Title: Viaggio pel lago di Como
Author: conte Giambatista Giovio
Release date: February 21, 2015 [eBook #48335]
Language: Italian
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VIAGGIO
PEL
LAGO DI COMO
DI
POLIANTE LARIANO.
COMO
PRESSO CARLANTONIO OSTINELLI
STAMPATORE PROVINCIALE
1817.
Al forastiero, che dottamente curioso viene a visitare l'inclita Como per indi intraprendere il delizioso viaggio del massimo Lario, non può per nostro avviso riescir discaro, che prima di porgergli la descrizione del Lario del conte Giambattista Giovio, gli si offra qualche rapido cenno sull'antica storia di questa gloriosa Città, ed alcuna notizia eziandio dei molti insigni cui ella diede i natali, e di quanto infine v'ha in essa che si meriti considerazione. Però noi stimiamo prezzo dell'opera il farci a brevemente fornirgli siffatte cognizioni, che principalmente dall'opere del mentovato Conte andrem desumendo; al che siamo spinti ancora [iv] dal por mente, che ove per avventura il lago burrascoso gli interdica la navigazione, avrà così di che ben impiegar l'ore di sua dimora in Como.
L'origine della Città di Como perdesi, al pari di quella di quasi tutte le altre Città d'Italia, fralle tenebre della più rimota antichità. Cajo Plinio Seniore ne conservò bensì l'opinion di Catone, che attribuì la fondazion di Como agli Orobj; ma lo stesso Catone confessava poi d'ignorare onninamente qual si fosse questo popolo, nè di gran momento è la sentenza di Cornelio Alessandro, il quale stimò gli Orobj derivati dai Greci anche per l'interpretazione del nome, che in greca favella suona abitatori dei monti. Altri celebri eruditi studiaronsi di trovare onde le genti Orobie discendessero; ma troppo mal fermo fu il risultamento delle loro investigazioni: per la [v] qual cosa noi ci accontenteremo di ritenere tanto più antica, quanto più imperscrutabile l'origine di Como.
Insiem cogli Orobj vennero in seguito, come ne attesta Livio, ad occupar le terre del Lario gli Etrusci o Toscani; i quali poi nell'anno 600 avanti l'Era volgare sconfitti da Belloveso, nipote di Ambigato che reggeva la Gallia Celtica ai tempi di Tarquinio Prisco, dovettero ritirarsi fra quelle contrade, che guardano l'oriente dell'alpi e volgonsi al mezzogiorno: e di tal modo nella region Comasca si stabilirono i Galli Bellovesiani che già Insubri erano denominati, conservandosi però Como per più secoli un popolo distinto ed indipendente nel governo di se stesso.
Ma nell'anno di Roma 557 Marco Claudio Marcello trionfando degli Insubri e de' Comaschi rese Como soggetta al dominio di Roma. Como sotto i Romani salì in grande dignità acquistando da [vi] prima in parte, poi in tutto i diritti e le prerogative della Romana cittadinanza sino a sollevarsi dalla condizione di suddita a quella di partecipe della sovranità. E qui è bello il ricordare i nomi di Pompeo Strabone, padre del gran Pompeo, di C. Scipione, e di Giulio Cesare; perocchè tutti a gara la favorirono e l'onorarono. Notisi altronde contro l'asserzion dell'Enciclopedia all'articolo Como, che i Romani chiamarono questa città Novum Comum per ciò solo, ch'essi vi dedussero nuove colonie, onde ristorarla dai danni, che i Reti vi avevano cagionati.
Como istette con Roma; finchè venuta l'Italia in poter de' barbari, colla caduta dell'impero Romano nell'occidente, dovette anch'essa, partecipando alle comuni sciagure, passar prima sotto il dominio de' Goti, poi sotto quello dei Longobardi, indi sotto i Franchi, e finalmente sotto la clemente signoria dei Germani.
[vii] È a questo punto, che noi possiamo ravvisare nella Città di Como i destini d'una novella Troja; perciocchè intorno all'anno 1117 a cagione della sanguinosa irruzion de' Comaschi fatta sopra Landolfo Carcano vescovo intruso scese per consiglio del milanese arcivescovo Giordan da Clivio tutta Insubria contro la sola Como, ed appena dopo dieci anni e col soccorso di venti popoli pervenne a domarla. Però ai 27 d'agosto del 1127 i vincitori Milanesi mal serbando la data fede ai resisi Comaschi abbatterono sin dalle fondamenta tutta quanta la misera Città di Como[1]. In questo disastro perirono ancora i preziosi monumenti, che [viii] a' Comaschi restavano della Romana grandezza; il che è a dire come un'arena ed un teatro che a Giulio Cesare sono attribuiti, non che le celebri loggie di L. Calpurnio Fabato: e quindi Como si giacque più anni depressa sino ai giorni di Federico Barbarossa.
