Project Gutenberg's I manifesti del futurismo, by Filippo Tommaso Marinetti This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org Title: I manifesti del futurismo Author: Filippo Tommaso Marinetti Release Date: February 20, 2009 [EBook #28144] Language: Italian Character set encoding: ISO-8859-1 *** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK I MANIFESTI DEL FUTURISMO *** Produced by Carlo Traverso, Emanuela Piasentini and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive)
LANCIATI DA
MARINETTI — BOCCIONI — CARRÀ
RUSSOLO — BALLA — SEVERINI
PRATELLA
M.me DE SAINT-POINT — APOLLINAIRE
PALAZZESCHI
MOVIMENTO FUTURISTA
diretto da F. T. MARINETTI
POESIA
F. T. MARINETTI — PAOLO BUZZI — A. PALAZZESCHI — E. CAVACCHIOLI — CORRADO GOVONI — LIBERO ALTOMARE — LUCIANO FOLGORE — G. CARRIERI — G. MANZELLA-FRONTINI — MARIO BÉTUDA — AURO D’ALBA — ARMANDO MAZZA — DINAMO CORRENTI — FRANCESCO CANGIULLO — GIOVANNI PAPINI — ARDENGO SOFFICI — TAVOLATO — GUGLIELMO JANNELLI.
PITTURA
U. BOCCIONI — C. D. CARRÀ — L. RUSSOLO — G. BALLA — G. SEVERINI — A. SOFFICI, ecc.
MUSICA
BALILLA PRATELLA
SCULTURA
UMBERTO BOCCIONI
AZIONE FEMMINILE
la poetessa VALENTINE DE SAINT-POINT
ARTE DEI RUMORI
LUIGI RUSSOLO
ANTIFILOSOFIA
GIOVANNI PAPINI
Direzione del movimento futurista:
CORSO VENEZIA, 61 — MILANO
MARINETTI.
Pubblicato dal “Figaro” di Parigi il 20 Febbraio 1909.
Avevamo vegliato tutta la notte — i miei amici ed io — sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perchè come queste irradiate dal chiuso fulgòre di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpestata su opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed annerendo molta carta di frenetiche scritture.
Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti, poichè ci sentivamo soli, in quell’ora, ad esser desti e ritti, come fari superbi o come sentinelle avanzate, di fronte all’esercito delle stelle nemiche, occhieggianti dai loro celesti accampamenti. Soli coi fuochisti che s’agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nelle pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con un incerto batter d’ali, lungo i muri della città.
Sussultammo ad un tratto, all’udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani, che passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i villaggi in festa che il Po straripato squassa e sràdica d’improvviso, per trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso i gorghi di un diluvio.
Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l’estenuato borbottìo di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell’ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo [4] subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici.
— Andiamo, diss’io; andiamo, amici! Partiamo! Finalmente, la mitologia e l’ideale mistico sono superati. Noi stiamo per assistere alla nascita del Centauro e presto vedremo volare i primi Angeli!.... Bisognerà scuotere le porte della vita per provarne i cardini e i chiavistelli!.... Partiamo! Ecco, sulla terra, la primissima aurora! Non v’è cosa che agguagli lo splendore della rossa spada del sole che schermeggia per la prima volta nelle nostre tenebre millenarie!...
Ci avvicinammo alle tre belve sbuffanti, per palparne amorosamente i torridi petti. Io mi stesi sulla mia macchina come un cadavere nella bara, ma subito risuscitai sotto il volante, lama di ghigliottina che minacciava il mio stomaco.
La furente scopa della pazzia ci strappò a noi stessi e ci cacciò attraverso le vie, scoscese e profonde come letti di torrenti. Qua e là una lampada malata, dietro i vetri d’una finestra, c’insegnava a disprezzare la fallace matematica dei nostri occhi perituri.
Io gridai: — Il fiuto, il fiuto solo, basta alle belve!
E noi, come giovani leoni, inseguivamo la Morte, dal pelame nero maculato di pallide croci, che correva via pel vasto cielo violaceo, vivo e palpitante.
Eppure non avevamo un’Amante ideale che ergesse fino alle nuvole la sua sublime figura, nè una Regina crudele a cui offrire le nostre salme, contorte a guisa di anelli bisantini! Nulla, per voler morire, se non il desiderio di liberarci finalmente dal nostro coraggio troppo pesante!
E noi correvamo schiacciando su le soglie delle case i cani da guardia che si arrotondavano, sotto i nostri pneumatici scottanti, come solini sotto il ferro da stirare. La Morte, addomesticata, mi sorpassava ad ogni svolto, per porgermi la zampa con grazia, e a quando a quando si stendeva a terra con un rumore di mascelle stridenti, mandandomi, da ogni pozzanghera, sguardi vellutati e carezzevoli. [5]
— Usciamo dalla saggezza come da un orribile guscio, e gettiamoci, come frutti pimentati d’orgoglio entro la bocca immensa e tôrta del vento!... Diamoci in pasto all’Ignoto, non già per disperazione, ma soltanto per colmare i profondi pozzi dell’Assurdo!
Avevo appena pronunziate queste parole, quando girai bruscamente su me stesso, con la stessa ebrietà folle dei cani che voglion mordersi la coda, ed ecco ad un tratto venirmi incontro due ciclisti, che mi diedero torto, titubando davanti a me come due ragionamenti, entrambi persuasivi e nondimeno contradittorii. Il loro stupido dilemma discuteva sul mio terreno.... Che noia! Auff!... Tagliai corto, e, pel disgusto, mi scaraventai colle ruote all’aria in un fossato....
Oh! materno fossato, quasi pieno di un’acqua fangosa! Bel fossato d’officina! Io gustai avidamente la tua melma fortificante, che mi ricordò la santa mammella nera della mia nutrice sudanese.... Quando mi sollevai — cencio sozzo e puzzolente — di sotto la macchina capovolta, io mi sentii attraversare il cuore, deliziosamente, dal ferro arroventato della gioia!
Una folla di pescatori armati di lenza e di naturalisti podagrosi tumultuava già intorno al prodigio. Con cura paziente e meticolosa, quella gente dispose alte armature ed enormi reti di ferro per pescare il mio automobile, simile ad un gran pescecane arenato. La macchina emerse lentamente dal fosso, abbandonando nel fondo, come squame, la sua pesante carrozzeria di buon senso e le sue morbide imbottiture di comodità.
Credevano che fosse morto, il mio bel pescecane, ma una mia carezza bastò a rianimarlo, ed eccolo risuscitato, eccolo in corsa, di nuovo, sulle sue pinne possenti!
Allora, col volto coperto della buona melma delle officine — impasto di scorie metalliche, di sudori inutili, di fuliggini celesti — noi, contusi e fasciate le braccia ma impavidi, dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini vivi della terra: [6]
1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo.... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
6. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
7. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!.. Perchè dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
9. Noi vogliamo glorificare la guerra — sola igiene del mondo — il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertarî, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. [7]
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aereoplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perchè vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii.
Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.
Musei: cimiteri!... Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitorî pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che vanno trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese!
Che ci si vada in pellegrinaggio, una volta all’anno, come si va al Camposanto nel giorno dei morti.... ve lo concedo. Che una volta all’anno sia deposto un omag[8]gio di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo.... Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perchè volersi avvelenare? Perchè volere imputridire?
E che mai si può vedere, in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell’artista, che si sforzò di infrangere le insuperabili barriere opposte al desiderio di esprimere interamente il suo sogno?... Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione.
Volete dunque sprecare tutte le vostre forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?
In verità io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvarii di sogni crocifissi, registri di slanci troncati!...) è, per gli artisti, altrettanto dannosa che la tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loro ingegno e della loro volontà ambiziosa. Per i moribondi, per gl’infermi, pei prigionieri, sia pure: — l’ammirabile passato è forse un balsamo ai loro mali, poichè per essi l’avvenire è sbarrato.... Ma noi non vogliamo più saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!
E vengano dunque, gli allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!... Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!... Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!... Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!... Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite, demolite senza pietà le città venerate!
I più anziani fra noi, hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l’opera no[9]stra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. — Noi lo desideriamo!
Verranno contro di noi, i nostri successori; verranno di lontano, da ogni parte, danzando su la cadenza alata dei loro primi canti, protendendo dita adunche di predatori, e fiutando caninamente, alle porte delle accademie, il buon odore delle nostre menti in putrefazione, già promesse alle catacombe delle biblioteche.
Ma noi non saremo là.... Essi ci troveranno alfine — una notte d’inverno — in aperta campagna, sotto una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci vedranno accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti e nell’atto di scaldarci le mani al fuocherello meschino che daranno i nostri libri d’oggi fiammeggiando sotto il volo delle nostre immagini.
Essi tumultueranno intorno a noi, ansando per angoscia e per dispetto, e tutti, esasperati dal nostro superbo, instancabile ardire, si avventeranno per ucciderci, spinti da un’odio tanto più implacabile inquantochè i loro cuori saranno ebbri di amore e di ammirazione per noi.
La forte e sana Ingiustizia scoppierà radiosa nei loro occhi. — L’arte, infatti, non può essere che violenza, crudeltà ed ingiustizia.
I più anziani fra noi hanno trent’anni: eppure, noi abbiamo già sperperati tesori, mille tesori di forza, di amore, d’audacia, d’astuzia e di rude volontà; li abbiamo gettati via impazientemente, in furia, senza contare, senza mai esitare, senza riposarci mai, a perdifiato.... Guardateci! Non siamo ancora spossati! I nostri cuori non sentono alcuna stanchezza, poichè sono nutriti di fuoco, di odio e di velocità!... Ve ne stupite?... È logico, poichè voi non vi ricordate nemmeno di aver vissuto! Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo una volta ancora, la nostra sfida alle stelle![10]
Ci opponete delle obiezioni?... Basta! Basta! Le conosciamo.... Abbiamo capito!... La nostra bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il prolungamento degli avi nostri. — Forse!... Sia pure!.... Ma che importa? Non vogliamo intendere!... Guai a chi ci ripeterà queste parole infami!..
Alzate la testa!...
Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!... [11]
MARINETTI.
Aprile 1909.
— Olà! grandi poeti incendiarî, fratelli miei futuristi!.... Olà! Paolo Buzzi, Palazzeschi, Cavacchioli, Govoni, Altomare, Folgore, Boccioni, Carrà, Russolo, Balla, Severini, Pratella, D’Alba, Mazza! Usciamo da Paralisi, devastiamo Podagra e stendiamo il gran Binario militare sui fianchi del Gorisankar, vetta del mondo!
Uscivamo tutti dalla città, con un passo agile e preciso, che sembrava volesse danzare cercando ovunque ostacoli da superare. Intorno a noi, e nei nostri cuori, l’immensa ebrietà del vecchio sole europeo, che barcollava tra nuvole color di vino.... Quel sole ci sbattè sulla faccia la sua gran torcia di porpora incandescente, poi crepò, vomitandosi tutto all’infinito.
Turbini di polvere aggressiva; acciecante fusione di zolfo, di potassa e di silicati per le vetrate dell’Ideale!... Fusione d’un nuovo globo solare che presto vedremo risplendere!
— Vigliacchi! — gridai, voltandomi verso gli abitanti di Paralisi, ammucchiati sotto di noi, massa enorme di obici irritati, già pronti per i nostri futuri cannoni.
«Vigliacchi! Vigliacchi!... Perchè queste vostre strida di gatti scorticati vivi?... Temete forse che appicchiamo il fuoco alle vostre catapecchie?... Non ancora!... Dovremo pur scaldarci nell’inverno prossimo!... [12] Per ora, ci accontentiamo di far saltare in aria tutte le tradizioni, come ponti fradici!... La guerra?... Ebbene, sì: essa è la nostra unica speranza, la nostra ragione di vivere, la nostra sola volontà!... Sì, la guerra! Contro di voi, che morite troppo lentamente, e contro tutti i morti che ingombrano le nostre strade!...
«Sì, i nostri nervi esigono la guerra e disprezzano la donna, poichè noi temiamo che braccia supplici s’intreccino alle nostre ginocchia, la mattina della partenza!... Che mai pretendono le donne, i sedentarî, gl’invalidi, gli ammalati, e tutti i consiglieri prudenti? Alla loro vita vacillante, rotta da lugubri agonie, da sonni tremebondi e da incubi grevi, noi preferiamo la morte violenta e la glorifichiamo come la sola che sia degna dell’uomo, animale da preda.
«Vogliamo che i nostri figliuoli, seguano allegramente il loro capriccio, avversino brutalmente i vecchi e sbeffeggino tutto ciò che è consacrato dal tempo!
«Questo v’indigna? Mi fischiate?... Alzate la voce!... Non ho udita l’ingiuria! Più forte! Che cosa? Ambiziosi?... Certamente! Siamo degli ambiziosi, noi, perchè non vogliamo strofinarci ai vostri fetidi velli, o gregge puzzolente, color di fango, canalizzato nelle strade antiche della Terra!... Ma «ambiziosi» non è la parola esatta! Noi siamo piuttosto dei giovani artiglieri in baldoria!... E voi dovete, anche a vostro dispetto, abituarvi al frastuono dei nostri cannoni! Che cosa dite?... Siamo pazzi?... Evviva! Ecco finalmente la parola che aspettavo!... Ah! Ah! Bellissima trovata!... Prendete con cautela questa parola d’oro massiccio, e tornatevene presto in processione, per celarla nella più gelosa delle vostre cantine! Con quella parola fra le dita e sulle labbra, potrete vivere ancora venti secoli.... Per conto mio, vi annuncio che il mondo è fradicio di saggezza!...
«È perciò che noi oggi insegnarne l’eroismo metodico e quotidiano, il gusto della disperazione, per la quale il cuore dà tutto il suo rendimento, l’abitudine all’entusiasmo, l’abbandono alla vertigine.... [13]
«Noi insegnamo il tuffo nella morte tenebrosa sotto gli occhi bianchi e fissi dell’Ideale.... E noi stessi daremo l’esempio, abbandonandoci alla furibonda Sarta delle battaglie, che, dopo averci cucita addosso una bella divisa scarlatta, sgargiante al sole, ungerà di fiamme i nostri capelli spazzolati dai proiettili.... Così appunto la calura di una sera estiva spalma i campi d’uno scivolante fulgòre di lucciole.
«Bisogna che gli uomini elettrizzino ogni giorno i loro nervi ad un orgoglio temerario!.... Bisogna che gli uomini giuochino d’un tratto la loro vita, senza spiare i biscazzieri bari e senza controllare l’equilibrio delle roulettes, stando chini sui vasti tappeti verdi della guerra, covati dalla fortunosa lampada del sole. Bisogna, — capite? — bisogna che l’anima lanci il corpo in fiamme, come un brulotto, contro il nemico, l’eterno nemico che si dovrebbe inventare se non esistesse!....
«Guardate laggiù, quelle spiche di grano, allineate in battaglia, a milioni.... Quelle spiche, agili soldati dalle baionette aguzze, glorificano la forza del pane, che si trasforma in sangue, per sprizzar dritto, fino allo Zenit. Il sangue sappiatelo, non ha valore nè splendore, se non liberato, col ferro o col fuoco, dalla prigione delle arterie! E noi insegneremo a tutti i soldati armati della terra come il sangue debba essere versato.... Ma, prima, converrà ripulire la grande Caserma dove voi pullulate, insetti che siete!... Ci vorrà poco.... Frattanto, cimici, potete ancora tornare, per questa sera, agl’immondi giacigli tradizionali, su cui noi non vogliamo più dormire!»
Mentre volgevo loro le spalle, io sentii, dal dolore della mia schiena, che troppo a lungo avevo trascinato, nella rete immensa e nera della mia parola, quel popolo moribondo, coi suoi ridicoli guizzi di pesce ammucchiato sotto l’ultima ondata di luce che la sera spingeva alle scogliere della mia fronte. [14]
La città di Paralisi, col suo gridìo di pollaio, coi suoi orgogli impotenti di colonne troncate, con le sue cupole tronfie che partoriscono statuette meschine, col capriccio dei suoi fumi di sigaretta sopra bastioni puerili offerti ai buffetti.... scomparve alle nostre spalle, danzando al ritmo dei nostri passi veloci.
Davanti a me, ancora distante alcuni chilometri, si delineò ad un tratto il Manicomio, alto sulla groppa di una collina elegante, che sembrava trotterellare come un puledro.
— Fratelli, — diss’io — riposiamoci per l’ultima volta, prima di muovere alla costruzione del gran Binario futurista!
Ci coricammo, tutti fasciati dall’immensa follia della Via Lattea, all’ombra del Palazzo dei vivi, e subito tacque il fracasso dei grandi martelli quadrati dello spazio e del tempo.... Ma Paolo Buzzi, non poteva dormire, poichè il suo corpo spossato sussultava ad ogni istante alle punture delle stelle velenose che ci assalivano da ogni parte.
— Fratello! — mormorò — scaccia lontano da me codeste api che ronzano sulla rosa porporina della mia volontà!
Poi si riaddormentò nell’ombra visionaria del Palazzo ricolmo di fantasia, da cui saliva la melopea cullante ed ampia della eterna gioia.
Enrico Cavacchioli sonnecchiava e sognava ad alta voce:
— Io sento ringiovanire il mio corpo ventenne!... Io ritorno, d’un passo sempre più infantile, verso la mia culla.... Presto, rientrerò nel ventre di mia madre!... Tutto, dunque, mi è lecito!... Voglio preziosi gingilli da rompere.... città da schiacciare, formicai umani da sconvolgere!... Voglio addomesticare i Venti e tenerli a guinzaglio.... Voglio una muta di venti, fluidi levrieri, per dar la caccia ai cirri flosci e barbuti.
La respirazione dei miei fratelli dormenti fingeva [15] il sonno di un mare possente, su una spiaggia. Ma l’entusiasmo inesauribile dell’aurora traboccava già dalle montagne, tanto copiosamente la notte aveva dovunque versato profumi e linfe eroiche. Paolo Buzzi, bruscamente sollevato da quella marea di delirio, si contorse, come nell’angoscia di un incubo.
— Li udite i singhiozzi della terra?... La Terra agonizza nell’orrore della luce!... Troppi soli si chinarono al suo livido capezzale! Bisogna lasciarla dormire!... Ancora! Sempre!.. Datemi delle nuvole, dei mucchi di nuvole, per coprire i suoi occhi e la sua bocca che piange!
A queste parole il Sole ci porse dall’estremità dell’orizzonte, il suo tremulo e rosso volante di fuoco.
— Alzati, Paolo! — gridai allora. — Afferra quella ruota!... Io ti proclamo guidatore del mondo!... Ma, ahimè, noi non potremo bastare al gran lavoro del Binario futurista! Il nostro cuore è ancora pieno di un ciarpame immondo: code di pavoni, pomposi galli di banderuole, leziosi fazzoletti profumati!... E non abbiamo ancora scacciate dal nostro cervello le lugubri formiche della saggezza.... Ci vogliono dei pazzi!... Andiamo a liberarli!
Ci avvicinammo alle mura imbevute di gioia solare, costeggiando una sinistra vallata, ove trenta gru metalliche sollevano stridendo, dei vagoncini pieni d’una biancheria fumigante, inutile bucato di quei Puri, lavati già da ogni sozzura di logica.
Due alienisti comparvero, categorici, sulla soglia del Palazzo. Io non avevo fra le mani che uno smagliante fanale d’automobile; e fu col suo manico di lucido ottone che inculcai loro la morte.
Dalle porte spalancate, pazzi e pazze scamiciati, seminudi, eruppero a migliaia, torrenzialmente, così da ringiovanire e ricolorare il volto rugoso della Terra.
Alcuni vollero subito brandire, come bastoni d’avorio, i campanili lucenti; altri si misero a giuocare al cerchio con delle cupole.... Le donne pettinavano le loro lontane capigliature di nuvole con le acute punte di una costellazione. [16]
— O pazzi, o fratelli nostri amatissimi, seguitemi!... Noi costruiremo il Binario sulle cime di tutte le montagne, fino al mare! Quanti siete?... Tremila?... Non basta! D’altronde la noia e la monotonia troncheranno in breve il vostro bello slancio.... Corriamo a domandar consiglio alle belve dei serragli accampati alle porte della Capitale. Sono gli esseri più vivi, i più sradicati, i meno vegetali! Avanti!... A Podagra! A Podagra!...
E partimmo, scarica formidabile di una chiusa immane.
L’esercito della follia si avventò di pianura in pianura, colò per le valli, ascese rapido alle cime, con lo slancio fatale e facile d’un liquido entro enormi vasi comunicanti, e infine mitragliò di grida, di fronti e di pugni le mura di Podagra che risuonò come una campana.
Dopo avere ubbriacati, uccisi o calpestati i guardiani, la gesticolante marea inondò l’immenso corridoio melmoso del serraglio, le cui gabbie, piene di velli danzanti ondeggiavano nel vapore delle urine selvatiche e oscillavano più leggiere che gabbie di canarini fra le braccia dei pazzi.
Il regno dei leoni ringiovanì la Capitale. La ribellione delle criniere e il voluminoso sforzo delle groppe inarcate a leva scolpivano le facciate. La loro forza di torrente, scavando il selciato, trasformò le vie in altrettanti tunnel dalle vôlte scoppiate. Tutta la tisica vegetazione degli abitanti di Podagra fu infornata nelle case, le quali, piene di rami urlanti, tremavano sotto la impetuosa grandinata di sgomento che crivellava i tetti.
Con bruschi slanci e con lazzi da clowns, i pazzi inforcavano i bei leoni indifferenti, che non li sentivano, e quei bizzarri cavalieri esultavano ai tranquilli colpi di coda che ad ogni istante li gettavano a terra.... Ad un tratto, le belve si arrestarono, i pazzi tacquero, davanti alle mura che non si muovevano più....
— I vecchi son morti!.... I giovani sono fuggiti!.... [17] Meglio così!... Presto! Siano divelti i parafulmini e le statue!... Saccheggiamo gli scrigni colmi d’oro!... Verghe e monete!... Tutti i metalli preziosi saranno fusi, pel gran Binario militare!...
Ci precipitammo fuori, coi pazzi gesticolanti e le pazze scarmigliate, coi leoni, le tigri e le pantere cavalcate a nudo da cavalieri che l’ebbrezza irrigidiva contorceva ed esilarava freneticamente.
Podagra non fu più che un immenso tino, pieno di un rosso vino dai gorghi spumosi, che colava veemente dalle porte, i cui ponti levatoi erano imbuti trepidanti e sonori....
Attraversammo le rovine dell’Europa ed entrammo nell’Asia, sparpagliando lontano le orde terrorizzate di Podagra e di Paralisi, come i seminatori gettano la semente con un gran gesto circolare.
A notte piena, eravamo quasi in cielo, su l’altipiano persiano, sublime altare del mondo, i cui gradini smisurati portano popolose città. Allineati all’infinito lungo il Binario ansavamo su crogiuoli di barite, di alluminio e di manganese, che a quando a quando spaventavano le nuvole con la loro esplosione abbagliante; e ci sorvegliava, in cerchio, la maestosa ronda dei leoni che, erette le code, sparse al vento le criniere, foravano il cielo nero e profondo coi loro ruggiti tondi e bianchi.
Ma, a poco a poco, il lucente e caldo sorriso della luna traboccò dalle nuvole squarciate. E, quando ella apparve infine, tutta grondante dell’inebriante latte delle acacie, i pazzi sentirono il loro cuore staccarsi dal petto e salire verso la superficie della liquida notte.
Ad un tratto, un grido altissimo lacerò l’aria; un rumore si propagò, tutti accorsero... Era un pazzo giovanissimo, dagli occhi di vergine, rimasto fulminato sul Binario.[18]
Il suo cadavere fu subito sollevato. Egli teneva fra le mani un fiore bianco e desioso, il cui pistillo s’agitava come una lingua di donna. Alcuni vollero toccarlo, e fu male, poichè rapidamente, con la facilità di un’aurora che si propaga sul mare, una verdura singhiozzante sorse per prodigio dalla terra increspata di onde inattese.
Dal fluttuare azzurro delle praterie, emergevano vaporose chiome d’innumerevoli nuotatrici, che schiudevano sospirando i petali delle loro bocche e dei loro occhi umidi. Allora, nell’inebbriante diluvio dei profumi, vedemmo crescere distesamente intorno a noi una favolosa foresta, i cui fogliami arcuati sembravano spossati da una brezza troppo lenta. Vi ondeggiava una tenerezza amara.... Gli usignuoli bevevano l’ombra odorosa con lunghi gorgoglii di piacere, e a quando a quando scoppiavano a ridere nei cantucci giocando a rimpiattino come fanciulli vispi e maliziosi. Un sonno soavissimo vinceva lentamente l’esercito dei pazzi, che si misero a urlare dal terrore.
Irruenti, le belve si precipitarono a soccorrerli. Per tre volte, stretti in gomitoli balzanti, e con assalti uncinati di rabbia esplosiva, le tigri caricarono gli invisibili fantasmi di cui ribolliva la profondità di quella foresta di delizie.... Finalmente, fu aperto un varco: enorme convulsione di fogliami feriti, i cui lunghi gemiti svegliarono i lontani echi loquaci appiattati nella montagna. Ma, mentre ci accanivamo, tutti, a liberar le nostre gambe e le nostre braccia dalle ultime liane affettuose, sentimmo a un tratto la Luna carnale, la Luna dalle belle coscie calde, abbandonarsi languidamente sulle nostre schiene affrante.
Si udì gridare nella solitudine aerea degli altipiani:
— Uccidiamo il chiaro di Luna!
Alcuni accorsero alle cascate vicine; gigantesche ruote furono inalzate, e le turbine trasformarono la velocità delle acque in magnetici spasimi che s’ar[19]rampicarono a dei fili, su per alti pali, fino a dei globi luminosi e ronzanti.
Fu così che trecento lune elettriche cancellarono coi loro raggi di gesso abbagliante l’antica regina verde degli amori.
E il Binario militare fu costruito. Binario stravagante che seguiva la catena delle montagne più alte e sul quale si slanciarono tosto le nostre veementi locomotive impennacchiate di grida acute, via da una cima all’altra, gettandosi in tutti i precipizi e arrampicandosi dovunque, in cerca di abissi affamati, di svolti assurdi e d’impossibili zig-zag.... Tutt’intorno, da lontano, l’odio illimitato segnava il nostro orizzonte irto di fuggiaschi.... Erano le orde di Podagra e di Paralisi, che noi rovesciammo nell’Indostan.
Accanito inseguimento.... Ecco scavalcato il Gange! Finalmente il soffio impetuoso dei nostri petti fugò davanti a noi le nuvole striscianti, dagli avvolgimenti ostili, e noi scorgemmo all’orizzonte i sussulti verdastri dell’Oceano Indiano, a cui il sole metteva una fantastica museruola d’oro.... Sdraiato nei golfi di Oman e del Bengala, esso preparava perfidamente l’invasione delle terre.
All’estremità del promontorio di Cormorin, orlato di una poltiglia di ossami biancastri, ecco l’Asino colossale e scarno la cui groppa di cartapecora grigiastra fu incavata dal peso delizioso della Luna.... Ecco l’Asino dotto, dal membro prolisso rammendato di scritture, che raglia da tempo immemorabile il suo rancore asmatico contro le brume dell’orizzonte, dove tre grandi vascelli s’avanzano immobili, con le loro velature simili a colonne vertebrali radiografate.
Subito, l’immensa mandra delle belve cavalcate dai pazzi protese sui flutti musi innumerevoli, sotto il turbinìo delle criniere che chiamavano l’Oceano alla [20] riscossa. E l’Oceano rispose all’appello, inarcando un dorso enorme e squassando i promontorî prima di prender lo slancio. Esso provò lungamente la propria forza, agitando le anche e ripiegando il ventre sonoro fra le sue vaste fondamenta elastiche. Poi, con un gran colpo di reni, l’Oceano potè sollevare la propria massa e sormontò la linea angolosa delle rive.... Allora, la formidabile invasione cominciò.
Noi marciavamo nell’ampio accerchiamento delle onde scalpitanti, grandi globi di schiuma bianca che rotolavano e crollavano, docciando le schiene dei leoni.... Questi, allineati in semicerchio intorno a noi, prolungavamo da ogni parte le zanne, la bava sibilante e gli urli delle acque. Talvolta, dall’alto delle colline, guardavamo l’Oceano gonfiare progressivamente il suo profilo mostruoso, come un’immensa balena che si spingesse innanzi su un milione di pinne. E fummo noi che lo guidammo così fino alla catena dell’Imalaia, aprendo, come un ventaglio, il formicolìo delle orde in fuga che volevamo schiacciare contro i fianchi del Gorisankar.
— Affrettiamoci, fratelli miei!.... Volete dunque che le belve ci sorpassino? Noi dobbiamo rimanere in prima fila malgrado i nostri lenti passi che pompano i succhi della terra.... Al diavolo queste mani vischiose e questi piedi che trascinano radici!... Oh! noi non siamo che poveri alberi vagabondi! Vogliamo delle ali!.... Facciamoci dunque degli aeroplani.
— Saranno azzurri! gridarono i pazzi — azzurri, per sottrarci meglio agli sguardi del nemico, e per confonderci con l’azzurro del cielo, che, quando c’è vento, garrisce sulle vette come un’immensa bandiera.
E i pazzi rapirono mantelli turchini alla gloria dei Budda, nelle antiche pagode, per costruire le loro macchine volanti.
Noi ritagliammo i nostri aeroplani futuristi nella tela color d’ocra dei velieri. Alcuni avevano ali equilibranti e portando i loro motori, s’inalzavano come avoltoi insanguinati che sollevassero in cielo vitelli convulsi.
Ecco: il mio biplano multicellulare a coda diret[21]tiva: 100 HP, 8 cilindri, 80 chilogrammi.... Ho fra i piedi una minuscola mitragliatrice, che posso scaricare premendo un bottone d’acciaio....
E si parte, nell’ebbrezza di un’agile evoluzione, con un volo vivace, crepitante, leggiero e cadenzato come un canto d’invito a bere e a ballare.
— Urrà! Siam degni finalmente di comandare il grande esercito dei pazzi e delle belve scatenate!... Urrà! Noi dominiamo la nostra retroguardia: l’Oceano col suo avviluppamento di schiumanti cavallerie!... Avanti, pazzi, pazze, leoni, tigri, e pantere! Avanti, squadroni di flutti!... I nostri aeroplani saranno per voi, a volta a volta, bandiere di guerra e amanti appassionate! Deliziose amanti che nuotano, aperte le braccia, sull’ondeggiar dei fogliami, o che indugiano mollemente sull’altalena della brezza!... Ma guardate lassù, a destra, quelle spole azzurre.... Sono i pazzi, che cullano i loro monoplani sull’amaca del vento del sud!.... Io intanto, sto seduto come un tessitore davanti al telaio e vo tessendo l’azzurro serico del cielo!.... Oh! quante fresche vallate, quanti monti burberi, sotto di noi!... Quanti greggi di pecore rosee, sparsi sui declivi delle verdi colline che si offrono al tramonto!.... Tu le amavi, anima mia!... No! No! Basta! Tu non godrai più, mai più, di simili insipidezze!... Le canne colle quali un tempo facevamo delle zampogne formano l’armatura di questo aeroplano!... Nostalgia! Ebbrezza trionfale!... Presto avremo raggiunti gli abitanti di Podagra e di Paralisi, poichè voliamo rapidi ad onta delle raffiche avverse.... Che dice l’anemometro?... Il vento che ci è contrario ha una velocità di cento chilometri all’ora!... Che importa? Io salgo a duemila metri, per sorpassare l’altipiano.... Ecco! Ecco le orde!... Là, là, davanti a noi, e già sotto ai nostri piedi!... Guardate, laggiù, a picco, fra gli ammassi di verdura, la tumultuante follia di quel torrente umano che s’accanisce a fuggire!... Questo fracasso?... È lo schianto degli alberi! Ah! Ah! Le orde nemiche sono ormai cacciate [22] contro l’alta muraglia del Gorisankar!... E noi diamo loro battaglia!.... Udite? Udite i nostri motori come applaudono?... Olà, grande Oceano Indiano, alla riscossa!»
L’Oceano ci seguiva solennemente, atterrando le mura delle città venerate e gettando di sella le torri illustri, vecchi cavalieri dall’armatura sonora, crollati giù dagli arcioni marmorei dei templi.
— Finalmente! Finalmente! Eccoti dunque davanti a noi, gran popolo formicolante di Podagrosi e di Paralitici, lebbra schifosa che divora i bei fianchi della montagna... Noi voliamo rapidi contro di voi, fiancheggiati dal galoppo dei leoni, nostri fratelli, e abbiamo alle spalle l’amicizia minacciosa dell’Oceano, che ci segue da vicino per impedire che s’indietreggi!... È soltanto una precauzione, poichè non vi temiamo!... Ma voi siete innumerevoli!.... E potremmo esaurire le nostre munizioni, invecchiando durante la carneficina!... Io regolerò il tiro!... L’alzo a ottocento metri! Attenti!... Fuoco!... Oh! l’ebbrezza di giocare alle biglie della Morte!... E voi non potrete carpircele!... Indietreggiate ancora? Questo altipiano sarà presto superato!... Il mio aeroplano corre sulle sue ruote, scivola sui pattini e s’alza a volo di nuovo!... Io vado contro il vento!.... Bravissimi, i pazzi!... Continuate il massacro!.... Guardate! Io tolgo l’accensione e calo giù tranquillamente, a volo librato, con magnifica stabilità, per toccar terra dove più ferve la mischia!
«Ecco la furibonda còpula della battaglia, vulva gigantesca irritata dalla foia del coraggio, vulva informe che si squarcia per offrirsi meglio al terrifico spasimo della vittoria imminente! È nostra, la vittoria.... ne sono sicuro, poichè i pazzi lanciano già al cielo i loro cuori, come bombe!...: L’alzo a cento metri!... Attenti!... Fuoco!... Il nostro sangue?... Sì! Tutto il nostro sangue, a fiotti, per ricolorare le aurore ammalate della Terra!... Sì, noi sapremo riscaldarti fra le nostre braccia fumanti, o misero Sole, decrepito e freddoloso, che tremi sulla cima del Gorisankar!..» [23]
BOCCIONI, CARRÀ, RUSSOLO, BALLA, SEVERINI
11 Febbraio 1911.
Agli artisti giovani d’Italia!
Il grido di ribellione che noi lanciamo, associando i nostri ideali a quelli dei poeti futuristi, non parte già da una chiesuola estetica, ma esprime il violento desiderio che ribolle oggi nelle vene di ogni artista creatore.
Noi vogliamo combattere accanitamente la religione fanatica, incosciente e snobistica del passato, alimentata dall’esistenza nefasta dei musei. Ci ribelliamo alla supina ammirazione delle vecchie tele, delle vecchie statue, degli oggetti vecchi e all’entusiasmo per tutto ciò che è tarlato, sudicio, corroso dal tempo, e giudichiamo ingiusto, delittuoso, l’abituale disdegno per tutto ciò che è giovane, nuovo e palpitante di vita.
Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un’abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro.
Noi siamo nauseati dalla pigrizia vile che dal Cinquecento in poi fa vivere i nostri artisti d’un incessante sfruttamento delle glorie antiche.
Per gli altri popoli, l’Italia è ancora una terra di morti, un’immensa Pompei biancheggiante di sepolcri. L’Italia invece rinasce, e al suo risorgimento politico [24] segue il risorgimento intellettuale. Nel paese degli analfabeti vanno moltiplicandosi le scuole: nel paese del dolce far niente ruggono ormai officine innumerevoli: nel paese dell’estetica tradizionale spiccano oggi il volo ispirazioni sfolgoranti di novità.
È vitale soltanto quell’arte che trova i propri elementi nell’ambiente che la circonda. Come i nostri antenati trassero materia d’arte dall’atmosfera religiosa che incombeva sulle anime loro, così noi dobbiamo ispirarci ai tangibili miracoli della vita contemporanea, alla ferrea rete di velocità che avvolge la Terra, ai transatlantici, alle Dreadnought, ai voli meravigliosi che solcano i cieli, alle audacie tenebrose dei navigatori subacquei, alla lotta spasmodica per la conquista dell’ignoto. E possiamo noi rimanere insensibili alla frenetica attività delle grandi capitali, alla psicologia nuovissima del nottambulismo, alle figure febbrili del viveur, della cocotte, dell’apache e dell’alcoolizzato?
Volendo noi pure contribuire al necessario rinnovamento di tutte le espressioni d’arte, dichiariamo guerra, risolutamente, a tutti quegli artisti e a tutte quelle istituzioni che pur camuffandosi d’una veste di falsa modernità, rimangono invischiati nella tradizione, nell’accademismo e sopratutto in una ripugnante pigrizia cerebrale.
Noi denunciamo al disprezzo dei giovani tutta quella canaglia incosciente che a Roma applaude a una stomachevole rifioritura di classicismo rammolito; che a Firenze esalta dei nevrotici cultori d’un arcaismo ermafrodito; che a Milano rimunera una pedestre e cieca manualità quarantottesca; che a Torino incensa una pittura da funzionari governativi in pensione, e a Venezia glorifica un farraginoso patinume da alchimisti fossilizzati! Insorgiamo, insomma, contro la superficialità, la banalità e la facilità bottegaia e cialtrona che rendono profondamente spregevole la maggior parte degli artisti rispettati di ogni regione d’Italia.
Via, dunque, restauratori prezzolati di vecchie [25] croste! Via, archeologhi affetti di necrofilia cronica! Via, critici, compiacenti lenoni! Via, accademie gottose, professori ubbriaconi e ignoranti! Via!
Domandate a questi sacerdoti del vero culto, a questi depositari delle leggi estetiche, dove siano oggi le opere di Giovanni Segantini: domandate loro perchè le Commissioni ufficiali non si accorgano dell’esistenza di Gaetano Previati; domandate loro dove sia apprezzata la scultura di Medardo Rosso!... E chi si cura di pensare agli artisti che non hanno ancora vent’anni di lotte e di sofferenze, ma che pur vanno preparando opere destinate ad onorare la patria?
Hanno ben altri interessi da difendere, i critici pagati! Le esposizioni, i concorsi, la critica superficiale e non mai disinteressata condannano l’arte italiana all’ignominia di una vera prostituzione!
E che diremo degli specialisti? Suvvia! Finiamola, coi Ritrattisti, cogl’Internisti, coi Laghettisti, coi Montagnisti!... Li abbiamo sopportati abbastanza, tutti codesti impotenti pittori da villeggiatura.
