Misterïose della notte?
Ogni ora,
Che ti fa lieto, adoro!
NABUCO (ad Afraisab)
E tu?
Risposto
T'ha Daìra per me…. Pur, s'io dovessi
Dirti quel che ne penso…. ti direi:
Che notte, e sera e dì mi sono eguali!
NABUCO (ridendo)
Ah, il terribil gigante!… Ei non conosce
Che un piacer: la battaglia!
Un altro noto
Oggi mi fu:… quel di vederti gaio,
O Nabuco, mio re….
Tuo re?… Qual senso
Hanno queste parole?
Esse ti dànno
Su me, su tutti, irrevocabil dritto
E di vita e di morte!
Ebben…. vivete!…
Ecco il solo voler che il re v'impone
Da questo dì….
(alzando una coppa)
Bevo alla tua bellezza,
O mia dolce Daìra,… e alla tua forza,
Fedele Afraïsab!—Forza e bellezza
Reggan la terra!… Ad esser mite insegni
La bellezza alla forza; e questa, all'altra,
Insegni la virtù!…—Men sventurati
Allor saran gli umani!
DAÌRA
(anch'essa alzando una coppa)
Al divin raggio
Della tua mente, o mio signore!
E al nembo
Che l'oscurò!
Deh, non parlar di nembi
In quest'ora di sole!
Il sol risplende
Più vivo e puro dopo la tempesta;…
Sicchè, o Daìra, alla tempesta io bevo,
Bevo alla mia follìa!
AFR. (con terrore)
Mio re….
NABUCO (ridendo)
Suvvia,
Non temere, o gigante!—Del destino
Strano voler!… Chi più gagliardo nacque,
Al par di te, nelle battaglie, audace,
Sfida la morte;… e poi, qual bimbo, trema
All'ignoto dinnanzi.—Or io l'ignoto
Intravvidi; sull'orlo dell'abisso
Io m'affacciai, nè più timor m'incute!
Del mio saldo pensier la miglior prova
È questa!… Sol chi può narrar gli eventi
D'un suo naufragio è salvo; e solo il pazzo,
Che può parlar della propria follìa,
Può ambir di savio al nome!—Oh, come sento
Dentro le vene rifluirmi il sangue
Per nova giovinezza!… Io benedico
Alla febbre trascorsa!… Dal suo fuoco
Fatto miglior m'adergo!… Or vengan dunque!
Qual fui mi rivedranno!
(squilli di trombe)
AFR. (andando al terrazzo)
Eccoli.
NABUCO
(seguendolo, guardando fuori)
Ah, i miei
Guerrieri!… Ghev!… Daràb!…
(facendo cenni di saluto)
Su!… su!… Venite
(a Daìra)
E tu rimani, tenerezza mia,
Vicina a me!
(Va a porsi con Daìra sotto la tenda).
ARGIASP—ZALA—BALTAZÀR—FASCKUN—
LORASP—TOGHRUL—GURGHIN—NUSHÈH—
MAHAFERID—GERIREH—JERAK—KUNAREND—
BÈRHAM—DARAB—GHEV.—Soldati—Dame—Detti.
O satrapi e guerrieri,
La mia fronte guardate.—A terra, come
Quella d'un bruto, la vedeste china;
Ed ora al ciel balda s'eleva!—Questa
Mia man regale era una zampa; ed ora
Man regal ridivenne,—Uscìan guaìti
Da queste labbra; e imperïosa tuona
Sovr'esse ancor la voce mia.—Per voi
Or chi son io?…
Nabuco il re tu sei!
Gloria a Nabuco!
Con te stanno i Numi!
Alla reggia!…
Non io!
Perchè?
Signore,
Da questo dì, lontan da te, ignorato,
Ch'io viva e muoja mi concedi!
NABUCO (scherzoso)
Forse
Te colse il mal che me cogliea?
Daìra
Ti risponda per me!
NABUCO (a Daìra)
Parla….
DAÌRA
(andando a Argiasp)
Con lui,
Mio re, ne andrò….
NABUCO
(sorpreso, agitato)
Tu?… Tu?… Con lui?… Ma quale
Mistero è questo?