I Milanesi, secondochè narra l'abate Uspergese, l'anno 1156 rinnovarono le rovine di Como; ma i Comaschi fecero poi le loro vendette, quando nel 1162 insiem co' Cesariani e cogli Alleati intervennero alla distruzion di Milano, comandata da Federico.
Umiliato poscia l'Imperadore alla famosa battaglia di Legnano, i Comaschi si accostarono alla lega, ed ebbero indi parte alla memorabil pace segnata in Costanza ai 25 di giugno dell'anno 1183.
Il primo avanzo dell'antichità de' secoli barbarici, che al forastiero, il quale muova verso Como, s'appresenti, si è la torre di Baradello, posta sopra una [ix] collina che da mezzodì soprasta la città. Questa rocca celebre nelle storie fu edificata da Luitprando Re de' Longobardi l'anno dell'era volgare 724; e venne poi smantellata dal famoso Antonio de Leva generale di Carlo V. nell'anno 1527 non rimanendone che la superba torre, e qualch'altro sfasciume[2].
Ma bastino questi brevi tratti sull'antica storia di Como, e passiamo a riconoscere questa terra altrice d'onoratissimi ingegni, non toccandone però che i sommi.
[x] Egli è ben dritto che per noi si cominci dall'amico di Vespasiano e di Tito, da quegli che conservò la memoria degli antichi miracoli delle belle arti, dal più sapiente indagatore della natura, da Cajo Plinio Secondo[3]. Nacque egli in Como intorno all'anno XXII. dell'Era volgare; fu per senno e per dottrina la meraviglia de' contemporanei e de' posteri; e il suo genio osservatore lo condusse a morire alle falde del Vesuvio nella ancor giovane età d'anni 56[4]. Rimangono [xi] di lui trentasette libri della Storia Naturale, opera avuta costantemente da tutti in grandissimo pregio.
Nipote e figlio adottivo del memorato è Cajo Plinio Cecilio Secondo. Egli era carissimo a Trajano, di cui scrisse sì alto le lodi; ei fu l'amico di tutti i dotti del suo tempo; e pel suo merito fu decorato delle più cospicue cariche dell'impero sino alla dignità Consolare. Hannosi di lui coltissime lettere, il celebre panegirico di Trajano, ed altre opere stimatissime.
D'amendue i ricordati Plinj scorgonsi le statue con apposite iscrizioni sulla facciata della superba Cattedrale di Como, onorevoli monumenti consacrati alla memoria di que' sommi dai grati loro concittadini l'anno 1498.
Nativo di Como è pur Cecilio, poeta dell'aureo secolo, e al cui onore basterebbe il rammentare l'amicizia e la stima, che professavagli Catullo. Da un [xii] faleucio indirizzatogli dall'amico Catullo si raccoglie che il poeta comasco avesse incominciato un poema sopra Cibele; e Benedetto Giovio, seguito dal conte Giovanni Battista, è d'opinione, che il poemetto che leggesi nelle poesie di Catullo sopra Ati, sia opera del Comasco Cecilio.
Ma trapassando Cassio, Cornelio Nipote, Severo, Attilio, Floro, Rutilio, Pomponio e qualch'altro antico, che dal conte Giovanni Battista Giovio s'argomentano Comaschi, io vengo a' chiarissimi fratelli Benedetto e Paolo Giovio. Il primo nacque in Como nel 1471 il secondo nel 1484 da Luigi Giovio e Lisabetta Benzi. Benedetto era tenuto in sì alto pregio, che Andrea Alciato non dubitò d'attribuirgli il dignitoso nome di Varrone della Lombardia; e Carlo V. in Bologna lo dichiarò Conte Consigliere Aulico Cavaliere aurato insiem co' suoi figli, e col fratello Monsignor Paolo. Lasciò moltissime opere, fra le quali una [xiii] colta Storia Patria. Morì nel 1544, e nelle pareti della Cattedrale di Como esiste tuttavia la nobile sua tomba. Di non minor valore di Benedetto fu pure il di lui fratello Paolo. Scrisse questi infinite opere, di cui le più rinomate sono una Storia generale in 45 libri, le Vite degli uomini illustri, gli Elogi dei grandi uomini, e le Vite dei XII Visconti Sovrani di Milano. È però qualificato celebre storico, che che ne dica in contrario il Dizionario di Bayle; e da Leon X. fu giudicato un Livio novello. Clemente VII. il creò Vescovo di Nocera. Il Duca di Milano, i Farnesi, gli Estensi, i Duchi d'Urbino, i Gonzaghi, e Cosimo de' Medici Duca di Firenze l'ebbero tutti caro, e lo distinsero a gara. Cessò di vivere nel 1552 in età d'anni settantanove.