Finiamola con gli sfregiatori di marmi che ingombrano le piazze e profanano i cimiteri! Finiamola con l’architettura affaristica degli appaltatori di cementi armati! Finiamola coi decoratori da strapazzo, coi falsificatori di ceramiche, coi cartellonisti venduti e cogli illustratori sciatti e balordi.
Ed ecco le nostre conclusioni recise: Con questa entusiastica adesione al futurismo, noi vogliamo:
1. Distruggere il culto del passato, l’ossessione dell’antico, il pedantismo e il formalismo accademico.
2. Disprezzare profondamente ogni forma di imitazione.
3. Esaltare ogni forma di originalità, anche se temeraria, anche se violentissima.
4. Trarre coraggio ed orgoglio dalla facile taccia di pazzia con cui si sferzano e s’imbavagliano gl’innovatori.
5. Considerare i critici d’arte come inutili o dannosi.
6. Ribellarci contro la tirannia delle parole: [26] armonia e buon gusto, espressioni troppo elastiche, con le quali si potrebbe facilmente demolire l’opera di Rembrandt e quella di Goya.
7. Spazzar via dal campo ideale dell’arte tutti i motivi, tutti i soggetti già sfruttati.
8. Rendere e magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa.
Siano sepolti i morti nelle più profonde viscere della terra! Sia sgombra di mummie la soglia del futuro! Largo ai giovani, ai violenti, ai temerarî! [27]
BOCCIONI, CARRÀ, RUSSOLO, BALLA, SEVERINI
11 Aprile 1910.
Nel primo manifesto da noi lanciato l’8 marzo 1910 dalla ribalta del Politeama Chiarella di Torino, esprimemmo le nostre profonde nausee, i nostri fieri disprezzi, le nostre allegre ribellioni contro la volgarità, contro il mediocrismo, contro il culto fanatico e snobistico dell’antico, che soffocano l’Arte nel nostro Paese.
Noi ci occupavamo allora delle relazioni che esistono fra noi e la società. Oggi invece, con questo secondo manifesto, ci stacchiamo risolutamente da ogni considerazione relativa e assurgiamo alle più alte espressioni dell’assoluto pittorico.
La nostra brama di verità non può più essere appagata dalla Forma nè dal Colore tradizionali!
Il gesto per noi, non sarà più un momento fermato del dinamismo universale: sarà, decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale.
Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi ma appare e scompare incessantemente. Per la persistenza della immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono. Così un cavallo in corsa non ha quattro gambe: ne ha venti e i loro movimenti sono triangolari.[28]
Tutto in arte è convenzione, e le verità di ieri sono oggi, per noi, pure menzogne.
Affermiamo ancora una volta che il ritratto, per essere un’opera d’arte, non può nè deve assomigliare al suo modello, e che il pittore ha in sè i paesaggi che vuol produrre. Per dipingere una figura non bisogna farla: bisogna farne l’atmosfera.
Lo spazio non esiste più: una strada bagnata dalla pioggia e illuminata da globi elettrici s’inabissa fino al centro della terra. Il Sole dista da noi migliaia di chilometri; ma la casa che ci sta davanti non ci appare forse incastonata dal disco solare? Chi può credere ancora all’opacità dei corpi, mentre la nostra acuìta e moltiplicata sensibilità ci fa intuire le oscure manifestazioni dei fenomeni medianici? Perchè si deve continuare a creare senza tener conto della nostra potenza visiva che può dare risultati analoghi a quelli dei raggi X?
Innumerevoli sono gli esempi che dànno una sanzione positiva alle nostre affermazioni.
Le sedici persone che avete intorno a voi in un tram che corre sono una, dieci, quattro, tre; stanno ferme e si muovono; vanno e vengono, rimbalzano sulla strada, divorate da una zona di sole, indi tornano a sedersi, simboli persistenti della vibrazione universale. E, talvolta sulla guancia della persona con cui parliamo nella via noi vediamo il cavallo che passa lontano. I nostri corpi entrano nei divani su cui ci sediamo, e i divani entrano in noi, così come il tram che passa entra nelle case, le quali alla loro volta si scaraventano sul tram e con esso si amalgamano.
La costruzione dei quadri è stupidamente tradizionale. I pittori ci hanno sempre mostrato cose e persone poste davanti a noi. Noi porremo lo spettatore nel centro del quadro.
Come in tutti i campi del pensiero umano alle immobili oscurità del dogma è subentrata la illuminata ricerca individuale, così bisogna che nell’arte nostra sia sostituita alla tradizione accademica una vivificante corrente di libertà individuale. [29]
Noi vogliamo rientrare nella vita. La scienza d’oggi, negando il suo passato, risponde ai bisogni materiali del nostro tempo; ugualmente, l’arte, negando il suo passato, deve rispondere ai bisogni intellettuali del nostro tempo.
La nostra nuova coscienza non ci fa più considerare l’uomo come centro della vita universale. Il dolore di un uomo è interessante, per noi, quanto quello di una lampada elettrica, che soffre, e spasima, e grida con le più strazianti espressioni di dolore; e la musicalità della linea e delle pieghe di un vestito moderno ha per noi una potenza emotiva e simbolica uguale a quella che il nudo ebbe per gli antichi.
Per concepire e comprendere le bellezze nuove di un quadro moderno bisogna che l’anima ridiventi pura; che l’occhio si liberi dal velo di cui l’hanno coperto l’atavismo e la cultura e consideri come solo controllo la Natura, non già il Museo!
Allora, tutti si accorgeranno che sotto la nostra epidermide non serpeggia il bruno, ma che vi splende il giallo, che il rosso vi fiammeggia, e che il verde, l’azzurro e il violetto vi danzano, voluttuosi e carezzevoli!
Come si può ancora veder roseo un volto umano, mentre la nostra vita si è innegabilmente sdoppiata nel nottambulismo? Il volto umano è giallo, è rosso, è verde, è azzurro, è violetto. Il pallore di una donna che guarda la vetrina di un gioielliere è più iridescente di tutti i prismi dei gioielli che l’affascinano.
Le nostre sensazioni pittoriche non possono essere mormorate. Noi le facciamo cantare e urlare nelle nostre tele che squillano fanfare assordanti e trionfali.
I vostri occhi abituati alla penombra si apriranno alle più radiose visioni di luce. Le ombre che dipingeremo saranno più luminose delle luci dei nostri predecessori, e i nostri quadri, a confronto di quelli immagazzinati nei musei, saranno il giorno più fulgido contrapposto alla notte più cupa.
Questo naturalmente ci porta a concludere che non può sussistere pittura senza divisionismo. Il divi[30]sionismo, tuttavia, non è nel nostro concetto un mezzo tecnico che si possa metodicamente imparare ed applicare. Il divisionismo, nel pittore moderno, deve essere un COMPLEMENTARISMO CONGENITO, da noi giudicato essenziale e fatale.
E in fine respingiamo fin d’ora la facile accusa di barocchismo con la quale ci si vorrà colpire. Le idee che abbiamo esposte qui derivano unicamente dalla nostra sensibilità acuìta. Mentre barocchismo significa artificio, virtuosismo maniaco e smidollato, l’Arte, che noi preconizziamo è tutta di spontaneità e di potenza.
NOI PROCLAMIAMO:
1) CHE IL COMPLEMENTARISMO CONGENITO È UNA NECESSITÀ ASSOLUTA NELLA PITTURA, COME IL VERSO LIBERO DELLA POESIA E COME LA POLIFONIA NELLA MUSICA;
2) CHE IL DINAMISMO UNIVERSALE DEVE ESSERE RESO COME SENSAZIONE DINAMICA;
3) CHE NELL’INTERPETRAZIONE DELLA NATURA OCCORRONO SINCERITÀ E VERGINITÀ;
4) CHE IL MOTO E LA LUCE DISTRUGGONO LA MATERIALITÀ DEI CORPI.
NOI COMBATTIAMO:
1) CONTRO IL PATINUME E LA VELATURA DA FALSI ANTICHI;
2) CONTRO L’ARCAISMO SUPERFICIALE ED ELEMENTARE A BASE DI TINTE PIATTE [31] CHE RIDUCE LA PITTURA AD UNA IMPOTENTE SINTESI INFANTILE E GROTTESCA;
3) CONTRO IL FALSO AVVENIRISMO DEI SECESSIONISTI E DEGLI INDIPENDENTI, NUOVI ACCADEMICI D’OGNI PAESE;
4) CONTRO IL NUDO IN PITTURA, ALTRETTANTO STUCCHEVOLE ED OPPRIMENTE QUANTO L’ADULTERIO NELLA LETTERATURA.
Voi ci credete pazzi. Noi siamo invece i Primitivi di una nuova sensibilità completamente trasformata.
Fuori dall’atmosfera in cui viviamo noi, non sono che tenebre. Noi Futuristi ascendiamo verso le vette più eccelse e più radiose, e ci proclamiamo Signori della Luce, poichè già beviamo alle vive fonti del Sole.[32]
MARINETTI, BOCCIONI, CARRÀ, RUSSOLO
27 Aprile 1910.
Noi ripudiamo l’antica Venezia estenuata e sfatta da voluttà secolari, che noi pure amammo e possedemmo in un gran sogno nostalgico.
Ripudiamo la Venezia dei forestieri, mercato di antiquari falsificatori, calamità dello snobismo e dell’imbecillità universali, letto sfondato da carovane di amanti, semicupio ingemmato per cortigiane cosmopolite, cloaca massima del passatismo.
Noi vogliamo guarire e cicatrizzare questa città putrescente, piaga magnifica del passato. Noi vogliamo rianimare e nobilitare il popolo veneziano, decaduto dalla sua antica grandezza, morfinizzato da una vigliaccheria stomachevole ed avvilito dall’abitudine dei suoi piccoli commerci loschi.
Noi vogliamo preparare la nascita di una Venezia industriale e militare che possa dominare il mare Adriatico, gran lago Italiano.
Affrettiamoci a colmare i piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi.
Bruciamo le gondole, poltrone a dondolo per cretini, e innalziamo fino al cielo l’imponente geometria dei ponti metallici e degli opifici chiomati di fumo, per abolire le curve cascanti delle vecchie architetture.
Venga finalmente il regno della divina Luce Elettrica, a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera ammobigliata.[33]
L’8 luglio 1910, 800000 foglietti contenenti questo manifesto furono lanciati dai poeti e dai pittori futuristi dall’alto della Torre dell’Orologio sulla folla che tornava dal Lido. Così cominciò la campagna che i futuristi sostengono da 3 anni contro Venezia passatista.
Il seguente Discorso contro i Veneziani, improvvisato dal poeta Marinetti alla Fenice, suscitò una terribile battaglia. I futuristi furono fischiati, i passatisti furono picchiati.
I pittori futuristi Boccioni, Russolo, Carrà punteggiarono questo discorso con schiaffi sonori. I pugni di Armando Mazza, poeta futurista che è anche un atleta restarono memorabili.
Veneziani!
Quando gridammo: «Uccidiamo il chiaro di luna!» noi pensammo a te, vecchia Venezia fradicia di romanticismo!
Ma ora la voce nostra si amplifica, e soggiungiamo ad alte note «Liberiamo il mondo dalla tirannia dell’amore! Siamo sazi di avventure erotiche, di lussuria, di sentimentalismo e di nostalgia»!
Perchè dunque ostinarti Venezia, a offrirci donne velate ad ogni svolto crepuscolare dei tuoi canali?
Basta! Basta!.... Finiscila di sussurrare osceni inviti a tutti i passanti della terra o Venezia, vecchia ruffiana, che sotto la tua pesante mantiglia di mosaici, ancora ti accanisci ad apprestare estenuanti notti romantiche, querule serenate e paurose imboscate!
Io pure amai, o Venezia, la sontuosa penombra del tuo Canal Grande, impregnata di lussurie rare, e il pallore febbrile delle tue belle, che scivolano giù dai balconi per scale intrecciate di lampi, di fili di pioggia e di raggi di luna, fra i tintinni di spade incrociate... [34]
Ma basta! Tutta questa roba assurda, abbominevole e irritante ci dà la nausea! E vogliamo ormai che le lampade elettriche dalle mille punte di luce taglino e strappino brutalmente le tue tenebre misteriose, ammalianti e persuasive!
Il tuo Canal Grande allargato e scavato, diventerà fatalmente un gran porto mercantile. Treni e tramvai lanciati per le grandi vie costruite sui canali finalmente colmati vi porteranno cataste di mercanzie, tra una folla sagace, ricca e affaccendata d’industriali e di commercianti!...
Non urlate contro la pretesa bruttezza delle locomotive dei tramvai degli automobili e delle biciclette in cui noi troviamo le prime linee della grande estetica futurista. Potranno sempre servire a schiacciare qualche lurido e grottesco professore nordico dal cappelluccio tirolese.
Ma voi volete prostrarvi davanti a tutti i forestieri, e siete di una servilità ripugnante!
Veneziani! Veneziani! Perchè voler essere ancora sempre i fedeli schiavi del passato, i lerci custodi del più grande bordello della storia, gl’infermieri del più triste ospedale del mondo, ove languono anime mortalmente corrotte dalla lue del sentimentalismo?
Oh! le immagini non mi mancano, se voglio definire la vostra inerzia vanitosa e sciocca come quella di un figlio di grand’uomo o di un marito di cantante celebre! I vostri gondolieri, non potrei forse paragonarli a dei becchini intenti a scavare cadenzatamente delle fosse in un cimitero inondato?
Ma nulla può offendervi, poichè la vostra umiltà è smisurata!
Si sa, d’altronde, che voi avete la saggia preoccupazione di arricchire la Società dei grandi alberghi, e chi appunto per questa vi ostinate ad imputridire senza muovervi!
Eppure, voi foste un tempo invincibili guerrieri e artisti geniali, navigatori audaci, ingegnosi industriali e commercianti instancabili.... E siete divenuti [35] camerieri d’albergo, ciceroni, lenoni, antiquarî, frodatori, fabbricanti di vecchi quadri, pittori plagiari e copisti. Avete dunque dimenticato di essere anzitutto degl’Italiani, e che questa parola, nella lingua della storia, vuol dire: costruttori dell’avvenire?
Oh! non vi difendete coll’accusar gli effetti avvilenti dello scirocco! Era ben questo vento torrido e bellicoso, che gonfiava le vele degli eroi di Lepanto! Questo stesso vento africano accellererà ad un tratto, in un meriggio infernale, la sorda opera delle acque corrosive che minano la vostra città venerabile.
Oh! come balleremo, quel giorno! Oh! come plaudiremo alle lagune, per incitarle alla distruzione! E che immenso ballo tondo danzeremo in giro all’illustre ruina! Saremo tutti pazzamente allegri, noi, gli ultimi studenti ribelli di questo mondo troppo saggio!
Così, o Veneziani, noi cantammo, danzammo e ridemmo davanti all’agonia dell’isola di File, che morì come un sorcio decrepito dietro la diga d’Assuan, immensa trappola dalle botole elettriche, nella quale il genio futurista dell’Inghilterra imprigiona le fuggenti acque sacre del Nilo!
Alzate pure le spalle, e gridatemi che sono un barbaro, incapace di gustare la divina poesia che ondeggia sulle vostre isole incantatrici!
Via! non avete motivo di esserne molto orgogliosi!...
Liberate Torcello, Burano, l’Isola dei Morti, da tutta la letteratura ammalata e da tutta l’immensa fantasticheria romantica di cui le hanno velate i poeti avvelenati dalla febbre di Venezia, e potrete, ridendo con me considerare quelle isole come mucchi di sterco che i mammouth lasciarono cadere qua e là nell’attraversare a guado le vostre preistoriche lagune!
Ma voi le contemplate stupidamente, felici di marcire nella vostra acqua sporca, per arricchire senza fine la Società dei Grandi Alberghi, che prepara con cura le notti eleganti di tutti i grandi sulla terra!
Certo, non è cosa da poco, l’eccitarli all’amore. Sia pure vostro ospite un Imperatore, bisogna che egli [36] navighi lungamente nel sudiciume di questo immenso acquaio pieno di cocci istoriati, bisogna che i suoi gondolieri zappino coi remi parecchi chilometri di escrementi liquefatti, in un divino odor di latrina passando accanto a barche ricolme di belle immondizie, tra equivoci cartocci galleggianti, per poter giungere da vero Imperatore alla sua mèta, contento di sè e del suo scettro imperiale!
Ecco, ecco quale fu la vostra gloria fino ad oggi, o Veneziani!
Vergognatevene! Vergognatevene! e gettatevi supini gli uni sugli altri, come sacchi pieni di sabbia per formare il bastione, sul confine, mentre noi prepareremo, una grande e forte Venezia industriale, commerciale e militare sull’Adriatico, gran lago italiano! [37]
BALILLA PRATELLA
11 Gennaio 1911.
Io mi rivolgo ai giovani. Essi soli mi dovranno ascoltare e mi potranno comprendere. C’è chi nasce vecchio, spettro bavoso del passato, crittogama tumida di veleni: a costoro, non parole, nè idee, ma una imposizione unica: fine.
Io mi rivolgo ai giovani, necessariamente assetati di cose nuove, presenti e vive. Mi seguano dunque essi, fidenti e arditi, per le vie del futuro, dove già i miei, i nostri intrepidi fratelli, poeti e pittori futuristi, gloriosamente ci precedono, belli di violenza, audaci di ribellione e luminosi di genio animatore.
Or è un anno, una commissione composta dei maestri Pietro Mascagni, Giacomo Orefice, Guglielmo Mattioli, Rodolfo Ferrari e del critico Gian Battista Nappi, proclamava la mia opera musicale futurista intitolata «La Sina d’Vargöun» — su un poema pure mio ed in versi liberi — vincitrice, fra tutte le altre concorrenti, del premio di L. 10.000 destinato alle spese di esecuzione del lavoro riconosciuto superiore e degno, secondo il lascito del bolognese Cincinnato Baruzzi.
L’esecuzione avvenuta nel dicembre 1909 nel Teatro Comunale di Bologna, mi procurò un successo di grande entusiasmo, critiche abiette e stupide, generose difese di amici e di sconosciuti, onore e copia di nemici.
Essendo entrato, così trionfalmente, nell’ambiente musicale italiano, in contatto col pubblico, cogli editori e coi critici, ho potuto giudicare con la massima serenità il mediocrismo intellettuale, la bassezza mer[38]cantile e il misoneismo che riducono la musica italiana ad una forma unica e quasi invariabile di melodramma volgare, da cui risulta l’assoluta inferiorità nostra di fronte all’evoluzione futurista della musica negli altri paesi.
In Germania infatti, dopo l’èra gloriosa e rivoluzionaria dominata dal genio sublime di Wagner, Riccardo Strauss eleva il barocchismo della strumentazione fin quasi a forma vitale d’arte, e sebbene non possa nascondere, con maniere armoniche ed acustiche abili, complicate ed appariscenti, l’aridità, il mercantilismo e la banalità dell’anima sua, nondimeno si sforza di combattere e di superare il passato con un ingegno innovatore.
In Francia, Claudio Debussy, artista profondamente soggettivo, letterato più che musicista, nuota in un lago diafano e tranquillo di armonie tenui, delicate, azzurre e constantemente trasparenti. Col simbolismo strumentale e con una polifonia monotona di sensazioni armoniche sentite attraverso una scala di toni interi — sistema nuovo, ma sempre sistema, e, di conseguenza, volontaria limitazione — egli non giunge sempre a coprire la scarsità di valore della sua tematica e ritmica unilaterali e la mancanza quasi assoluta di svolgimento ideologico. Questo svolgimento consiste per lui nella primitiva e infantile ripetizione periodica di un tema breve e povero o di un andamento ritmico monotono e vago. Avendo ricorso, nelle sue formole operistiche ai concetti stantii della Camerata fiorentina, che nel 1600 dava nascita al melodramma, non è ancora pervenuto a riformare completamente l’arte melodrammatica del suo paese. Nondimeno, più d’ogni altro egli combatte gagliardamente il passato e in molti punti lo supera. Idealmente più forte di lui, ma musicalmente inferiore è G. Charpentier.
In Inghilterra, Edoardo Elgar, coll’animo di ampliare le forme sinfoniche classiche, tentando maniere di svolgimento tematico più ricche e multiformi variazioni di uno stesso soggetto, e cercando non nella [39] varietà esuberante degli strumenti, ma nella varietà delle loro combinazioni effetti equilibrati e consoni alla nostra complessa sensibilità, coopera alla distruzione del passato.
In Russia, Modesto Mussorgski, rinnovato attraverso l’anima di Nicolò Rimsky-Korsakoff, coll’innestare l’elemento nazionale primitivo nelle formole ereditate da altri e col cercare verità drammatica e libertà armonica, abbandona e fa dimenticare la tradizione. Così procede anche Alessandro Glazounow, pur rimanendo ancora primitivo e lontano da una pura ed equilibrata concezione d’arte.
In Finlandia e nella Svezia, pure attraverso l’elemento musicale e poetico nazionale, si alimentano tendenze innovatrici, e le opere di Sibelius ne dànno conferma.
E in Italia?
Insidia ai giovani e all’arte, vegetano licei, conservatorî ed accademie, musicali. — In questi vivai della impotenza, maestri, e professori, illustri deficienze, perpetuano il tradizionalismo e combattono ogni sforzo per allargare il campo musicale.
Da ciò repressione prudente e costringimento di ogni tendenza libera e audace; mortificazione costante della intelligenza impetuosa; appoggio incondizionato alla mediocrità che sa copiare e incensare; prostituzione delle grandi glorie musicali del passato, quali armi insidiose di offesa contro il genio nascente; limitazione dello studio ad un vano acrobatismo che si dibatte nella perpetua agonia d’una coltura arretrata e già morta.
I giovani ingegni musicali che stagnano nei conservatorî hanno fissi gli occhi sull’affascinante miraggio dell’opera teatrale sotto la tutela dei grandi editori. La maggior parte la conduce a termine male e peggio, per mancanza di basi ideali e tecniche; pochissimi arrivano a vedersela rappresentata, e di costoro i più [40] sborsando del denaro, per conseguire successi pagati ed effimeri o tolleranza cortese.
La sinfonia pura, ultimo rifugio, accoglie gli operisti mancati, i quali, a loro discolpa, predicano la fine del melodramma come forma assurda e antimusicale. Essi d’altra parte confermano la tradizionale accusa di non essere gli italiani nati per la sinfonia, dimostrandosi inetti anche in questo nobilissimo e vitale genere di composizione. La causa del loro doppio fallimento è unica, e da non ricercarsi nelle innocentissime e non mai abbastanza calunniate forme melodrammatiche e sinfoniche, ma nella loro impotenza.
Essi si valgono, nella loro ascensione, di quella solenne turlupinatura che si chiama musica fatta bene, falsificazione dell’altra vera e grande, copia senza valore venduta ad un pubblico che si lascia ingannare per volontà propria.
Ma i rari fortunati che attraverso a tutte le rinunzie sono riusciti ad ottenere la protezione dei grandi editori, ai quali vengono legati da contratti-capestro illusorî ed umilianti, rappresentano la classe dei servi, degli imbelli, dei volontariamente venduti.
I grandi editori-mercanti imperano; assegnano limiti commerciali alle forme melodrammatiche, proclamando, quali modelli da non doversi superare ed insuperabili, le opere basse, rachitiche e volgari di Giacomo Puccini e di Umberto Giordano.
Gli editori pagano poeti perchè sciupino tempo ed intelligenza a fabbricare e ad ammannire — secondo le ricette di quel grottesco pasticciere che si chiama Luigi Illica — quella fetida torta a cui si dà il nome di libretto d’opera.
Gli editori scartano qualsiasi opera che per combinazione sorpassi la mediocrità; col monopolio diffondono e sfruttano la loro merce e ne difendono il campo d’azione da ogni temuto tentativo di ribellione.
Gli editori assumono la tutela ed il privilegio dei gusti del pubblico, e colla complicità della critica, rievocano, quali esempio o monito, tra le lagrime e la [41] commozione generale, il preteso nostro monopolio della melodia e del bel canto e il non mai abbastanza esaltato melodramma italiano, pesante e soffocante gozzo della nazione.
Unico Pietro Mascagni, creatura di editore, ha avuto anima e potere di ribellarsi a tradizioni d’arte, a editori, a pubblico ingannato e viziato. Egli, con l’esempio personale, primo e solo in Italia, ha svelato le vergogne dei monopolii editoriali e la venalità della critica, ed ha affrettata l’ora della nostra liberazione dallo czarismo mercantile e dilettantesco nella musica. — Con molta genialità Pietro Mascagni ha avuto dei veri tentativi d’innovazione nella parte armonica e nella parte lirica del melodramma, pur non giungendo ancora a liberarsi dalle forme tradizionali.
L’onta e il fango che io ho denunziato in sintesi rappresentano fedelmente il passato dell’Italia nei suoi rapporti con l’arte e coi costumi dell’oggi: industria dei morti, culto dei cimiteri, inaridimento delle sorgenti vitali.
Il Futurismo, ribellione della vita della intuizione e del sentimento, primavera fremente ed impetuosa, dichiara guerra inesorabile alla dottrina, all’individuo e all’opera che ripeta, prolunghi o esalti il passato a danno del futuro. Esso proclama la conquista della libertà amorale di azione, di coscienza e di concepimento; proclama che Arte è disinteresse, eroismo, disprezzo dei facili successi.
Io dispiego all’aria libera e al sole la rossa bandiera del Futurismo, chiamando sotto il suo simbolo fiammeggiante quanti giovani compositori abbiano cuore per amare e per combattere, mente per concepire, fronte immune da viltà. Ed urlo la gioia di sentirmi sciolto da ogni vincolo di tradizione, di dubbi, d’opportunismo e di vanità.
Io che ripudio il titolo di maestro, come marchio di uguaglianza nella mediocrità e nell’ignoranza, confermo qui la mia entusiastica adesione al Futurismo, porgendo ai giovani agli arditi, ai temerarî, queste mie irrevocabili[42]
CONCLUSIONI
1. — CONVINCERE I GIOVANI COMPOSITORI A DISERTARE LICEI, CONSERVATORII E ACCADEMIE MUSICALI, E A CONSIDERARE LO STUDIO LIBERO COME UNICO MEZZO DI RIGENERAZIONE.
2. — COMBATTERE CON ASSIDUO DISPREZZO I CRITICI, FATALMENTE VENALI E IGNORANTI, LIBERANDO IL PUBBLICO DALL’INFLUENZA MALEFICA DEI LORO SCRITTI. FONDARE A QUESTO SCOPO UNA RIVISTA MUSICALE INDIPENDENTE E RISOLUTAMENTE AVVERSA AI CRITERII DEI PROFESSORI DI CONSERVATORIO E A QUELLI AVVILITI DEL PUBBLICO.
3. — ASTENERSI DAL PARTECIPARE A QUALUNQUE CONCORSO CON LE SOLITE BUSTE CHIUSE E LE RELATIVE TASSE D’AMMISSIONE, DENUNZIANDONE PUBBLICAMENTE LE MISTIFICAZIONI E SVELANDO LA INCOMPETENZA DELLE GIURIE, GENERALMENTE COMPOSTE DI CRETINI E DI RAMMOLLITI.
4. — TENERSI LONTANI DAGLI AMBIENTI COMMERCIALI O ACCADEMICI, DISPREZZANDOLI, E PREFERENDO VITA MODESTA A LAUTI GUADAGNI PER I QUALI L’ARTE SI DOVESSE VENDERE.
5. LIBERARE LA PROPRIA SENSIBILITÀ MUSICALE DA OGNI IMITAZIONE O INFLUENZA DEL PASSATO, SENTIRE E CANTARE CON[43] L’ANIMA RIVOLTA ALL’AVVENIRE, ATTINGENDO ISPIRAZIONE ED ESTETICA DALLA NATURA, ATTRAVERSO TUTTI I SUOI FENOMENI PRESENTI UMANI ED EXTRAUMANI; ESALTARE L’UOMO-SIMBOLO RINNOVANTESI PERENNEMENTE NEI VARII ASPETTI DELLA VITA MODERNA E NELLE INFINITE SUE RELAZIONI INTIME CON LA NATURA.
6. — DISTRUGGERE IL PREGIUDIZIO DELLA MUSICA «FATTA BENE» — RETTORICA ED IMPOTENZA — PROCLAMARE UN CONCETTO UNICO DI MUSICA FUTURISTA, CIOÈ ASSOLUTAMENTE DIVERSA DA QUELLA FATTA FINORA. FORMARE COSÌ IN ITALIA UN GUSTO MUSICALE FUTURISTA, E DISTRUGGERE I VALORI DOTTRINARI, ACCADEMICI E SOPORIFERI, DICHIARANDO ODIOSA, STUPIDA E VILE LA FRASE: «TORNIAMO ALL’ANTICO».
7. — PROCLAMARE CHE IL REGNO DEL CANTANTE DEVE FINIRE E CHE L’IMPORTANZA DEL CANTANTE RISPETTO ALL’OPERA D’ARTE CORRISPONDE ALL’IMPORTANZA DI UNO STRUMENTO DELL’ORCHESTRA.
8. — TRASFORMARE IL TITOLO ED IL VALORE DI «LIBRETTO D’OPERA» NEL TITOLO E VALORE DI «POEMA DRAMMATICO O TRAGICO PER LA MUSICA» SOSTITUENDO ALLE METRICHE IL VERSO LIBERO. OGNI OPERISTA D’ALTRONDE, DEVE ASSOLUTAMENTE E NECESSARIAMENTE ESSERE AUTORE DEL PROPRIO POEMA.
9. — COMBATTERE CATEGORICAMENTE LE RICOSTRUZIONI STORICHE E L’ALLESTI[44]MENTO SCENICO TRADIZIONALE E DICHIARARE STUPIDO IL DISPREZZO CHE SI HA PEL COSTUME CONTEMPORANEO.
10. COMBATTERE LE ROMANZE DEL GENERE TOSTI E COSTA, LE STOMACHEVOLI CANZONETTE NAPOLETANE E LA MUSICA SACRA, CHE NON AVENDO PIÙ ALCUNA RAGIONE DI ESSERE, DATO IL FALLIMENTO DELLA FEDE, È DIVENTATA MONOPOLIO ESCLUSIVO D’IMPOTENTI DIRETTORI DI CONSERVATORIO E DI QUALCHE PRETE INCOMPLETO.
11. — PROVOCARE NEI PUBBLICI UNA OSTILITÀ SEMPRE CRESCENTE CONTRO LE ESUMAZIONI DI OPERE VECCHIE CHE VIETANO L’APPARIZIONE DEI MAESTRI NOVATORI, ED APPOGGIARE INVECE ED ESALTARE TUTTO CIÒ CHE IN MUSICA APPAIA ORIGINALE E RIVOLUZIONARIO; RITENENDO UN ONORE L’INGIURIA E L’IRONIA DEI MORIBONDI E DEGLI OPPORTUNISTI.
Ed ora la reazione dei passatisti mi si riversi pure addosso con tutte le sue furie. Io serenamente rido e me ne infischio: sono asceso oltre il passato, e chiamo ad alta voce i giovani musicisti intorno alla bandiera del Futurismo che, lanciato dal poeta Marinetti nel Figaro di Parigi, ha conquistato, in breve volgere di tempo i massimi centri intellettuali del mondo. [45]
BALILLA PRATELLA
29 Marzo 1911.
Tutti gli innovatori sono stati logicamente futuristi, in relazione ai loro tempi. Palestrina avrebbe giudicato pazzo Bach, e così Bach avrebbe giudicato Beethoven, e così Beethoven avrebbe giudicato Wagner.
Rossini si vantava di aver finalmente capito la musica di Wagner leggendola a rovescio! Verdi, dopo un’audizione dell’ouverture del Tannhäuser, in una lettera a un suo amico chiamava Wagner matto.
Siamo dunque alla finestra di un manicomio glorioso, mentre dichiariamo, senza esitare, che il contrappunto e la fuga, ancor oggi considerati come il ramo più importante dell’insegnamento musicale, non rappresentano altro che ruderi appartenenti alla storia della polifonia, propriamente di quel periodo che corre dai fiamminghi fino a G. S. Bach. In loro sostituzione, la polifonia armonica, fusione razionale del contrappunto con l’armonia, impedirà al musicista, una volta per sempre, di sdoppiarsi fra due culture: una trapassata di qualche secolo, l’altra contemporanea; inconciliabili fra di loro perchè prodotte da due ben differenti maniere di sentire e di concepire. La seconda, per ragioni logiche di progresso e di evoluzione, è già lontana ed irraggiungibile conseguenza della prima con l’averla riassunta, trasformata e di gran lunga sorpassata.[46]
L’armonia, anticamente sottintesa nella melodia — suoni susseguentisi secondo diversi modi di scala — nacque quando ciascun suono della melodia fu considerato in rapporto di combinazione con tutti gli altri suoni del modo di scala a cui apparteneva.
In tal maniera si arrivò a comprendere che la melodia è la sintesi espressiva di una successione armonica. Oggi si grida e si lamenta che i giovani musicisti non sanno più trovare melodie, alludendo senza dubbio a quelle di Rossini, di Bellini, di Verdi o di Ponchielli.... Si concepisca invece la melodia armonicamente; si senta l’armonia attraverso diverse e più complesse combinazioni e successioni di suoni, ed allora si troveranno nuove fonti di melodia.
Si finirà così una volta per sempre di essere dei vili imitatori d’un passato che non ha più ragione di essere, e dei solleticatori venali del gusto basso del pubblico.
Noi futuristi proclamiamo che i diversi modi di scala antichi, che le varie sensazioni di maggiore, minore, eccedente, diminuito, e che pure i recentissimi modi di scala per toni interi non sono altro che semplici particolari di un unico modo armonico ed atonale di scala cromatica. Dichiariamo inoltre inesistenti i valori di consonanza e di dissonanza.
Dalle innumerevoli combinazioni e dalle svariate relazioni che ne deriveranno fiorirà la melodia futurista. Questa melodia altro non sarà che la sintesi dell’armonia, simile alla linea ideale formata dall’incessante fiorire di mille onde marine dalle creste ineguali.
Noi futuristi proclamiamo quale progresso e quale vittoria dell’avvenire sul modo cromatico atonale, la ricerca e la realizzazione del modo enarmonico. Mentre il cromatismo ci fa unicamente usufruire di tutti i suoni contenuti in una scala divisa per semitoni minori e maggiori, l’enarmonia, col contemplare anche le minime suddivisioni del tono, oltre al prestare alla nostra sensibilità rinnovata il numero massimo di [47] suoni determinabili e combinabili, ci permette anche nuove e più svariate relazioni di accordi e di timbri.
Ma sopra ogni cosa l’enarmonia ci rende possibili l’intonazione e la modulazione naturali ed istintive degl’intervalli enarmonici, presentemente infattibili data l’artificiosità della nostra scala a sistema temperato, che noi vogliamo superare. Noi futuristi amiamo da molto tempo questi intervalli enarmonici che troviamo solo nelle stonature dell’orchestra, quando gli strumenti suonano in impianti diversi, e nei canti spontanei del popolo, quando sono intonati senza preoccupazioni d’arte.
Il ritmo di danza: monotono, limitato, decrepito e barbaro, dovrà cedere il dominio della polifonia ad un libero procedimento poliritmico, limitandosi a rimanerne un particolare caratteristico.
Perciò si dovranno considerare relativi fra di loro i tempi pari, dispari e misti, come già similmente si considerano i ritmi binarî, ternarî, ternarî-binarî e binarî-ternarî. Una o più battute in tempo dispari in mezzo od a chiusura di un periodo di battuta in tempo pari o misto e viceversa non si dovranno più condannare con le leggi ridicole e fallaci della così detta quadratura, disprezzabile paracqua di tutti gli impotenti che insegnano nei conservatorî.
L’alternarsi e il succedersi di tutti i tempi e di tutti i ritmi possibili troveranno il loro giusto equilibrio solamente nei senso geniale ed estetico dell’artista creatore.
La conoscenza dell’istrumentazione si dovrà conquistare sperimentalmente. La composizione istrumentale si concepisca istrumentalmente, immaginando e sentendo un’orchestra particolare per ogni particolare e diversa condizione musicale dello spirito.
Tutto ciò sarà possibile quando, disertati i conservatorî, i licei e le accademie, e determinatane la chiusura, si vorrà finalmente provvedere alle necessità dell’esperienza, col dare agli studî musicali un carattere di libertà assoluta. I maestri d’oggi, trasformati negli [48] esperti di domani, saranno guide e collaboratori oggettivi degli studiosi, cessando di corrompere inconsciamente i genî nascenti, col trascinarli dietro la propria personalità e con l’imporre lori i proprî errori e i proprî criterî.
Per l’uomo, la verità assoluta sta in ciò che egli sente umanamente. L’artista, coll’interpretare virginalmente la natura, l’umanizza rendendola vera.
Cielo, acque, foreste, fiumi, montagne, intrichi di navi e città brulicanti, attraverso a l’anima del musicista si trasformano in voci meravigliose e possenti, che cantano umanamente le passioni e la volontà dell’uomo, per la sua gioia e per i suoi dolori, e gli svelano in virtù dell’arte il vincolo comune e indissolubile che lo avvince a tutto il resto della natura.
Le forme musicali non sono altro che apparenze e frammenti di un unico tutto ed intero. Ogni forma sta in rapporto alla potenzialità di espressione e di svolgimento del motivo passionale generatore e alla sensibilità e intuizione dell’artista creatore. La retorica e l’ampollosità procedono da una sproporzione fra il motivo passionale e la sua forma esplicativa, prodotta nella maggior parte dei casi da influenze acciecanti di tradizioni, di cultura, di ambiente e spesso da limitazione cerebrale.
Il solo motivo passionale impone al musicista la propria esplicazione formale e sintetica, essendo la sintesi proprietà cardinale dell’espressione e dell’estetica musicale.
Il contrasto di più motivi passionali ed i rapporti fra i loro caratteri espressivi e fra la loro potenzialità di espansione e svolgimento, costituiscono la sinfonia.
La sinfonia futurista considera come sue massime forme: il Poema sinfonico, orchestrale e vocale e l’Opera teatrale.
Il sinfonista puro trae dai suoi motivi passionali svolgimenti, contrasti, linee e forme, con fantasia[49] ampia e libera, non dovendo attenersi ad alcun criterio che non sia il suo senso artistico di equilibrio e di proporzione, e trovando il suo fine nel complesso dei mezzi espressivi ed estetici proprî della pura arte musicale. Questo senso di equilibrio futurista altro non è che il raggiungimento della massima intensità di espressione.