Io d'esser sua promisi
Se eri salvo!….
NABUCO (la fisa per qualche istante interdetto; poi, fra sè, cupamente, andando a sedere sotto la tenda)
Non han, dunque, nè terra
Nè cielo gioje per Nabuco?… Chiesi
Gloria alla terra; e la noja raccolsi!…
Mi volsi al cielo; e un minuto d'ebrezza
Mi costò la follìa!… E perchè ancora
A terra e cielo io sorridevo?
(fissando Daìra)
Io guardo
Ora quel volto…. ed il perchè comprendo!
E rivederlo non potrò più mai!…
Più mai!… Più mai!…
(abbandona il capo fra le mani.—Pausa)
DAÌRA
(avvicinandosi a lui, inginocchiandosi)
Signor, l'ultimo addio
Di colei che t'amò d'accoglier degna….
(indicando Argiasp)
Mettere il piede sul tuo capo imbelle
Egli poteva, ed esser re…. Me volle
A tanta infamia preferir;… ed io
A lui fui sacra….
(alzandosi)
Addio per sempre!
NABUCO (solleva il capo; la guarda, poi seccamente)
Addio….
(andando ai guerrieri)
E noi, guerrieri, a nuove imprese!… In alto,
In alto i cuori!—Chi chiamarmi pazzo
Osò?…—Costui, per Auramazda, io voglio
Che nell'Eufrate abbia sepolcro!..,.—Pazzo
Io non fui mai!—Pazzo ero forse quando
A debellar Sàrmati, Egizî e Ebrei,
Io condurvi volea?…—Pur, lo rammento,
Su mille labbra era il sogghigno! E mille
Mi gridarono allor: «Sogni!… follìe!
Questi nemici, che fiaccar vorresti,
Hanno l'armi fatate!» Ed altri: «Sono,
Lontani tanto che sarem stremati
Il dì che ad essi giungeremo!»—Oh, i vili!
Oh, i paurosi… Lebbra della terra!—
Pur trïonfanti noi tornammo!—E il giorno
Ch'io delle stelle tentai la conquista,
Pazzo ancor fui chiamato!—Or, che son gli astri?
Dei mondi al par del nostro.—Son lontani?
Eran lontani Egizî e Ebrei.—Le stelle
Son più lontane?—E sia.—Ma, dove il piede
Innoltrare non può, s'innoltra l'ala
Dell'intelletto; ed io vi dirò il verbo
Onnipossente che agli astri solleva!
Come la vostra mano avrà una spada,
Un'arme avrà la vostra lingua!—Forse
Che ad ogni guerra non convien la scelta
Dell'armi?…—Evvia!… Io con guerrieri parlo,
Non con bifolchi!…
(Durante queste parole di Nabuco tutti si guardano fra loro, come dinnanzi a chi impazzisce)
GHEV
(freddo, titubante)
O re, per questa impresa
Vuolsi tempo e consiglio…. Ora ti piaccia
Alla reggia tornar….
Così rispondi
Tu freddamente?
(a Darab)
E tu?
Di Ghev, signore,
Saggia mi sembra la parola!
NABUCO
(agli altri guerrieri)
E a voi?
Ritorniamo alla reggia!…
Ah, no!… Per Ebli,
Io tra festini e citarede ancora
Tornar non voglio! Alla gola mi sale
La nausea ripensandovi!
(terribile)
Oh, le abbiette
Nature!… E voi, voi siete i miei guerrieri!
Voi la parte miglior di questa greggia
Che intorno a me si affolla?…—Ebben,… da solo
Io compirò l'eccelsa impresa!—Agli astri
Io vo' salir!… Non più un istante voglio
Rimaner sulla terra!
(strappa la spada ad Afraisab, e, invasato, la brandisce)
O re!
Nabuco!
Signor!….
NABUCO (respingendoli)
Lungi da me!.. Nessuno si attenti
D'avvicinarmi!
(pausa)
O Dio, che il sole accendi,
Io ti sfido!… Io ti sfido!…—-Ah… parlan gli astri!
A me discenda la rete d'argento
Dei raggi loro, e mi sollevi!…—O fiori
Dell'infinito, la mia man possente
Vi coglierà!… Vo' della luna il gambo
Recider colla spada….—A me la luna!