Anco a Benedetto Odescalchi, poi Innocenzo XI., diede Como i natali. Ei nacque di Livio, e di Paola Castelli nel [xiv] 1611; fu da Innocenzo X. eletto Cardinale nel 1645, ed acclamato Pontefice nel 1676. Uscì di vita nel 1689, e il solo suo nome basta a renderlo immortale. Da' Comaschi Rezzonici è altresì oriondo Clemente XIII.
Voglionsi ora ricordare due celebri Rezzonici. Il primo è il Conte Anton Gioseffo nato in Como nel 1709. Fu Cavaliere di San Jago, Maresciallo di Campo, Gentiluomo di Camera di S. A. R. l'Infante Duca di Parma, e Governatore di quella Città. Si distinse nella facoltà poetica e nell'oratoria; ma la maggiore fralle sue opere edite sono le eruditissime Pliniane Disquisizioni, che versano sulla patria, sulla vita, e sugli scritti di Plinio maggiore. Il secondo, figlio del nominato, è il Conte Carlo Castone nato in Como nel 1742. Fu questi Colonnello e Gentiluomo di Camera di di S. A. R. l'Infante di Parma, Segretario di quella R. Accademia, e [xv] Cavaliere Gerosolimitano. Insieme colle filosofiche discipline coltivò egli felicemente le lettere umane, e riuscì uno de' più colti scrittori de' suoi giorni. Il dotto professore Francesco Mocchetti va ora pubblicando la raccolta dell'opere di questo insigne Comasco, il di cui nome è caro alle lettere del pari e alle belle arti.
Nè è da passar con silenzio quello fra' poeti Comaschi, che fece della poesia il miglior uso, rivolgendola al suo più nobil fine: e parlasi di Francesco Rezzano. Venne Francesco alla luce nel 1731 agli 8 di marzo; diedesi alla via ecclesiastica, e fu canonico. Recò egli in dignitose ottave il libro di Giobbe; scrisse un poema in verso sciolto intitolato il Trionfo della Chiesa, e con sacri cantici latini ed italiani fece risuonare le sponde del Lario di Davidica armonia. Ai 27 maggio 1780 uscì di una vita per lui tribolatissima.
[xvi] E gloriasi pur Como de' natali del Marchese Giuseppe Rovelli, natovi nel 1738. Dettò egli in patria con molta lode le istituzioni di Giustiniano; ed è autore della più bella Storia patria che s'abbiano i Comaschi. Riconoscenti i di lui concittadini gli consacrarono una onorevolissima lapide, che esiste in una delle sale della patria amministrazione Municipale. Morì nell'anno 1813.
Del più volte nominato Conte Giovanni Battista Giovio convien ora che facciamo la debita ricordanza. Nacque egli in Como alli 10 di dicembre del 1748 discendendo dalla nobile famiglia de' Giovj summentovati[5]. Fu Cavaliere [xvii] del sagro militar Ordine di Santo Stefano, e Ciambellano di S. M. I. R. A. Fe' dono al pubblico di molte opere pregiatissime; molte ancora lasciò inedite, e fu reputato un grandissimo erudito. In ispecial guisa poi è egli benemerito di sua patria, che illustrò con dottissimi scritti d'ogni maniera. Morì nell'anno 1814.
In gran fama salì ancora don Ignazio Martignoni, nato in Como nel 1754. Fu professore di Diritto nel patrio Liceo; pubblicò varie opere, e con esse acquistossi un nome distintissimo in letteratura ed in diritto. Nelle materie che il Martignoni imprese a trattare pochissimi gli possono stare a fronte, tanto egli scrisse maestrevolmente. Cessò di vivere nell'anno 1814[6].