L’operista attrae, in cambio, nell’orbita dell’ispirazione e dell’estetica musicale tutti i riflessi delle altre arti — concorrenza potente alla moltiplicazione dell’efficacia espressiva e comunicativa. — L’operista deve concepire conseguenti alla sua ispirazione ed estetica musicale questi altri elementi secondarî.
La voce umana pure essendo massimo mezzo di espressione, perchè nostra e da noi proveniente, sarà circonfusa dall’orchestra, atmosfera sonora, piena di tutte le voci della natura, rese attraverso l’arte.
La visione del poema sceneggiato balza alla fantasia dell’artista creatore per una sua particolare necessità, sorta dalla volontà di esplicare i motivi passionali generatori ed ispiratori. Il poema drammatico o tragico non si potrà concepire per la musica, se non sarà in conseguenza di uno stato di anima musicale e nell’unica visione, dell’estetica musicale. L’operista, creando ritmi nel collegare le parole, crea già musicalmente ed è autore unico dell’opera propria. Musicando invece la poesia d’altri, egli rinuncia stupidamente alla sua particolare fonte di ispirazione originale, alla sua estetica musicale, ed assume da altri la parte ritmica delle sue melodie.
Il verso libero è il solo adatto, non essendo obbligato a limitazioni di ritmi e di accenti monotonamente ripetentesi in forme ristrette ed insufficienti. L’onda polifonica della poesia umana trova nel verso libero tutti i ritmi, tutti gli accenti e tutti i modi per potersi esuberantemente esprimere, come in una affascinante sinfonia di parole. Tale libertà di espressione ritmica è propria della musica futurista.
L’uomo e la moltitudine degli uomini sulla scena[50] non debbono più imitare facilmente il comune parlare, ma debbono cantare, come quando noi, inconsci del luogo e dell’ora, presi da un’intima volontà di espansione e di dominio, prorompiamo istintivamente nell’essenziale ed affascinante linguaggio umano. Canto naturale, spontaneo, senza la misura dei ritmi o degl’intervalli, artificiosa limitazione dell’espressione, che ci fa rimpiangere l’efficacia della parola.
1. — BISOGNA CONCEPIRE LA MELODIA QUALE UNA SINTESI DELL’ARMONIA CONSIDERANDO LE DEFINIZIONI ARMONICHE DI MAGGIORE, MINORE, ECCEDENTE E DIMINUITO, COME SEMPLICI PARTICOLARI DI UN UNICO MODO CROMATICO ATONALE.
2. — CONSIDERARE LA ENARMONIA COME UNA MAGNIFICA CONQUISTA DEL FUTURISMO.
3. — INFRANGERE IL DOMINIO DEL RITMO DI DANZA, CONSIDERANDO QUESTO RITMO QUALE UN PARTICOLARE DEL RITMO LIBERO, COME IL RITMO DELL’ENDECASILLABO PUÒ ESSERE UN PARTICOLARE DELLA STROFA IN VERSI LIBERI.
4. — CON LA FUSIONE DELL’ARMONIA E DEL CONTRAPPUNTO, CREARE LA POLIFONIA IN UN SENSO ASSOLUTO, NON MAI USATO FINO AD OGGI.
6. — CONSIDERARE LE FORME MUSICALI CONSEGUENTI E DIPENDENTI DAI MOTIVI PASSIONALI GENERATORI.
7. NON SCAMBIARE PER FORMA SINFONICA I SOLITI SCHEMI TRADIZIONALI, TRAPASSATI E SEPOLTI DELLA SINFONIA. [51]
8. — CONCEPIRE L’OPERA TEATRALE COME UNA FORMA SINFONICA.
9. — PROCLAMARE LA NECESSITÀ ASSOLUTA CHE IL MUSICISTA SIA AUTORE DEL POEMA DRAMMATICO O TRAGICO PER LA SUA MUSICA. L’AZIONE SIMBOLICA DEL POEMA DEVE BALZARE ALLA FANTASIA DEL MUSICISTA, INCALZATA DALLA VOLONTÀ DI ESPLICARE MOTIVI PASSIONALI. I VERSI SCRITTI DA ALTRI COSTRINGEREBBERO IL MUSICISTA AD ACCETTARE DA ALTRI IL RITMO PER LA PROPRIA MUSICA.
10. — RICONOSCERE NEL VERSO LIBERO L’UNICO MEZZO PER GIUNGERE AD UN CRITERIO DI LIBERTÀ POLIRITMICA.
11. — PORTARE NELLA MUSICA TUTTI I NUOVI ATTEGGIAMENTI DELLA NATURA, SEMPRE DIVERSAMENTE DOMATA DALL’UOMO PER VIRTÙ DELLE INCESSANTI SCOPERTE SCIENTIFICHE. DARE L’ANIMA MUSICALE DELLE FOLLE, DEI GRANDI CANTIERI INDUSTRIALI, DEI TRENI, DEI TRANSATLANTICI, DELLE CORAZZATE, DEGLI AUTOMOBILI E DEGLI AEROPLANI. AGGIUNGERE AI GRANDI MOTIVI CENTRALI DEL POEMA MUSICALE IL DOMINIO DELLA MACCHINA ED IL REGNO VITTORIOSO DELLA ELETTRICITÀ.
MARINETTI.
Pubbl. dalla rivista “Prometeo” di Madrid — Giugno 1911.
Ho sognato d’un gran popolo: — certo del vostro, Spagnuoli!
L’ho visto avanzarsi, d’età in età, conquistando le montagne, salendo sempre più in alto, verso la grande luce che splende oltre le cime inaccessibili.
Dall’alto dello Zenit, ho contemplato in sogno le vostre innumerevoli navi ben cariche formanti, lunghi cortei di formiche sulla verde prateria del mare, così da congiungere isole ad isole, come tanti formicai, e indifferenti ai cicloni, pedate formidabili di un dio che voi non temete.
Quanto a voi, costruttori di città, soldati e bifolchi, camminavate di un passo forte che faceva le strade, trascinando una lunga retroguardia di donne, di fanciulli, e di perfidi monaci.
E furono questi che vi tradirono, attirando sul vostro esercito in marcia tutti i pesanti climi d’Africa, stregoni e lenoni aerei che complottano nelle cupe gole della Sierra Nevada.
Mille brezze avvelenatrici spiavano il vostro passaggio; mille morbide primavere dall’ali di vampiro vi assopirono voluttuosamente. Subito le lupe della lussuria, urlarono in fondo ai boschi. Ai lenti soffi rosei del crepuscolo, gli uomini schiacciarono sotto i baci le donne ignude fra le loro braccia. Forse speravano essi di fare impazzire di gelosia le stelle, inafferrabili, perdute lontano, nell’abisso delle notti!... Oppure, la paura di morire li spingeva a ripetere senza fine i giuochi della morte nei letti dell’amore! Certo, [53] le ultime fiamme dell’Inferno che andava spegnendosi lambirono le loro schiene di maschi accaniti sui bei sessi golosi....
E frattanto il vecchio sole cristiano moriva in un tumulto di nuvole striate di sangue, che scoppiarono ad un tratto, per vomitare, rossa e ribollente, la Rivoluzione francese, formidabile uragano di giustizia.
Nell’immensa inondazione di libertà, cancellate finalmente tutte le strade dell’autorità, voi gridaste lungamente la vostra angoscia ai monaci sornioni che facevan cauti la ronda intorno alle vostre ricchezze ammucchiate.
Ed eccoli tutti chini su di voi, borbottando:
«Figliuoli, entrate, entrate, con noi nella cattedrale di Dio!... È antica, ma solida ancora! Entrate, pecorelle.... Riparatevi in questo ovile! Ascoltate le sante campane amorevoli, che fanno ondeggiare i loro suoni come le Andaluse fanno ondeggiare i loro fianchi rotondi. Noi abbiamo coperti di rose e di viole gli altari della Madonna. La penombra delle cappelle è misteriosa come quella della camera nuziale. Le fiamme dei nostri ceri sono simili ai garofani rossi che ridono tra i denti delle vostre languide femmine.... Venite! Avrete amore, profumi, oro e seta, e avrete anche delle canzoni, poichè la Vergine è indulgente!....»
A queste parole, voi staccaste gli occhi dalle costellazioni indecifrabili, e la vasta paura dei firmamenti vi spinse nei portici affamati della cattedrale, sotto la voce liquefacente dell’organo, che vi spezzò completamente le ginocchia.
Ed ora che vedo?.... Nella notte impenetrabile, la cattedrale trema sotto la rabbia di una pioggia scrosciante. Il terrore soffocante solleva a stento, dovunque, giganteschi macigni di tenebre. L’uragano con una voce desolata accompagna i gemiti lunghi dell’organo, e a quando a quando le loro voci commiste si prolungano in un fracasso di ruina. Sono le mura del chiostro che crollano!...[54]
Spagnuoli! Spagnuoli! Che mai aspettate, così atterrati dallo spavento, con la faccia al suolo nell’ammorbante fetore dell’incenso e dei fiori fradici, in questa navata di cattedrale, arca immonda che non può salvarvi dal diluvio, bestiame cristiano, nè condurvi al cielo?... Alzatevi! Arrampicatevi fino alle vostre vetrate ancora spalmate di mistica luna, e contemplate lo spettacolo degli spettacoli!...
Ecco levarsi subitamente in un prodigio, più alta che le sierras di ebano, la sublime Elettricità, unica e divina madre dell’umanità futura, l’Elettricità dal torso guizzante d’argento vivo l’Elettricità dalle mille braccia sfolgoranti e violette....
Ecco! Ecco!... Essa lancia da ogni parte le sue Folgori di diamante, giovani, danzanti e nude, che corrono, per azzurre scale serpeggianti, all’assalto, all’assalto della Cattedrale nera!
Sono più di diecimila, palpitanti, affannate, che si scagliano all’assalto sotto la pioggia, scavalcando i muri, cacciandosi dappertutto, mordendo il ferro fumante delle grondaie e spezzando, con tuffi pazzeschi, le madonne dipinte delle vetrate.
Ma voi tremate in ginocchio come alberi schiantati in un torrente.... Alzatevi!... I più anziani si affrettino a sollevare sulle loro spalle la miglior parte delle vostre ricchezze. Agli altri, ai più giovani un compito più allegro!... Siete voi gli uomini di vent’anni? Sta bene: Ascoltatemi!...
Brandite un candelabro d’oro massiccio e servitevene come di una mazza volteggiante, per fracassare il cranio ai monaci e ai sagrestani!...
Poltiglia sanguinosa, rossa imbottitura con cui tapperete i buchi della vôlta e le vetrate infrante.
Una sanguinante armatura di diaconi e d’arcidiaconi, d’arcivescovi e di cardinali, incastrati l’uno nell’altro, intrecciate le braccia e le gambe, sosterrà le mura pieganti della navata!
Ma affrettatevi dunque, prima che le Folgori trionfanti si avventino su di voi per punirvi della vostra colpa millenaria!...[55]
Poichè voi siete colpevoli del delitto d’estasi e di sonno. Poichè voi siete colpevoli di non aver voluto vivere e di avere assaporata la morte a piccoli sorsi.... Colpevoli di aver soffocato in voi lo spirito, la volontà e l’orgoglio conquistatore, sotto tristi guanciali d’amore, di nostalgia, di lussuria, e di preghiera!...
Ed ora sfondate i battenti della porta, che scricchiolano sui loro cardini vivi!... La bella terra di Spagna è stesa davanti a voi, tutta bruciata dalla sete e tutta pesta da un sole implacabile. Essa vi mostra il suo ventre abbrustolito e disseccato.... Correte, correte dunque a soccorrerla!... Perchè mai indugiate? Ah! un fossato vi arresta; il gran fossato medioevale che difendeva la Cattedrale.... Ebbene: colmatelo, vecchi, gettandovi le ricchezze che vi opprimono la schiena!... Giù, giù tutto insieme: quadri sacri, statue immortali, chitarre grondanti di chiaro di luna, arnesi preferiti dagli avi, metalli e legni preziosi!... Il fossato è troppo vasto, e non vi resta più nulla per riempirlo?... A voi, dunque! Sacrificatevi! Gettatevi giù alla vostra volta!... I vostri vecchi corpi ammucchiati prepareranno la strada alla grande speranza del mondo.
E voi, giovani, voi, coraggiosi, passate sopra!... Che c’è?... Ancora un ostacolo?... Ah! non è altro che un cimitero!... A galoppo!... A galoppo!... Attraversatelo sgambettando come una banda di scolari in baldoria!... Sconvolgete le erbe, le croci e le tombe!... Come rideranno i vostri avi!... Rideranno di una gioia futurista, felici, follemente felici di sentirsi calpestati da piedi più possenti dei loro!
Che cosa portate?.. Delle zappe?.. Sbarazzatevene!.. Esse non hanno scavato altro che fosse mortuarie!...
Per sconvolgere la terra della vita inebriante, ne fucinerete delle altre, fondendo l’oro e l’argento degli ex-voto!
Finalmente, finalmente, voi potete scatenare i vostri sguardi liberati sotto il vasto garrire rivoluzionario delle bandiere dell’aurora![56]
I fiumi in libertà vi indicheranno la via!.. I fiumi che snodano alfine le loro verdi e seriche sciarpe di frescura sulla terra dalla quale avete spazzate via le immondizie clericali!
Poichè, sappiatelo bene, Spagnuoli: il vecchio cielo cattolico lasciando piover giù le sue ruine ha fecondato involontariamente la siccità del vostro grande Altipiano centrale!
Per calmare la vostra sete durante la vostra marcia entusiastica mordetevi fino al sangue le labbra, che vorrebbero ancora pregare, perchè imparino a comandar al Destino schiavo!... Camminate dritto!... Dovete disabituare dalla terra le vostre ginocchia indolenzite poichè ormai non le piegherete più se non per schiacciare i vostri antichi confessori, bizzarri inginocchiatoi!
Essi agonizzano — udite? — sotto questo crollare di pietre e questi urti pesanti di frana che cadenzano i vostri passi.... Ma guai a voi se volgete la testa.... La vecchia Cattedrale nera può ben sprofondarsi, a poco a poco, con le sue vetrate mistiche e i suoi buchi di vôlta debitamente otturati con la fetida poltiglia dei monaci e dei sagrestani!
CONCLUSIONI FUTURISTE
Il progresso della Spagna contemporanea non potrà compiersi senza la formazione di una ricchezza agricola e di una ricchezza industriale.
Spagnuoli! Voi giungerete infallibilmente a questo risultato mediante l’autonomia municipale, e regionale, divenuta indispensabile, e l’istruzione popolare, alla quale il governo deve consacrare ogni anno i 60 milioni di pesetas assorbiti dal culto e dal clero.
Bisogna per questo estirpare in modo totale, e non parziale, il clericalismo, e distruggere il suo corollario, collaboratore e difensore: il Carlismo.
La monarchia abilmente difesa da Canalejas, [57] sta facendo appunto ora questa bella operazione chirurgica.
Se la monarchia non riesce a condurla a termine, se vi sarà, da parte del primo ministro o dei suoi successori, debolezza o tradimento, verrà la volta della repubblica radico-socialista, con Lerroux e Iglesias, che, con mano rivoluzionaria, farà un taglio più profondo e forse definitivo nella carne avvelenata del paese.
Frattanto gli uomini politici, i letterati e gli artisti devono lavorare energicamente, coi loro libri, i loro discorsi le loro conferenze e i loro giornali, a trasformare completamente l’intellettualità spagnuola.
1.) Essi devono, per giungere a questo, esaltare l’orgoglio nazionale sotto tutte le sue forme;
2.) Difendere e sviluppare la dignità e la libertà individuali;
3.) Propagare e glorificare la scienza vittoriosa e il suo eroismo quotidiano;
4.) Dividere nettamente l’idea di patria d’esercito potente e di guerra possibile dall’idea di monarchia reazionaria e clericale;
5.) Fondere l’idea di patria, d’esercito potente e di guerra possibile con l’idea di progresso e di proletariato libero. Educare patriotticamente il proletariato.
6.) Trasformare senza distruggerle tutte le qualità essenziali della razza spagnuola e cioè: l’amore del pericolo e della lotta, il coraggio temerario, l’ispirazione artistica, la spavalderia arrogante e la destrezza muscolare che aureolarono di gloria i vostri poeti, i vostri cantori, i vostri danzatori, i vostri Don Giovanni, e i vostri matadores.
Tutte queste energie traboccanti possono essere canalizzate nei laboratori e nelle officine, sulla terra, sul mare e in cielo, per le innumerevoli conquiste della scienza;
7.) Combattere la tirannia dell’amore, l’ossessione della donna ideale, gli alcool del sentimento [58] e le monotone battaglie dell’adulterio, che estenuano gli uomini di venticinque anni.
8.) Difendere la Spagna dal maggiore dei pericoli e dalla più grave della epidemie intellettuali; il passatismo, cioè il culto metodico e stupido del passato, l’immondo commercio delle nostalgie storiche.
Sappiate, sappiate, Spagnuoli, che la gloriosa Spagna d’un tempo non è assolutamente nulla di fronte alla Spagna che le vostre mani futuriste fabbricheranno un giorno.
Semplice problema di volontà che bisogna risolvere, spezzando brutalmente il circolo vizioso di preti, di toreros, e di suonatori di serenate, nel quale vivete ancora.
Vi lagnate nel vostro paese del fatto che i monelli delle vostre città morte, possono liberamente lanciare dei sassi contro i preziosi merletti di pietra dei vostri Alhambra e contro le vecchie vetrate inimitabili delle vostre chiese!
Oh! via! date dei dolci a codesti monelli benefici poichè vi salvano senza volerlo, dalla più infame e perniciosa delle industrie: lo sfruttamento degli stranieri.
Quanto ai turisti milionari, impotenti voyeurs stupefatti che fiutano le tracce dei grandi uomini d’azione e si divertono talvolta a coprire i loro fragili cranii con un vecchio elmo di guerriero, — disprezzateli tutti, con la loro stupidaggine chiacchierona e col denaro con cui possono arricchirvi! Impedite loro di venire a visitare la vostra Spagna, come vengono a visitare Roma, Venezia, Firenze, ideali cimiteri!...
So bene che c’è chi si sforza di allucinarvi coi guadagni enormi che potrebbe darvi il commercio sapiente del vostro glorioso passato.... Sputatevi sopra, e voltate la testa!...
Voi siete degni, Spagnuoli, di essere dei lavoratori eroici non già dei ciceroni, dei lenoni, dei pittori copisti, dei restauratori di vecchi quadri, degli archeologhi pedanti e dei fabbricanti di falsi capolavori. [59]
Guardatevi dall’attirare sulla Spagna le grottesche carovane dei ricconi cosmopoliti, che portano a spasso il loro snobismo ignorante, la loro stupidità inquieta la loro sete morbosa di nostalgia e i loro sessi restii, invece d’impiegare le loro ultime forze e le loro ricchezze alla costruzione del Futuro!...
I vostri alberghi sono pessimi, le vostre cattedrali ruinano.... Tanto meglio! tanto meglio! Rallegratevene! Rallegratevene! Avete bisogno di grandi porti commercianti, di città industriali, di campagne ubertose irrigate dai vostri grandi fiumi ancora inoperosi.
Voi non ambite, che io sappia, di fare della Spagna una Spagna di Baedecker, stazione climatica di primo ordine: mille musei, centomila panorami e rovine illustri a volontà! [60]
BOCCIONI, CARRÀ, RUSSOLO, BALLA, SEVERINI.
Febbraio 1912.
Dalla famosa serata dell’8 marzo 1910 al Teatro Chiarella di Torino, dove, al fianco del poeta Marinetti lanciammo il nostro primo manifesto della Pittura futurista contro migliaia d’avversari, noi abbiamo molto combattuto, molto conquistato e intensamente lavorato!
E oggi possiamo affermare senza alcuna boria, che questa Esposizione di Pittura futurista è la più importante manifestazione dell’arte Italiana, da Michelangelo ad oggi.
Noi siamo infatti, dopo secoli di letargo, i soli giovani italiani che veramente si preoccupino di rinnovare la pittura e la scultura del nostro grande paese, obbrobriosamente disonorate dalla più vile apatia intellettuale e dal commercialismo più spudorato.
Le esposizioni futuriste di Parigi, Londra, Berlino, Bruxelles, Amburgo, Amsterdam, l’Aja, Monaco, Vienna, Budapest che suscitarono così vasto tumulto di polemiche hanno dimostrato che solo per noi oggi l’Italia è all’avanguardia della pittura mondiale.
Con un accanito fervore di ricerche, abbiamo rapidamente maturato e superato in noi stessi tutte le meravigliose fasi della pittura francese nel diciannovesimo secolo, fino alle ultime espressioni dei nostri amici Fauves e Cubisti, dai quali, malgrado la nostra stima e la nostra amicizia personale, dissentiamo.[61]
L’importanza decisiva della nostra rivoluzione artistica è stata constatata dai maggiori critici esteri, fra i quali ci basta citare Brooke, del Times, P. G. Konody, della Pall Mall Gazette, Herwarth Walden della rivista Der Sturm, Ray Nyst della Belgique artistique et littéraire, e il poeta Gustave Kahn. L’illustre creatore del verso libero francese, che è anche il più moderno critico d’arte parigino, proclamò infatti in due articoli del Mercure de France che «certamente non si vide mai un movimento novatore altrettanto importante, dopo le prime esposizioni dei Pointillistes.»
⁂
Pure ammirando l’eroismo dei nostri amici Cubisti, pittori di altissimo valore, che hanno manifestato un lodevole disprezzo per il mercantilismo artistico e un odio possente contro l’accademismo, noi ci sentiamo e ci dichiariamo assolutamente opposti alla loro arte.
Essi si accaniscono a dipingere l’immobile, l’agghiacciato e tutti gli aspetti statici della natura. Adorano il tradizionalismo di Poussin, d’Ingres, di Corot, invecchiando e pietrificando la loro arte con una ostinazione passatista che rimane, per noi, assolutamente incomprensibile.
Con dei punti di vista assolutamente avveniristici, invece, noi cerchiamo uno stile del movimento, il che non fu mai tentato prima di noi.
Ben lontani dall’appoggiarci sull’esempio dei Greci e degli Antichi, noi esaltiamo incessantemente l’intuizione individuale, con lo scopo di fissare leggi completamente nuove, che possano liberare la pittura dall’ondeggiante incertezza nella quale si trascina.
La nostra volontà di dare, quanto più sia possibile, ai nostri quadri una costruzione solida non potrà certo ricondurci ad una tradizione passata qualsiasi. Ne siamo convinti!
Tutte le verità imparate nelle scuole o negli studi [62] sono per noi abolite. Le nostre mani sono abbastanza libere e abbastanza vergini per ricominciare tutto.
È indiscutibile che molte affermazioni estetiche dei nostri compagni di Francia rivelano una specie di accademismo larvato.
Non è infatti un ritornare all’Accademia, il dichiarare che il soggetto, in pittura, ha un valore assolutamente insignificante?
Noi dichiariamo invece che non può esistere pittura moderna senza il punto di partenza di una concezione assolutamente moderna, e nessuno può contraddirci quando affermiamo che la nostra pittura è fatta di concezione e sensazione finalmente riunite.
Se i nostri quadri sono futuristi, è perchè essi rappresentano, il risultato di concezioni etiche, estetiche politiche, e sociali, assolutamente futuriste.
Dipingere fissando il modello in posa è un’assurdità, e una viltà mentale, anche se il modello è tradotto nel quadro in forme lineari, sferiche o cubiche.
Dare un valore allegorico ad un nudo qualunque, traendo il significato del quadro dall’oggetto che il modello tiene in mano, o da quelli che gli sono disposti intorno, è, secondo noi, la manifestazione di una mentalità tradizionale o accademica.
Questo metodo alquanto simile a quello dei Greci, di Raffaello, di Tiziano, del Veronese è tale da disgustarci!
Pur ripudiando l’impressionismo, noi disapproviamo energicamente la reazione attuale, che vuole uccidere l’essenza dell’impressionismo, cioè il lirismo e il movimento.
Non si può reagire contro la fugacità dell’impressionismo, se non superandolo.
Nulla è più assurdo che il combatterlo adottando le leggi pittoriche che lo precedettero.
I punti di contatto che la nostra ricerca dello stile può avere con ciò che si chiama arte classica non ci riguardano affatto.
Altri cercheranno e troveranno certamente queste [63] analogie, che in ogni caso, non possono essere considerate come un ritorno a dei metodi, a delle concezioni e a dei valori trasmessi dalla pittura classica.
⁂
Alcuni esempi chiariranno la nostra teoria.
Noi non vediamo alcuna differenza fra uno di quei nudi che si chiamano comunemente artistici, e una tavola d’anatomia. C’è invece, una differenza enorme fra uno di quei nudi artistici e la nostra concezione futurista del corpo umano.
La prospettiva com’è intesa dalla maggioranza dei pittori ha per noi lo stesso valore che essi attribuiscono a un progetto d’ingegneria.
La simultaneità degli stati d’animo nell’opera d’arte: ecco la mèta inebbriante della nostra arte.
Spieghiamoci ancora per via d’esempi. Dipingendo una persona al balcone, vista dall’interno, noi non limitiamo la scena a ciò che il quadrato della finestra permette di vedere; ma ci sforziamo di dare il complesso di sensazioni plastiche provate dal pittore che sta al balcone: brulichio soleggiato della strada, doppia fila delle case che si prolungano a destra e a sinistra, balconi fioriti, ecc. Il che significa simultaneità d’ambiente, e quindi dislocazione e smembramento degli oggetti, sparpagliamento e fusione dei dettagli, liberati dalla logica comune e indipendenti gli uni dagli altri.
Per far vivere lo spettatore al centro del quadro, secondo l’espressione del nostro manifesto, bisogna che il quadro sia la sintesi di quello che si ricorda e di quello che si vede.
Bisogna rendere l’invisibile che si agita e che vive al di là degli spessori, ciò che abbiamo a destra, a sinistra e dietro di noi, e non il piccolo quadrato di vita artificialmente chiuso come fra gli scenari d’un teatro.
Nel nostro manifesto, abbiamo dichiarato che bisogna dare la sensazione dinamica, cioè il ritmo parti[64]colare di ogni oggetto, la sua tendenza, il suo movimento, o per dir meglio la sua forza interna.
Si ha l’abitudine di considerare l’essere umano sotto i suoi diversi aspetti di movimento o di calma, di agitazione allegra o di gravità malinconica.
Ma nessuno si accorge che tutti gli oggetti cosidetti inanimati rivelano nelle loro linee, della calma o della follia, della tristezza o della gaiezza. Queste tendenze diverse danno alle linee di cui sono formati un sentimento e un carattere di stabilità pesante o di leggerezza aerea.
Ogni oggetto rivela, per mezzo delle sue linee, come si scomporrebbe secondo le tendenze delle sue forze.
Questa scomposizione non è guidata da leggi fisse ma varia secondo la personalità caratteristica dell’oggetto che è poi la sua psicologia e l’emozione di colui che lo guarda.
Inoltre, ogni oggetto influenza l’oggetto vicino, non per riflessi di luce (fondamento del primitivismo impressionista) ma per una reale concorrenza di linee e delle reali battaglie di piani, secondo la legge di emozione che governa il quadro (fondamento del primitivismo futurista.) Ecco perchè, fra la rumorosa ilarità degli imbecilli, noi dicemmo:
«Le sedici persone che avete intorno a voi in un tram che corre sono una, dieci, quattro, tre; stanno ferme e si muovono; vanno e vengono, rimbalzano sulla strada, divorate da una zona di sole, indi tornano a sedersi, simboli persistenti della vibrazione universale. E, talvolta sulla guancia della persona con cui parliamo nella via noi vediamo il cavallo che passa lontano. I nostri corpi entrano nei divani su cui ci sediamo, e i divani entrano in noi, così come il tram che passa entra nelle case, le quali alla lor volta si scaraventano sul tram e con esso si amalgamano».
⁂
Il desiderio d’intensificare l’emozione estetica, fondendo, in qualche modo, la tela dipinta con l’anima dello spettatore ci ha spinti a dichiarare che questo deve ormai essere posto al centro del quadro.
Esso non assisterà, ma parteciperà all’azione. Se dipingiamo le fasi di una sommossa, la folla irta di pugni e i rumorosi assalti della cavalleria si traducono sulla tela in fasci di linee che corrispondono a tutte le forze in conflitto secondo la legge di violenza generale del quadro.
Queste linee-forze devono avviluppare e trascinare lo spettatore, che sarà in qualche modo obbligato a lottare anch’egli coi personaggi del quadro.
Tutti gli oggetti, secondo ciò che il pittore Boccioni chiama felicemente trascendentalismo fisico, tendono verso l’infinito mediante le loro linee-forze, delle quali la nostra intuizione misura la continuità.
Noi dobbiamo appunto disegnare queste linee-forze per ricondurre l’opera d’arte alla vera pittura. Noi interpretiamo la natura dando sulla tela queste linee come i principii o i prolungamenti dei ritmi che gli oggetti imprimono alla nostra sensibilità.
Dopo aver dato per esempio, in un quadro, la spalla o l’orecchio destro di una figura noi troviamo assolutamente inutile dare ugualmente la spalla o l’orecchio sinistro della stessa figura.
Non disegnamo i suoni, ma i loro intervalli vibranti. Non dipingiamo le malattie, ma i loro sintomi e le loro conseguenze.
Chiariremo ancora la nostra idea con un confronto tratto dalla evoluzione della musica.
Non solo noi abbiamo abbandonato in modo radicale il motivo interamente sviluppato secondo il suo movimento fisso e quindi artificiale, ma tagliamo, bruscamente e a piacere nostro, ogni motivo, con uno o più altri motivi, di cui non offriamo mai lo sviluppo [66] intero, ma semplicemente le note iniziali, centrali o finali.
Come vedete, c’è in noi, non solo varietà, ma caos e urto di ritmi assolutamente opposti, che riconduciamo nondimeno ad un’armonia nuova.
Noi giungiamo così a ciò che chiamiamo la pittura degli stati d’animo.
Nella descrizione pittorica dei diversi stati d’animo plastici di una partenza, certe linee perpendicolari, ondulate e come spossate, qua e là attaccate a forme di corpi vuoti, possono facilmente esprimere il languore e lo scoraggiamento.
Linee confuse, sussultanti, rette o curve, che si fondono con gesti abbozzati di richiamo e di fretta, esprimeranno un’agitazione caotica di sentimenti.
Linee orizzontali, fuggenti, rapide e convulse, che taglino brutalmente visi dai profili vaghi e lembi di campagne balzanti daranno l’emozione plastica che suscita in noi colui che parte.
⁂
È quasi impossibile esprimere con parole i valori essenziali della pittura.
Il pubblico deve dunque convincersi che per comprendere sensazioni estetiche alle quali non è abituato, deve dimenticare completamente la propria cultura intellettuale, non per impadronirsi dell’opera d’arte, ma per abbandonarsi a questa.
Noi iniziamo una nuova epoca della pittura.
Noi siamo ormai sicuri di realizzare concezioni della più alta importanza e della più assoluta originalità. Altri ci seguiranno, che con altrettanta audacia e altrettanto accanimento conquisteranno le cime da noi soltanto intraviste. Ecco perchè ci siamo proclamati i primitivi di una sensibilità completamente rinnovata. [67]
⁂
In alcuni dei quadri da noi presentati al pubblico, la vibrazione e il movimento moltiplicano innumerevolmente ogni oggetto.
Così noi abbiamo realizzato la nostra famosa affermazione del cavallo in corsa, che non ha quattro zampe ma venti.
Si possono inoltre notare nei nostri quadri, delle macchie, delle linee, delle zone di colore, che non corrispondono a nessuna realtà ma, secondo una legge della nostra matematica interna, preparano musicalmente ed aumentano l’emozione dello spettatore.
Noi creiamo, così in qualche modo, un ambiente emotivo, cercando a colpi d’intuizione le simpatie e gli attaccamenti che esistono fra la scena esterna (concreta) e l’emozione interna (astratta). Quelle linee, quelle macchie, quelle zone di colore apparentemente illogiche e inesplicabili sono appunto le chiavi misteriose dei nostri quadri.
Ci si rimprovererà certamente di voler troppo definire ed esprimere in modo evidente i legami sottili che uniscono il nostro interno astratto con l’esterno concreto.
Come volete, d’altronde, che noi accordiamo una assoluta libertà di comprensione ad un pubblico che continua a vedere come gli fu insegnato, con occhi falsati dall’abitudine?
Noi andiamo distruggendo ogni giorno in noi e nei nostri quadri, le forme realistiche, e i dettagli evidenti che ci servono ancora a stabilire un ponte d’intelligenza fra noi e il pubblico. Perchè la folla goda del nostro meraviglioso mondo spirituale che le è ignoto, noi siamo ancora costretti a darle delle indicazioni materiali.
Così noi rispondiamo alla curiosità grossolana e semplificatrice che ci circonda, coi lati brutalmente realistici del nostro primitivismo.[68]
CONCLUSIONE
La pittura futurista contiene tre nuove concezioni della pittura:
1. Quella che risolve la questione dei volumi nel quadro, opponendosi alla liquefazione degli oggetti, conseguenza fatale della visione impressionista.
2. Quella che ci porta a tradurre gli oggetti secondo le linee-forze che li caratterizzano, e mediante le quali si ottiene un dinamismo plastico assolutamente nuovo;
3. Quella (conseguenza naturale delle altre due) che vuol dare l’ambiente emotivo del quadro, sintesi dei diversi ritmi astratti di ogni oggetto, da cui scaturisce una fonte di lirismo pittorico fino ad oggi ignorata.
VALENTINE DE SAINT-POINT
25 Marzo 1912.
«Noi vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna».
(Primo Manifesto del Futurismo).
L’Umanità è mediocre. La maggioranza delle donne non è superiore nè inferiore alla maggioranza degli uomini. Esse sono uguali. Tutte e due meritano lo stesso disprezzo.
Il complesso dell’umanità non fu mai altro che il terreno di coltura dal quale balzarono i genii e gli eroi dei due sessi. Ma, nell’umanità come nella natura, vi sono momenti più propizi alla fioritura. Nelle estati dell’umanità come il terreno è arso di sole, i genii e gli eroi abbondano. Noi siamo all’inizio di una primavera; ci manca ancora una profusione di sole, cioè molto sangue sparso.
Le donne come gli uomini, non sono responsabili dell’arenamento di cui soffrono gli esseri veramente giovani, ricchi di linfa e di sangue.
È ASSURDO DIVIDERE L’UMANITÀ IN DONNE E UOMINI; essa è composta soltanto di FEMMINILITÀ e di MASCOLINITÀ.
Ogni superuomo, ogni eroe, per quanto sia epico, ogni genio per quanto sia possente, è l’espressione prodigiosa di una razza e di un’epoca solo perchè è [70] composto, ad un tempo, di elementi femminili e di elementi maschili di femminilità e di mascolinità: cioè un essere completo.
Un individuo esclusivamente virile non è altro che un bruto; un individuo esclusivamente femminile non è altro che una femmina.
Avviene delle collettività e dei momenti dell’umanità come degli individui. I periodi fecondi, in cui dal terreno di cultura in ebullizione balzano fuori in maggior numero genii ed eroi, sono periodi ricchi di mascolinità e di femminilità.
I periodi che ebbero solo delle guerre poco feconde d’eroi rappresentativi, perchè il soffio epico li livellò, furono periodi esclusivamente virili; quelli che rinnegarono l’istinto eroico, e che, rivolti verso il passato, s’annientarono in sogni di pace, furono periodi in cui dominò la femminilità.
Noi viviamo alla fine di uno di questi periodi. CIÒ CHE MANCA DI PIÙ ALLE DONNE COME AGLI UOMINI È LA VIRILITÀ.
Ecco perchè il Futurismo, con tutte le sue esagerazioni, ha ragione.
Per ridare una certa virilità alle nostre razze intorpidite nella femminilità bisogna trascinarle alla virilità, fino alla brutalità.
Ma bisogna imporre a tutti, agli uomini e alle donne ugualmente deboli, un dogma nuovo di energia, per arrivare ad un periodo di umanità superiore.
Ogni donna deve possedere non soltanto delle virtù femminili, ma delle qualità virili; altrimenti è una femmina. E l’uomo che ha soltanto la forza maschia, senza l’intuizione, non è che un bruto.
Ma nel periodo di femminilità in cui viviamo, solo l’esagerazione contraria è salutare. ED È IL BRUTO CHE SI DEVE PROPORRE A MODELLO.
Non più donne di cui i soldati debbano temere «le braccia in fiore che s’intrecciano alle ginocchia il mattino della partenza»; donne infermiere che per[71]petuino le debolezze e le vecchiezze, addomesticando gli uomini pei loro piaceri personali o pei loro bisogni materiali! Non più donne che facciano figli solo per sè stesse, riparandoli da ogni pericolo, da ogni avventura cioè da ogni gioia; che disputano la loro figliuola all’amore e il loro figliuolo alla guerra! Non più donne piovre dei focolari, dai tentacoli che esauriscono il sangue degli uomini e anemizzano i fanciulli; DONNE BESTIALMENTE AMOROSE, CHE DISTRUGGONO NEL DESIDERIO ANCHE LA SUA FORZA DI RINNOVAMENTO!
Le donne sono le Erinni, le Amazzoni; le Semiramide, le Giovanna d’Arco, le Giovanna Hachette; le Giuditta e le Caroline Corday; le Cleopatra e le Messalina, le guerriere che combattono più ferocemente dei maschi, le amanti che incitano, le distruggitrici che spezzando i più fragili contribuiscono alla selezione, mediante l’orgoglio o la disperazione, «la disperazione che dà al cuore tutto il suo rendimento».
Che le prossime guerre suscitino delle eroine simili a quella magnifica Caterina Sforza che, mentre sosteneva l’assedio della sua città, vedendo dall’alto delle mura il nemico minacciare la vita di suo figlio per obbligarla ad arrendersi, mostrando eroicamente il proprio sesso, gridò: «Ammazzatelo pure! Mi rimane lo stampo per farne degli altri!»
Sì, «il mondo è fradicio di saggezza», ma, per istinto, la donna non è saggia, non è pacifista, non è buona.
Perchè ella manca totalmente di misura, ella diventa, in un periodo sonnolento della umanità, troppo saggia, troppo pacifista, troppo buona.
Il suo intuito, la sua immaginazione, sono ad un tempo la sua forza e la sua debolezza.
Ella è l’individualità della folla; fa corteo agli eroi, o, se questi mancano, sostiene gl’imbecilli.