(spicca un salto fiedendo l'aria colla spada, e cade a terra con un grido)
TUTTI (accorrendo)
Signor!…
NABUCO (carponi, come colto da spasimi atroci)
Ah…. su di me cadde la luna!
(toccandosi alla nuca)
Quì una piaga m'ha aperto!…Oh, strazio!…Oh strazio!
Deh…. chi mi uccide?
(sviene)
TOGHRUL (ai cortigiani)
Or sarem noi d'un pazzo
I servi?…
DARAB (ai guerrieri)
E noi d'un bruto?…
Evvia, giammai
Di Caldea risalir potrà costui
Sul trono!
Evviva Argiaspe re!
Al novello
Re di Caldea sia gloria!
E di Nabuco
Sul trono io salirò….
(a Jerak, che si allontana)
Della partenza
Or l'inno intoni il popol di Giudea.
(avvicinandosi a Daìra)
Sempre con te verrà l'anima mia,
O Daìra,…—Ah, il pensier che tu morrai
Da me lontana, ogni fulgor m'oscura
Di regale maestà!
(Zala fa atto di allontanarsi; Argiasp muove per seguirla)
GHEV
(soffermando Argiasp, additandogli Nabuco)
Come fedeli
Gli fummo, a te sarem fedeli Argiàsp:
Questo solo può dir chi d'uom di guerra
Merita il nome.
(Nabuco rinviene a poco a poco, guaìsce e lambe le mani di Daìra)
AFR. (a Ghev)
Anch'io son uom di guerra,
E tal nome pretendo; eppure a Argiàsp
Io fedeltà non giuro.—A re Nabuco,
Vincitor, la giurai; e a re Nabuco,
Il vinto, vo' serbarla!
Del guerriero
Può sul labbro sonar forse il rimpianto
Per chi morì coll'arme in pugno…. A un pazzo,
Che va carponi, ei non può dar che beffe!
(movimento di Nabuco)
Addio, Nabuco!—Signor della terra
Fatto t'aveva il valor nostro…. Il braccio,
Tanto gagliardo da reggerne il peso
Bêl non ti diede;… ed or fiaccato giaci
Come brïaco di monelli a scherno.
(Nabuco stende rapidamente la mano, riafferra la spada, s'erge terribile; ma ricade gemendo.—Tutti arretrano spaventati, poi crollano il capo)
Andiam!
(Tutti si allontanano, meno Nabuco, Afraisab e Daìra).
NABUCO—AFRAISAB—DAÌRA
(il giorno tramonta)
NABUCO
(sollevandosi)
Lontani sono alfine?… Soli
Alfin siam noi?
AFR. (tremante)
Signor!
NABUCO (ridendo)
Fa cor, gigante,
E plaudi al re!—No, non un pazzo io sono!
Stato un pazzo sarei se in mezzo a loro
Ritornato foss'io!—Ah, mia Daìra,
Io conquistar volevo il cielo?… Ebbene
La mia brama è compiuta!…
(l'abbraccia e porge la mano a Afraisab.—S'ode un canto in lontananza)
Sì…. Sciogliete
Della liberazion l'inno, o Giudei!
Io pure sciolgo il mio!…—Libero sono!
E, come voi, lontan da Babilonia
Io fuggirò….
Tu?
Sì…. con voi….
Nabuco,
Il re del mondo, fugge?!
E gloria, e trono,
E vendetta così tu lascerai?
Sì…. Per te!
No…. Per me non vo' che insozzi
L'infamia il nome tuo!… Costoro, vivi
Solo per te, doman su bronzi e marmi
Incideran l'orrenda storia; e gli uomini
Delle più tarde età ripeteranno:
Che un bruto fu, chi tra i mortali ergeva
Come un Nume la fronte!—Il mio destino
Compier, deh, lascia…. perchè il tuo si compia!
Te solo al mondo io amo, e della vita
T'amo ben più;… sicchè per te potrei
Ogni angoscia soffrir, fuor del rimorso
D'averti tolta la tua gloria.