[xviii] Fra celebri viventi Comaschi vuolsi primo nominare il degnissimo sacro Pastore, che ne regge la Diocesi, l'illustrissimo e reverendissimo Monsignor Vescovo Carlo Rovelli. È questi fratello del dianzi ricordato Marchese; conosce profondamente le lingue orientali; e a chiuder tutto in uno, è per dottrina e per santità di vita specchiatissimo.
Altro che fra' Comaschi merita particolar menzione si è il sig. Giuseppe Nessi, nato nel 1741. Stette egli molti anni professore d'Ostetricia sull'Università di Pavia, ed ora n'è Professore emerito. Mise in luce più opere, che gli procacciarono non volgar rinomanza.
È pure da memorare l'illustrissimo sig. don Antonio Della Porta, professore di filosofia razionale, morale e Pedagogia, chiaro nella repubblica letteraria per molte produzioni.
Il sig. dottor fisico Carlo Carloni professore di Storia naturale nel R. Liceo, [xix] è uomo prudentissimo nella medicina e in ogni ramo di scienze fisiche. Egli possiede una raccolta di minerali che merita di essere veduta.
Il dottor Francesco Mocchetti di cui poc'anzi avemmo menzione, versato in ogni maniera di bella erudizione possiede un'ammiranda collezione di libri del quattrocento.
Nè vuolsi passare sotto silenzio il sig. Giuseppe Malachisio chiaro per molte sue produzioni poetiche; chè egli ha pieno la lingua e il petto di quell'antico savere che cotanto onora l'uomo.
Il dottor fisico Onorato Solari uomo pur esso assai dotto possiede una collezione di Storia naturale molto doviziosa in conchiglie, fra le quali vedonsene molte di assai rare e peregrine.
Presso il medesimo si trova una serie assai numerosa di medaglie antiche d'ogni metallo sì greche che latine ecc. Trovansi pure bronzi, urne, lucerne, [xx] vasi di diverse forme e materia, idoli sì Egiziani che Romani, bassi rilievi, pagodi, avorj, dittici, e molti altri commendevoli storici monumenti ecc. Come pure possiede molti oggetti di curiosità e molte tavole dei migliori pennelli massime Fiamminghi. Vi si vedono per esempio i Caracci, gli Holbein, i Poussin, i Vandik, i Vander-Werf, i Morales ecc.
Ed eccoci a chi sovra ogni altro illustra Como co' suoi natali, al massimo rigeneratore delle fisiche discipline, ad Alessandro Volta. Nacque egli in Como da Filippo uomo patrizio, e da Maddalena de' Conti Inzaghi nel 1745. Innanzi a lui tutta s'inchina la filosofica famiglia; del suo nome si fa bella Italia; di sua fama è piena tutta Europa; e a noi basterà ripetere il detto dell'oracolo: Tanto homini nullum par elogium.
Sono questi per comune avviso i primi illustri Comaschi; e Como argomentando sull'odierna sua gioventù può nudrir [xxi] ferma speranza di crescerne il numero fra non guari.
Quanto alle cose, che possono in Como trattenere l'erudita curiosità del forastiero, deesi prima collocare la superba Cattedrale posta sulla piazza maggiore. Cominciossi nel 1396; fu l'opera di più secoli; e fu unicamente eseguita colle devote beneficenze de' splendidi cittadini. Il forastiero vi potrà ammirare l'ampiezza e gli ornamenti d'ogni sorta; e dopo aver tutto esaminato dovrà conchiudere, che questa magnifica mole tutta marmorea non conosce superiori, tranne S. Pietro di Roma, S. Paolo di Londra e il Duomo di Milano.
Dietro il Duomo sorge un'altra dignitosa fabbrica dedicata al colto ed onesto divertimento de' cittadini. È questo il nuovo Teatro, eretto da pochi anni con particolare splendidezza; e il forastiero [xxii] dopo averne trovata graziosa l'arena, bellissimi i ridotti, maestoso tutto il fabbricato, sarà pur forza che ne confessi leggiadrissimo il Teatro.
In vicinanza di Porta Milano, fatta nell'ampia torre stata costrutta nel 1182, da cui dassi anche altro nome alla Porta, scorgesi la recente suntuosa fabbrica del Liceo, che già volge al suo compimento, e la cui facciata è sostenuta da otto rare colonne fra l'altre, che da Benedetto Giovio e dagl'intendenti voglionsi di marmo greco[7]. Il Liceo è fornito d'una buona biblioteca, che la munificenza del Governo va continuamente arricchendo; d'un gabinetto fisico ben provvisto di fisiche suppellettili; d'una serra e d'un giardin botanico. È poi specialmente distinto per ottimi professori.