Secondo l’apostolo, incitatore spirituale, la donna, incitatrice carnale, immola o cura, fa scorrere il sangue o lo terge, è guerriera o infermiera.[72]
La stessa donna, in una stessa epoca, a seconda delle idee ambienti, raggruppate intorno all’avvenimento del giorno, si stende sulle rotaie per impedire ai soldati di partire per la guerra, o si getta al collo del campione sportivo vittorioso.
Ecco perchè nessuna rivoluzione deve rimanerle estranea; ecco perchè invece di disprezzare la donna, bisogna rivolgersi a lei.
È la conquista più feconda che si possa fare; è la più entusiasta, che, alla sua volta, moltiplicherà le recinte.
Ma si lasci da canto il Femminismo. Il Femminismo è un errore politico. Il Femminismo è un errore cerebrale della donna, un errore che il suo istinto riconoscerà.
NON BISOGNA DARE ALLE DONNE NESSUNO DEI DIRITTI RECLAMATI DAL FEMMINISMO. L’ACCORDAR LORO QUESTI DIRITTI NON PRODURREBBE ALCUNO DEI DISORDINI AUGURATI DAI FUTURISTI, MA DETERMINEREBBE, ANZI, UN ECCESSO D’ORDINE.
L’attribuire dei doveri alla donna equivale a farle perdere tutta la sua potenza feconda. I ragionamenti e le deduzioni del Femminismo non distruggeranno la sua fatalità primordiale; non posson far altro che falsarla e costringerla a manifestarsi attraverso deviazioni che conducono ai peggiori errori.
Già da secoli si cozza contro l’istinto della donna, null’altro si pregia di lei che la grazia e la tenerezza. L’uomo anemico, avaro del proprio sangue, non le domanda più che di essere un’infermiera. Essa si è lasciata domare. Ma gridatele una parola nuova, lanciate un grido di guerra, e con gioia, cavalcando di nuovo il suo istinto, essa vi precederà verso conquiste insperate.[73]
Quando le vostre armi dovranno servire, la donna le forbirà. Essa contribuirà, di nuovo, alla selezione.
Infatti se non sa ben discernere il genio, perchè ne giudica dalla rinomanza passeggera, la donna seppe sempre premiare il più forte, il vincitore, colui che trionfa pei propri muscoli e pel proprio coraggio. Essa non può sbagliare, su questa superiorità che s’impone brutalmente.
RIACQUISTI LA DONNA LA SUA CRUDELTÀ E LA SUA VIOLENZA CHE FANNO CH’ELLA SI ACCANISCA SUI VINTI, PERCHÈ SONO VINTI, fino a mutilarli. Cessate di predicarle la giustizia spirituale che invano s’è sforzata d’acquistare.
DONNE, RIDIVENTATE SUBLIMAMENTE INGIUSTE, COME TUTTE LE FORZE DELLA NATURA!
Liberate da ogni controllo, ritrovato il vostro istinto, voi riprenderete posto fra gli Elementi, opponendo la fatalità alla cosciente volontà dell’uomo.
Siate la madre egoista e feroce, che custodisce gelosamente i suoi piccoli avendo su loro ciò che si chiama i diritti e i doveri, FINCHÈ ESSI ABBIANO FISICAMENTE BISOGNO DELLA SUA PROTEZIONE.
Che l’uomo, liberato dalla famiglia, viva la propria vita d’audacia e di conquista, non appena ne abbia la forza fisica, e quantunque sia figlio, e quantunque sia padre.
L’uomo che semina non si ferma sul primo solco che feconda.
Nei miei Poèmes d’Orgueil, come nel La Soif et les Mirages, io ho rinnegato il sentimentalismo come una debolezza spregevole, perchè lega delle forze e le immobilizza.
LA LUSSURIA È UNA FORZA, perchè distrugge i deboli, eccita i forti a spendere energie, dunque al loro rinnovamento. Ogni popolo eroico è sensuale: la donna è per esso il più esaltante trofeo. [74]
La donna deve essere madre o amante. Le vere madri saranno sempre amanti mediocri, e le amanti saranno madri insufficienti per eccesso. Uguali di fronte alla vita, queste due donne si completano. La madre che riceve il figlio fa, con del passato dell’avvenire. L’amante dispensa il desiderio che trasporta verso il futuro.
CONCLUDIAMO:
La donna, che colle sue lagrime e il suo sentimentalismo ritiene l’uomo ai suoi piedi, è inferiore alla prostituta che spinge il suo maschio per vanagloria a conservare col revolver in pugno la sua spavalda dominazione sui bassifondi della città. Questa femmina coltiva almeno una energia che potrebbe servire migliori cause.
DONNE, PER TROPPO TEMPO SVIATE FRA LE MORALI E I PREGIUDIZI, RITORNATE AL VOSTRO ISTINTO SUBLIME: ALLA VIOLENZA E ALLA CRUDELTÀ.
Per la fatale decima del sangue, mentre gli uomini guerreggiano e lottano, fate dei figli, e, tra essi, in olocausto all’Eroismo, fate la parte del Destino.
Non li allevate per voi, cioè per la loro diminuzione, bensì in una larga libertà, per uno sviluppo completo.
Invece di ridurre l’uomo alla servitù degli esecrabili bisogni sentimentali, spingete i vostri figliuoli e i vostri uomini a superarsi.
Siete voi che li fate. Voi avete su loro ogni potere.
ALL’UMANITÀ VOI DOVETE DEGLI EROI. DATEGLIELI.[75]
BOCCIONI
11 Aprile 1912.
La scultura nei monumenti e nelle esposizioni di tutte le città d’Europa offre uno spettacolo così compassionevole di barbarie, di goffaggine e di monotona imitazione, che il mio occhio futurista se ne ritrae con profondo disgusto!
Nella scultura d’ogni paese domina l’imitazione cieca e balorda delle formule ereditate dal passato, imitazione che viene incoraggiata dalla doppia vigliaccheria della tradizione e della facilità. Nei paesi latini abbiamo il peso obbrobrioso della Grecia e di Michelangiolo, che è sopportato con qualche serietà d’ingegno in Francia e nel Belgio, con grottesca imbecillaggine in Italia. Nei paesi germanici abbiamo un insulso goticume grecizzante, industrializzato a Berlino o smidollato con cura effeminata dal professorume tedesco a Monaco di Baviera. Nei paesi slavi, invece, un cozzo confuso tra il greco arcaico e i mostri nordici ed orientali. Ammasso informe di influenze che vanno dall’eccesso di particolari astrusi dell’Asia, alla infantile e grottesca ingegnosità dei Lapponi e degli Eschimesi.
In tutte queste manifestazioni della scultura ed anche in quelle che hanno maggior soffio di audacia innovatrice si perpetua lo stesso equivoco: l’artista copia il nudo e studia la statua classica con l’ingenua convinzione di poter trovare uno stile che corrisponda alla sensibilità moderna senza uscire dalla tradizionale concezione della forma scultoria. La quale concezione col suo famoso «ideale di bellezza» di cui[76] tutti parlano genuflessi, non si stacca mai dal periodo fidiaco e dalla sua decadenza.
Ed è quasi inspiegabile come le migliaia di scultori che continuano di generazione in generazione a costruire fantocci non si siano ancora chiesti perchè le sale di scultura siano frequentate con noia ed orrore quando non siano assolutamente deserte, e perchè i monumenti si inaugurino sulle piazze di tutto il mondo tra l’incomprensione o l’ilarità generale. Questo non accade per la pittura, a causa del suo rinnovamento continuo, che, per quanto lento, è la più chiara condanna dell’opera plagiaria e sterile di tutti gli scultori della nostra epoca!
Bisogna che gli scultori si convincano di questa verità assoluta: costruire ancora e voler creare con gli elementi egizi, greci o michelangioleschi è come voler attingere acqua con una secchia senza fondo in una cisterna disseccata!
Non vi può essere rinnovamento alcuno in un’arte se non ne viene rinnovata l’essenza, cioè la visione e la concezione della linea e delle masse che formano l’arabesco. Non è solo riproducendo gli aspetti esteriori della vita contemporanea che l’arte diventa espressione del proprio tempo, e perciò la scultura come è stata intesa fino ad oggi dagli artisti del secolo passato e del presente è un mostruoso anacronismo!
La scultura non ha progredito, a causa della ristrettezza del campo assegnatole dal concetto accademico del nudo. Un’arte che ha bisogno di spogliare interamente un uomo o una donna per cominciare la sua funzione emotiva è un’arte morta! La pittura s’è rinsanguata, approfondita e allargata mediante il paesaggio e l’ambiente fatti simultaneamente agire sulla figura umana o su gli oggetti, giungendo alla nostra futurista COMPENETRAZIONE DEI PIANI. (Manifesto tecnico della Pittura futurista; 11 Aprile 1910). Così la scultura troverà nuova sorgente di emozione, quindi di stile, estendendo la sua plastica a quello che[77] la nostra rozzezza barbara ci ha fatto sino ad oggi considerare come suddiviso, impalpabile, quindi inesprimibile plasticamente.
Noi dobbiamo partire dal nucleo centrale dell’oggetto che si vuol creare, per scoprire le nuove leggi, cioè le nuove forme che lo legano invisibilmente ma matematicamente all’INFINITO PLASTICO APPARENTE e all’INFINITO PLASTICO INTERIORE. La nuova plastica sarà dunque la traduzione nel gesso, nel bronzo, nel vetro, nel legno, e in qualsiasi altra materia, dei piani atmosferici che legano e intersecano le cose. Questa visione che io ho chiamato TRASCENDENTALISMO FISICO (Conferenza sulla Pittura futurista al Circolo Artistico di Roma; Maggio 1911) potrà rendere plastiche le simpatie e le affinità misteriose che creano le reciproche influenze formali dei piani degli oggetti.
La scultura deve quindi far vivere gli oggetti rendendo sensibile, sistematico e plastico il loro prolungamento nello spazio, poichè nessuno può più dubitare che un oggetto finisca dove un altro comincia e non v’è cosa che circondi il nostro corpo: bottiglia, automobile, casa, albero, strada, che non lo tagli e non lo sezioni con un’arabesco di curve rette.
Due sono stati i tentativi di rinnovamento moderno della scultura: uno decorativo per lo stile, l’altro prettamente plastico per la materia. Il primo anonimo e disordinato, mancava del genio tecnico coordinatore, e, troppo legato alle necessità economiche dell’edilizia, non produsse che pezzi di scultura tradizionale più o meno decorativamente sintetizzati e inquadrati in motivi o sagome architettoniche o decorative. Tutti i palazzi e le case costruite con un criterio di modernità hanno in loro questi tentativi in marmo, in cemento o in placche metalliche.
Il secondo più geniale, disinteressato e poetico, ma troppo isolato e frammentario, mancava di un pensiero sintetico che affermasse una legge. Poichè nel[78]l’opera di rinnovamento non basta credere con fervore, ma occorre propugnare e determinare qualche norma che segni una strada. Alludo al genio di Medardo Rosso, a un Italiano, al solo grande scultore moderno che abbia tentato di aprire alla scultura un campo più vasto, di rendere con la plastica le influenze d’un ambiente e i legami atmosferici che lo avvincono al soggetto.
Degli altri tre grandi scultori contemporanei, Constantin Meunier nulla ha portato di nuovo nella sensibilità scultoria. Le sue statue sono quasi sempre fusioni geniali dell’eroico greco con l’atletica umiltà dello scaricatore, del marinaio, del minatore. La sua concezione plastica e costruttiva della statua e del bassorilievo è ancora quella del Partenone o dell’eroe classico, pur avendo egli per la prima volta tentato di creare e divinizzare soggetti prima in lui disprezzati o lasciati alla bassa riproduzione veristica.
La Bourdelle porta nel blocco scultorio una severità quasi rabbiosa di masse astrattamente architettoniche. Temperamento appassionato, torvo, sincero di cercatore, non sa purtroppo liberarsi da una certa influenza arcaica e da quella anonima di tutti i tagliapietra delle cattedrali gotiche.
Rodin è di una agilità spirituale più vasta, che gli permette di andare dall’impressionismo del Balzac all’incertezza dei Borghesi di Calais e a tutti gli altri peccati michelangioleschi. Egli porta nella sua scultura un’ispirazione inquieta un impeto lirico grandioso, che sarebbero veramente moderni se Michelangiolo e Donatello non li avessero avuti, con le quasi identiche forme, quattrocento anni or sono, e se servissero invece ad animare una realtà completamente ricreata.
Abbiamo quindi nell’opera di questi tre grandi ingegni tre influenze di periodi diversi: greca in Meunier; gotica in La Bourdelle; della rinascenza italiana in Rodin.
L’opera di Medardo Rosso è invece rivoluzionaria modernissima, più profonda e necessariamente ri[79]stretta. In essa non si agitano eroi nè simboli, ma il piano d’una fronte di donna o di bimbo accenna ad una liberazione verso lo spazio, che avrà nella storia dello spirito una importanza ben maggiore di quella che non gli abbia dato il nostro tempo. Purtroppo le necessità impressionistiche del tentativo hanno limitato le ricerche di Medardo Rosso ad una specie di alto o bassorilievo, la qual cosa dimostra che, la figura è ancora concepita come mondo a sè, con base tradizionale e scopi episodici.
La rivoluzione di Medardo Rosso, per quanto importantissima, parte da un concetto esteriormente pittorico, trascura il problema d’una nuova costruzione dei piani e il tocco sensuale del pollice, che imita la leggerezza della pennellata impressionista, dà un senso di vivace immediatezza, ma obbliga alla esecuzione rapida dal vero e toglie all’opera d’arte il suo carattere di creazione universale. Ha quindi gli stessi pregi e difetti dell’impressionismo pittorico, dalle cui ricerche parte la nostra rivoluzione estetica, la quale, continuandole, se ne allontana fino all’estremo opposto.
In scultura come in pittura non si può rinnovare se non cercando LO STILE DEL MOVIMENTO, cioè rendendo sistematico e definitivo come sintesi quello che l’impressionismo ha dato come frammentario, accidentale, quindi analitico. E questa sistematizzazione delle vibrazioni delle luci e delle compenetrazioni dei piani produrrà la scultura futurista, il cui fondamento sarà architettonico, non soltanto come costruzione di masse, ma in modo che il blocco scultorio abbia in sè gli elementi architettonici dell’AMBIENTE SCULTORIO in cui vive il soggetto.
Naturalmente noi daremo una scultura D’AMBIENTE.
Una composizione scultoria futurista avrà in sè i meravigliosi elementi matematici e geometrici che compongono gli oggetti del nostro tempo. E questi oggetti non saranno vicino alla statua come attributi [80] esplicativi o elementi decorativi staccati, ma, seguendo le leggi di una nuova concezione dell’armonia, saranno incastrati nelle linee muscolari di un corpo. Così, dall’ascella di un meccanico potrà uscire la ruota d’un congegno, così la linea di un tavolo potrà tagliare la testa di chi legge, e il libro sezionare col suo ventaglio di pagine lo stomaco del lettore.
Tradizionalmente la statua si intaglia e si delinea sullo sfondo atmosferico dell’ambiente in cui è esposta: La pittura futurista ha superata questa concezione della continuità ritmica delle linee in una figura e dell’isolamento di essa dal fondo e dallo SPAZIO AVVILUPPANTE INVISIBILE. «La poesia futurista — secondo il poeta Marinetti — dopo aver distrutta la metrica tradizionale e creato il verso libero distrugge ora la sintassi e il periodo latino. La poesia futurista è una corrente spontanea ininterrotta di analogie, ognuna riassunta intuitivamente nel sostantivo essenziale. Dunque, immaginazione senza fili e parole in libertà». La musica futurista di Balilla Pratella infrange la tirannia cronometrica del ritmo.
Perchè la scultura dovrebbe rimanere indietro, legata a leggi che nessuno ha il diritto di imporle? Rovesciamo tutto, dunque, e proclamiamo l’ASSOLUTA E COMPLETA ABOLIZIONE DELLA LINEA FINITA E DELLA STATUA CHIUSA. SPALANCHIAMO LA FIGURA E CHIUDIAMO IN ESSA L’AMBIENTE. Proclamiamo che l’ambiente deve far parte del blocco plastico come un mondo a sè e con leggi proprie; che il marciapiede può salire sulla vostra tavola e che la vostra testa può attraversare la strada mentre tra una casa e l’altra la vostra lampada allaccia la sua ragnatela di raggi di gesso.
Proclamiamo che tutto il mondo apparente deve precipitarsi su di noi, amalgamandosi, creando un’armonia colla sola misura dell’intuizione creativa; che una gamba un braccio o un oggetto, non avendo importanza se non come elementi del ritmo plastico, pos[81]sono essere aboliti, non per imitare un frammento greco o romano, ma per ubbidire all’armonia che l’autore vuol creare. Un insieme scultorio, come un quadro, non può assomigliare che a sè stesso, poichè la figura e le cose devono vivere in arte al di fuori della logica fisionomica.
Così una figura può essere vestita in un braccio e nuda nell’altro, e le diverse linee d’un vaso di fiori possono rincorrersi agilmente fra le linee del cappello e quelle del collo.
Così dei piani trasparenti, dei vetri, delle lastre di metallo, dei fili, delle luci elettriche esterne o interne potranno indicare i piani, le tendenze, i toni, i semitoni di una nuova realtà.
Così una nuova intuitiva colorazione di bianco, di grigio, di nero, può aumentare la forza emotiva dei piani, mentre la nota di un piano colorato accentuerà con violenza il significato astratto del fatto plastico!
Ciò che abbiamo detto sulle LINEE-FORZE in pittura (Prefazione-manifesto al catalogo della 1ª Esposizione futurista di Parigi; Ottobre 1911) può dirsi anche per la scultura, facendo vivere la linea muscolare statica nella linea-forza dinamica. In questa linea muscolare predominerà la linea retta, che è la sola corrispondente alla semplicità interna della sintesi che noi contrapponiamo al barocchismo esterno della analisi.
Ma la linea retta non ci condurrà alla imitazione degli egizi, dei primitivi o dei selvaggi, come qualche scultore moderno ha disperatamente tentato per liberarsi dal greco. La nostra linea retta sarà viva e palpitante; si presterà a tutte le necessità delle infinite espressioni della materia, e la sua nuda severità fondamentale sarà il simbolo dalla severità di acciaio delle linee del macchinario moderno.
Possiamo infine affermare che nella scultura l’artista non deve indietreggiare davanti a nessun mezzo pur di ottenere una REALTÀ. Nessuna paura è più stu[82]pida di quella che ci fa temere di uscire dall’arte che esercitiamo. Non v’è nè pittura, nè scultura, nè musica, nè poesia, non v’è che creazione! Quindi se una composizione sente il bisogno d’un ritmo speciale di movimento che aiuti o contrasti il ritmo fermato dell’INSIEME SCULTORIO (necessità dell’opera d’arte) si potrà applicarvi un qualsiasi congegno che possa dare un movimento ritmico adeguato a dei piani o a delle linee.
Non possiamo dimenticare che il tic-tac e le sfere in moto di un orologio, che l’entrata o l’uscita di uno stantuffo in un cilindro, che l’aprirsi e il chiudersi di due ruote dentate con l’apparire e lo scomparire continuo dei loro rettangoletti d’acciaio, che la furia di un volante o il turbine di un’elica, sono tutti elementi plastici e pittorici, di cui un’opera scultoria futurista deve valersi. L’aprirsi e il richiudersi di una valvola crea un ritmo altrettanto bello ma infinitamente più nuovo di quello d’una palpebra animale!
CONCLUSIONI:
1. — Proclamare che la scultura si prefigge la ricostruzione astratta dei piani e dei volumi che determinano le forme, non il loro valore figurativo.
2. — ABOLIRE IN SCULTURA come in qualsiasi altra arte IL SUBLIME TRADIZIONALE DEI SOGGETTI.
3. — Negare alla scultura qualsiasi scopo di costruzione episodica veristica, ma affermare la necessità assoluta di servirsi di tutte le realtà per tornare agli elementi essenziali della sensibilità plastica. Quindi percependo i corpi e le loro parti come ZONE PLASTICHE, avremo in una composizione scultoria futurista, piani di legno o di metallo, immobili o meccanicamente mobili, per un oggetto, forme sferiche pelose per i capelli, semicerchi di vetro per un vaso, fili di ferro e reticolati per un piano atmosferico, ecc. [83]
4. — Distruggere la nobiltà tutta letteraria e tradizionale del marmo e del bronzo. Negare l’esclusività di una materia per la intera costruzione d’un insieme scultorio. Affermare che anche venti materie diverse possono concorrere in una sola opera allo scopo dell’emozione plastica. Ne enumeriamo alcune: vetro, legno, cartone, ferro, cemento, crine, cuoio, stoffa, specchi, luce elettrica, ecc. ecc.
5. — Proclamare che nell’intersecazione dei piani di un libro con gli angoli d’una tavola, nelle rette di un fiammifero, nel telaio di una finestra, v’è più verità che in tutti i grovigli di muscoli, in tutti i seni e in tutte le natiche di eroi o di veneri che ispirano la moderna idiozia scultoria.
6. — Che solo una modernissima scelta di soggetti potrà portare alla scoperta di nuove IDEE PLASTICHE.
7. — Che la linea retta è il solo mezzo che possa condurre alla verginità primitiva di una nuova costruzione architettonica delle masse o zone scultorie.
8. — Che non vi può essere rinnovamento se non attraverso la SCULTURA D’AMBIENTE, perchè con essa la plastica si svilupperà, prolungandosi potrà MODELLARE L’ATMOSFERA che circonda le cose.
9. — La cosa che si crea non è che il ponte tra l’INFINITO PLASTICO ESTERIORE e L’INFINITO PLASTICO INTERIORE, quindi gli oggetti non finiscono mai e si intersecano con infinite combinazioni di simpatia e urti di avversione.
10. — Bisogna distruggere il nudo sistematico, il concetto tradizionale della statua e del monumento!
11. — Rifiutare coraggiosamente qualsiasi lavoro, a qualsiasi prezzo, che non abbia in sè una pura costruzione di elementi plastici completamente rinnovati.
BOCCIONI
Giugno-Luglio 1913.
Le opere che presento al pubblico parigino nella Prima Esposizione di Scultura Futurista (Galerie La Boëtie, 20 giugno-16 luglio 1913) sono il punto di partenza del mio Manifesto tecnico della Scultura futurista, pubblicato l’11 aprile 1912.
L’aspirazione tradizionale di fissare nella linea il gesto, e la natura e l’omogeneità della materia impiegata (marmo o bronzo) hanno contribuito a fare della scultura l’arte statica per eccellenza.
Io quindi pensai che scomponendo questa unità di materia in parecchie materie, ognuna delle quali servisse a caratterizzare, con la sua diversità naturale, una diversità di peso e di espansione dei volumi molecolari, si sarebbe già potuto ottenere un elemento dinamico.
Il problema del dinamismo in scultura non dipende però soltanto dalla diversità delle materie ma principalmente dalla interpretazione della forma.
La ricerca della forma sul così detto vero allontanava la scultura (come la pittura) dalla sua origine e perciò dalla mèta verso la quale oggi s’incammina: l’architettura.
L’architettura è per la scultura, quello che la composizione è per la pittura. E la mancanza di architettura è uno dei caratteri negativi della scultura impressionista.
Lo studio preimpressionistico della forma, seguendo un procedimento analogo a quello dei Greci, ci con[85]duce fatalmente a forme morte, e quindi all’immobilità. Questa immobilità è la caratteristica della scultura cubista.
Tra la forma reale e la forma ideale, tra la forma nuova (impressionismo) e la concezione tradizionale (greca) esiste una forma variabile, in evoluzione, diversa da qualsiasi concetto di forma finora esistito: forma in moto (movimento relativo) e moto della forma (movimento assoluto).
Solo questa doppia concezione della forma può dare l’attimo di vita plastica nel suo manifestarsi, senza estrarlo e trasportarlo fuori dal suo ambiente vitale, senza fermarlo nel suo moto, insomma senza ucciderlo.
Tutte queste convinzioni mi spingono a cercare, in scultura, non già la forma pura, ma il ritmo plastico puro, non la costruzione dei corpi, ma la costruzione dell’azione dei corpi. Non già, quindi, come nel passato, un’architettura piramidale, ma un’architettura spiralica. Un corpo in moto non è dunque per me un corpo studiato fermo e poi reso come in movimento, ma un corpo veramente in moto, cioè una realtà vivente, assolutamente nuova e originale.
Per rendere un corpo in moto, io non do, certo la sua traiettoria cioè il suo passaggio da uno stato di riposo a un altro stato di riposo, ma mi sforzo di fissare la forma che esprime la sua continuità nello spazio.
L’osservatore intelligente comprenderà facilmente come da questa costruzione architettonica a spirale sia scaturita la simultaneità scultoria, analoga alla simultaneità pittorica, da noi proclamata ed espressa nella 1ª Esposizione futurista di Parigi (Galerie Bernheim; febbraio 1912).
Gli scultori tradizionali fanno girare la statua su sè stessa davanti allo spettatore, o lo spettatore intorno alla statua. Ogni angolo visuale dello spettatore abbraccia quindi un lato della statua o del gruppo, e ciò non fa che aumentare l’immobilità dell’opera scultoria. [86]
La mia costruzione architettonica a spirale crea invece davanti allo spettatore una continuità di forme che gli permette di seguire, attraverso la forma-forza che scaturisce dalla forma reale, una nuova linea chiusa che determina il corpo nei suoi moti materiali.
La forma-forza è, con la sua direzione centrifuga, la potenzialità della forma reale.
La forma, nella mia scultura è percepita quindi più astrattamente. Lo spettatore deve costruire idealmente una continuità (simultaneità) che gli viene suggerita dalle forme forze, equivalenti della potenza espansiva dei corpi.
Il mio insieme scultorio si svolge nello spazio dato dalla profondità del volume, mostrando lo spessore di qualsiasi profilo, e non tanti profili immobili e siluettistici.
Abolito dunque il profilo come valore a sè, ogni profilo contiene l’accenno degli altri profili (precedenti e susseguenti) che formano l’insieme scultorio.
Inoltre, il mio genio ha incominciato a sviluppare e si propone di realizzare, per mezzo delle sue ricerche assidue e appassionate, il concetto di fusione d’ambiente e oggetto, con conseguente compenetrazione di piani. Io mi propongo insomma di far vivere la figura nel suo ambiente, senza renderla schiava di luci artificiali o fisse, o di un piano d’appoggio. Tali procedimenti distruggerebbero l’«architettonico» e dovrebbero troppo ricorrere all’aiuto della pittura, secondo l’errore fondamentale della scultura impressionista.
Allargando quindi la concezione dell’oggetto scultorio ad una risultante plastica di oggetto e ambiente si avrà la necessaria abolizione della distanza che esiste, per esempio, tra una figura e una casa lontana 200 metri. Si avranno, inoltre, il prolungarsi di un corpo nel raggio di luce che lo colpisce e l’entrare di un vuoto nel pieno che gli passa davanti.
Io ottengo tutto questo unendo dei blocchi atmosferici ad elementi di realtà più concreti. [87]
Quindi, se una calotta sferica (equivalente plastico di una testa) è attraversata dalla facciata di un palazzo il semicerchio interrotto il quadrato della facciata che lo interrompe formano insieme una figura nuova, una nuova unità composta di ambiente+oggetto.
Bisogna dimenticare completamente la figura chiusa nella linea tradizionale e dare invece la figura come centro di direzioni plastiche nello spazio.
Gli scultori schiavi delle tradizioni del mestiere mi domandano terrorizzati come potrò fermare la periferia dell’insieme scultorio, dato che in scultura la figura si ferma nella linea che fatalmente determina la materia isolata nello spazio (sia, questa materia, creta, gesso, marmo, bronzo, legno, o vetro).
A costoro io rispondo che io posso far sfumare la periferia di un insieme scultorio nello spazio, colorendone di nero o di grigio gli estremi contorni con gradazione di chiari verso il centro. Così creo un chiaroscuro ausiliare che mi dà un nucleo nell’ambiente atmosferico (primo risultato dell’impressionismo). Questo nucleo serve ad aumentare la forza del nucleo scultorio nel suo ambiente composto di direzioni plastiche (dinamismo).
Quando non giudico necessario servirmi delle colorazioni, trascuro questo mezzo materiale di espansioni o sfumature nello spazio, e lascio vivere le sinuosità, le interruzioni, la corsa di rette e di curve nella direzione suggerita dal moto dei corpi.
Avremo, ad ogni modo, il risultato di uscire finalmente dalla ripugnante e odiosa continuità della figura greca, gotica o michelangiolesca. [88]
MARINETTI
11 Maggio 1912.
In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell’aviatore, io sentii l’inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino! Questo ha naturalmente, come ogni imbecille, una testa previdente un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un momento e fermarsi quasi subito sbuffando!
Ecco che cosa mi disse l’elica turbinante, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti fumaiuoli di Milano. E l’elica soggiunse:
1. — BISOGNA DISTRUGGERE LA SINTASSI DISPONENDO I SOSTANTIVI A CASO, COME NASCONO.
2. — SI DEVE USARE IL VERBO ALL’INFINITO, perchè si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’io dello scrittore che osserva o immagina. Il verbo all’infinito può, solo, dare il senso della continuità della vita e l’elasticità dell’intuizione che la percepisce.
3. — SI DEVE ABOLIRE L’AGGETTIVO perchè il sostantivo nudo conservi il suo colore essenziale. L’aggettivo avendo in sè un carattere di sfumatura, è inconcepibile con la nostra visione dinamica, poichè suppone una sosta, una meditazione.
4. — SI DEVE ABOLIRE L’AVVERBIO, vec[89]chia fibbia che tiene unite l’una all’altra le parole. L’avverbio conserva alla frase una fastidiosa unità di tono.
5. — OGNI SOSTANTIVO DEVE AVERE IL SUO DOPPIO, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia. Esempio: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto.
Siccome la velocità aerea ha moltiplicato la nostra conoscenza del mondo, la percezione per analogia diventa sempre più naturale per l’uomo. Bisogna dunque sopprimere il come, il quale, il così, il simile a. Meglio ancora, bisogna fondere direttamente l’oggetto coll’immagine che esso evoca, dando l’immagine in iscorcio mediante una sola parola essenziale.
6. — ABOLIRE ANCHE LA PUNTEGGIATURA. Essendo soppressi gli aggettivi, gli avverbi e le congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella continuità varia di uno stile vivo che si crea da sè, senza le soste assurde delle virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare le loro direzioni, s’impiegheranno segni della matematica: + − × : = > <, e i segni musicali.
7. — Gli scrittori si sono abbandonati finora all’analogia immediata. Hanno paragonato per esempio l’animale all’uomo o ad un'altro animale, il che equivale ancora, press’a poco, a una specie di fotografia. (Hanno paragonato per esempio un fox-terrier a un piccolissimo puro-sangue. Altri, più avanzati, potrebbero paragonare quello stesso fox-terrier trepidante, a una piccola macchina Morse. Io lo paragono invece, a un’acqua ribollente. V’è in ciò una GRADAZIONE DI ANALOGIE SEMPRE PIÙ VASTE, vi sono dei rapporti sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi.)
L’analogia non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale, ad un tempo policrono, polifonico, e polimorfo, può abbracciare la vita della materia. [90]
Quando nella mia Battaglia di Tripoli, ho paragonato una trincea irta di baionette a un’orchestra, una mitragliatrice ad una donna fatale, ho introdotto intuitivamente una gran parte dell’universo in un breve episodio di battaglia africana.
Le immagini non sono fiori da scegliere e da cogliere con parsimonia, come diceva Voltaire. Esse costituiscono il sangue stesso della poesia. La poesia deve essere un seguito ininterrotto d’immagini nuove senza di che non è altro che anemia e clorosi.
Quanto più le immagini contengono rapporti vasti, tanto più a lungo esse conservano la loro forza di stupefazione. Bisogna — dicono — risparmiare la meraviglia del lettore. Eh! via! Curiamoci, piuttosto, della fatale corrosione del tempo, che distrugge non solo il valore espressivo di un capolavoro, ma anche la sua forza di stupefazione. Le nostre vecchie orecchie troppe volte entusiaste non hanno forse già distrutto Beethoven e Wagner? Bisogna dunque abolire nella lingua tutto ciò che essa contiene in fatto d’immagini stereotipate, di metafore scolorite, e cioè quasi tutto.
8. — NON VI SONO CATEGORIE D’IMMAGINI, nobili o grossolane o volgari, eccentriche o naturali. L’intuizione che le percepisce non ha nè preferenze nè partiti-presi. Lo stile analogico è dunque padrone assoluto di tutta la materia e della sua intensa vita.
9. — Per dare i movimenti successivi d’un oggetto bisogna dare la catena delle analogie che esso evoca, ognuna condensata, raccolta in una parola essenziale.
Ecco un esempio espressivo di una catena di analogie ancora mascherate e appesantite dalla sintassi tradizionale.
«Eh sì! voi siete, piccola mitragliatrice, una donna affascinante, e sinistra, e divina, al volante di un’invisibile centocavalli, che rugge con scoppii d’impazienza. Oh! certo fra poco balzerete nel circuito della morte, verso il capitombolo fracassante o la vittoria!... Volete [91] che io vi faccia dei madrigali pieni di grazia e di colore? A vostra scelta signora.... Voi somigliate per me, a un tribuno proteso, la cui lingua eloquente, instancabile, colpisce al cuore gli uditori in cerchio, commossi... Siete, in questo momento, un trapano onnipotente, che fora in tondo il cranio troppo duro di questa notte ostinata.... Siete, anche, un laminatoio, un tornio elettrico, e che altro? Un gran cannello ossidrico che brucia, cesella e fonde a poco a poco le punte metalliche delle ultime stelle!....» («Battaglia di Tripoli»).
In certi casi bisognerà unire le immagini a due a due, come le palle incatenate, che schiantano, nel loro volo tutto un gruppo d’alberi.
Per avviluppare e cogliere tutto ciò che vi è di più fuggevole e di più inafferrabile nella materia, bisogna formare delle STRETTE RETI D’IMMAGINI O ANALOGIE, che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni. Salvo la forma a festoni tradizionale, questo periodo del mio Mafarka il futurista è un esempio di una simile fitta rete di immagini:
«Tutta l’acre dolcezza della gioventù scomparsa gli saliva su per la gola, come dai cortili delle scuole salgono le grida allegre dei fanciulli verso i maestri affacciati al parapetto delle terrazze da cui si vedono fuggire i bastimenti....».
Ed ecco ancora tre reti d’immagini:
«Intorno al pozzo della Bumeliana, sotto gli olivi folti, tre cammelli comodamente accovacciati nella sabbia si gargarizzavano dalla contentezza, come vecchie grondaie di pietra, mescolando il ciac-ciac dei loro sputacchi ai tonfi regolari della pompa a vapore che dà da bere alla città. Stridori e dissonanze futuriste, nell’orchestra profonda delle trincee dai pertugi sinuosi e dalle cantine sonore, fra l’andirivieni delle baionette, archi di violino che la rossa bacchetta del tramonto infiamma di entusiasmo....
«È il tramonto-direttore d’orchestra, che con un gesto ampio raccoglie i flauti sparsi degli uccelli negli [92] alberi, e le arpe lamentevoli degli insetti, e lo scricchiolìo dei rami, e lo stridìo delle pietre. È lui che ferma a un tratto i timpani delle gamelle e dei fucili cozzanti, per lasciar cantare a voce spiegata sull’orchestra degli strumenti in sordina, tutte le stelle d’oro, ritte, aperte le braccia, sulla ribalta del cielo. Ed ecco una gran dama allo spettacolo.... Vastamente scollacciato, il deserto infatti mette in mostra il suo seno immenso dalle curve liquefatte, tutte verniciate di belletti rosei sotto le gemme crollanti della prodiga notte.» («Battaglia di Tripoli»).
10. — Siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto dell’intelligenza cauta e guardinga bisogna orchestrare le immagini disponendole secondo un MAXIMUM DI DISORDINE.
11. — DISTRUGGERE NELLA LETTERATURA L’«IO», cioè tutta la psicologia. L’uomo completamente avariato dalla biblioteca e dal museo, sottoposto a una logica e ad una saggezza spaventose, non offre assolutamente più interesse alcuno. Dunque, dobbiamo abolirlo nella letteratura, e sostituirlo finalmente colla materia, di cui si deve afferrare l’essenza a colpi d’intuizione, la qual cosa non potranno mai fare i fisici nè i chimici.
Sorprendere attraverso gli oggetti in libertà e i motori capricciosi la respirazione, la sensibilità e gli istinti dei metalli, delle pietre, del legno, ecc. Sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con L’OSSESSIONE LIRICA DELLA MATERIA.
Guardatevi dal prestare alla materia i sentimenti umani, ma indovinate piuttosto i suoi differenti impulsi direttivi, le sue forze di compressione, di dilatazione, di coesione, e di disgregazione, le sue torme di molecole in massa o i suoi turbini di elettroni. Non si tratta di rendere i drammi della materia umanizzata. È la solidità di una lastra d’acciaio, che c’interessa per sè stessa, cioè l’alleanza incomprensibile e inumana delle sue molecole o dei suoi elettroni, che si oppongono, per esempio, alla penetrazione di un obice. Il calore di un pezzo di ferro o di legno è ormai più ap[93]passionante, per noi, del sorriso o delle lagrime di una donna.
Noi vogliamo dare, in letteratura, la vita del motore, nuovo animale istintivo del quale conosceremo l’istinto generale allorchè avremo conosciuto gl’istinti delle diverse forze che lo compongono.
Nulla è più interessante, per un poeta futurista, che l’agitarsi della tastiera di un pianoforte meccanico. Il cinematografo ci offre la danza di un oggetto che si divide e si ricompone senza intervento umano. Ci offre anche lo slancio a ritroso di un nuotatore i cui piedi escono dal mare e rimbalzano violentemente sul trampolino. Ci offre infine la corsa d’un uomo a 200 chilometri all’ora. Sono altrettanti movimenti della materia, fuor dalle leggi dell’intelligenza e quindi di una essenza più significativa.
Bisogna introdurre nella letteratura tre elementi che furono finora trascurati:
1. Il rumore (manifestazione del dinamismo degli oggetti);
2. Il peso (facoltà di volo degli oggetti);
3. L’odore (facoltà di sparpagliamento degli oggetti).
Sforzarsi di rendere per esempio il paesaggio di odori che percepisce un cane. Ascoltare i motori e riprodurre i loro discorsi.