(a Afraisab)
Ah, corri,
Corri alla reggia, Afraïsab, e grida:
«Mentì Nabuco, il re, la sua follìa!
Fra voi ritorna il domator del mondo!
A terra!… A terra!»
(ad Afraisab, che fa per allontanarsi)
Fèrmati!
(a Daìra, piegando un ginocchio dinnanzi a lei e allacciandole la persona colle braccia)
Divino
E debol corpo di fanciulla, lascia
Ch'io fra le braccia ora ti stringa, come
Divoto un'ara d'alabastro!
(pausa—poi Nabuco si alza—conduce Daìra al proscenio)
Ed ora
Odi: Nabuco, il domator tremendo,
È spento in me…. La sua mission compiuta
È sulla terra:… missïon feroce
E fatal!… Chè Nabuco era la guerra!—
Era la gloria?—Sta nell'ardue imprese
La gloria vera; ed ardua impresa quella
Della guerra non è!—Perfidi e vili
Nascono a mille fra le umane genti;
E chi ai perfidi giova e i vili aggioga
Coglie facil trionfo,… e della guerra
La sapïenza è questa!…—Eppur si strugge
Tal sapienza da sè!—Nell'urto orrendo
Dei combattenti, cola il sangue; e l'atra
Rugiada sembra diventar cemento!
Un tempio è il mondo, che invisibil mano
Assidua innalza, e di cui pietra a pietra
Salda col sangue…. Il vincitore al vinto
Impone arti e costumi; e il vinto a lui.
Io soggiogai gli Ebrei colla mia lancia;
E, colla scienza lor, gli Ebrei me han vinto!—
Quando compiuto sarà il tempio?—Ignoro!
So che compiuta è la missione mia
Di recar sangue;… e che compiuta, un giorno,
La griderà l'intera schiatta umana
Com'io in quest'ora!
(baciando in fronte Daìra)
Ah, la follìa ripreso
M'avrebbe,… sì,… senza di te!… Che ad essa
Guidan del pari, se confin non hanno,
E l'inopia e il poter; sicchè Nabuco
Pazzo divenne, possedendo il mondo,
Come quel vecchio mandrïano, a cui
Arsa avean la miserrima capanna
I miei soldati….
(interrompendosi a un tratto)
Or, come mai,… perchè
Questa memoria mi tornò?…
(ad Afraisab)
Ricordi,
Afraïsab, la scena?
Ah…. La ricordo!
Sì…. Fu la sera d'una pugna, in Libia….
Sotto la tenda noi stavamo a mensa,
Quando, uggiolando, entrovvi il mandrïano.
Egli i capegli si strappava; avea
Nelle pupille della febbre i lampi,
E gridava: «Ov'è il re?… La mia capanna
Ei m'ha distrutto,… e il suo palazzo io voglio!
M'invidïava se il mio ben mi tolse….
E mandrïan dunque ei divenga, ond'io
Possa invidiarlo alla mia volta!… A lui,
Ecco, il vincastro io reco… A me il suo scettro!»
Tu fulminasti d'uno sguardo il vecchio….
Ed io…. la testa gli spaccai!…
DAÌRA (inorridita)
Ah….
Atroce
Scena di guerra!…—Ah, quell'immane fiotto
Di caldo umano sangue!…
…. E sì possente
Che ne fu piena tutta la tua coppa!…
Teco tu, allora, mi traesti, preda
A uno strano terror;… tu, che veduti
Pur tanti morti e tanto sangue avevi!
E, senza posa e senza meta, errammo
Tuttaquanta la notte!
… Oh, come parmi
Rivivere in quell'ora!
… L'alba prima
Ci trovò in mezzo ai monti….
… In una verde
Valle silenzïosa….—La rivedo
Come vi fossi!…—A picco, d'ogni parte,
Sorgean pareti di granito; e solo
Vi si accedea per una stretta gola.
Ed io ti dissi: «Se qui entrasse quegli
Che più m'abborre, ed io, con una rupe,
Quella gola chiudessi, ei prigioniero
Rimarrebbe in eterno!»
(pausa—Nabuco rimane un istante pensieroso; poi di balzo)
Ah, per i Numi,
L'incantevol miraggio!