[xxiii] Prima però di uscir di città amiamo di annunciare all'amator delle belle arti gli angelici freschi, che adornano l'altar della Vergine nella Chiesa di S. Fedele, e che ritengonsi di Camillo Porcaccino; il Museo Gioviano posseduto in parte dal Conte Paolo Giovio, e in parte dagli illustrissimi fratelli Giovj Conte Cavaliere don Francesco e Cavaliere don Paolo, presso i quali esiste ancora una sceltissima biblioteca; infine varj quadri e dipinti di pregevoli pennelli, che trovansi presso l'illustrissimo sig. don Benigno Natta, l'illustrissimo sig. Conte Mugiasca, attuale I. R. Consigliere di Governo, e l'illustrissimo sig. Ciceri don Camillo.
Fuori della Città, all'amena spiaggia dell'Olmo in capo al Borgo Vico, degnissimo è d'essere ammirato il grandioso edifizio dell'illustrissimo sig. Marchese Innocenzo Odescalco. La sala maggiore di questo palazzo, splendida per marmi [xxiv] e per molt'oro, non sa punto invidiare le aule reali.
Quella parte del Vico che giace in riva al lago è resa signorile e deliziosa dai molti nobilissimi suburbani che vi torreggiano.
Il Collegio Gallio vicino a Porta Sala ossia Svizzera è meritevole della considerazione del forastiero. Fu questo Collegio fondato dal Cardinal Tolomeo Gallio nel 1583 ed affidato ai Padri Somaschi che vi entrarono nel 1589. È il Collegio presentemente in fiore, e a tutta ragione, poichè ottima è l'educazione che dagli attuali Padri vi si presta. Rettore del Gallio n'è l'esimio sig. don Carlo Locatelli, e n'è grande ornamento l'ellenista sig. abate don Giuseppe Pagani professor di rettorica.
Non guari lunge dal Gallio è posto il celeberrimo Santuario del Crocifisso. Il Simulacro che vi si venera credesi lasciato in Como da una Francese compagnia [xxv] di Bianchi intorno all'anno 1400, ed è rinomatissimo per molti insigni miracoli operati. In questo ricco Tempio avvi pure un organo di tanta eccellenza che fassi per uno de' primi d'Italia.
Dal Crocifisso è breve il passaggio allo Spedal Maggiore. Questa vasta fabbrica è osservabile per le ampie e ben ventilate crociere. Il Luogo Pio è saviamente regolato da una Congregazione di Gentiluomini, avente per capo l'I. R. Delegato Provinciale.
Al principio del Sobborgo di S. Rocco, e in capo a quello di S. Martino ritrovansi le due comasche fabbriche di pannilani. Si acquistarono esse molta riputazione per l'eccellenza de' panni che ne sortono. La prima spetta alla ragguardevole famiglia Luraschi; la seconda, più grandiosa ancor dell'altra, appartiene alla nobile Famiglia Guaita, che si meritò premii e distinzioni dal cessato Governo per avere condotto l'arte a rara [xxvi] perfezione: e l'amatore delle buone arti non tralasci di visitarle.
Como poi oltre le succennate cose vanta ancora un Seminario Vescovile; un Conservatorio, ed un monastero di Salesiane per l'educazione delle fanciulle.
La Comasca popolazione ascende a 14000 in 15000 abitanti[8]. Il suo principal commercio è in seta, onde conta molte ottime fabbriche di seterie. Sul carattere infine de' Lariani recheremo, conchiudendo, la osservazione del celebre Bettinelli, trovarsi intorno al Lago di Como il più ingegnoso ed industrioso terreno forse d'Europa. Entus. pag. 362.
[1]
Il viaggio che qui ne diamo del Conte Giambattista Giovio fu scritto nel 1795. Essendo la prima edizione di tal viaggio divenuta rara, abbiamo creduto di fare cosa grata agli amatori del Lario il riprodurlo in luce co' nostri tipi accresciuto di note ove gli avvenuti cambiamenti le domandavano. E vivi felice.