La materia fu sempre contemplata da un io distratto, freddo, troppo preoccupato di sè stesso, pieno di pregiudizi di saggezza e di ossessioni umane.
L’uomo tende a insudiciare della sua gioia giovane o del suo dolore vecchio la materia, che possiede una ammirabile continuità di slancio verso un maggiore ardore, un maggior movimento, una maggiore suddivisione di sè stessa. La materia non è nè triste nè lieta. Essa ha per essenza il coraggio, la volontà e la forza assoluta. Essa appartiene intera al poeta divinatore che saprà liberarsi dalla sintassi tradizionale, pesante, ristretta, attaccata al suolo, senza braccia e senza ali perchè è soltanto intelligente. Solo il poeta[94] asintattico e dalle parole slegate potrà penetrare la essenza della materia e distruggere la sorda ostilità che la separa da noi.
Il periodo latino che ci ha servito finora era un gesto pretensioso col quale l’intelligenza tracotante e miope si sforzava di domare la vita multiforme e misteriosa della materia. Il periodo latino era dunque nato morto.
Le intuizioni profonde della vita congiunte l’una all’altra, parola per parola, secondo il loro nascere illogico, ci daranno le linee generali di una PSICOLOGIA INTUITIVA DELLA MATERIA. Essa si rivelò al mio spirito dall’alto di un aereoplano. Guardando gli oggetti, da un nuovo punto di vista, non più di faccia o per di dietro, ma a picco, cioè di scorcio, io ho potuto spezzare le vecchie pastoie logiche e i fili a piombo della comprensione antica.
Voi tutti che mi avete amato e seguìto fin qui, poeti futuristi, foste come me frenetici costruttori d’immagini e coraggiosi esploratori di analogie. Ma le vostre strette reti di metafore sono disgraziatamente troppo appesantite dal piombo della logica. Io vi consiglio di alleggerirle, perchè il vostro gesto immensificato possa lanciarle lontano, spiegate sopra un oceano più vasto.
Noi inventeremo insieme ciò che io chiamo L’IMMAGINAZIONE SENZA FILI. Giungeremo un giorno ad un’arte ancor più essenziale, quando oseremo sopprimere tutti i primi termini delle nostre analogie per non dare più altro che il seguito ininterrotto dei secondi termini. Bisognerà, per questo, rinunciare ad essere compresi. Esser compresi, non è necessario. Noi ne abbiamo fatto a meno, d’altronde, quando esprimevamo frammenti della sensibilità futurista mediante la sintassi tradizionale e intellettiva.
La sintassi era una specie di cifrario astratto che ha servito ai poeti per informare le folle del colore, della musicalità, della plastica e dell’architettura dell’universo. La sintassi era una specie d’interprete o di cicerone monotono. Bisogna sopprimere questo in[95]termediario, perchè la letteratura entri direttamente nell’universo e faccia corpo con esso.
Indiscutibilmente la mia opera si distingue nettamente da tutte le altre per la sua spaventosa potenza di analogia. La sua ricchezza inesauribile d’immagini uguaglia quasi il suo disordine di punteggiatura logica. Essa mette capo al primo manifesto futurista, sintesi di una 100 HP lanciata alle più folli velocità terrestri.
Perchè servirsi ancora di quattro ruote esasperate che s’annoiano, dal momento che possiamo staccarci dal suolo? Liberazione delle parole, ali spiegate dell’immaginazione, sintesi analogica della terra abbracciata da un solo sguardo e raccolta tutta intera in parole essenziali.
Ci gridano: «La vostra letteratura non sarà bella! Non avremo più la sinfonia verbale, dagli armoniosi dondolii, e dalle cadenze tranquillizzanti!» Ciò è bene inteso! E che fortuna! Noi utilizziamo, invece, tutti i suoni brutali, tutti i gridi espressivi della vita violenta che ci circonda. FACCIAMO CORAGGIOSAMENTE IL «BRUTTO» IN LETTERATURA, E UCCIDIAMO DOVUNQUE LA SOLENNITÀ. Via! non prendete di quest’arie da grandi sacerdoti, nell’ascoltarmi! Bisogna sputare ogni giorno sull’Altare dell’Arte! Noi entriamo nei dominii sconfinati della libera intuizione. Dopo il verso libero, ecco finalmente LE PAROLE IN LIBERTÀ!
Non c’è in questo, niente d’assoluto nè di sistematico. Il genio ha raffiche impetuose e torrenti melmosi. Esso impone talvolta delle lentezze analitiche ed esplicative. Nessuno può rinnovare improvvisamente la propria sensibilità. Le cellule morte sono commiste alle vive. L’arte è un bisogno di distruggersi e di sparpagliarsi, grande inaffiatoio di eroismo che inonda il mondo. I microbi — non lo dimenticate — sono necessari alla salute dello stomaco e dell’intestino. Vi è anche una specie di microbi necessaria alla vitalità dell’ARTE, QUESTO PROLUNGAMEN[96]TO DELLA FORESTA DELLE NOSTRE VENE, che si effonde, fuori dal corpo, nell’infinito dello spazio e del tempo.
Poeti futuristi! Io vi ho insegnato a odiare le biblioteche e i musei, per prepararvi a ODIARE L’INTELLIGENZA, ridestando in voi la divina intuizione, dono caratteristico delle razze latine. Mediante l’intuizione, vinceremo l’ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne umana dal metallo dei motori.
Dopo il regno animale, ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza e l’amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni fisico-chimiche, noi prepariamo la creazione dell’UOMO MECCANICO DALLE PARTI CAMBIABILI. Noi lo libereremo dall’idea della morte, e quindi dalla morte stessa, suprema definizione dell’intelligenza logica.
11 Agosto 1912.
Disprezzo gli scherzi e le ironie innumerevoli, e rispondo alle interrogazioni scettiche e alle obiezioni importanti lanciate dalla stampa europea contro il mio Manifesto tecnico della letteratura futurista.
1. — Quelli che hanno capito ciò che intendevo per odio dell’intelligenza hanno voluto scorgervi la influenza della filosofia di Bergson. Certo costoro non sanno che il mio primo poema epico: La Conquête des Etoiles, pubblicato nel 1902, recava nella prima pagina, a guisa di epigrafe, questi tre versi di Dante:
(PARADISO — Canto XI)
E questo pensiero di Edgardo Poe:
«.... lo spirito poetico — codesta facoltà più sublime di ogni altra, ormai lo sappiamo, — poichè verità della massima importanza non potevano esserci rivelate se non da quell’Analogia la cui eloquenza, irrecusabile per l’immaginazione, nulla dice alla ragione inferma e solitaria.»
(EDGARDO POE—Colloquio fra Monos e Una)
Assai prima di Bergson questi due genî creatori coincidevano col mio genio affermando nettamente il loro odio per l’intelligenza strisciante, inferma e solitaria, e accordando tutti i diritti all’immaginazione intuitiva e divinatrice.
2. — Quando parlo d’intuizione e d’intelligenza non intendo già di parlare di due dominii distinti e nettamente separati. Ogni spirito creatore ha potuto constatare, durante il lavoro di creazione, che i fenomeni intuitivi si fondevano coi fenomeni dell’intelligenza logica.
È quindi impossibile determinare esattamente il momento in cui finisce l’ispirazione incosciente e comincia la volontà lucida. Talvolta quest’ultima genera bruscamente l’ispirazione, talvolta invece l’accompagna. Dopo parecchie ore di lavoro accanito e penoso, lo spirito creatore si libera ad un tratto dal peso di tutti gli ostacoli, e diventa, in qualche modo, la preda di una strana spontaneità di concezione e di esecuzione. La mano che scrive sembra staccarsi dal corpo e si prolunga in libertà assai lungi dal cervello, che, anch’esso in qualche modo staccato dal corpo e divenuto aereo, guarda dall’alto, con una terribile lucidità, le frasi inattese che escono dalla penna.
Questo cervello dominatore contempla impassibile o dirige, in realtà, i balzi della fantasia che agitano la mano? È impossibile rendersene conto. In quei momenti, io non ho potuto notare, dal punto di vista fisiologico, che un gran vuoto allo stomaco. [98]
Per intuizione, intendo dunque uno stato del pensiero quasi interamente intuitivo e incosciente. Per intelligenza, intendo uno stato del pensiero quasi interamente intellettivo e volontario.
3. — La poesia ideale che io sogno, e che altro non sarebbe se non il seguirsi ininterrotto dei secondi termini delle analogie, non ha nulla a che fare con l’allegoria. L’allegoria, infatti, è il seguirsi dei secondi termini di parecchie analogie, tutte legate insieme logicamente. L’allegoria è anche, talvolta, il secondo termine sviluppato e minuziosamente descritto, di una analogia.
Al contrario io aspiro a dare il seguirsi illogico, non più esplicativo, ma intuitivo, dei secondi termini di molte analogie tutte slegate e molto spesso opposte l’una all’altra.
4. — Tutti gli stilisti di razza hanno potuto constatare facilmente che l’avverbio non è soltanto una parola che modifica il verbo, l’aggettivo o un altro avverbio, ma anche un legamento musicale che unisce i differenti suoni del periodo.
5. — Credo necessario sopprimere l’aggettivo e l’avverbio, perchè sono ad un tempo, e a volta a volta, i festoni variopinti, i panneggi a sfumature, i piedistalli, i parapetti e le balaustrate del vecchio periodo tradizionale.
È appunto mediante un uso sapiente dell’aggettivo e dell’avverbio, che si ottiene il dondolìo melodioso e monotono della frase, il suo sollevarsi interrogativo e commovente e il suo cadere riposante e graduale di onda sulla spiaggia. Con una emozione sempre identica, l’anima trattiene il fiato, trema un poco, supplica di essere calmata e respira infine ampiamente quando l’ondata delle parole ricade, con la sua punteggiatura di ghiaia e la sua eco finale.
L’aggettivo e l’avverbio hanno una triplice funzione: esplicativa, decorativa e musicale, mediante la quale indicano l’andatura grave o leggiera, lenta o rapida del sostantivo che si muove nella frase. Sono, [99] a volta a volta, i bastoni o le grucce del sostantivo. La loro lunghezza e il loro peso regolano il passo dello stile che è sempre necessariamente sotto tutela, e gli impediscono di riprodurre il volo dell’immaginazione.
Scrivendo per esempio: «Una donna giovane e bella cammina rapidamente sul lastricato di marmo», lo spirito tradizionale si affretta a spiegare che quella donna è giovane e bella, quantunque l’intuizione dia semplicemente un movimento bello. Più tardi, lo spirito tradizionale annuncia che quella donna cammina rapidamente, e aggiunge infine che essa cammina su un lastricato di marmo.
Questo procedimento puramente esplicativo, privo d’imprevisto, imposto anticipatamente a tutti gli arabeschi, zig-zag e sobbalzi del pensiero, non ha più ragione di essere. È quindi press’a poco sicuro che non s’ingannerà chi farà il contrario.
Inoltre è innegabile che abolendo l’aggettivo e l’avverbio si ridarà al sostantivo il suo valore essenziale, totale e tipico.
Io ho, d’altronde, un’assoluta fiducia nel sentimento di orrore che provo pel sostantivo che si avanza seguìto dal suo aggettivo come da uno strascico o da un cagnolino. Talvolta, quest’ultimo è tenuto a guinzaglio da un avverbio elegante. Talvolta il sostantivo porta un aggettivo davanti e un avverbio di dietro, come i due cartelloni d’un uomo-sandwich. Sono altrettanti spettacoli insopportabili.
6. — Perciò appunto io ricorro alla aridità astratta dei segni matematici, che servono a dare le quantità riassumendo tutte le spiegazioni, senza riempitivi, ed evitando la mania pericolosa di perder tempo in tutti i cantucci della frase, in minuziosi lavori da cesellatore, da gioielliere o da lustrascarpe.
7. — Le parole liberate dalla punteggiatura irradieranno le une sulle altre, incroceranno i loro diversi magnetismi, secondo il dinamismo ininterrotto del pensiero. Uno spazio bianco, più o meno lungo, indicherà al lettore i riposi o i sonni più o meno lunghi [100] dell’intuizione. Le lettere maiuscole indicheranno al lettore i sostantivi che sintetizzano una analogia dominatrice.
8. — La distruzione del periodo tradizionale, l’abolizione dell’aggettivo, dell’avverbio e della punteggiatura determineranno necessariamente il fallimento della troppo famosa armonia dello stile, cosicchè il poeta futurista potrà finalmente utilizzare tutte le onomatopee, anche le più cacofoniche, che riproducono gl’innumerevoli rumori della materia in movimento.
Tutte queste elastiche intuizioni, con le quali io completo il mio Manifesto tecnico della letteratura futurista, sono sbocciate successivamente nel mio cervello mentre creavo la mia nuova opera futurista, della quale ecco un frammento fra i più significativi:
Mezzogiorno 3/4 flauti gemiti solleone tumbtumb allarme
Gargaresch schiantarsi crepitazione marcia Tintinnìo
zaini fucili zoccoli chiodi cannoni criniere ruote
cassoni ebrei frittelle pani-all’olio cantilene bottegucce
zaffate lustreggìo cispa puzzo cannella
muffa flusso e riflusso pepe rissa sudiciume turbine
aranci-in-fiore filigrana miseria dadi scacchi carte
gelsomino + nocemoscata + rosa arabesco mosaico
carogna pungiglioni acciabattìo mitragliatrici =
ghiaia + risacca + rane Tintinnìo zaini
fucili cannoni ferraglia atmosfera = piombo + lava
+ 300 fetori + 50 profumi selciato materasso detriti
sterco-di-cavallo carogne flic-flac ammassarsi cammelli
asini tumb-tuuum cloaca Souk-degli-argentieri dedalo
seta azzurro galabieh porpora aranci moucharabieh
archi scavalcare biforcazione piazzetta pullulìo
concerìa lustrascarpe gandouras burnous
[101]
formicolìo colare trasudare policronìa avviluppamento
escrescenze fessure tane calcinacci demolizione acido-fenico
calce pidocchiume Tintinnìo zaini
tatatatata zoccoli chiodi cannoni cassoni frustate panno-da-uniforme
lezzo-d’agnelli via-senza-uscita a-sinistra
imbuto a-destra quadrivio chiaroscuro bagno-turco
fritture muschio giunchiglie fiore-d’arancio nausea
essenza-di-rosa insidia ammoniaca artigli escrementi
morsi carne + 1000 mosche frutti secchi carrube ceci
pistacchi mandorle regimi-banani datteri tumbtumb
cusscuss-ammuffito aromi zafferano
catrame uovo-fradicio cane-bagnato gelsomino
gaggìa sandalo garofani mature intensità ribollimento
fermentare tuberosa Imputridire sparpagliarsi furia
morire disgregarsi pezzi briciole polvere eroismo
tatatata fuoco-di-fucileria pic pac pun pan
pan mandarino lana-fulva mitragliatrici raganelle
ricovero-di-lebbrosi piaghe avanti carne-madida
sporcizia soavità etere Tintinnìo zaini fucili
cannoni cassoni ruote benzoino tabacco incenso anice
villaggio rovine bruciato ambra gelsomino case sventramenti
abbandono giarra-di-terracotta tumbtumb
violette ombrìe pozzi asinello asina cadavere sfracellamento
sesso esibizione aglio bromi anice
brezza pesce abete-nuovo rosmarino pizzicherie palme
sabbia cannella.
Sole oro bilancia piatti piombo cielo seta calore
imbottitura porpora azzurro torrefazione Sole = vulcano
+ 3000 bandiere atmosfera precisione corrida
furia chirurgia lampade raggi bisturi
scintillìo biancherie deserto clinica x 20000 braccia
20000 piedi 10000 occhi mirini scintillazione
[102]
attesa operazione sabbie forni-di-navi Italiani Arabi
4000 metri battaglioni caldaie comandi stantuffi
sudore bocche fornaci perdio avanti
olio tatatata ammoniaca > gaggìe viole sterchi rose
sabbie barbaglio-di-specchi tutto camminare aritmetica
tracce obbedire ironia entusiasmo
ronzìo cucire dune guanciali zigzags rammendare piedi
mole scricchiolìo sabbia inutilità mitragliatrici = ghiaia
+ risacca + rane Avanguardie: 200
metri caricate-alla-baionetta avanti Arterie rigonfiamento
caldo fermentazione capelli ascelle rocchio
fulvore biondezza aliti + zaino 18 chili prudenza =
altalena ferraglie salvadanaio mollezza: 3 brividi comandi
sassi rabbia nemico calamita leggerezza gloria
eroismo Avanguardie: 100 metri mitragliatrici
fucilate eruzione violini ottone pim pum
pac pac tim tum mitragliatrici tataratatarata
Avanguardie: 20 metri battaglioni-formiche
cavalleria-ragni strade-guadi generale-isolotto staffette-cavallette
sabbie-rivoluzione obici-tribuni nuvole-graticole
fucili-martiri shrapnels-aureole moltiplicazione
addizione divisione obici-sottrazione granata-cancellatura
grondare colare frana blocchi valanga
Avanguardie: 3 metri miscuglio andirivieni incollarsi
scollarsi lacerazione fuoco sradicare cantieri
frana cave incendio pànico acciecamento schiacciare
entrare uscire correre zacchere Vite-razzi
cuori-ghiottonerie baionette-forchette mordere trinciare
puzzare ballare saltare rabbia cani-esplosione
obici-ginnasti fragori-trapezi esplosione rosa gioia ventri-inaffiatoi
teste-foot-ball sparpagliamento
Cannone 149-elefante artiglieri-cornacs issa-oh
[103]
collera leve lentezza pesantezza centro carica fantino
metodo monotonìa allenatori distanza gran-premio parabola
x luce zang-tumb-tuuum mazza infinito Mare =
merletti-smeraldi-freschezza-elasticità-abbandono-mollezza
corazzate-acciaio-concisione-ordine Bandiera-di-combattimento
(prati cielo-bianco-di-caldo sangue) =
Italia forza orgoglio-italiano fratelli mogli madre insonnia
gridìo-di-strilloni gloria dominazione caffè racconti-di-guerra
Torri cannoni-virilità-volate
erezione telemetro estasi tumb-tumb 3 secondi
tumbtumb onde sorrisi risate cic ciac plaff pluff gluglugluglu
giocare-a-rimpiattino cristalli vergini carne
gioielli perle iodio sali bromi gonnelline gas liquori
bolle 3 secondi tumbtumb ufficiale bianchezza
telemetro croce fuoco drindrin megafono alzo-4-mila-metri
tutti-a-sinistra basta fermi-tutti sbandamento-7-gradi
erezione splendore getto forare immensità
azzurro-femmina sverginamento
accanimento corridoi grida labirinto materassi singhiozzi
sfondamento deserto letto precisione telemetro
monoplano loggione applausi monoplano
= balcone-rosa-ruota-tamburo trapano-tafano > disfatta-araba
bue sanguinolenza macello ferite rifugio
oasi umidità ventaglio freschezza siesta strisciamento
germinazione sforzo dilatazione-vegetale
sarò-più-verde-domani restiamo-bagnati serba-questa-goccia-d’acqua
bisogna-arrampicarsi-3-centimetri-per-resistere-a-20-grammi-di-sabbia-e-3000-grammi-di-tenebre
via-lattea-albero-di-cocco stelle-noci-di-cocco latte
grondare succo delizia.[104]
PRATELLA
18 Luglio 1912.
Il ritmo è un cuore umano che pulsa; i suoi accenti di posa e di moto sono ondate di sangue vivo che ad esso affluiscono e da esso traboccano.
Il movimento della mano concepito come unità di misura del tempo, a guisa del piede che nella danza batte il suolo, costituisce il cardine del ritmo.
Movimento di due accenti (il 1º di posa ed il 2º di moto) = ritmo binario.
Movimento di tre accenti (il 1º di posa, il 2º ed il 3º di moto) = ritmo ternario.
Gli accenti alla lor volta si suddividono binariamente e ternariamente in sottoaccenti di posa e di moto, alla maniera degli accenti, ma in proporzione minore della metà o di un terzo.
Il diverso modo di abbinarsi del ritmo binario col ritmo ternario e viceversa produce il ritmo misto.
Il movimento di ritmo binario offre due combinazioni di suddivisione mista: a = (bin-ter.), b = (ter-bin).
Il movimento di ritmo ternario offre sei combinazioni di suddivisione mista: a = (bin-bin-ter.), b = (ter-bin-bin.), c = (bin-ter-ter.), d = (ter-ter-bin.), e = (bin-ter-bin.), f = (ter-bin-ter.). [105]
Riepilogando avremo:
Movimento di | { | Ritmo binario di | { | Sudd. binaria. |
Sudd. ternaria. | ||||
Sudd. mista. (N. 2 combinazioni). | ||||
Ritmo ternario di | { | Sudd. binaria. | ||
Sudd. ternaria. | ||||
Sudd. mista. (N. 6 combinazioni). |
I rapporti rilevati fra accento e movimento sono gli stessi fra movimento e misura di tempo.
Misura di tempo di 2 movimenti o di un numero di movimenti multiplo di 2 (l’uno di posa e l’altro di moto e così costantemente) = misura binaria.
Misura di tempo di 3 movimenti o di un numero di movimenti multiplo di 3 (uno di posa e due di moto e così costantemente) = misura ternaria; e ciò indipendentemente da ogni singola specie di ritmo relativa a ciascun movimento.
Il diverso modo di abbinarsi dei movimenti di ritmo binario coi movimenti di ritmo ternario e viceversa durante una misura di tempo produce una successione di movimenti di ritmo misto.
L’unione di una misura binaria di tempo con una misura ternaria e viceversa produce la misura mista. [106]
Riepilogando avremo:
Misura di tempo |
{ | Binaria con movimenti di |
{ | Ritmo binario di | { | Sudd. binaria. |
Sudd. ternaria. | ||||||
Sudd. mista. (N. 2 combinazioni). | ||||||
Ritmo ternario di | { | Sudd. binaria. | ||||
Sudd. ternaria. | ||||||
Sudd. mista. (N. 2 combinazioni). | ||||||
Ritmo misto di | { | Sudd. binaria. | ||||
Sudd. ternaria. | ||||||
Sudd. mista. (N. 2 combinazioni). | ||||||
Ternaria con movimenti di | { | Ritmo binario di | { | Sudd. binaria. | ||
Sudd. ternaria. | ||||||
Sudd. mista. (N. 2 combinazioni). | ||||||
Ritmo ternario di | { | Sudd. binaria. | ||||
Sudd. ternaria. | ||||||
Sudd. mista. (N. 2 combinazioni). | ||||||
Ritmo misto di | { | Sudd. binaria. | ||||
Sudd. ternaria. | ||||||
Sudd. mista. (N. 2 combinazioni). | ||||||
Mista con movimenti di | { | Ritmo binario di | { | Sudd. binaria. | ||
Sudd. ternaria. | ||||||
Sudd. mista. (N. 2 combinazioni). | ||||||
Ritmo ternario di | { | Sudd. binaria. | ||||
Sudd. ternaria. | ||||||
Sudd. mista. (N. 2 combinazioni). | ||||||
Ritmo misto di | { | Sudd. binaria. | ||||
Sudd. ternaria. | ||||||
Sudd. mista. (N. 2 combinazioni). |
Affermo che:
1. — I concetti comuni di tempo pari e di tempo dispari sono sbagliati.
I tempi 3/4 e 9/8 si trovano classificati fra i tempi di[107]spari. anche i tempi 5/4 e 7/4 — di misura mista — dovrebbero appartenere alla classe dei tempi dispari, dal momento che il 5 ed il 7 sono numeri dispari come il 3 ed il 9. Ed allora?
Il tempo 6/8, classificato fra i tempi pari, come multiplo di 2 è di misura binaria, come multiplo di 3 è di misura ternaria.
Le vecchie classificazioni di tempo pari e di tempo dispari sono dunque insufficienti allo scopo, travisando e rendendo confuso il concetto del tempo.
Perciò i tempi si dovranno distinguere nel modo seguente:
Tempi di misura binaria = il movimento moltiplicato per 2 o per i suoi multipli.
Tempi di misura ternaria = il movimento moltiplicato per 3 o per i suoi multipli.
Tempi di misura mista = combinazione dei due generi precedenti (bin-ter) e (ter-bin).
La sintesi di questo principio — legge naturale del ritmo nella musica — si completa così:
Accento e sottoaccento di ritmo binario = il movimento diviso per 2 o per i suoi multipli.
Accento e sottoaccento di ritmo ternario = il movimento diviso per 3 o per i suoi multipli.
La formazione delle specie miste è stata già sufficientemente dimostrata.
2. — Il ritmo binario ed il ritmo ternario sono fra di loro sincroni ed equivalenti.
Due sottoaccenti, due accenti, due movimenti equivalgono rispettivamente a tre sottoaccenti, a tre accenti ed a tre movimenti e viceversa, per una durata di tempo uguale. Per questa ragione si dicono relativi fra di loro due tempi, le cui misure contengano uno stesso numero di movimenti, ma che i movimenti dell’una siano di una specie di ritmo e quelli dell’altra siano di un’altra specie.
I tempi fra di loro relativi sono per conseguenza[108] anche sincroni ed equivalenti. Il movimento cade con l’accento di posa, la misura di tempo comincia col movimento e con l’accento di posa. Il fenomeno della binarietà e della ternarietà si effettua conseguentemente per via degli accenti e dei movimenti di moto; dipendendo questi ultimi in qualunque caso dal rispettivo accento e movimento di posa iniziale identico ed unico per le due specie di ritmo.
Un nuovo comune errore viene distrutto da questa legge: cioè quello di concepire come di posa il terzo accento nel ritmo ternari ed il terzo movimento nella misura ternaria di tempo e per due ragioni:
a) Non essendo possibile la successione immediata di due accenti o movimenti di posa.
b) Non potendosi considerare sincroni ed equivalenti due ritmi, dei quali l’uno abbia una posa ed un moto, l’altro abbia una posa, un moto ed una seconda posa.
3. — La massima efficacia ritmica si manifesta mediante l’espressione melodica; la complicazione polifonica neutralizza l’efficacia del ritmo.
Il presente assioma, campo di aviazione della musica futurista, troverà in seguito nuove e definite conclusioni ad esso attinenti.
Per ora faccio osservare anzitutto che essendo l’espressione musicale una sintesi — pensiero melodico — i numerosi elementi che vi partecipano debbono quindi sacrificare in parte e proporzionalmente la loro individualità e cooperare di comune accordo all’esaltazione dell’effetto sintetico.
Beethoven e Rossini conoscevano perfettamente questo principio; perciò la loro musica pare più varia di ritmo, che non sembri quella di Wagner e di Strauss, sebbene con questi ultimi il ritmo abbia assunto una varietà di movimenti neppure intravista in sogno dagli altri due maestri.
Strauss ha affogato il ritmo nel ritmo, contrap[109]ponendo ritmi a ritmi, che si sono neutralizzati a vicenda ed hanno generato l’arìtmica.
In pratica la contrapposizione di due ritmi differenti riesce efficace finchè si può regolare coi movimenti; oltre a questo limite produce confusione arìtmica e la quasi impossibilità di esecuzione simultanea, esatta e senza concessioni da parte di una delle due specie di ritmo.
Vedere come esempio, nelle prime battute del preludio del Parsifal di Wagner, la contrapposizione di un ritmo ternario affidato ai legni (6/4 = 3 + 3) ad un ritmo binario affidato agli archi (4/4 = 2 + 2) lento. L’esecuzione simultanea dei due ritmi non potrà mai risultare chiara e precisa, dato che una bacchetta battente due movimenti non è guida sicura a chi debba calcolarne tre.
4. — Dietro le conclusioni precedenti, è assolutamente indispensabile trovare una nuova maniera di segnare il tempo, corrispondente alla concezione esatta e completa di questo.
I segni attuali non considerano la relatività dei tempi, non esprimono la diversa conformazione dei tempi di misura mista e concettualmente alterano la relatività dei valori delle figure musicali.
Basti dire che lo stesso Strauss, nella concezione formale della sua musica, commette errori di relatività ritmica.
Cito esempi tolti da Salomè. (Riduzione francese-italiana per canto e pianoforte).
Pag. 30. Narraboth: Divina, non lo posso, nol posso....
(Tempo tagliato contro 3/4) — errore di relatività.
Pag. 20 Secondo soldato: ....questo noi non lo sappiam, augusta....
(4/4 contro 3/4) — errore ingiustificabile![110]
Movimento di ritmo binario: 1² = (2/8 - 1/4) relativo del Movimento di ritmo ternario:
1³ = (3/8 - 3/4).
Tempi di misura binaria:
2² = (2/4 — Tempo tagliato) relativo di 2³ = (6/8-6/4);
4² = (Tempo ordinario — 4/4) relativo di 4³ = (12/8-12/4);
4 + 2² = (........) relativo di 4 + 2³ = (........).
Tempi di misura ternaria:
3² = (3/4-3/2) relativo di 3³ = (9/8-9/4);
3 + 3² = (6/8-6/4) relativo di 3 + 3³ = (........).
Tempi di misura mista:
2 + 3² = (5/4) relativo di 2 + 3³ = (........);
3 + 2² = (5/4) relativo di 3 + 2³ = (........);
3 + 4² = (7/4) relativo di 3 + 4³ = (........);
4 + 3² = (7/4) relativo di 4 + 3³ = (........).[111]
Come ben si vede il numero grande indica la quantità dei movimenti che compongono la misura di tempo; il 2 piccolo indica i due accenti del ritmo binario, il 3 piccolo indica i tre accenti del ritmo ternario. I due numeri grandi sommati indicano i diversi e ben distinti modi di battere i tempi di misura mista e di misura composta.
Nello stesso tempo la Minima sia eletta definitivamente ed invariabilmente, in qualsiasi caso, rappresentante esclusiva del movimento. Conseguentemente la Semiminima rappresenterà l’accento e la Croma il sottoaccento.
Le duine e le quartine esprimeranno invariabilmente il ritmo binario nella ternarietà come le loro equivalenti e relative terzine e sestine esprimeranno invariabilmente il ritmo ternario nella binarietà.
5. — Nello svolgimento generale del ritmo, gli accenti, i sottoaccenti ed i movimenti di moto sono dipendenti dai rispettivi accenti, sottoaccenti e movimenti di posa; i sottoaccenti di posa sono dipendenti dagli accenti di posa e di moto, come gli accenti di posa sono dipendenti dai movimenti di posa e di moto. In qualunque misura di tempo, sia essa binaria, ternaria, mista, semplice, o composta, tutti i movimenti, tutti gli accenti e tutti i sottoaccenti — sia di posa che di moto — dipendono relativamente dal movimento dell’accento e dal sottoaccento di posa iniziale della misura di tempo.
Ora possediamo finalmente il principio scientificamente assoluto del ritmo nella formula: (1, 2 e 3 e loro multipli) sta a (1 : 2 e 3 e loro multipli) e possediamo il mezzo pratico e malleabile onde fissarlo nelle sue più complicate, capricciose, lontane ed insospettate relazioni e combinazioni, che un artista di genio sappia scoprire.
Ma ciò non basta; dal principio teorico-pratico[112] occorre passare ai grandiosi risultati derivanti dalla sua evoluzione concettuale e formale.
La parola umana per mezzo del ritmo, insegna come la sua origine si debba ricercare nel canto, primitiva maniera d’espressione comune all’uomo ed all’animale. Perciò essa possiede due valori: l’uno intellettivo e convenzionale, espressivo e reale l’altro. In altri termini, il suo ritmo e la sua articolazione — la parola è un canto articolato — indipendentemente dal suo significato particolare, risvegliano in chi l’ascolta una sensazione corrispondente a quella, provata dal lontanissimo creatore della parola stessa, attraverso uno stato d’animo affine. Di qui il valore musicale (ritmico) della poesia.
La successione istintiva degli accenti nel ritmo musicale e nel ritmo delle parole è la medesima, poggiando sopra una base unica.
Negli esempi segno con un accento circonflesso le sillabe di posa (forti) e con un accento acuto le sillabe di moto (deboli).
Câr-né; |1 2| +----+ |
têr-rá; |1 2| +----+ |
mê-rá-mên-té; ecc. ||1 2| |1 2|| |+---+ +----+| | 1 2 | +------------+ |
Vé-lô-cé: | |1 2|| -+ +---+| 2 | --------+ |
có-lô-ré; | |1 2|| -+ +---+| 2 | --------+ |
tém-pê-stá: ecc. | |1 2|| --+ +----+| 2 | ----------+ |
Tû ´ ; .... |1 2| +----+ |
rê ´ ; .... |1 2| +----+ |
ciô ´ ; ecc. .... |1 2| +-----+ |
^ tú; .... |1 2| +-----+ |
^ ré; .... |1 2| +-----+ |
^ ció, ecc. .... |1 2| +------+ |
Fûl-gí-dó; |1 2 3| +-------+ |
ê-té-ró-gê-né-ó; ||1 2 3| |1 2 3|| |+------+ +------+| | 1 2 | +-----------------+ |
â-gíta-nó; ecc. | |12| | | +--+ | |1 2 3| +---------+ |
Ant-âr-tí-có; ||1 2 3|| --++-------+| 2 | ------------+ |
bé-vên-dó-sí; ||1 2 3|| --++-------+| 2 | ------------+ |
ér-bâ-cé-ó; ecc. | |1 2 3|| --+ +------+| 2 | ------------+ |
Giô-vín ´ ; .... |1 2 3| +---------+ |
vêr-gín ´ ; .... |1 2 3| +---------+ |
câr-dín ´ ; ecc. .... |1 2 3| +---------+ |
^ ´ sí; .... .... |1 2 3| +----------+ |
^ ´ vá; .... .... |1 2 3| +----------+ |
^ ´ nó; ecc. .... .... |1 2 3| +----------+ |
Côn-té-stâ-bí-lé; ||1 2| |1 2 3|| |+----+ +-------+| | 1 2 | +----------------+ |
sû-scét-tî-bí-lé; ||1 2| |1 2 3|| |+----+ +-------+| | 1 2 | +----------------+ |
côm-mén-dê-vó-lé; ecc. ||1 2| |1 2 3|| |+----+ +-------+| | 1 2 | +----------------+ |
Vâ-lí-dá-mên-té; ||1 2 3| |1 2|| |+------+ +----+| | 1 2 | +---------------+ |
â-stró-nó-mî-á; ||1 2 3| |1 2|| |+-------+ +---+| | 1 2 | +---------------+ |
crî-só-bé-rîl-ló; ecc. ||1 2 3| |1 2|| |+-------+ +----+| | 1 2 | +----------------+ |
Ar-tî-stí-cá-mên-té; | |1 2 3| |1 2|| --+ +-------+ +----+| 2 3 | --------------------+ |
é-lêt-tró-má-gnê-té; ecc. ||1 2 3| |1 2|| --++--------+ +----+| 2 3 | --------------------+ |
Có-rê-ó-grâ-fí-có; | |1 2| |1 2 3|| --+ +---+ +------+| 2 3 | ------------------+ |
á-pô-cá-lît-tí-có; ecc. | ||1 2| |1 2 3|| |-++----+ +-------+| | 2 3 | +------------------+ |
I puntini .... sotto l’accento, indicano pausa di un accento.
Verso la fine del medioevo, al tempo dei trovatori, quando una grande fede stava per trasformarsi, noi[114] troviamo accanto alla musica religiosa ed a quella popolare un terzo genere: la musica borghese.
Genere elegante, amoroso, facile, di proporzioni ridotte, buono per la digestione tranquilla, per l’amore licenzioso, per la casa del nobile dilettante e per quella del principe. Genere da salotto, a piccole forme, con frequenti cadenze ad ogni periodo di una determinata lunghezza.
Di qui hanno principiato le piccole danze da salotto monoritmiche, le ariette sullo schema delle piccole danze ed il preconcetto della quadratura nella composizione. Epidemia che ha attraversato tutti i secoli dal suo nascere e che oggi ancora infetta l’intero campo musicale.
I trovatori di buona memoria, amore e gioia dei nostri grandi librettisti, trattarono la poesia a mo’ della musica; il fatto anzi deve essere avvenuto contemporaneamente, perchè a quei tempi la poesia non andava mai disgiunta dalla musica (canto); e precisamente per una ragione ritmico-musicale il verso deve aver perduto il suo primo metro quantitativo.
Sirventese, ballata, canzone, canzone a ballo, sonetto ecc. sono termini comuni alla musica ed alla poesia, con accenni alla piccola danza quadrata da salotto. Le forme simmetriche, misurate, ripetentisi dopo dati periodi con lo stesso RITMO e con le stesse cadenze-rime, sono pure comuni alle due arti; il poema di Dante e la sinfonia di Beethoven vanno soggetti entrambi alla tirannia di una quadratura di piccola danza borghese. Non dico niente degli altri.
In poesia il verso libero ha segnato la fine della schiavitù, facendo trionfare il ritmo individuale delle parole, che sotto l’impulso di uno stato d’animo si combinano in sinfonie di suoni e di ritmi fino ad oggi rimaste sconosciute.
In musica i tentativi di Wagner, di Strauss, di Debussy e di Mascagni non hanno risolto il problema, pur aprendo nuove e diverse vie. [115]
Strauss, sulle orme di Wagner, ha per così dire sinfonizzato il recitativo, introducendo mutamenti di tempo specialmente dove l’espressione musicale non conserva la maniera continuativa: per questo l’effetto va quasi totalmente perduto.
Così dicasi più o meno degli altri; i quali in verità, usando di frequente il cambiamento della misura nel tempo, non arrivano con questo a dare varietà e libertà assoluta al pensiero ritmico.
Al Mascagni spetta il merito particolare di avere intuito con felice risultato il valore ritmico della parola cantata.
L’introduzione del ritmo libero nella musica è una nuova conquista del futurismo.
Prima di esporre le nostre ultime conclusioni, voglio dimostrare per mezzo dell’analisi ritmica di alcuni versi liberi del poeta Paolo Buzzi, come nei suddetti versi l’alternarsi dei ritmi binario e ternario e la formazione dei ritmi misti siano di una libertà ritmica assolutamente nuova e come fra verso e verso non esista alcun legame di simmetria.