DAÌRA (tremante)
Ebben, che pensi?
Penso che riveder vorrei la verde
Valle silenzïosa!
(a Daìra)
E tu vederla
Non vorresti con me?
Teco non devo
Fors'io venir dove tu vai?
La rupe
Io, Nabuco, sarò;… ma viva rupe,
Che te prigion non chiuderà, ma al varco
Sarà difesa….
E sia!… Orsù…. già splende
La prima stella….
Andiam….
(vanno tutti verso il fondo in atto d'allontanarsi.— A un tratto Nabuco si sofferma).
NABUCO
(a Daìra, indicando di fuori)
Vedi…. Seduto
Presso la sponda, il battellier ci aspetta,
Che tante volte ci guidò la notte
Ignoti e soli….—Or tu lo chiama….
DAÌRA (chiamando)
Ormuzde….
ORMUZDE e Detti
ORMUZDE
(guardando Nabuco e Daìra lietamente, come riconoscendoli)
Ah…. siete voi, miei belli innamorati?
Per molte sere v'ho aspettato invano,
E m'angustiava, insieme alla moneta
Ch'io perdevo così, questo pensiero:
«Che non vi amaste più!…»—Sì bella cosa
È amarsi!…
AFR. (ridendo)
E andare in barca!…
Oh, sì…. anche questo!
(a Nabuco e a Daìra, come invitandoli a precederlo)
Or degnatevi dunque….—Ove condurvi
Devo stanotte?
All'altra sponda….
ORM.
(indicando Afraisab)
Tutti?…
Anch'ei?
Sì…. Anch'io!… Su!…
DAÌRA (commossa, volgendo lo sguardo intorno)
Addio, mio bel giardino!
Cresceran rose gialle anche fra i monti
Della Libia,… cònsolati! E saranno
Sempre le stesse!
(Raccoglie la spada, recide il ramo d'un roseto, lo dà a Daìra, poi rigetta la spada a terra.—Indi con Daìra si avvia ancora verso il fondo, mentre Afraisab rimane immobile e perplesso fissando la spada)
NABUCO (a Afraisab)
Orsù,… vieni gigante?
AFR.
(indeciso, indicando la spada a terra)
Signor,… la spada!… Pur non so s'io debba
Con noi recarla….
NABUCO
(dopo un momento d'indecisione, sorridendo)
Il battellier decida!
(a Ormuzde, indicandogli la spada)
Odi: L'arbitro sei: Noi qui quell'arme
Dobbiam lasciare, oppur con noi recarla?
ORM.
(raccogliendo la spada)
Un arme?…. Sempre!… Finchè è tristo il mondo
(Afraisab lo abbraccia.—Ormuzde, sorpreso, lo guarda e ride; poi tutti si allontanano rapidamente dal fondo).
Pag. 35 linea 6 temerlo, temerlo.
» 41 » 23 germia ghermìa.
» 42 » 8 Scena V Scena VI
» 45 » 14 Chi sei!… Chi sei?…
» 48 » 25 Presso) Presso
» 52 » 9 Canta Canta)
» 52 » 18 stando mandando.
» 94 » 28 fiendendo fiedendo.
» 102 » 24 Feci Fece
» 104 » 10 o, o
» 106 » 17 Nabuco gli Nabuco le
» 108 » 6 ricade, ricade
[Le correzioni sono state riportate]
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F. FONTANA autore-editore
BAMBANN (IV edizione—elz. pag. 256.—
Tip. Rota—Lecco) . . . . . . . . L. 2.—
POESIE VECCHIE e NUOVE (III edizione—
elz. pag. 500.—Tip. Rota—Lecco) . . " 4.—
VIAGGI di D. PAPA e F. FONTANA (II edizione— elzevir pag. 1000—2 volumi.— Tip. Rota—Lecco) . . . . . . . . " 7.50
ALLA R. A. P.ª LETIZIA BONAPARTE (epistola.—Tip. Rota—Lecco) . . . . " O.50
LA POLPETTA DEL RE, gran lanterna magica in un Prologo, 5 atti e 16 quadri.—Illustrazioni di E. Longoni, A. Villa, R. Galli, Balestrini, ecc.
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