^ Nói siâm gli á-strâ-lí, .... |1 2| | 1 2| | 1 2| +------+ +--------+ +------+ |
^ í sân-tí, .... |1 2| |1 2| +----+ +-----+ |
^ i dê-mó-nî-á-cí: .... |1 2| |1 2| |1 2 1| +----+ +---+ +-----+ |
siâm lé mé-tê-ó-ré | 1 2 3| |1 2 3| +--------+ +-----+ |
vêr-tí-gí-nô-sé |1 2 3| |1 2| +-------+ +---+ |
chiû-sé néll’ | 1 2 3| +---------+ |
â-tó-mó u-mâ-nó: | |1 2|||1 2| | +----+|+---+ |1 2 3 | +----------+ |
^ rí-pé-tiâ-mó, .... |1 2 3| |1 2| +--------+ +----+ |
^ frá nôi, ´ lé .... .... |1 2| |1 2 3| +------+ +----------+ |
scôs-sé | 1 2| +-----+ |
dê-gli ú-ní-vêr-sí |1 2 3| |1 2| +---------+ +----+ |
fuô-rí-déll’ôr-bíté: |1 2 3| |1 2 3| +--------+ +-------+ |
^ pró-pá-ghiâ-mó, .... |1 2 3| | 1 2| +---------+ +-----+ |
^ frá nôi, ´ lá .... .... |1 2| |1 2 3| +------+ +----------+ |
spê-cié | 1 2| +-----+ |
déi cá-tâ-clî-smí |1 2 3| | 1 2| +-------+ +-----+ |
êm-pí-ré-â-lí! |1 2 3| |1 2| +------+ +---+ |
1. — La musica futurista consegue un’assoluta libertà di ritmo, col lasciare alla sua frase espressiva la multiforme varietà e l’indipen[116]denza individuale che il verso libero ha trovato nella parola.
La frase, sintesi melodica dell’espressione musicale voluta — che può essere composta di una o più misure di tempo — oltre all’assumere la libertà ritmica particolare di ciascuna misura, si può arricchire di nuove movenze ritmiche col concepire le misure che la compongono disuguali fra di loro nel numero dei movimenti o nel ritmo di questi: alternando, cioè, o facendo succedere binariamente e ternariamente misure di tempo binarie, ternarie e miste in una sola frase.
2. — Il periodo musicale, composto di una o più frasi, nella sua concezione formale si deve attenere allo stesso principio di libertà e di varietà già stabilito per la formazione della frase: alternando cioè, o facendo succedere binariamente e ternariamente frasi, alla loro volta uguali o disuguali fra di loro per il numero e per la differenza di specie ritmica delle misure di tempo che le compongono.
3. — Così dicasi della successione e dell’alternazione binarie e ternarie dei periodi, che nel complesso sinfonico costituiscono la sintesi musicale melodica, espressione predominante voluta.
4. — In tal maniera l’intera concezione musicale viene a riassumersi nella formula scientifica del ritmo (1 × 2 e 3 e loro multipli) sta a (1 : 2 e 3 e loro multipli) e nello stesso tempo possiede finalmente la libertà di sviluppare la formula in tutte le combinazioni e proporzioni possibili, stabilendo le seguenti unità relative moltiplicabili e divisibili ad una stessa maniera:
«Sottoaccento — accento — movimento — misura di tempo — frase — periodo — sinfonia».
Il movimento, in qualunque caso, rappresenta sempre l’unità ritmica cardinale.
5. — La quadratura, con le sue simmetrie[117] e cadenze di piccola danza borghese, viene distrutta e sostituita dall’intuizione libera di relazioni ritmiche istintive e simpatiche.
6. — Caduto il criterio del tempo stabile cadono pure gl’insignificanti termini di andante, allegro, allegretto, ecc.
Questi vengono sostituiti da un termine rispondente allo stato d’animo in cui si trova l’artista creatore in quel dato momento.
Noi abbiamo definitivamente distrutto la quadratura secolare. Acclamiamo dunque al sentimento libero del ritmo e dell’espressione, libero come la parola, come il verso futurista, come il volo della fantasia, come il battito del cuore.
Nessun direttore d’orchestra potrà mai sottomettere i battiti del cuore al dominio di una bacchetta — melanconico pendolo sonnecchiante.
L’ordine è un vecchio poliziotto, che non ha buone gambe per correre; noi, futuristi, creiamo il nuovo ordine del disordine.[118]
VALENTINE DE SAINT-POINT
11 Gennaio 1913.
RISPOSTA ai giornalisti disonesti che mutilano le frasi per
render ridicola l’Idea;
alle donne che pensano quello che ho osato dire;
a coloro pei quali la Lussuria non è ancora altro che
peccato;
a tutti coloro che nella Lussuria raggiungono solo il Vizio,
come nell’Orgoglio raggiungono solo la Vanità.
La Lussuria, concepita fuor di ogni concetto morale e come elemento essenziale del dinamismo della vita, è una forza.
Per una razza forte, la lussuria non è, più che non lo sia l’orgoglio, un peccato capitale. Come l’orgoglio, la lussuria è una virtù incitatrice, un focolare al quale si alimentano le energie.
La Lussuria è l’espressione di un essere proiettato al di là di sè stesso; è la gioia dolorosa d’una carne il dolore gaudioso di uno sbocciare; è l’unione carnale, quali si siano i segreti che uniscono gli esseri; è la sintesi sensoria e sensuale di un essere per la maggior liberazione del proprio spirito; è la comunione d’una particella dell’umanità con tutta la sensualità della terra; è il brivido pànico di una particella della terra.
LA LUSSURIA È LA RICERCA CARNALE DELL’IGNOTO, come la Cerebralità ne è la ricerca spirituale. La Lussuria è il gesto di creare, ed è la Creazione.[119]
La carne crea come lo spirito crea. La loro creazione di fronte all’Universo è uguale. L’una non è superiore all’altra, e la creazione spirituale dipende dalla creazione carnale.
Noi abbiamo un corpo e uno spirito. Restringere l’uno per moltiplicare l’altro è una prova di debolezza e un errore. Un essere forte deve realizzare tutte le sue possibilità carnali e spirituali. La Lussuria è pei conquistatori un tributo che loro è dovuto. Dopo una battaglia nella quale sono morti degli uomini, È NORMALE CHE I VINCITORI, SELEZIONATI DALLA GUERRA, GIUNGANO FINO ALLO STUPRO, NEL PAESE CONQUISTATO, PER RICREARE DELLA VITA.
Dopo le battaglie, i soldati amano le voluttà, in cui si snodano, per rinnovarsi, le loro energie incessantemente assaltanti. L’eroe moderno, eroe di qualsiasi dominio, ha lo stesso desiderio e lo stesso piacere. L’artista, questo grande medium universale, ha lo stesso bisogno. Anche l’esaltazione degl’illuminati di religioni abbastanza nuove perchè ciò che contengono d’ignoto sia tentatore, non è altro che una sensualità sviata, spiritualmente, verso un’immagine femminile sacra.
L’ARTE E LA GUERRA SONO LE GRANDI MANIFESTAZIONI DELLA SENSUALITÀ; LA LUSSURIA È IL LORO FIORE. Un popolo esclusivamente spiritualista o un popolo esclusivamente lussurioso sarebbero condannati alla stessa decadenza: la sterilità.
LA LUSSURIA INCITA LE ENERGIE E SCATENA LE FORZE. Essa spingeva spietatamente gli uomini primitivi alla vittoria, per l’orgoglio di portare alla donna i trofei dei vinti. Essa spinge oggidì i grandi uomini d’affari che dirigono le banche, la stampa, i traffici internazionali, a moltiplicare l’oro creando dei centri, utilizzando delle energie, esaltando le folle, per[120] adornarne, magnificarne l’oggetto della loro lussuria. Questi uomini, affaticati ma forti, trovano tempo per la lussuria, motore principale delle loro azioni e delle reazioni di queste, ripercosse su moltitudini e mondi.
Anche presso i popoli nuovi, dove la sensualità è ancora scatenata o confessata, e che non sono dei bruti primitivi nè i raffinati delle vecchie civiltà, la donna è ugualmente il grande principio galvanizzante al quale tutto è offerto. Il culto riservato che l’uomo ha per lei non è che la spinta incosciente d’una lussuria ancora sonnecchiante. Presso questi popoli, come presso i popoli nordici, per ragioni diverse, la lussuria è quasi esclusivamente procreazione. Ma la lussuria, quali si siano gli aspetti sotto i quali si manifesta, detti normali od anormali, è sempre la suprema stimolatrice.
La vita brutale, la vita energica, la vita spirituale, in certi momenti esige una tregua. E lo sforzo per lo sforzo chiama fatalmente lo sforzo pel piacere. Senza nuocersi a vicenda, questi sforzi si completano e realizzano pienamente l’essere totale.
La lussuria è per gli eroi, pei creatori spirituali, per tutti i dominatori, l’esaltazione magnifica della loro forza; è per ogni essere un motivo di superarsi col semplice scopo di selezionarsi, d’esser notato, d’esser scelto, d’essere eletto.
Sola, la morale cristiana succedendo alla morale pagana, fu portata fatalmente a considerare la lussuria come una debolezza. Di quella gioia sana che è l’espansione d’una carne possente, essa ha fatto una vergogna da nascondere, un vizio da rinnegare. L’ha coperta d’ipocrisia, e questo ne ha fatto un peccato.
CESSIAMO DI SCHERNIRE IL DESIDERIO, questa attrazione ad un tempo sottile e brutale di due carni, qualunque sia il loro sesso, di due carni che si vogliono, tendendo verso l’unità. Cessiamo di schernire il Desiderio, camuffandolo con le vesti compassionevoli delle vecchie e sterili sentimentalità.
Non è la lussuria, che disgrega e dissolve ed anni[121]chila; sono piuttosto le ipnotizzanti complicazioni della sentimentalità, le gelosie artificiali, le parole che inebbriano e ingannano, il patetico delle separazioni e delle fedeltà eterne, le nostalgie letterarie: tutto l’istrionismo dell’amore.
DISTRUGGIAMO I SINISTRI STRACCI ROMANTICI, margherite sfogliate, duetti sotto la luna, tenerezze pesanti, falsi pudori ipocriti. Che gli esseri, avvicinati da un’attrazione fisica, invece di parlare esclusivamente delle fragilità dei loro cuori, osino esprimere i loro desideri, le preferenze dei loro corpi, e presentire le possibilità di gioia o di delusione della loro futura unione carnale.
Il pudore fisico, essenzialmente variabile secondo i tempi e i paesi, non ha che il valore effimero di una virtù sociale.
BISOGNA ESSERE COSCIENTI DAVANTI ALLA LUSSURIA. Bisogna fare ciò che un essere raffinato e intelligente fa di sè stesso e della propria vita; BISOGNA FARE DELLA LUSSURIA UN’OPERA D’ARTE. Fingere l’incoscienza, lo smarrimento, per spiegare un gesto d’amore, è ipocrisia, debolezza, stoltezza.
Bisogna volere coscientemente una carne come ogni cosa.
Invece di darsi e di prendere (par coup de foudre, per delirio o incoscienza) degli esseri forzatamente moltiplicati dalle illusioni inevitabili degl’indomani imprevisti, bisogna sceglier sapientemente. Bisogna — guidati dall’intuizione e dalla volontà — valutare le sensibilità e le sensualità, e non accoppiare e non compiere se non quelle che possono completarsi ed esaltarsi.
Con la stessa coscienza e la stessa volontà direttrice, si devono condurre al parossismo le gioie di questo accoppiamento, sviluppare tutte le possibilità e far sbocciare tutti i fiori dai germi delle carni unite. Si deve fare della lussuria un’opera d’arte fatta, come ogni opera d’arte, d’istinto e di coscienza. [122]
BISOGNA SPOGLIARE LA LUSSURIA DI TUTTI I VELI SENTIMENTALI CHE LA DEFORMANO. Solo per viltà furono gettati su di essa tutti questi veli, poichè il sentimentalismo statico è soddisfacente. Nel sentimentalismo ci si riposa, dunque ci si diminuisce.
In un essere sano e giovane, ogni volta che la lussuria è in opposizione con la sentimentalità, la lussuria vince. La sentimentalità segue le mode, la lussuria è eterna. La lussuria trionfa, perchè è l’esaltazione gaudiosa che spinge l’essere al di là di sè stesso, la gioia del possesso e della dominazione, la perpetua vittoria da cui rinasce la perpetua battaglia, l’ebbrezza di conquista più inebbriante e più sicura. E questa conquista sicura è temporanea, dunque da cominciare incessantemente.
La Lussuria è una forza, perchè affina lo spirito col far fiammeggiare il turbamento della carne. Da una carne sana, forte, purificata dall’amplesso, lo spirito balza lucido e chiaro. Solo i deboli e gli ammalati vi si impantanano vi si diminuiscono. E la lussuria è una forza, poichè uccide i deboli ed esalta i forti, cooperando alla selezione.
La Lussuria è una forza, infine, perchè non conduce mai all’insipidezza del definitivo e della sicurezza che vengono dispensate dalla pacificante sentimentalità. La lussuria è la perpetua battaglia mai vinta. Dopo il passeggiero trionfo, nello stesso effimero trionfo, è l’insoddisfazione rinascente che spinge l’essere, in una orgiastica volontà, ad espandersi e a superarsi.
La Lussuria è pel corpo ciò che lo scopo ideale è per lo spirito: la Chimera magnifica, sempre afferrata mai presa, e che gli esseri giovani e quelli avidi, inebbriati di lei, inseguono senza posa.
LA LUSSURIA È UNA FORZA. [123]
RUSSOLO
11 Marzo 1913.
Caro Balilla Pratella, grande musicista futurista,
A Roma, nel Teatro Costanzi affollatissimo, mentre coi miei amici futuristi Marinetti, Boccioni, Carrà, Balla, Soffici, Papini, Cavacchioli, ascoltavo l’esecuzione orchestrale della tua travolgente MUSICA FUTURISTA, mi apparve alla mente una nuova arte che tu solo puoi creare: l’Arte dei Rumori, logica conseguenza delle tue meravigliose innovazioni.
La vita antica fu tutta silenzio. Nel diciannovesimo secolo, coll’invenzione delle macchine, nacque il Rumore. Oggi, il Rumore trionfa e domina sovrano sulla sensibilità degli uomini. Per molti secoli la vita si svolse in silenzio, o, per lo più, in sordina. I rumori più forti che interrompevano questo silenzio non erano nè intensi, nè prolungati, nè variati. Poichè se trascuriamo gli eccezionali movimenti tellurici, gli uragani, le tempeste, le valanghe e le cascate, la natura è silenziosa.
In questa scarsità di rumori, i primi suoni che l’uomo potè trarre da una canna forata o da una corda tesa, stupirono come cose nuove e mirabili. Il suono fu dai popoli primitivi attribuito agli dèi, considerato come sacro e riservato ai sacerdoti, che se ne servirono per arricchire di mistero i loro riti. Nacque così la concezione del suono come cosa a sè, diversa e indipendente dalla vita, e ne risultò la musica, mondo fantastico sovrapposto al reale, mondo inviolabile e sacro. Si comprende facilmente come una simile concezione della musica dovesse necessariamente[124] rallentarne il progresso, a paragone delle altre arti. I Greci stessi, con la loro teoria musicale matematicamente sistemata da Pitagora, e in base alla quale era ammesso soltanto l’uso di pochi intervalli consonanti, hanno molto limitato il campo della musica, rendendo così impossibile l’armonia, che ignoravano.
Il Medio Evo, con gli sviluppi e le modificazioni del sistema greco del tetracordo, col canto gregoriano e coi canti popolari, arricchì l’arte musicale, ma continuò a considerare il suono nel suo svolgersi nel tempo, concezione ristretta che durò per parecchi secoli e che ritroviamo ancora nelle più complicate polifonie dei contrappuntisti fiamminghi. Non esisteva l’accordo; lo sviluppo delle parti diverse non era subordinato all’accordo che queste parti potevano produrre nel loro insieme; la concezione infine, di queste parti era orizzontale, non verticale. Il desiderio, la ricerca e il gusto per l’unione simultanea dei diversi suoni, cioè per l’accordo (suono complesso) si manifestarono gradatamente, passando dall’accordo perfetto assonante e con poche dissonanze di passaggio, alle complicate, e persistenti dissonanze che caratterizzano la musica contemporanea.
L’arte musicale ricercò ed ottenne dapprima la purezza la limpidezza e la dolcezza del suono, indi amalgamò suoni diversi, preoccupandosi però di accarezzare l’orecchio con soavi armonie. Oggi l’arte musicale, complicandosi sempre più, ricerca gli amalgami di suoni più dissonanti, più strani e più aspri per l’orecchio. Ci avviciniamo così sempre più al suono-rumore.
QUESTA EVOLUZIONE DELLA MUSICA È PARALLELA AL MOLTIPLICARSI DELLE MACCHINE, che collaborano dovunque coll’uomo. Non soltanto nelle atmosfere fragorose delle grandi città, ma anche nelle campagne, che furono fino a ieri normalmente silenziose, la macchina ha creato oggi tanta varietà e concorrenza di rumori, che il suono puro,[125] nella sua esiguità e monotonia, non suscita più emozione.
Per eccitare ed esaltare la nostra sensibilità, la musica andò sviluppandosi verso la più complessa polifonia e verso la maggior varietà di timbri o coloriti strumentali, ricercando le più complicate successioni di accordi dissonanti e preparando vagamente la creazione del RUMORE MUSICALE. Questa evoluzione verso il «suono-rumore» non era possibile prima d’ora. L’orecchio di un uomo del settecento non avrebbe potuto sopportare l’intensità disarmonica di certi accordi prodotti dalle nostre orchestre (triplicate nel numero degli esecutori rispetto a quelle di allora). Il nostro orecchio invece se ne compiace, poichè fu già educato dalla vita moderna, così prodiga di rumori svariati. Il nostro orecchio però non se ne accontenta, e reclama più ampie emozioni acustiche.
D’altra parte, il suono musicale è troppo limitato nella varietà qualitativa dei timbri. Le più complicate orchestre si riducono a quattro o cinque classi di strumenti, differenti nel timbro del suono: strumenti ad arco, a pizzico, a fiato in metallo, a fiato in legno, a percussione. Cosicchè la musica moderna si dibatte in questo piccolo cerchio, sforzandosi vanamente di creare nuove varietà di timbri.
BISOGNA ROMPERE QUESTO CERCHIO RISTRETTO DI SUONI PURI E CONQUISTARE LA VARIETÀ INFINITA DEI «SUONI-RUMORI».
Ognuno riconoscerà d’altronde che ogni suono porta con sè un viluppo di sensazioni già note e sciupate, che predispongono l’ascoltatore alla noia, malgrado gli sforzi di tutti i musicisti novatori. Noi futuristi abbiamo tutti profondamente amato e gustato le armonie dei grandi maestri. Beethoven e Wagner ci hanno squassato i nervi e il cuore per molti anni. Ora ne siamo sazi e GODIAMO MOLTO PIÙ NEL COMBINARE IDEALMENTE DEI RUMORI DI TRAM[126] DI MOTORI A SCOPPIO, DI CARROZZE E DI FOLLE VOCIANTI, CHE NEL RIUDIRE, PER ESEMPIO, L’«EROICA» O LA «PASTORALE».
Non possiamo vedere quell’enorme apparato di forze che rappresenta un’orchestra moderna senza provare la più profonda delusione davanti ai suoi meschini risultati acustici. Conoscete voi spettacolo più ridicolo di venti uomini che s’accaniscono a raddoppiare il miagolìo di un violino? Tutto ciò farà naturalmente strillare i musicomani e risveglierà forse l’atmosfera assonnata delle sale di concerti. Entriamo insieme, da futuristi, in uno di questi ospedali di suoni anemici. Ecco: la prima battuta vi reca subito all’orecchio la noia del già udito e vi fa pregustare la noia della battuta che seguirà. Centelliniamo così, di battuta in battuta, due o tre qualità di noie schiette aspettando sempre la sensazione straordinaria che non viene mai. Intanto si opera una miscela ripugnante formata dalla monotonia delle sensazioni e dalla cretinesca commozione religiosa degli ascoltatori buddisticamente ebbri di ripetere per la millesima volta la loro estasi più o meno snobistica ed imparata. Via! Usciamo, poichè non potremmo a lungo frenare in noi il desiderio di creare finalmente una nuova realtà musicale, con un’ampia distribuzione di ceffoni sonori, saltando a piè pari violini, pianoforti, contrabbassi ed organi gemebondi. Usciamo!
Non si potrà obiettare che il rumore sia soltanto forte e sgradevole all’orecchio. Mi sembra inutile enumerare tutti i rumori tenui e delicati, che danno sensazioni acustiche piacevoli.
Per convincersi poi della varietà sorprendente dei rumori, basta pensare al rombo del tuono, ai sibili del vento, allo scrosciare di una cascata, al gorgogliare d’un ruscello, ai fruscii delle foglie, al trotto d’un cavallo che s’allontana, ai sussulti traballanti di un carro sul selciato e alla respirazione ampia, solenne e[127] bianca di una città notturna, a tutti i rumori che fanno le belve e gli animali domestici e a tutti quelli che può fare la bocca dell’uomo senza parlare o cantare.
Attraversiamo una grande capitale moderna, con le orecchie più attente che gli occhi, e godremo nel distinguere i risucchi d’acqua, d’aria o di gas nei tubi metallici, il borbottìo dei motori che fiatano e pulsano con una indiscutibile animalità, il palpitare delle valvole, l’andirivieni degli stantuffi, gli stridori delle seghe meccaniche, i balzi dei tram sulle rotaie, lo schioccar delle fruste, il garrire delle tende e delle bandiere. Ci divertiremo ad orchestrare idealmente insieme il fragore delle saracinesche dei negozi, le porte sbatacchianti, il brusìo e lo scalpiccìo delle folle, i diversi frastuoni delle stazioni delle ferriere, delle filande, delle tipografie, delle centrali elettriche e delle ferrovie sotterranee.
Nè bisogna dimenticare i rumori nuovissimi della guerra moderna. Recentemente il poeta Marinetti, in una sua lettera dalle trincee bulgare di Adrianopoli, mi descriveva con mirabili parole in libertà l’orchestra di una grande battaglia:
«ogni 5 secondi cannoni da assedio sventrare spazio con un accordo TAM-TUUUMB ammutinamento di 500 echi per azzannarlo sminuzzarlo sparpagliarlo all’infinito Nel centro di quei TAM-TUUUMB spiaccicati ampiezza 50 chilometri quadrati balzare scoppi tagli pugni batterie a tiro rapido Violenza ferocia regolarità questo basso grave scandere gli strani folli agitatissimi acuti della battaglia Furia affanno orecchie occhi narici aperti! attenti! forza! che gioia vedere udire fiutare tutto tutto taratatatata delle mitragliatrici strillare a perdifiato sotto morsi schiaffi traak-traak frustate pic-pac-pum-tumb bizzarrie salti altezza 200 metri della fucileria Giù giù in fondo all’orchestra stagni diguazzare buoi buffali pungoli carri pluff plaff impennarsi di cavalli flic flac zing zing sciaaack ilari nitriti iiiiiiii.... scalpiccii[128] tintinnii 3 battaglioni bulgari in marcia croooc-craaac (lento due tempi) Sciumi Maritza o Karvavena croooc-craaac grida degli ufficiali sbatacchiare come piatti d’ottone pan di qua paack di là cing BUUUM cing ciak (presto) ciaciacia ciaciaak su giù là là intorno in alto attenzione sulla testa ciaack bello! Vampe vampe vampe vampe vampe vampe ribalta dei forti laggiù dietro quel fumo Sciukri Pascià comunica telefonicamente con 27 forti in turco in tedesco allò! Ibraim! Rudolf! allò! allò! attori ruoli echi suggeritori scenari di fumo foreste applausi odore di fieno fango sterco non sento più i miei piedi gelati odore di salnitro odore di marcio Timpani flauti clarini dovunque basso alto uccelli cinguettare beatitudine ombrie cip-cip-cip brezza verde mandre don-dan-don-din bèèèè Orchestra i pazzi bastonano i professori d’orchestra questi bastonatissimi suonare suonare Grandi fragori non cancellare precisare ritagliandoli rumori più piccoli minutissimi rottami di echi nel teatro ampiezza 300 chilometri quadrati Fiumi Maritza Tungia sdraiati Monti Ròdopi ritti alture palchi loggione 2000 shrapnels sbracciarsi esplodere fazzoletti bianchissimi pieni d’oro TUM-TUMB 2000 granate protese strappare con schianti capigliature nerissime ZANG-TUMB-TUMB-ZANG-TUMB-TUUUMB l’orchestra dei rumori di guerra gonfiarsi sotto una nota di silenzio tenuta nell’alto cielo pallone sferico dorato che sorveglia i tiri».
NOI VOGLIAMO INTONARE E REGOLARE ARMONICAMENTE E RITMICAMENTE QUESTI SVARIATISSIMI RUMORI. Intonare i rumori non vuol dire togliere ad essi tutti i movimenti e le vibrazioni irregolari di tempo e d’intensità, ma bensì dare un grado o tono alla più forte e predominante di queste[129] vibrazioni. Il rumore infatti si differenzia dal suono solo in quanto le vibrazioni che lo producono sono confuse ed irregolari, sia nel tempo che nella intensità. OGNI RUMORE HA UN TONO, TALORA ANCHE UN ACCORDO CHE PREDOMINA NELL’INSIEME DELLE SUE VIBRAZIONI IRREGOLARI. Ora, da questo caratteristico tono predominante deriva la possibilità pratica di intonarlo, di dare cioè ad un dato rumore non un solo tono ma una certa varietà di toni, senza perdere la sua caratteristica, voglio dire il timbro che lo distingue. Così alcuni rumori ottenuti con un movimento rotativo possono offrire un’intera scala cromatica ascendente o discendente, se si aumenta o diminuisce la velocità del movimento.
Ogni manifestazione della nostra vita è accompagnata dal rumore. Il rumore è quindi famigliare al nostro orecchio, ed ha il potere di richiamarci immediatamente alla vita stessa. Mentre il suono, estraneo alla vita, sempre musicale, cosa a sè, elemento occasionale non necessario, è divenuto ormai per il nostro orecchio quello che all’occhio è un viso troppo noto, il rumore invece, giungendoci confuso e irregolare dalla confusione irregolare della vita, non si rivela mai interamente a noi e ci serba innumerevoli sorprese. Siamo certi dunque che scegliendo, coordinando e dominando tutti i rumori, noi arricchiremo gli uomini di una nuova voluttà insospettata. Benchè la caratteristica del rumore sia di richiamarci brutalmente alla vita, L’ARTE DEI RUMORI NON DEVE LIMITARSI AD UNA RIPRODUZIONE IMITATIVA. Essa attingerà la sua maggiore facoltà di emozione nel godimento acustico in sè stesso, che l’ispirazione dell’artista saprà trarre dai rumori combinati.
Ecco le 6 famiglie di rumori dell’orchestra futurista che attueremo presto, meccanicamente:[130]
1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 |
---|---|---|---|---|---|
Rombi Tuoni Scoppii Scrosci Tonfi Boati |
Fischi Sibili Sbuffi |
Bisbigli Mormorii Borbottii Brusii Gorgoglii |
Stridori Scricchiolii Fruscii Ronzii Crepitii Stropiccii |
Rumori ottenuti a percussione sui metalli, legni, pelli, pietre, terrecotte, ecc. | Voci di animali e di uomini: Gridi, Strilli, Gemiti, Urla, Ululati, Risate, Rantoli, Singhiozzi. |
In questo elenco abbiamo racchiuso i più caratteristici fra i rumori fondamentali; gli altri non sono che le associazioni e le combinazioni di questi. I MOVIMENTI RITMICI DI UN RUMORE SONO INFINITI. ESISTE SEMPRE COME PER IL TONO, UN RITMO PREDOMINANTE, ma attorno a questo altri numerosi ritmi secondari sono pure sensibili.
1. — I musicisti futuristi devono allargare ed arricchire sempre più il campo dei suoni. Ciò risponde a un bisogno della nostra sensibilità. Notiamo infatti nei compositori geniali d’oggi una tendenza verso le più complicate dissonanze. Essi, allontanandosi sempre più dal suono puro, giungono quasi al suono-rumore. Questo bisogno e questa tendenza non potranno essere soddisfatti che coll’aggiunta e la sostituzione dei rumori ai suoni.
2. — I musicisti futuristi devono sostituire alla limitata varietà dei timbri degl’istrumenti che l’orchestra possiede oggi, l’infinita varietà di timbri dei rumori, riprodotti con appositi meccanismi.
3. — Bisogna che la sensibilità del musicista, liberandosi dal ritmo facile e tradizionale, trovi nei rumori il modo di ampliarsi e rinnovarsi, dato che ogni [131] rumore offre l’unione dei ritmi più diversi, oltre a quello predominante.
4. — Ogni rumore avendo nelle sue vibrazioni irregolari UN TONO GENERALE PREDOMINANTE, si otterrà facilmente nella costruzione degli strumenti che lo imitano una varietà sufficientemente estesa di toni, semitoni e quarti di toni. Questa varietà di toni non toglierà a ogni singolo rumore le caratteristiche del suo timbro, ma ne amplierà solo la tessitura o estensione.
5. — Le difficoltà pratiche per la costruzione di questi strumenti non sono gravi. Trovato il principio meccanico che dà un rumore, si potrà mutarne il tono regolandosi sulle stesse leggi generali dell’acustica. Si procederà per esempio con la diminuzione o l’aumento della velocità, se lo strumento avrà un movimento rotativo, e con una varietà di grandezza o di tensione delle parti sonore, se lo strumento non avrà movimento rotativo.
6. — Non sarà mediante una successione di rumori imitativi della vita, bensì mediante una fantastica associazione di questi timbri varî e di questi ritmi varî, che la nuova orchestra otterrà le più complesse e nuove emozioni sonore. Perciò ogni strumento dovrà offrire la possibilità di mutare tono, e dovrà avere una più o meno grande estensione.
7. — La varietà dei rumori è infinita. Se oggi, mentre noi possediamo forse mille macchine diverse, possiamo distinguere mille rumori diversi, domani, col moltiplicarsi di nuove macchine, potremo distinguere dieci, venti, o TRENTAMILA RUMORI DIVERSI, NON DA IMITARE SEMPLICEMENTE MA DA COMBINARE SECONDO LA NOSTRA FANTASIA.
8. — Invitiamo dunque i giovani musicisti geniali e audaci ad osservare con attenzione continua tutti i rumori, per comprendere i varî ritmi che li compongono, il loro tono principale e quelli secon[132]dari. Paragonando poi i timbri varî dei rumori ai timbri dei suoni, si convinceranno di quanto i primi sono più numerosi dei secondi. Questo ci darà non solo la comprensione ma anche il gusto e la passione dei rumori. La nostra sensibilità moltiplicata, dopo essersi conquistati degli occhi futuristi avrà finalmente delle orecchie futuriste. Così i motori e le macchine delle nostre città industriali potranno un giorno essere sapientemente intonati, in modo da fare di ogni officina una inebbriante orchestra di rumori.
Caro Pratella, io sottopongo al tuo genio futurista queste mie constatazioni, invitandoti alla discussione. Non sono musicista; non ho dunque predilezioni acustiche, nè opere da difendere. Sono un pittore futurista che proietta fuori di sè in un’arte molto amata la sua volontà di rinnovare tutto. Perciò più temerario di quanto potrebbe esserlo un musicista di professione, non preoccupandomi della mia apparente incompetenza e convinto che l’audacia abbia tutti i diritti e tutte le possibilità, ho potuto intuire il grande rinnovamento della musica mediante l’Arte dei Rumori. [133]
MARINETTI
11 Maggio 1913.
Il mio «Manifesto tecnico della Letteratura futurista» (11 Maggio, 1912) col quale inventai il lirismo essenziale e sintetico, l’immaginazione senza fili e le parole in libertà, concerne esclusivamente l’ispirazione poetica.
La filosofia, le scienze esatte, la politica, il giornalismo, l’insegnamento, gli affari, pur ricercando forme sintetiche di espressione, dovranno ancora valersi della sintassi e della punteggiatura. Sono costretto infatti, a servirmi di tutto ciò per potervi esporre la mia concezione.
Il futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche. Coloro che usano oggi del telegrafo, del telefono e del grammofano, del treno, della bicicletta, della motocicletta, dell’automobile, del transatlantico, del dirigibile, dell’aeroplano, del cinematografo, del grande quotidiano (sintesi di una giornata del mondo) non pensano che queste diverse forme di comunicazione, di trasporto e d’informazione esercitano sulla loro psiche una decisiva influenza.
Un uomo comune può trasportarsi con una giornata di treno, da una piccola città morta dalle piazze deserte, dove il sole, la polvere e il vento si divertono in silenzio, ad una grande capitale, irta di luci, di ge[134]sti e di grida.... L’abitante di un villaggio alpestre, può palpitare d’angoscia ogni giorno, mediante un giornale, con i rivoltosi cinesi, le suffragette di Londra e quelle di New York, il dottor Carrel e le slitte eroiche degli esploratori polari. L’abitante pusillanime e sedentario di una qualsiasi città di provincia può concedersi l’ebrietà del pericolo seguendo in uno spettacolo di cinematografo, una caccia grossa nel Congo. Può ammirare atleti giapponesi, boxeurs negri, eccentrici americani inesauribili, parigine elegantissime, spendendo un franco al teatro di varietà. Coricato poi nel suo letto borghese, egli può godersi la lontanissima e costosa voce di un Caruso o di una Burzio.
Queste possibilità diventate comuni, non suscitano curiosità alcuna negli spiriti superficiali, assolutamente incapaci di approfondire qualsiasi fatto nuovo come gli arabi che guardavano con indifferenza i primi aeroplani nel cielo di Tripoli. Queste possibilità sono invece per l’osservatore acuto altrettanti modificatori della nostra sensibilità, poichè hanno creato i seguenti fenomeni significativi:
1 — Accelleramento della vita, che ha oggi, un ritmo rapido. Equilibrismo fisico, intellettuale e sentimentale sulla corda tesa della velocità fra i magnetismi contradittorii. Coscienze molteplici e simultanee in uno stesso individuo.
2 — Orrore di ciò che è vecchio e conosciuto. Amore del nuovo, dell’imprevisto.
3 — Orrore del quieto vivere, amore del pericolo e attitudine all’eroismo quotidiano.
4 — Distruzione del senso dell’al di là e aumentato valore dell’individuo che vuol vivre sa vie secondo la frase di Bonnot.
5 — Moltiplicazione e sconfinamento delle ambizioni e dei desideri umani.
6 — Conoscenza esatta di tutto ciò che ognuno ha d’inaccessibile e d’irrealizzabile.
7 — Semi-uguaglianza dell’uomo e della donna, e minore slivello dei loro diritti sociali. [135]
8 — Deprezzamento dell’amore (sentimentalismo o lussuria), prodotto della maggiore libertà e facilità erotica nella donna e dall’esagerazione universale del lusso femminile. Mi spiego: Oggi la donna ama più il lusso che l’amore. Una visita a una grande sartoria fatta in compagnia d’un banchiere amico, panciuto, podagroso, ma che paga, sostituisce perfettamente il più caldo convegno d’amore con un giovane adorato. La donna trova tutto l’ignoto dell’amore nella scelta di una toilette straordinaria, ultimo modello, che le sue amiche non hanno ancora. L’uomo non ama la donna priva di lusso. L’amante ha perso ogni prestigio, l’Amore ha perso il suo valore assoluto. Questione complessa, che mi accontento di sfiorare.
9 — Modificazione del patriottismo diventato oggidì l’idealizzazione eroica della solidarietà commerciale, industriale e artistica di un popolo.
10 — Modificazione della concezione della guerra, diventata il collaudo sanguinoso e necessario della forza di un popolo.
11 — Passione, arte, idealismo degli Affari. Nuova sensibilità finanziaria.
12 — L’uomo moltiplicato dalla macchina. Nuovo senso meccanico, fusione dell’istinto col rendimento del motore e colle forze ammaestrate.
13 — Passione, arte e idealismo dello Sport. Concezione e amore del «record».
14 — Nuova sensibilità turistica dei transatlantici e dei grandi alberghi (sintesi annuale di razze diverse). Passione per la città. Negazione delle distanze e delle solitudini nostalgiche. Derisione del divino silenzio verde e del paesaggio intangibile.
15 — La terra rimpicciolita dalla velocità. Nuovo senso del mondo. Mi spiego: Gli uomini conquistarono successivamente il senso della casa, il senso del quartiere in cui abitavano, il senso della città, il senso della zona geografica, il senso del continente. Oggi posseggono il senso del mondo; hanno mediocremente bisogno di sapere ciò che facevano i loro avi, ma biso[136]gno assiduo di sapere ciò che fanno i loro contemporanei di ogni parte del mondo. Conseguente necessità, per l’individuo, di comunicare con tutti i popoli della terra. Conseguente bisogno di sentirsi centro, giudice e motore dell’infinito esplorato e inesplorato. Ingigantimento del senso umano e urgente necessità di fissare ad ogni istante i nostri rapporti con tutta l’umanità.
16 — Nausea della linea curva, della spirale e del tourniquet. Amore della retta e del tunnel. Abitudine delle visioni in scorcio e delle sintesi visuali create dalla velocità dei treni e degli automobili che guardano dall’alto città e campagne. Orrore della lentezza, delle minuzie, delle analisi e delle spiegazioni minute. Amore della velocità, dell’abbreviazione e del riassunto. «Raccontami tutto, presto, in due parole!».
17 — Amore della profondità e dell’essenza in ogni esercizio dello spirito.
Ecco alcuni degli elementi della nuova sensibilità futurista che hanno generato il nostro dinamismo pittorico, la nostra musica antigraziosa senza quadratura ritmica, la nostra Arte dei rumori e le nostre parole in libertà.
Scartando ora tutte le stupide definizioni e tutti i confusi verbalismi dei professori, io vi dichiaro che il lirismo è la facoltà rarissima di inebbriarsi della vita e di inebbriarla di noi stessi. La facoltà di cambiare in vino l’acqua torbida della vita che ci avvolge e ci attraversa. La facoltà di colorare il mondo coi colori specialissimi del nostro io mutevole.
Ora supponete che un amico vostro dotato di questa facoltà lirica si trovi in una zona di vita intensa (rivoluzione, guerra, naufragio, terremoto ecc.) e venga, immediatamente dopo, a narrarvi le impressioni avute. Sapete che cosa farà istintivamente questo vostro amico lirico e commosso?... [137]
Egli comincerà col distruggere brutalmente la sintassi nel parlare. Non perderà tempo a costruire i periodi. S’infischierà della punteggiatura e dell’aggettivazione. Disprezzerà cesellature e sfumature di linguaggio, e in fretta vi getterà affannosamente nei nervi le sue sensazioni visive, auditive, olfattive, secondo la loro corrente incalzante. L’irruenza del vapore-emozione farà saltare il tubo del periodo, le valvole della punteggiatura e i bulloni regolari dell’aggettivazione. Manate di parole essenziali senza alcun ordine convenzionale. Unica preoccupazione del narratore rendere tutte le vibrazioni del suo io.
Se questo narratore dotato di lirismo avrà inoltre una mente popolata di idee generali, involontariamente allaccerà le sue sensazioni coll’universo intero sconosciuto o intuito da lui. E per dare il valore esatto e le proporzioni della vita che ha vissuta, lancierà delle immense reti di analogie sul mondo. Egli darà così il fondo analogico della vita, telegraficamente, cioè con la stessa rapidità economica che il telegrafo impone ai reporters e ai corrispondenti di guerra, pei loro racconti superficiali. Questo bisogno di laconismo non risponde solo alle leggi di velocità che ci governano, ma anche ai rapporti multisecolari che il pubblico e il poeta hanno avuto. Corrono infatti, fra il pubblico e il poeta, i rapporti stessi che esistono fra due vecchi amici. Questi possono spiegarsi con una mezza parola, un gesto, un’occhiata. Ecco perchè l’immaginazione del poeta deve allacciare fra loro le cose lontane senza fili conduttori, per mezzo di parole essenziali in libertà.
Il verso libero dopo avere avuto mille ragioni d’esistere è ormai destinato a essere sostituito dalle parole in libertà.
L’evoluzione della poesia e della sensibilità umana ci ha rivelati i due irrimediabili difetti del verso libero.[138]
1. — Il verso libero spinge fatalmente il poeta a facili effetti di sonorità, giochi di specchi previsti, cadenze monotone, assurdi rintocchi di campana e inevitabili risposte di echi esterni o interni.
2. — Il verso libero canalizza artificialmente la corrente della emozione lirica fra le muraglie della sintassi e le chiuse grammaticali. La libera ispirazione intuitiva che si rivolge direttamente all’intuizione del lettore ideale si trova così imprigionata e distribuita come un’acqua potabile per l’alimentazione di tutte le intelligenze restie e meticolose.
Quando parlo di distruggere i canali della sintassi, non sono nè categorico, nè sistematico. Nelle parole in libertà del mio lirismo scatenato si troveranno qua e là delle traccie di sintassi regolare ed anche dei veri periodi logici. Questa disuguaglianza nella concisione e nella libertà è inevitabile e naturale. La poesia non essendo, in realtà, che una vita superiore, più raccolta e più intensa di quella che viviamo ogni giorno, — è come questa composta di elementi ultravivi e di elementi agonizzanti.
Non bisogna dunque preoccuparsi troppo di questi ultimi. Ma si devono evitare ad ogni costo la rettorica e i luoghi comuni espressi telegraficamente.
Per immaginazione senza fili, io intendo la libertà assoluta delle immagini o analogie, espresse con parole slegate e senza fili conduttori sintattici e senza alcuna punteggiatura.
«Gli scrittori si sono abbandonati finora all’analogia immediata. Hanno paragonato per esempio l’animale all’uomo o ad un altro animale, il che equivale ancora, press’a poco a una specie di fotografia. Hanno paragonato per esempio un fox-terrier a un piccolissimo puro sangue. Altri più avanzati, potrebbero paragonare quello stesso fox-terrier trepidante, a una pic[139]cola macchina Morse. Io lo paragono invece, a un’acqua ribollente. V’è in ciò una gradazione di analogie sempre più vaste, vi sono dei rapporti sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi. L’analogia non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale, ad un tempo policromo, polifonico e polimorfo, può abbracciare la vita della materia. Quando nella mia Battaglia di Tripoli, ho paragonato una trincea irta di baionette a un’orchestra, una mitragliatrice a una donna fatale, ho introdotto intuitivamente una gran parte dell’universo in un breve episodio di battaglia africana. Le immagini non sono fiori da scegliere e da cogliere con parsimonia, come diceva Voltaire. Esse costituiscono il sangue stesso della poesia. La poesia deve essere un seguito ininterrotto d’immagini nuove, senza di che non è altro che anemia e clorosi. Quanto più le immagini contengono rapporti vasti, tanto più a lungo esse conservano la loro forza di stupefazione....» (Manifesto della letteratura futurista).
L’immaginazione senza fili, e le parole in libertà c’introdurranno nell’essenza della materia. Collo scoprire nuove analogie tra cose lontane e apparentemente opposte noi le valuteremo sempre più intimamente. Invece di umanizzare animali, vegetali, minerali (sistema sorpassato) noi potremo animalizzare, vegetalizzare, mineralizzare, elettrizzare o liquefare lo stile, facendolo vivere della stessa vita della materia. Es., per dare la vita di un filo d’erba, dico: «sarò più verde domani». Colle parole in libertà avremo: LE METAFORE CONDENSATE. — LE IMMAGINI TELEGRAFICHE. — LE SOMME DI VIBRAZIONI. — I NODI DI PENSIERI. — I VENTAGLI CHIUSI O APERTI DI MOVIMENTI. — GLI SCORCI DI ANALOGIE. — I BILANCI DI COLORE. — LE DIMENSIONI, I PESI, LE MISURE E LA VELOCITÀ DELLE[140] SENSAZIONI. — IL TUFFO DELLA PAROLA ESSENZIALE NELL’ACQUA DELLA SENSIBILITÀ, SENZA I CERCHI CONCENTRICI CHE LA PAROLA PRODUCE. — I RIPOSI DELL’INTUIZIONE. — I MOVIMENTI A DUE, TRE, QUATTRO, CINQUE TEMPI. — I PALI ANALITICI ESPLICATIVI CHE SOSTENGONO IL FASCIO DEI FILI INTUITIVI.
Il mio manifesto tecnico combatteva l’ossessione dell’io che i poeti hanno descritto, cantato, analizzato e vomitato fino ad oggi. Per sbarazzarsi di questo io ossessionante, bisogna abbandonare l’abitudine di umanizzare la natura attribuendo passioni e preoccupazioni umane alle piante, alle acque, alle pietre e alle nuvole. Si deve esprimere invece l’infinitamente piccolo che ci circonda, l’impercettibile, l’invisibile, l’agitazione degli atomi, il movimento Browniano, tutte le ipotesi appassionate e tutti i dominii esplorati dell’ultra-microscopia. Mi spiego: non già come documento scientifico, ma come elemento intuitivo, io voglio introdurre nella poesia l’infinita vita molecolare che deve mescolarsi, nell’opera d’arte, cogli spettacoli e i drammi dell’infinitamente grande, poichè questa fusione costituisce la sintesi integrale della vita.
Per aiutare in qualche modo l’intuizione del mio lettore ideale io impiego il carattere corsivo per tutte le parole in libertà che esprimono l’infinitamente piccolo e la vita molecolare.[141]
Noi tendiamo a sopprimere ovunque l’aggettivo qualificativo, poichè presuppone un arresto nella intuizione, una definizione troppo minuta del sostantivo. Tutto ciò non è categorico. Si tratta di una tendenza. Ciò che è necessario è il servirsi dell’aggettivo il meno possibile e in un modo assolutamente diverso da quello usato fino ad oggi. Bisogna considerare gli aggettivi come segnali ferroviari o semaforici dello stile, che servono a regolare lo slancio, i rallentamenti e gli arresti della corsa, delle analogie. Si potranno così accumulare anche 20 di questi aggettivi semaforici.
Io chiamo aggettivo semaforico, aggettivo-faro o aggettivo-atmosfera l’aggettivo separato dal sostantivo isolato anzi in una parentesi, e diventato così una specie di sostantivo assoluto, più vasto e più potente di quello propriamente detto.
L’aggettivo semaforico o aggettivo-faro, sospeso in alto della gabbia invetriata della parentesi, lancia lontano tutt’intorno la sua luce girante.
Il profilo di questo aggettivo si sfrangia, dilaga intorno, illuminando, impregnando e avviluppando tutta una zona di parole in libertà. Se, per esempio, in un agglomeramento di parole in libertà che descrive un viaggio in mare, io pongo i seguenti aggettivi semaforici tra parentesi: (calmo azzurro metodico abitudinario) non soltanto il mare è calmo azzurro metodico abitudinario, ma la nave, le sue macchine, i passeggieri, quello che io faccio e il mio stesso spirito sono calmi azzurri metodici abitudinarî.
Anche qui, le mie dichiarazioni non sono categoriche. Io sostengo però che in un lirismo violento e dinamico, il verbo all’infinito sarà indispensabile, poichè,[142] tondo come una ruota, adattabile come una ruota a tutti i vagoni del treno delle analogie, costituisce la velocità stessa dello stile.
Il verbo all’infinito nega per sè stesso l’esistenza del periodo ed impedisce allo stile di arrestarsi e di sedersi in un punto determinato. Mentre il VERBO ALL’INFINITO È ROTONDO e scorrevole come una ruota, gli altri modi e tempi del verbo sono o triangolari, o quadrati, o ovali.
Quando io dissi che «bisogna sputare ogni giorno sull’Altare dell’Arte» incitai i futuristi a liberare il lirismo dall’atmosfera solenne piena di compunzione e d’incensi che si usa chiamare l’Arte coll’A maiuscolo. L’arte coll’A maiuscolo costituisce il clericalismo dello spirito creativo. Incitavo per ciò i futuristi a distruggere e a beffeggiare le ghirlande, le palme, e le aureole, le cornici preziose, le stole e i paludamenti tutto il vestiario, storico e il bric-à-brac romantico che formano una gran parte di tutta la poesia fino a noi. Propugnavo invece un lirismo rapidissimo, brutale e immediato, un lirismo che a tutti i nostri predecessori deve apparire come antipoetico, un lirismo telegrafico, che non abbia assolutamente alcun sapore di libro, e, il più possibile, sapore di vita. Da ciò, l’introduzione coraggiosa di accordi onomatopeici per rendere tutti i suoni e i rumori anche i più cacofonici della vita moderna.
L’onomatopea che serve a vivificare il lirismo con elementi crudi e brutali di realtà, fu usata in poesia (da Aristofane a Pascoli) più o meno timidamente. Noi futuristi iniziamo l’uso audace e continuo dell’onomatopea. Questo non deve essere sistematico. Per esempio il mio Adrianopoli Assedio — Orchestra e la mia Battaglia Peso Odore + esigevano molti accordi onomatopeici. Sempre allo scopo di dare la massima[143] quantità di vibrazioni e una più profonda sintesi della vita, noi aboliamo tutti i legami stilistici, tutte le lucide fibbie colle quali i poeti tradizionali legano le immagini nel loro periodare. Ci serviamo invece dei brevissimi od anonimi segni matematici e musicali, e poniamo tra parentesi delle indicazioni come: (presto) (più presto) (rallentando) (due tempi) per regolare la velocità dello stile. Queste parentesi possono anche tagliare una parola o un accordo onomatopeico.
Io inizio una rivoluzione tipografica diretta contro la bestiale e nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana, la carta a mano seicentesca, fregiata di galee, minerve e apolli, di iniziali rosse a ghirigori, ortaggi, mitologici nastri da messale, epigrafi e numeri romani. Il libro deve essere l’espressione futurista del nostro pensiero futurista. Non solo. La mia rivoluzione è diretta contro la così detta armonia tipografica della pagina, che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa. Noi useremo perciò in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d’inchiostro, e anche 20 caratteri tipografici diversi, se occorra. Per esempio: corsivo per una serie di sensazioni simili o veloci, grassetto tondo per le onomatopee violente, ecc. Con questa rivoluzione tipografica e questa varietà multicolore di caratteri io mi propongo di raddoppiare la forza espressiva delle parole.
Combatto l’estetica decorativa e preziosa di Mallarmé e le sue ricerche della parola rara, dell’aggettivo unico insostituibile, elegante, suggestivo, squisito. Non voglio suggerire un’idea o una sensazione con delle grazie o delle leziosaggini passatiste: voglio anzi afferrarle brutalmente e scagliarle in pieno petto al lettore.
Combatto inoltre l’ideale statico di Mallarmé, con[144] questa rivoluzione tipografica che mi permette d’imprimere alle parole (già libere, dinamiche e siluranti) tutte le velocità, quelle degli astri, delle nuvole, degli aeroplani, dei treni, delle onde, degli esplosivi, dei globuli della schiuma marina, delle molecole, e degli atomi.
Realizzo così il 4º principio del mio Primo manifesto del Futurismo (20 febbraio 1909): «Noi affermiamo che la bellezza pel mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità».
Ho ideato inoltre il lirismo multilineo col quale riesco ad ottenere quella simultaneità lirica che ossessiona anche i pittori futuristi, lirismo multilineo, mediante il quale io sono convinto di ottenere le più complicate simultaneità liriche.
Il poeta lancerà su parecchie linee parallele parecchie catene di colori, suoni, odori, rumori, pesi, spessori, analogie. Una di queste linee potrà essere per esempio odorosa, l’altra musicale, l’altra pittorica.
Supponiamo che la catena delle sensazioni e analogie pittoriche domini sulle altre catene di sensazioni e analogie: essa verrà in questo caso stampata in un carattere più grosso di quelli della seconda e della terza linea (contenenti l’una, per esempio, la catena delle sensazioni e analogie musicali, l’altra la catena delle sensazioni e analogie odorose).
Data una pagina contenente molti fasci di sensazioni e analogie, ognuno dei quali sia composto di 3 o 4 linee, la catena delle sensazioni e analogie pittoriche, (stampata in un carattere grosso) formerà la prima linea del primo fascio e continuerà, (sempre nello stesso carattere) nella prima linea di ognuno degli altri fasci.
La catena delle sensazioni e analogie musicali (2ª linea), meno importante della catena delle sensazioni e analogie pittoriche (1ª linea), ma più importante di[145] quella delle sensazioni e analogie odorose (3ª linea) sarà stampata in un carattere meno grosso di quello della prima linea e più grosso di quello della terza.
La necessità storica dell’ortografia libera espressiva è dimostrata dalle successive rivoluzioni che hanno sempre più liberato dai ceppi e dalle regole la potenza lirica della razza umana.
1 — Infatti, i poeti, incominciarono coll’incanalare la loro ebrietà lirica in una serie di fiati uguali con accenti, echi, rintocchi o rime prestabilite a distanze fisse (METRICA TRADIZIONALE). I poeti alternarono poi con una certa libertà questi diversi fiati misurati dai polmoni dei poeti precedenti.
2 — I poeti, più tardi, sentirono che i diversi momenti della loro ebrietà lirica dovevano creare fiati adeguati di diversissime e impreviste lunghezze, con assoluta libertà di accentazione. Giunsero così al VERSO LIBERO, ma conservarono però sempre l’ordine sintattico delle parole, affinchè l’ebrietà lirica potesse colar giù nello spirito dell’ascoltatore, pel canale logico della sintassi.
3 — Oggi noi non vogliamo più che l’ebrietà lirica disponga sintatticamente le parole prima di lanciarle fuori coi fiati da noi inventati, ed abbiamo le PAROLE IN LIBERTÀ. Inoltre la nostra ebrietà lirica deve liberamente deformare, riplasmare le parole, tagliandole e allungandone, rinforzandone il centro o le estremità, aumentando o diminuendo il numero delle vocali e delle consonanti. Avremo così la nuova ortografia che io chiamo libera espressiva. Questa deformazione istintiva delle parole corrisponde alla nostra tendenza naturale verso l’onomatopea. Poco importa se la parola deformata, diventa equivoca. Essa si sposerà cogli accordi onomatopeici, o riassunti di rumori, e ci permetterà di giungere presto all’accordo onoma[146]topeico psichico, espressione sonora ma astratta di una emozione o di un pensiero puro. Mi si obbietta che le mie PAROLE IN LIBERTÀ’, la mia immaginazione senza fili esigono declamatori speciali, sotto pena di non essere comprese. Benchè la comprensione dei molti non mi preoccupi, risponderò che i declamatori futuristi vanno moltiplicandosi e che d’altronde qualsiasi ammirato poema tradizionale esige, per esser gustato, un declamatore speciale.[147]
GUILLAUME APOLLINAIRE
29 Giugno 1913.
ABBASSILPominir Aliminé SSkorsusu otalo ATIScramir MOnigma
QUESTO MOTORE DI TUTTE LE TENDENZE IMPRESSIONISMO «FAUVISME» CUBISMO ESPRESSIONISMO PATETISMO DRAMMATISMO ORFISMO PAROSSISMO DINAMISMO PLASTICO PAROLE IN LIBERTÀ INVENZIONE DI PAROLE.
Soppressione | del dolore poetico | ||
Senza rimpianto |
degli esotismi snob della copia in arte delle sintassi (già condannate dall’uso in tutte le lingue). dell’aggettivo della punteggiatura dell’armonia tipografica dei tempi e delle persone dei verbi dell’orchestra della forma teatrale del sublime falso-artistico del verso e della strofa delle case della critica e della satira dell’intreccio nelle narrazioni della noia |
Continuità
simultaneità in opposizione al particolarismo e alla divisione |
Letteratura pura PAROLE IN LIBERTÀ INVENZIONE DI PAROLE Plastica pura (5 sensi) Creazione invenzione profezia DESCRIZIONE ONOMATOPEICA Musica totale e ARTE DEI RUMORI Mimica universale e Arte delle luci MACCHINISMO Torre Eiffel Brooklyn e grattacieli Poliglottismo Civiltà pura Nomadismo epico esploratorismo urbano ARTE DEI VIAGGI e delle passeggiate Antigrazioso Fremiti diretti per mezzo di grandi spettacoli liberi circhi music-halls ecc. ecc. |
Colpi e ferite |
Libro o vita imprigionata o fonocinematografia o
IMMAGINAZIONE SENZA FILI Tremolismo continuo o onomatopee più inventate che imitate Danza-lavoro o coreografia pura Linguaggio veloce caratteristico impressionante cantato fischiato o corso Diritto delle genti e guerra continua Femminismo integrale o differenziazione innumerevole dei sessi Umanità e appello all’oltre-uomo Materia o TRASCENDENTALISMO FISICO ANALOGIE E GIUOCHI DI PAROLE trampolino lirico delle lingue calcolo Calcutta guttaperca pergamena Agamennone ameno anormale animale malanimo Marmara aromatico |
u u u flauto rospo nascita delle perle apremina |
MERDA
ai
Critici Pedagoghi Professori Musei Trecentisti Quattrocentisti Cinquecentisti Rovine Pàtine Néo e post Bayreuth Firenze Montmartre e Monaco di Baviera Lessici Buongustismi Orientalismi Dandismi Spiritualisti o veristi (senza sentimento della realtà e dello spirito) Accademismi I fratelli siamesi D’Annunzio e Rostand |
Storici Venezia Versailles Pompei Bruges Oxford Norimberga Toledo Bénares, ecc. Difensori di paesaggi Filologi [150]Scrittori di saggi Dante Shakespeare Tolstoi Goethe Dilettantismi merdeggianti Eschilo e teatri d’Orange e di Fiesole India Egitto Fiesole e la teosofia Scientismo Montaigne Wagner Beethoven Edgard Poe Walt Whitman e Baudelaire Manzoni Carducci e Pascoli |
ROSE a
MARINETTI — PICASSO — BOCCIONI — APOLLINAIRE — PAUL FORT — MERCEREAU — MAX JACOB — CARRÀ — DELAUNAY — HENRI MATISSE — BRAQUE — DEPAQUIT — SEVERINE — SEVERINI — DERAIN — RUSSOLO — ARCHIPENKO — PRATELLA — BALLA — F. DIVOIRE — N. BEAUDUIN — T. VARLET — BUZZI — PALAZZESCHI — MAQUAIRE — PAPINI — SOFFICI — FOLGORE — GOVONI — MONTFORT — R. FRY — CAVACCHIOLI — D’ALBA — ALTOMARE — TRIDON — METZINGER — GLEIZES — JASTREBZOFF — ROYÈRE — SALMON — CASTIAUX — LAURENCIN — AUREL — AGERO — LEGER — VALENTINE DE SAINT-POINT — DELMARLE — KANDINSKY — STRAWINSKY — HERBIN[151] — A. BILLY — G. SAUVEBOIS — PICABIA — MARCEL DUCHAMP — B. CENDRARS — JOUVE — H. M. BARZUN — G. POLTI — MAC ORLAN — F. FLEURET — JAUDON — MANDIN — R. DALIZE — M. BRESIL — F. CARCO — RUBINER — BETUDA — MANZELLA-FRONTINI — A. MAZZA — T. DÉRÊME — GIANNATTASIO — TAVOLATO — DE GONZAGUES-FRIEK — C. LARRONDE.
C. D. CARRÀ
11 Agosto 1913.
Prima del 19º secolo, la pittura fu l’arte del silenzio. I pittori dell’antichità, del Rinascimento, del Seicento e del Settecento non intuirono mai la possibilità di rendere pittoricamente i suoni, i rumori, e gli odori, nemmeno quando scelsero a tema delle loro composizioni fiori, mari in burrasca e cieli in tempesta.
Gl’impressionisti, nella loro audace rivoluzione fecero qualche confuso e timido tentativo di suoni, e rumori pittorici. Prima di loro, nulla, assolutamente nulla!
Però dichiariamo subito che dal brulichìo impressionista alla nostra pittura futurista dei suoni, rumori e odori c’è un’enorme differenza, come fra un brumoso mattino invernale e un torrido e scoppiante meriggio d’estate, o, meglio ancora, come fra i primi accenni della gravidanza e l’uomo nel pieno sviluppo delle sue forze. Nelle loro tele i suoni e i rumori sono espressi in modo così tenue e sbiadito come se fossero stati percepiti dal timpano di un sordo. Non è il caso di fare qui una disamina particolareggiata dei principii e delle ricerche degl’impressionisti. Non è il caso d’indagare minuziosamente tutte le ragioni per le quali i pittori impressionisti non giunsero alla pittura dei suoni, dei[153] rumori e degli odori. Diremo soltanto che essi, per ottenere questo risultato avrebbero dovuto distruggere:
1. Il volgarissimo trompe-l’œil prospettico, giochetto degno tutt’al più di un accademico, tipo Leonardo, o di un balordo scenografo per melodrammi veristi.
2. Il concetto dell’armonia coloristica, concetto e difetto caratteristico dei Francesi, che li costringe fatalmente nel grazioso, nel genere Watteau, e perciò nell’abuso del celestino, del verdino, del violettino e del roseo. Abbiamo già detto più volte quanto disprezziamo questa tendenza al femminile, al soave, al tenero.
3. L’idealismo contemplativo, che io ho definito mimetismo sentimentale della natura apparente. Questo idealismo contemplativo contamina le costruzioni pittoriche degl’impressionisti, come contaminava già quelle dei loro precedessori Corot e Delacroix.
4. L’aneddoto e il particolarismo che (pure essendo, come reazione, un antidoto alla falsa costruzione accademica) li trascina quasi sempre nella fotografia.
Quanto ai post- e neo-impressionisti, come Matisse, Signac e Seurat, noi constatiamo che, ben lungi dall’intuire il problema e dall’affrontare le difficoltà del suono e del rumore e dell’odore in pittura, essi preferirono rinculare nella statica, pur di ottenere una maggior sintesi di forma e di colore (Matisse) e una sistematica applicazione della luce (Seurat, Signac).
Noi futuristi affermiamo dunque che portando nella pittura l’elemento suono, l’elemento rumore e l’elemento odore tracciamo nuove strade. Abbiamo già creato negli artisti l’amore per la vita moderna essenzialmente dinamica, sonora rumorosa e odorante, distruggendo la stupida manìa del solenne, del togato, del sereno, dell’ieratico, del mummificato, dell’intellettuale, insomma.
L’IMMAGINAZIONE SENZA FILI, LE PAROLE IN LIBERTÀ, L’USO SISTEMATICO[154] DELLE ONOMATOPEE. LA MUSICA ANTIGRAZIOSA SENZAQUADRATURA RITMICA E L’ARTE DEI RUMORI sono scaturiti dalla stessa sensibilità che ha generato la pittura dei suoni, dei rumori e degli odori.
È indiscutibile che: 1. il silenzio è statico e che i suoni, rumori e odori sono dinamici; 2. suoni, rumori e odori non sono altro che diverse forme e intensità di vibrazione; 3. qualsiasi succedersi di suoni, rumori odori stampa nella mente un arabesco di forme e di colori. Bisogna dunque misurare queste intensità e intuire questo arabesco.
LA PITTURA DEI SUONI, DEI RUMORI E DEGLI ODORI NEGA:
1. Tutti i colori in sordina, anche quelli ottenuti direttamente, senza il sussidio trucchistico delle pàtine e delle velature.
2. Il senso tutto banale del velluto, delle sete delle carni troppo umane, troppo fini, troppo morbide e dei fiori troppo pallidi e avvizziti.
3. I grigi, i bruni, e tutti i colori fangosi.
4. L’uso dell’orizzontale pura, della verticale pura e di tutte le linee morte.
5. L’angolo retto, che chiamiamo apassionale.
6. Il cubo, la piramide e tutte le forme statiche.
7. L’unità di tempo e di luogo.
LA PITTURA DEI SUONI, DEI RUMORI E DEGLI ODORI VUOLE:
1. I rossi, rooooosssssi roooooosssissssimi che griiiiiiidano.
2. I verdi i non mai abbastanza verdi, veeeeeerdiiiiiissssssimi, che striiiiiidono; i gialli non mai abbastanza scoppianti; i gialloni-polenta; i gialli-zafferano i gialli-ottoni.
3. Tutti i colori della velocità, della gioia, della baldoria, del carnevale più fantastico, dei fuochi di[155] artifizio, dei café-chantants e dei music-halls, tutti i colori in movimento sentiti nel tempo e non nello spazio.
4. L’arabesco dinamico come l’unica realtà creata dall’artista nel fondo della sua sensibilità.
5. L’urto di tutti gli angoli acuti, che già chiamammo gli angoli della volontà;
6. Le linee oblique che cadono sull’animo dell’osservatore come tante saette dal cielo, e le linee di profondità.
7. La sfera, l’ellissi che turbina, il cono rovesciato, la spirale e tutte le forme dinamiche che la potenza infinita del genio dell’artista saprà scoprire.
8. La prospettiva ottenuta non come oggettivismo di distanza ma come compenetrazione soggettiva di forme velate o dure, morbide o taglienti.
9. Come soggetto universale e sola ragione d’essere del quadro, la significazione della sua costruzione dinamica (insieme architetturale polifonico). Quando si parla di architettura si pensa a qualche cosa di statico. Ciò è falso. Noi pensiamo invece a una architettura simile all’architettura dinamica musicale resa dal musicista futurista Pratella. Architettura in movimento delle nuvole, dei fumi nel vento, e delle costruzioni metalliche quando sono sentite in uno stato d’animo violento e caotico.
10. Il cono rovesciato (forma naturale dell’esplosione), il cilindro obliquo e il cono obliquo.
11. L’ urto di due coni per gli apici (forma naturale della tromba marina) coni flettili o formati da linee curve (salti di clown, danzatrici);
12. La linea a zig-zag e la linea ondulata.
13. Le curve elissoidi considerate come rette in movimento;
14. Le linee, i volumi e le luci considerati come trascendentalismo plastico, cioè secondo il loro caratteristico grado d’incurvazione o di obliquità, determinato dallo stato d’animo del pittore.
15. Gli echi di linee e volumi in movimento.
16. Il complementarismo plastico (nella forma[156] e nel colore) basato sulla legge dei contrasti equivalenti e sull’urto dei colori più opposti dell’iride. Questo complementarismo è costituito da uno squilibrio di forme (perciò costrette a muoversi). Conseguente distruzione dei pendants di volumi. Bisogna negare questi pendants di volumi, poichè simili a due grucce non permettono che un solo movimento avanti e indietro e non quello totale, chiamato da noi espansione sferica nello spazio.
17. La continuità e la simultaneità delle trascendenze plastiche del regno minerale, del regno vegetale, del regno animale e del regno meccanico.
18. Gl’insiemi plastici astratti, cioè rispondenti non alle visioni ma alle sensazioni nate dai suoni, dai rumori, dagli odori, e da tutte le forze sconosciute che ci avvolgono.
Questi insiemi plastici, polifonici e poliritmici astratti risponderanno a necessità di disarmonie interne che noi, pittori futuristi, crediamo indispensabili alla sensibilità pittorica. Questi insiemi plastici sono, per il loro fascino misterioso, più suggestivi di quelli creati dal senso visivo e dal senso tattile, perchè più vicini al nostro spirito plastico puro.
Noi pittori futuristi affermiamo che i suoni, i rumori e gli odori si incorporano nell’espressione delle linee, dei volumi e dei colori, come le linee, i volumi e i colori s’incorporano nell’architettura di un’opera musicale. Le nostre tele esprimeranno quindi anche le equivalenze plastiche dei suoni, dei rumori e degli odori del Teatro, del Music-Hall, del cinematografo, del postribolo, delle stazioni ferroviarie, dei porti, dei garages, delle cliniche, delle officine, ecc. ecc.
Dal punto di vista della forma: vi sono suoni, rumori e odori concavi e convessi, triangolari, elissoidali, oblunghi, conici, sferici, spiralici, ecc.
Dal punto di vista del colore: vi sono suoni, rumori e odori gialli, rossi, verdi, turchini, azzurri e violetti.
Nelle stazioni ferroviarie, nelle officine, in tutto[157] il mondo meccanico e sportivo, i suoni, i rumori e gli odori sono in predominanza rossi; nei ristoranti e nei caffè sono argentei, gialli e viola. Mentre i suoni i rumori e gli odori degli animali sono gialli e blu, quelli della donna sono verdi, azzurri e viola.
Non esageriamo affermando che gli odori bastano da soli a determinare nel nostro spirito arabeschi di forme e di colori tali da costituire il motivo e giustificare la necessità di un quadro. Tanto è vero che se noi ci chiudiamo in una camera buia (in modo che il senso della vista non funzioni) con dei fiori, della benzina o con altre materie odorifere, il nostro spirito plastico elimina a poco a poco le sensazioni di ricordo e costruisce degl’insiemi plastici specialissimi e in perfetta rispondenza di qualità, di peso e di movimento con gli odori contenuti nella camera. Questi odori, mediante un processo oscuro, sono diventati forza-ambiente determinando quello stato d’animo che per noi pittori futuristi costituisce un puro insieme plastico.
Questo ribollimento e turbine di forme e di luci sonore, rumorose e odoranti è stato reso in parte da me nel Funerale Anarchico e in Sobbalzi di fiacre, da Boccioni negli Stati d’animo e nelle Forze d’una strada, da Russolo nella Rivolta e da Severini nel Pan-Pan, quadri violentemente discussi nella nostra prima esposizione di Parigi (febbraio 1912). Questo ribollimento implica una grande emozione e quasi un delirio nell’artista, il quale per dare un vortice, deve essere un vortice di sensazioni, una forza pittorica, e non un freddo intelletto logico.
Sappiatelo dunque! Per ottenere questa pittura totale, che esige la cooperazione attiva di tutti i sensi, pittura-stato d’animo plastico dell’universale, bisogna dipingere, come gli ubbriachi cantano e vomitano, suoni, rumori e odori![158]
MARINETTI.
Pubblicato dal «Daily-Mail» 21 Novembre 1913.
Abbiamo un profondo schifo del teatro contemporaneo (versi, prosa e musica) perchè ondeggia stupidamente fra la ricostruzione storica (zibaldone o plagio) e la riproduzione fotografica della nostra vita quotidiana; teatro minuzioso, lento, analitico e diluito, degno tutt’al più dell’età della lampada a petrolio.
IL FUTURISMO ESALTA IL TEATRO DI VARIETÀ perchè:
1. Il Teatro di Varietà, nato con noi dall’elettricità, non ha fortunatamente, tradizione alcuna, nè maestri, nè dogmi, e si nutre di attualità veloce.
2. Il Teatro di Varietà è assolutamente pratico, perchè si propone di distrarre e divertire il pubblico con degli effetti di comicità, di eccitazione erotica o di stupore immaginativo.
3. Gli autori, gli attori e i macchinisti del Teatro di Varietà hanno una sola ragione d’essere e di trionfare: quella d’inventare incessantemente nuovi elementi di stupore. Da ciò, l’impossibilità assoluta di arrestarsi e di ripetersi, da ciò una emulazione accanita di cervelli e di muscoli, per superare i diversi records di agilità, di velocità, di forza, di complicazione e di eleganza.
4. Il Teatro di Varietà, solo, utilizza oggi il cinematografo, che lo arricchisce d’un numero incalcolabile di visioni e di spettacoli irrealizzabili (battaglie, tumulti, corse, circuiti d’automobili e d’aeroplani, viaggi, transatlantici, profondità di città, di campagne, d’oceani e di cieli).[159]
5. Il Teatro di Varietà, essendo una vetrina rimuneratrice d’innumerevoli sforzi inventivi, genera naturalmente ciò che io chiamo il meraviglioso futurista, prodotto dal meccanismo moderno. Ecco alcuni elementi di questo meraviglioso: 1. caricature possenti; 2. abissi di ridicolo; 3. ironie impalpabili e deliziose; 4. simboli avviluppanti e definitivi; 5. cascate d’ilarità irrefrenabili; 6. analogie profonde fra l’umanità, il mondo animale, il mondo vegetale, e il mondo meccanico; 7. scorci di cinismo rivelatore; 8. intrecci di motti spiritosi, di bisticci e d’indovinelli che servono ad aerare gradevolmente l’intelligenza; 9. tutta la gamma del riso e del sorriso per distendere i nervi; 10. tutta la gamma della stupidaggine, dell’imbecillità, della balordaggine e dell’assurdità, che spingono insensibilmente l’intelligenza fino all’orlo della pazzia; 11. tutte le nuove significazioni della luce, del suono, del rumore e della parola, coi loro prolungamenti misteriosi e inesplicabili nella parte più inesplorata della nostra sensibilità; 12. cumulo di avvenimenti sbrigati in fretta e di personaggi spinti da destra a sinistra in due minuti («ed ora diamo un’occhiata ai Balcani»: Re Nicola, Enver-bey, Daneff, Venizelos, manate sulla pancia e schiaffi tra Serbi e Bulgari, un couplet, e tutto sparisce); 13. pantomime satiriche istruttive; 14. caricature del dolore e della nostalgia, fortemente impresse nella sensibilità per mezzo di gesti esasperanti per la loro lentezza spasmodica esitante e stanca; parole gravi ridicolizzate da gesti comici, camuffature bizzarre, parole storpiate, smorfie, buffonate.
6. Il Teatro di Varietà è oggi il crogiuolo in cui ribollono gli elementi di una sensibilità nuova che si prepara. Vi si trova la scomposizione ironica di tutti i prototipi sciupati del Bello, del Grande, del Solenne, del Religioso, del Feroce, del Seducente e dello Spaventevole ed anche l’elaborazione astratta dei nuovi prototipi che a questi succederanno.
Il Teatro di Varietà è dunque la sintesi di tutto[160] ciò che l’umanità ha raffinato finora nei propri nervi per divertirsi ridendo del dolore materiale e morale; è inoltre la fusione ribollente di tutte le risate, di tutti i sorrisi, di tutti gli sghignazzamenti, di tutte le contorsioni, di tutte le smorfie dell’umanità futura. Vi si gustano l’allegria che scuoterà gli uomini fra cento anni, la loro poesia, la loro pittura, la loro filosofia, e i balzi della loro architettura.
7. Il Teatro di Varietà offre il più igienico fra tutti gli spettacoli, pel suo dinamismo di forma e di colore (movimento simultaneo di giocolieri, ballerine, ginnasti, cavallerizzi multicolori, cicloni spiralici di danzatori trottolanti sulle punte dei piedi). Col suo ritmo di danza celere e trascinante, il Teatro di Varietà trae per forza le anime più lente dal loro torpore e impone loro di correre e di saltare.
8. Il Teatro di Varietà è il solo che utilizzi la collaborazione del pubblico. Questo non vi rimane statico come uno stupido voyeur, ma partecipa rumorosamente all’azione, cantando anch’esso, accompagnando l’orchestra, comunicando con motti imprevisti e dialoghi bizzarri cogli attori. Questi polemizzano buffonescamente coi musicanti.
Il Teatro di Varietà utilizza il fumo dei sigari e delle sigarette per fondere l’atmosfera del pubblico con quella del palcoscenico. E poichè il pubblico collabora così colla fantasia degli attori, l’azione si svolge ad un tempo sul palcoscenico, nei palchi e nella platea. Continua poi alla fine dello spettacolo, fra i battaglioni di ammiratori, smockings caramellati che si assiepano all’uscita per disputarsi la stella; doppia vittoria finale: cena chic e letto.
9. Il Teatro di Varietà è una scuola di sincerità istruttiva pel maschio, poichè esalta il suo istinto rapace e poichè strappa alla donna tutti i veli, tutte le frasi, tutti i sospiri, tutti i singhiozzi romantici che la deformano e la mascherano. Esso fa risaltare, invece tutte le mirabili qualità animali della donna, le sue forze di presa, di seduzione, di perfidia e di resistenza.[161]
10. Il Teatro di Varietà è una scuola d’eroismo pei differenti records di difficoltà da vincere e di sforzi da superare, che creano sulla scena la forte e sana atmosfera del pericolo. (Es. Salti della morte, Looping the loop in bicicletta, in automobile, a cavallo).
11. Il Teatro di Varietà è una scuola di sottigliezza, di complicazione e di sintesi cerebrale, per suoi clowns, prestigiatori, divinatori del pensiero, calcolatori prodigiosi, macchiettisti, imitatori e parodisti, i suoi giocolieri musicali e i suoi eccentrici americani, le cui fantastiche gravidanze figliano oggetti e meccanismi inverosimili.
12. Il Teatro di Varietà è la sola scuola che si possa consigliare agli adolescenti e ai giovani d’ingegno, perchè spiega in modo incisivo e rapido i problemi più astrusi e gli avvenimenti politici più complicati. Esempio: Un anno fa, alle Folies-Bergère, due danzatori rappresentavano le ondeggianti discussioni di Cambon con Kinderlen-Watcher sulla questione del Marocco e del Congo, con una danza simbolica e significativa che equivaleva ad almeno 3 anni di studi di politica estera. I due danzatori rivolti al pubblico, intrecciate le braccia, stretti l’uno al fianco dell’altro, andavano facendosi delle reciproche concessioni di territori, saltando avanti e indietro, a destra e a sinistra, senza mai staccarsi, tenendo ognuno fissi gli occhi allo scopo, che era quello di imbrogliarsi a vicenda. Davano un’impressione di estrema cortesia, di abile ondeggiamento, di ferocia, di diffidenza, di ostinazione, di meticolosità, insuperabilmente diplomatiche.
Inoltre il Teatro di Varietà spiega luminosamente le leggi dominanti della vita:
a) necessità di complicazioni e di ritmi diversi;
b) fatalità della menzogna e della contraddizione (es.: danzatrici inglesi a doppia faccia: pastorella e soldato terribile);
c) onnipotenza di una volontà metodica che modifica le forze umane;[162]
d) sintesi di velocità + trasformazioni (esempio: Fregoli).
13. Il Teatro di Varietà deprezza sistematicamente l’amore ideale e la sua ossessione romantica, ripetendo a sazietà, colla monotonia e l’automaticità di un mestiere quotidiano, i languori nostalgici della passione. Esso meccanizza bizzarramente il sentimento, deprezza e calpesta igienicamente l’ossessione del possesso carnale, abbassa la lussuria alla funzione naturale del coito, la priva di ogni mistero, di ogni angoscia deprimente di ogni idealismo anti-igienico.
Il Teatro di Varietà dà invece il senso e il gusto degli amori facili, leggieri e ironici. Gli spettacoli di caffè-concerto all’aria aperta sulle terrazze dei Casinos offrono una divertentissima battaglia fra il chiaro di luna spasmodico, tormentato da infinite disperazioni, e la luce elettrica che rimbalza violentemente sui gioielli falsi, le carni imbellettate, i gonnellini multicolori, i velluti, i lustrini e il sangue falso delle labbra. Naturalmente l’energica luce elettrica trionfa, e il molle e decadente chiaro di luna è sconfitto.
14. Il Teatro di Varietà è naturalmente antiaccademico, primitivo e ingenuo, quindi più significativo per l’imprevisto delle sue ricerche e la semplicità dei suoi mezzi. (Es.: il sistematico giro di palcoscenico che le chanteuses fanno, alla fine di ogni couplet, come belve in gabbia).
15. Il Teatro di Varietà distrugge il Solenne, il Sacro, il Serio, il Sublime dell’Arte coll’A maiuscolo. Esso collabora alla distruzione futurista dei capolavori immortali, plagiandoli, parodiandoli, presentandoli alla buona, senza apparato e senza compunzione, come un qualsiasi numero d’attrazione. Così, noi approviamo incondizionatamente l’esecuzione del Parsifal in 40 minuti, che si prepara in un grande Music-hall di Londra.
16. Il Teatro di Varietà distrugge tutte le nostre concezioni di prospettiva, di proporzione, di tempo e di spazio. (Es.: porticina e cancelletto alti 30 centimetri[163] isolati in mezzo al palcoscenico, e da cui certi eccentrici americani passano aprendo e ripassano richiudendo con serietà, come se non potessero fare altrimenti).
17. Il Teatro di Varietà ci offre tutti i records raggiunti finora: massima velocità e massimo equilibrismo e acrobatismo dei giapponesi, massima frenesia muscolare dei negri, massimo sviluppo dell’intelligenza degli animali (cavalli, elefanti, foche, cani uccelli ammaestrati) massima ispirazione melodica del Golfo di Napoli e delle steppe russe, massimo spirito parigino, massima forza comparata delle diverse razze (lotta e boxe), massima mostruosità anatomica, massima bellezza della donna.
18. Mentre il Teatro attuale esalta la vita interna, la meditazione professorale, la biblioteca, il museo, le lotte monotone della coscienza, le analisi stupide dei sentimenti insomma (cosa e parola immonde) la psicologia, il Teatro di Varietà esalta l’azione, l’eroismo, la vita all’aria aperta, la destrezza, l’autorità dell’istinto e dell’intuizione. Alla psicologia, oppone ciò che io chiamo fisicofollia.
19. Il Teatro di Varietà offre infine a tutti i paesi che non hanno una grande capitale unica (così l’Italia) un riassunto brillante di Parigi considerato come focolare unico e ossessionante di lusso e di piacere ultra raffinato.
IL FUTURISMO VUOLE TRASFORMARE IL TEATRO DI VARIETÀ IN TEATRO DELLO STUPORE, DEL RECORD E DELLA FISICO-FOLLIA.
1. Bisogna assolutamente distruggere ogni logica negli spettacoli del Teatro di Varietà, esagerarvi singolarmente il lusso, moltiplicare i contrasti e far regnare sovrani sulla scena l’inverosimile e l’assurdo. Esempio: (Obbligare le chanteuses a tingersi il décolleté, le braccia e specialmente i capelli, in tutti i colori finora trascurati come mezzi di seduzione. Capelli verdi, braccia[164] violette, décolleté azzurro, chignon arancione, ecc. Interrompere una canzonetta facendola continuare da un discorso rivoluzionario. Cospargere una romanza d’insulti e di parolaccie, ecc).
2. Impedire che una serie di tradizioni si stabilisca nel Teatro di Varietà. Combattere perciò ed abolire le Revues parigine, stupide, e tediose quanto la tragedia greca, coi loro Compère et Commère, che esercitano la funzione del coro antico, e la loro sfilata di personaggi e d’avvenimenti politici, sottolineati da motti di spirito, con una logica e un concatenamento fastidiosissimi. Il teatro di Varietà non deve essere, infatti, quello che pur troppo è ancora oggi, quasi sempre un giornale più o meno umoristico.
3. Introdurre la sorpresa e la necessità d’agire fra gli spettatori della platea, dei palchi e della galleria. Qualche proposta a caso: mettere della colla forte su alcune poltrone, perchè lo spettatore, uomo o donna, che rimane incollato, susciti l’ilarità generale, (il frack o la toilette danneggiato sarà naturalmente pagato all’uscita) — Vendere lo stesso posto a dieci persone: quindi ingombro, battibecchi e altèrchi. — Offrire posti gratuiti a signori o signore notoriamente pazzoidi, irritabili o eccentrici, che abbiano a provocare chiassate, con gesti osceni, pizzicotti alle donne, o altre bizzarrie. Cospargere le poltrone di polveri che provochino il prurito, lo sternuto ecc.
4. Prostituire sistematicamente tutta l’arte classica sulla scena, rappresentando per esempio in una sola serata tutte le tragedie greche, francesi, italiane, condensate e comicamente mescolate. — Vivificare le opere di Beethoven, di Wagner, di Bach, di Bellini, di Chopin, introducendovi delle canzonette napoletane. — Mettere a fianco a fianco sulla scena Zacconi, la Duse, e Mayol, Sarah Bernhardt e Fregoli. — Eseguire una sinfonia di Beethoven a rovescio, cominciando dall’ultima nota. — Ridurre tutto Shakespeare ad un solo atto. — Fare altrettanto con tutti gli attori più venerati. — Far recitare Ernani da attori chiusi fino al collo[165] in tanti sacchi. Insaponare le assi del palcoscenico, per provocare divertenti capitomboli nel momento più tragico.
5. Incoraggiare in ogni modo il genere degli eccentrici americani, i loro effetti di grottesco esaltante, di dinamismo spaventevole, le loro grossolane trovate, le loro enormi brutalità, i loro panciotti a sorprese e i loro pantaloni profondi come stive di bastimenti, da cui uscirà con mille altre cose la grande ilarità futurista che deve ringiovanire la faccia del mondo.
Poichè, non lo dimenticate, noi futuristi siamo dei
GIOVANI ARTIGLIERI IN BALDORIA, come proclamammo
nel nostro manifesto «Uccidiamo il chiaro
di luna» fuoco + fuoco + luce contro chiaro di luna e
vecchi firmamenti guerra ogni sera grandi
città brandire réclames luminose Immensa
faccia di negro (30 m. altezza + 150 m. altezza della
casa = 180 m.) aprire chiudere aprire chiudere occhio
d’oro altezza 3 m. FUMEZ FUMEZ MANOLI
FUMEZ MANOLI CIGARETTES
donna in camicia (50 m. + 120 altezza della casa = 170 m.)
stringere allentare busto viola roseo lilla azzurro
spuma di lampadine elettriche in una coppa di
champagne (30 m.) frizzare svaporare in una bocca
d’ombra réclames luminose velarsi morire
sotto una mano nera tenace rinascere continuare
prolungare nella notte lo sforzo della giornata umana
coraggio + follia mai morire nè fermarsi nè addormentarsi
réclames luminose = formazione
e disgregazione di minerali e vegetali centro della
terra circolazione sanguigna nei volti ferrei
delle case futuriste animarsi imporporarsi (gioia collera
su su ancora presto più forte ancora) appena le
tenebre pessimiste negatrici sentimentali nostalgiche[166]
assediano la città risveglio sfolgorante delle
vie che canalizzano durante il giorno il brulichìo fumoso
del lavoro due cavalli (altezza 30 m.)
far ruzzolare con una zampa palle d’oro
GIOCONDA ACQUA PURGATIVA
incrociarsi di trrrr trrrrr Elevated trrrr trrrrr sulla testa
trombeeebeeebeette fiiiiiiischi sirene d’autoambulanze +
pompe elettriche trasformazione delle
vie in splendidi corridoi condurre spingere logica necessità
la folla verso trepidazione + ilarità + frastuono
del Music-hall FOLIES-BERGÈRE
EMPIRE CRÈME-ÈCLIPSE tubi di mercurio rossi
rossi rossi turchini turchini turchini violetti
enormi lettere-anguille d’oro fuoco porpora diamante
sfida futurista alla notte piagnucolosa
sconfitta delle stelle calore entusiasmo fede convinzione
volontà penetrazione d’una réclame luminosa
nella casa di rimpetto schiaffi gialli a quel pedagroso
in pantofole bibliofilo che sonnecchia
3 specchi lo guardano la réclame s’immerge
nei 3 abissi rossodoooorati aprire chiudere aprire chiudere
delle profondità di 3 miliardi di chilometri
orrore uscire uscire presto cappello bastone
scala tassametro spintoni zuu zuoeu eccoci
barbaglio del promenoir solennità delle pantere-cocottes
fra i tropici della musica leggiera
odore tondo e caldo della gaiezza Music-hall = ventilatore
instancabile del cervello futurista del mondo.[167]
MARINETTI, BOCCIONI, CARRÀ, RUSSOLO
11 Ottobre 1913.
Elettori Futuristi! col vostro voto cercate di realizzare il seguente programma:
ITALIA SOVRANA ASSOLUTA. — LA PAROLA ITALIA DEVE DOMINARE SULLA PAROLA LIBERTÀ
TUTTE LE LIBERTÀ TRANNE QUELLA DI ESSERE VIGLIACCHI, PACIFISTI, ANTIITALIANI.
UNA PIÙ GRANDE FLOTTA E UN PIÙ GRANDE ESERCITO; UN POPOLO ORGOGLIOSO DI ESSERE ITALIANO, PER LA GUERRA, SOLA IGIENE DEL MONDO E PER LA GRANDEZZA DI UN’ITALIA INTENSAMENTE AGRICOLA INDUSTRIALE, E COMMERCIALE.
DIFESA ECONOMICA E EDUCAZIONE PATRIOTTICA DEL PROLETARIATO.
POLITICA ESTERA CINICA, ASTUTA AGGRESSIVA — ESPANSIONISMO COLONIALE — LIBERISMO.
IRREDENTISMO. — PANITALIANISMO. — PRIMATO DELL’ITALIA.
ANTICLERICALISMO E ANTISOCIALISMO.[168]
CULTO DEL PROGRESSO E DELLA VELOCITÀ DELLO SPORT, DELLA FORZA FISICA, DEL CORAGGIO TEMERARIO, DELL’EROISMO E DEL PERICOLO, CONTRO L’OSSESSIONE DELLA CULTURA, L’INSEGNAMENTO CLASSICO, IL MUSEO, LA BIBLIOTECA E I RUDERI — SOPPRESSIONE DELLE ACCADEMIE E DEI CONSERVATORII.
MOLTE SCUOLE PRATICHE DI COMMERCIO, INDUSTRIA E AGRICOLTURA. — MOLTI ISTITUTI DI EDUCAZIONE FISICA. — GINNASTICA QUOTIDIANA NELLE SCUOLE. — PREDOMINIO DELLA GINNASTICA SUL LIBRO.
UN MINIMO DI PROFESSORI, POCHISSIMI AVVOCATI, POCHISSIMI DOTTORI, MOLTISSIMI AGRICOLTORI, INGEGNERI, CHIMICI, MECCANICI E PRODUTTORI DI AFFARI.
ESAUTORAZIONE DEI MORTI, DEI VECCHI E DEGLI OPPORTUNISTI, IN FAVORE DEI GIOVANI AUDACI.
CONTRO LA MONUMENTOMANIA E L’INGERENZA DEL GOVERNO IN MATERIA DI ARTE.
MODERNIZZAZIONE VIOLENTA DELLE CITTÀ PASSATISTE (ROMA, VENEZIA, FIRENZE, ECC.).
ABOLIZIONE DELL’INDUSTRIA DEL FORESTIERO, UMILIANTE ED ALEATORIA.[169]
QUESTO PROGRAMMA VINCERÀ
Il programma clerico-moderato-liberale | Il programma democratico repubblicano-socialista |
---|---|
Monarchia e Vaticano | Repubblica |
Odio e disprezzo del popolo | Popolo sovrano. |
Patriottismo tradizionale e commemorativo. | Internazionalismo pacifista. |
Militarismo intermittente. | Antimilitarismo. |
Clericalismo. | Anticlericalismo. |
Protezionismo gretto o liberismo fiacco. | Liberismo interessato. |
Culto degli avi e scetticismo. | Mediocrazia e scetticismo. |
Senilismo e moralismo | Senilismo e moralismo. |
Opportunismo e affarismo | Opportunismo e affarismo. |
Forcaiolismo. | Demagogismo. |
Culto dei musei, delle rovine, dei monumenti. | Culto dei musei, delle rovine, dei monumenti. |
Industria del forestiero. | Industria del forestiero. |
Ossessione della cultura. | Sociologia da comizio. |
Accademismo. | Razionalismo positivista. |
Ideale di un’Italia archeologica bigotta e podagrosa. | Ideale di una Italietta borghesuccia, tirchia e sentimentale. |
Quietismo ventraiolo. | Quietismo ventraiolo. |
Vigliaccheria nera. | Vigliaccheria rossa. |
Passatismo. | Passatismo. |
PALAZZESCHI
29 Dicembre 1913.
«Dio non à nè corpo, nè mani, nè piedi, è un puro e semplicissimo spirito».
Ma chi volle dare un’immagine agli uomini di questo fattore dell’universo, dovette servirsi di una immagine umana e ce lo fece vedere uomo. Fu un omone grande grande, o nudo, dalle membra e dai muscoli ciclopici, o con un magnifico peplo e con sandali, con capelli e barba meravigliosi, con l’indice titanico della mano levata in aria terribile di comando: luce o tenebre, vita o morte.
Se uomo volete raffigurarvelo, per comodità del vostro cervello, questo spirito supremo ed infinito, perchè grande, quando voi dovete forzatamente fissare dei limiti a questa grandezza? La vostra non potrà mai arrivare alla sua, dunque pensate addirittura ad un uomo come voi e sarete al vostro posto. Perchè in peplo e non in tait? Perchè in coturno e non con un comune paio di scarpe walk-over? Perchè un’immagine seria e relativamente grande è più facile di una relativamente piccola e allegra. È il suo spirito che voi dovete riuscire a scoprire; il suo corpo, che non esiste, potete raffigurarvelo come vi pare e piace.
Se io me lo figuro uomo, non lo vedo nè più grande nè più piccino di me. Un omettino di sempre media statura, di sempre media età, di sempre medie proporzioni, che mi stupisce per una cosa soltanto: che mentre io lo considero titubante e spaventato, egli mi guarda ridendo a crepapelle. La sua faccettina[171] rotonda divinamente ride come incendiata da una risata infinita ed eterna, e la sua pancina tremola, tremola in quella gioia. Perchè dovrebbe questo spirito essere la perfezione della serietà e non quella dell’allegria? Secondo me, nella sua bocca divina si accentra l’universo in una eterna motrice risata. Egli non à creato no, rassicuratevi, per un tragico, o malinconico, o nostalgico fine; à creato perchè ciò lo divertiva. Voi lavorate per alimentare bene voi e i vostri figli, non per fare con essi lunghi sbadigli di fame. Egli lavorò per tenere alimentata la gioia sua ed offrirne alle sue degne creature. E comprenderete bene che per divertirsi tutti in eterno, ce ne vogliono dei curiosi ed eterni spettacoli!
Come avevate potuto pensare che egli avesse creato se ciò fosse stata cosa tediosa? Come poteva venirci da questa forza smisurata, opera da perditempo senza spirito? Bando dunque a tutta la vostra serietà, se volete comprendere qualche cosa di lui e della sua creazione, e specialmente di questa piccolissima parte che ci riguarda: la nostra terra. Il sole sarà, per esempio, il suo giuoco preferito per lunghe interminabili partite di pallone; la luna il suo specchio comico dalla luce tutta bitorzoluta, cosicchè egli potrà vedervisi nelle più ridicole maniere. La nostra terra non è dunque che uno di questi suoi tanti giocattoli fatto precisamente così: un campo diviso da una fittissima macchia di marruche, spini, pruni, pungiglioni. À posto l’uomo da un lato dicendo ad esso: attraversala, là è la gioia, è il largo, la vita degli eletti, vivrai coi pochi coraggiosi che come te l’attraversarono. Riderai del dolore dei poltroni, dei paurosi, dei caduti, dei vili, dei vinti.
Fino dal primo momento l’uomo è in massima parte rimasto fuori a lamentarsi, a considerare lo spessore dell’oscuro ammasso del prunaio, a misurare la proporzione, la lunghezza, la quantità, la posizione degli spunzoni, a tentare di contarne il numero, a cercarvi un introvabile pertugio, a far paragoni fra questo e quello, invece di buttarvisi dentro risoluto. Alcuni[172] vi sono in mezzo, incapaci di andare avanti o indietro, preferendo vivere con un pruno in un occhio, piuttosto che affrontarne uno non si sa dove. Questi gridano disperatamente, e i loro lagni scoraggiano sempre più quelli che sono ancora fuori, mentre fanno sempre più sganasciare dalla risa e tenersi la pancia per non liquefarsi dalla gioia, quei pochissimi che vivono ridendo, protetti dal loro signore, che al centro di tutte le cose ride più di loro.
Il piagnucolamento delle moltitudini esterne, solletica perennemente il bollore della loro allegrezza; le grida disperate di quelli che stanno dentro la siepe gli fanno dare lanci di giubilo. Ecco press’a poco il giuoco.
L’uomo che attraverserà coraggiosamente il dolore umano godrà dello spettacolo divino del suo Dio. Egli si farà simile a lui, attraversando questo purgatorio di spine ch’egli gli à imposto per godere primo lui e comunicare la stessa gioia ai suoi diletti, egli, corpo umano, ma perfettissimo, che non à sulle sue membra di gioia una sola cicatrice di dolore.
Uomini, non siete creati, no, per soffrire; nulla fu fatto nell’ora di tristezza e per la tristezza; tutto fu fatto per il gaudio eterno. Il dolore è transitorio (voi soli ne eternate l’esistenza con la vostra paura); la gioia è eterna. Ecco il vero peccato originale, ecco il solo fonte battesimale. Vili! Paurosi! Poltroni! Incerti! Ritardatari! Passate la macchia! SE CREDETE CHE SIA PROFONDO CIÒ CHE COMUNEMENTE S’INTENDE PER SERIO SIETE DEI SUPERFICIALI. La superiorità dell’uomo su tutti gli animali è che ad esso solo fu dato il privilegio divino del riso. Essi non potranno mai comunicare con Dio. Un piccolo e misero topo, può farci udire il suo pianto, i suoi lamenti; nessun animale ci à fatto ancora udire una calda sonora risata.
Che il riso (gioia) è più profondo del pianto (dolore), ce lo dimostra il fatto che l’uomo, appena nato, quando è ancora incapace di tutto, è però abilissimo di lunghi[173] interminabili piagnistei. Prima che possa pagarsi il lusso di una bella risata avrà dovuto seguire una buona maturazione.
BISOGNA ABITUARSI A RIDERE DI TUTTO QUELLO DI CUI ABITUALMENTE SI PIANGE, sviluppando la nostra profondità. L’UOMO NON PUÒ ESSERE CONSIDERATO SERIAMENTE CHE QUANDO RIDE. La serietà in tal caso ci viene dalla ammirazione, dall’invidia, dalla vanità. QUELLO CHE SI DICE IL DOLORE UMANO NON È CHE IL CORPO CALDO ED INTENSO DELLA GIOIA RICOPERTO DI UNA GELATINA DI FREDDE LAGRIME GRIGIASTRE. Scortecciate e troverete la felicità.
Si è fino alla nausea fatto del vieto romanticismo sopra le sventure umane; le deformità del corpo, le malattie, le passioni, la miseria, la vecchiaia, i cataclismi, le carestie, furono ritenute sciagure tutte da bagnare di pianto. Se esse fossero state un tantino approfondite, noi le avremmo già come le fonti più vive della nostra allegrezza. Nulla fu creato con malinconia, ricordatelo bene; NULLA È TRISTE PROFONDAMENTE, TUTTO È GIOIOSO.
Un giorno natura, questa vecchia pittrice da accademia, dopo avere impartite al suo quadro mille spasmodiche sfumature di luci e di colori, coi suoi tramonti e colle sue aurore, mille toni di verde e di azzurro, «Ecco! — ella avrebbe detto alla fine aprendo la porta del suo studio a un uomo senz’occhi: — venite, guardate!». E credete proprio che essa fosse così sciocchina da farlo, se ciò non era spiritoso?
Il cieco ci rappresenta la profondità, il privilegio di tutte le viste. Egli à chiusa in sè la gioia di tutte le luci e di tutti i colori. Se voi lo guardate con aria lagrimosa siete dei poveri cervellini da tre centesimi. E ridetegli pure in faccia, a questo beniamino! Natura ve lo indica per questo. Siete ancora degli esseri compassionevoli? Egli non vi vedrà. Siete ancora dei vili paurosi? Ma egli è il solo che non potrà battersi con voi.
Un gobbo, natura ve lo indica perchè gli ridiate[174] dietro, e proprio dietro nella schiena essa gli pose il tesoro della sua giocondità. Un poeta gobbo che continuasse per tutta la vita a cantare dolorosamente non potrebbe essere mai e poi mai un uomo profondo, ma il più superficiale di questa terra. Egli si sarebbe fermato a piagnucolare alla superficie della sua gobba come un fanciullo alla parola «bao» dopo averci rubato lo scrigno del suo tesoro dorsale per non essere stato capace di penetrarlo.
MAGGIOR QUANTITÀ DI RISO UN UOMO RIUSCIRÀ A SCOPRIRE DENTRO IL DOLORE, PIÙ EGLI SARÀ UN UOMO PROFONDO.
Non si può intimamente ridere se non dopo aver fatto un lavoro di scavo nel dolore umano. L’uomo che ride del riso stesso, o servendosi della gioia già scavata da altri, o è un poltrone, o un impotente, e ride, come se uno gli facesse il solletico sotto la gola, un riso meccanico. È come se uno credesse di sfamarsi guardando mangiare. Così furono fino ad ora le arti, il teatro, la letteratura: galleggiare sul dolore umano, servirsi della gioia già scavata da un altro, facendocela vedere già fuori senza insegnarci il modo di scuoprirla. IL SOLILOQUIO DI AMLETO, LA GELOSIA DI OTELLO, LA PAZZIA DI LEAR, LE FURIE DI ORESTE, LA FINE DI MARGHERITA GAUTIER, I GEMITI DI OSVALDO, VEDUTI ED ASCOLTATI DA UN PUBBLICO INTELLIGENTE DEVONO SUSCITARE LE PIÙ CLAMOROSE RISATE.
Fissate bene in viso la morte, ed essa vi fornirà tanto da ridere per tutta la vita. IO AFFERMO ESSERE NELL’UOMO CHE PIANGE, NELL’UOMO CHE MUORE, LE MASSIME SORGENTI DELLA GIOIA UMANA.
BISOGNA EDUCARE AL RISO I NOSTRI FIGLI, al riso più smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente non appena ne sentano la necessità, all’abitudine di approfondire tutti i fantasmi, tutte le apparenze funebri e dolorose della loro infanzia, alla capacità di servirsene per la loro gioia.[175]
Per esercitare questo spirito di esplorazione nel dolore umano, fino dai primi anni li sottoporremo a prove facili. Gli forniremo giocattoli educativi, fantocci gobbi, ciechi, cancrenosi, sciancati, etici, sifilitici, che meccanicamente piangano, gridino, si lamentino, vengano assaliti da epilessia, peste, colera, emorragie, emorroidi, scoli, follia, svengano, rantolino, muoiano. Poi la loro maestra sarà idropica, ammalata di elefantiasi, oppure secca secca, lunga, con collo di giraffa. Le due saranno alternate ad insaputa della scolaresca, messe vicino, fatte piangere, fatte tirarsi i capelli, i pizzicotti, dire ahi! ohi! in tutti i toni possibili e immaginabili, nelle maniere più desolanti.
Un maestro piccolino piccolino, gobbo rachitico, ed uno gigantesco dalla faccia impubere, dalla voce esilissima, e dal pianto come un filo di vetro. Un altro lo bastonerà, o lo rimprovererà con voce cavernosa, mentre il gobbettino gli farà il pizzicorino dietro i ginocchi. I varii tipi messi insieme, alternati, fatti piangere, rincorrere, dire ahi! ohi! in tutti i toni, fatti morire.
Gl’insegnanti entreranno nelle classi sempre con svariata sapientissima maniera. Una mattina il maestro sarà fasciato per male di denti; una mattina avrà gonfia una guancia come per una patatata ricevuta o levandosi il cappello avrà sopra il cranio lucido un enorme bitorzolo in mezzo, roseo lucente grosso come una mela, bubboni e furoncoli geniali, bendaggi, e fisserà gli alunni, e girerà per la classe serio, irato o malinconico, nostalgico, romantico, stupidamente innamorato della maestra idropica, o non corrisposto dalla giraffa. Sarà zoppo, guercio, marcio, sciancato. A seconda delle loro più o meno intense qualità naturali saranno questi insegnanti retribuiti.
Per abituare i loro alunni a ridere sinceramente di tutte le cose dette serie dovranno certo possedere specialissime attitudini, intelligenza pratica delle giovani coscienze, dei teneri cervelli.
La signora idropica darà tre enormi soffi e cadrà[176] morta sulla sua poltrona. Quella lunga lunga secca, col collo di giraffa, morirà con lanci da cavalletta e cadrà contro il muro colle gambe all’insù, dopo aver percorso in tutti i sensi la sua classe. Lunghe sapienti lezioni di boccacce, di pianti i più svariati, di tutti i possibili lamenti. Si faranno nel cortile della scuola falsi funerali: le bare verranno, dopo l’estrema benedizione del cadavere, scoperte e trovate piene di dolciumi o di figurine per i più piccoli, o partiranno da esse centinaia di topolini, prima bianchi, poi grigi, poi neri, o il cadavere sarà di pasta frolla per i più grandi, di cioccolata per i più piccoli, ed essi se ne contenderanno allegramente le membra. O si alzerà in aria terribile, o all’alzarsi del coperchio il suo naso si eleverà oltre due metri sulla sua faccia, per i più grandi ancora.
I tardivi, QUELLI PREDISPOSTI IRRIMEDIABILMENTE ALLA MALINCONIA, incapaci di addentrarsi un solo millimetro nell’interno delle cose, quelli che ridono poco e male, gl’imbecilli insomma delle nuove generazioni VERRANNO prima CURATI con amore, con lezioni private, con ogni possibile mezzo, per sviluppare ogni loro possibilità, verranno poi espulsi, MESSI IN APPOSITI RICOVERI, DOVE CRESCERANNO E VIVRANNO i poveri infelici serii.
Le morti delle persone più care, tutte le loro sciagure, vi forniranno i momenti della vostra gioia più intensa. Pensate: essi ne toccano in quegli istanti il fondo e ve ne comunicano la profondità, che voi rispecchiandoli sottrarrete dal dolore. Io credo che anche un povero idiota che sia stato per tutta la vita incapace di vedere da sè, dovrà almeno ricordarsi in quell’ora i soffi della maestra idropica, gli stiracchiamenti di quella lunga e secca, i gemiti, i gridi, le boccacce degli insegnanti ecc.; il funerale dal quale saltarono fuori tanti topolini, quello nel quale il cadavere gonfiò gonfiò e salì per l’azzurro, o quello nel quale gustò un delizioso dito di pasta dolce, o un occhio caramellato. Oh! i baccanali dei nuovi funerali! I ritorni dai cimiteri, nuovi carnevali! Gli spettacoli[177] negli ospedali, teatri delle nuove generazioni! Pensate alla nostra felicità e a quella dei nostri malati abituati a vedersi intorno facce tetre che rispecchiano la morte, quando si vedranno intorno negli appositi palchetti di osservazione, dame gobbe torte guercie, piene di bubboni, in décolleté, sbirciarli coi loro occhialini; elegantissimi giovani intignati, senza naso, gobbi, guerci, guardarli ridendo a crepapelle, come non si sentiranno essi padroni della gioia che è in fondo alla loro stessa carne? Tutto è da sperare dalla buona educazione dei giovani. Combattiamo dunque una educazione falsa e sbagliata, il rispetto umano, la compostezza, la linea, la bellezza, la giovinezza, la ricchezza, la pulizia, la libertà! Cioè, approfondiamo queste cose e troveremo in esse la loro ultima sostanza, il vero.
Ridere quando se ne à voglia, quando cioè il nostro ingegno, il nostro istinto più profondo ce ne suggeriscono il diritto, sviluppare questa che è la sola facoltà divina dell’essere umano. Ò veduto persone giovani, in special modo fanciulli, scappare a ridere istintivamente alla notizia di una sciagura che colpiva la loro famiglia o taluno dei loro amici. Se vi fosse stato taluno che avesse rimproverato quella creatura precocemente geniale, sviandola dal giusto cammino sul quale istintivamente muoveva i primi suoi passi, per colui s’innalzi pure la ghigliottina, che il giocondo spettacolo dell’universo non è per i suoi occhi.
Io affermo che anche nelle attuali circostanze della nostra coscienza umana rovesciata, sviata da una falsa educazione, l’uomo il più grave, il più maturo, che dopo aver superata una delle più gravi difficoltà della sua vita non si è sentito la voglia di fare uno sgambetto e non l’abbia addirittura fatto, era indegno di vincere quella battaglia. D’ora in poi, pensate, tutta la nostra vita sarà una serie interminabile di sgambetti.
Giovani, la vostra compagna sarà gobba, orba, sciancata, calva, sorda, sganasciata, sdentata, puz[178]zolente, avrà gesti da scimmia, voce da pappagallo, ecc. Sono queste le sole creature che hanno in loro realizzato già il patrimonio della felicità. Non vi attardate sulla sua bellezza, se disgraziatamente per voi ella vi sembra bella, approfonditela, e ne avrete la deformità. Non vi adagiate mollemente sull’onda del suo profumo; una spira acuta di quel puzzo ch’è la verità profonda della sua carne che adorate, potrebbe un giorno sorprendervi, sfasciare d’un tratto il vostro fragile sogno, farvi prigionieri del dolore. Non vi attardate sull’ora breve della vostra e della sua giovinezza, rimarrete per forza a galla sul dolore umano. Approfonditela e ne avrete la vecchiaia, verità che altrimenti vi rimarrà sconosciuta quando la possederete e sarete preda della nostalgia. Non vi fermate a nessun grado del deforme, del vecchio, essi non hanno come il bello e il giovane un limite; essi sono infiniti.
Voi godrete di più a veder correre tre carogne, rassicuratevi, che tre puro-sangue. Il puro sangue à in sè la carogna che sarà; cercatela, scuopritela, non attardatevi sulle sue linee di fugace splendore. Pensate con gioia alla sua ed alla vostra vecchiaia. In fondo ad essa è la profondità della vostra vita. Avrete la gioia di creare un nuovo essere. Pensate alla felicità di vedervi crescere attorno tanti piccoli gobbettini, orbiciattoli, nanerelli, zoppuncoli, esploratori divini di gioia. Invece di far mettere la parrucca alla vostra compagna, se non è calva del tutto voi la farete radere fino alla lucidità, e fatele imbottire la schiena, se non è proprio gobba.
Sganasciata sia la mobilia della vostra casa; sedie, letti, tavolini che cadono, che si rovesciano, che s’infrangono. Quando le vostre scarpe sono nuove pensatele e vedetele vecchie e rotte, per carità non cercate di vederle in buono stato quando saranno sfasciate: voi sarete perduti. Sganasciate, sdrucite mentalmente il mobilio della vostra casa, rompete mentalmente le vostre scarpe, i vostri abiti. Prevedete fra i vostri figli un gobbo, o sappiate vedere uno storpio[179] nel vostro figlio più sano, una vecchia bagascia rauca in una giovinetta dalla voce d’usignuolo. Approfondite, approfondite sempre; fissate la vecchiaia.
Venite! Venite! Nuovi eroi, nuovi genii della risata, sbucate nelle nostre braccia che vi attendono, fra le nostre bocche che ridono ridono ridono, fuori dalla macchia pungente del dolore umano.
NOI FUTURISTI VOGLIAMO GUARIRE LE RAZZE LATINE, E SPECIALMENTE LA NOSTRA, DAL DOLORE COSCIENTE, LUE PASSATISTA aggravata dal romanticismo cronico, dall’affettività mostruosa e dal sentimentalismo pietoso che deprimono ogni italiano. Vogliamo perciò sistematicamente:
1. DISTRUGGERE IL FANTASMA romantico ossessionante e doloroso DELLE COSE dette GRAVI, estraendone e sviluppandone il ridicolo, col sussidio delle scienze, delle arti, della scuola.
2. Combattere il dolore fisico e morale con la loro stessa parodia. Insegnare ai bambini la massima varietà di sberleffi, di boccacce, di gemiti, lagni, strilli, per preservarli dagli abituali pianti.
3. Svalutare tutti i dolori possibili, penetrandoli, guardandoli da ogni lato, anatomizzandoli freddamente.
4. INVECE DI FERMARSI NEL BUIO DEL DOLORE, ATTRAVERSARLO CON SLANCIO, PER ENTRARE NELLA LUCE DELLA RISATA.
5. Crearsi fino da giovani il desiderio della vecchiaia, per non essere prima turbati dal fantasma di essa, poi da quello di una giovinezza che non potemmo godere. Sapersi creare la sensazione di tutti i possibili mali fisici e morali nell’ora di maggior salute e di serenità della nostra vita.
6. Sostituire l’uso dei profumi con quello dei puzzi. Fate invadere un salone da ballo da un odore fresco di rose e voi lo cullerete in un vano passeggero sorriso,[180] fatelo invadere da quello più profondo della merda (profondità umana stupidamente misconosciuta) e voi lo farete agitare nell’ilarità, nella gioia. Voi prendete ai fiori le loro cime, i loro petali: siete dei superficiali; essi vi domandano quello che ci avete in fondo al vostro corpo di più intimo, di più maturo per la loro felicità: sono più profondi di voi.
7. Trarre dai contorcimenti e dai contrasti del dolore gli elementi della nuova risata.
8. Trasformare gli ospedali in ritrovi divertenti, mediante five o’ clock thea esilarantissimi, café-chantants, clowns. Imporre agli ammalati delle fogge comiche, truccarli come attori, per suscitare fra loro una continua gaiezza. I visitatori non potranno entrare nei palchetti delle corsie se non dopo esser passati per un apposito istituto di laidezza e di schifo, nel quale si orneranno di enormi nasi foruncolosi, di finte bende, ecc. ecc.
9. Trasformare i funerali in cortei mascherati, predisposti e guidati da un umorista che sappia sfruttare tutto il grottesco del dolore. Modernizzare e rendere comfortables i cimiteri mediante buvettes, bars, skating, montagne russe, bagni turchi, palestre. Organizzare scampagnate diurne e bals masqués notturni nei cimiteri.
10. Non ridere nel vedere uno che ride (plagio inutile), ma saper ridere nel vedere uno che piange. Istituire società ricreative nelle stanze mortuarie, dettare epitaffi a base di bisticci, calembours e doppi sensi. Sviluppare perciò quell’istinto utile e sano che ci fa ridere di un uomo che cade per terra e lasciarlo rialzare da sè comunicandogli la nostra allegria.
11. Trarre tutto un nuovo comico fecondo da una mescolanza di terremoti, naufragi, incendi, ecc.
12. Trasformare i manicomi in scuole di perfezionamento per le nuove generazioni.
FIRENZE 1914 — EDIZIONI DI “LACERBA„
L’ortografia e la punteggiatura originale sono state mantenute.
Le lettere maiuscole accentate, rappresentate nel testo originale come A’, O’, ecc.; sono state trascritte con i caratteri À, Ò ecc.
Nel brano La distruzione della quadratura, cliccando il link "Immagine originale" è possibile vedere lo schema originale del testo.
Sono stati inoltre corretti i seguenti refusi (correzione nella riga sotto):
End of the Project Gutenberg EBook of I manifesti del futurismo, by Filippo Tommaso Marinetti *** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK I MANIFESTI DEL FUTURISMO *** ***** This file should be named 28144-h.htm or 28144-h.zip ***** This and all associated files of various formats will be found in: http://www.gutenberg.org/2/8/1/4/28144/ Produced by Carlo Traverso, Emanuela Piasentini and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive) Updated editions will replace the previous one--the old editions will be renamed. Creating the works from public domain print editions means that no one owns a United States copyright in these works, so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United States without permission and without paying copyright royalties. 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It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life. Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation web page at http://www.pglaf.org. Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Its 501(c)(3) letter is posted at http://pglaf.org/fundraising. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state's laws. The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S. Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered throughout numerous locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email business@pglaf.org. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation's web site and official page at http://pglaf.org For additional contact information: Dr. Gregory B. Newby Chief Executive and Director gbnewby@pglaf.org Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide spread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS. The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit http://pglaf.org While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate. International donations are gratefully accepted, but we cannot make any statements concerning tax treatment of donations received from outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff. Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation methods and addresses. Donations are accepted in a number of other ways including checks, online payments and credit card donations. To donate, please visit: http://pglaf.org/donate Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic works. Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be freely shared with anyone. For thirty years, he produced and distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support. Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper edition. Most people start at our Web site which has the main PG search facility: http://www.gutenberg.org This Web site includes information about Project Gutenberg-tm, including how to make donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.