[3]
Avviandoci al porto per intraprendere la navigazion nostra sul Lario, avvertiremo che quel seno e quel molo non sono cosa antica. Nel 1225 i[9] Comaschi ne aveano cavato uno presso [4] alla piazza de' Liochi, che appellato venne del Vescovado. Altro pure assai ampio ed opportuno vi aveva all'altro fianco della città, il quale per lunga incuria interriossi, e venne in questi ultimi anni ceduto ai cittadini Nolfi, che in parte ad uso il convertirono di giardino. Nè di piccioli moli facea mestieri ai Comaschi avvolti sovente in guerre navali; or ci può bastar questo, ma non dovremmo ommettere di purgarlo nella stagion d'acque basse da quella fitta che il deturpa, e guasterallo un giorno.
Esciamone a manca e intraprendiamo lunghesso la sponda sinistra il viaggio. Tosto ci si presenta la spiaggia ampia del Pasquerio partita in due dal torrente Cosia che si sfoga ivi nel lago. Poco oltre a trent'anni fa avea egli le foci rivolte verso il sobborgo; ora col murato alveo fu costretto a piegarsi a dritta. Se le misure si osservino di quel pubblico pascolo rilevate da periti in sul principio del secolo, vedrassi che ne [5] crebbe alquanto l'estensione; nè fia maraviglia per chi ponga mente alle sabbie che versa il Cosia in quelle vicinanze, ed ai venti che agitando le onde vanno collocandole lungo que' lidi. Saria pensier saggio che fosse vietato il cavarle per uso delle fabbriche, tranne il sol letto del torrente, mentre in tal guisa accrescerebbesi ai posteri una pianura tanto più pregevole fra spazio breve rinchiuso da' monti. Ottimo fu pure il pensamento che ne rialzò una parte in questi ultimi anni col dispendio di scudi sei mila: così più salubre si rese e men soggetta alle inondazioni. Potrebbe con ampie piantagioni quadrate rendersi agevolmente più ameno quel passeggio, nè gli si torrebbe il comodo di schierarvi, come pure si costuma, le truppe. Fannosi fra tigli ed olmi presso Strasburgo i militari esercizj, nè il diletto de' cittadini opponsi al porvi soldati in marcia in finte zuffe. Bello spettacolo sarà per chi navighi il volger gli occhi in giro, sì che le vette, che la [6] città e il pian d'intorno coronano, esamini d'un colpo, e quinci il celebre Baradello or nido ai gufi, e quindi l'unica porta[10] d'antica munizione che tuttora resti sulla costa di s. Martino osservi, e in mezzo piramidar tante torri e campanili. Ma già presso il finir del Pasquerio comincia la parte più leggiadra del Vico. Borgo Vico Primo di tutti ne si offre quel palazzetto che pur or costrusse Antonio Baldovino, e dietro quello sta l'ampio ed amenissimo ritiro de' Carmelitani[11] scalzi, entro cui al principio [7] del secolo scorso era il Giardino celebre ricovero del dotto nostro Girolamo Borsieri. Spira a tutto questo lato dalla valle e dal rivo del Molinello una fresca aura consolatrice. Passata appena l'arcipretal chiesa di s. Giorgio, entro angusti confini sorge il casino del professore Bassian Carminati, ma il Soave architetto domò la difficoltà del luogo col ben partir la casa ed idearla. Segue la villa dei Barbò marchesi di [8] Soresina; indi con ampio lusso il suburbano d'Eleonora marchesa Villani nata Doria Sforza. La culta dama, che signorilmente dimoravi, prese da' suoi viaggi il gusto di ammobigliarlo con eleganza; magnifica a stucchi lustri, piena d'aria e di sole è l'oval sala di mezzo. Parte del giardino locossi sovra quadrate muraglie che vedevansi sotto acqua a lago cheto, e servivan forse all'isoletta selvosa che Paolo Giovio[12] avea al fianco destro del Museo. Di tal amenissimo e celebre suburbano ragionano anco gli esteri, e il notano le geografiche carte. Marco Abate Gallio nipote di Tolommeo cardinale compratolo il distrusse barbaramente nel 1616. Sigismondo Boldoni[13] deplora l'impresa [9] del Gallio, il qual pur faceva di tutto perchè il nome si obbliasse del chiarissimo[14] fondatore. Ma se in quell'occasione perirono pitture a fresco piene [10] d'anima, di cui anche fa menzione il Doni[15], se spezzaronsi marmi sculti con belle sentenze d'ingegno piene; almeno le tavole e le tele rappresentanti i volti degli uomini illustri e le medaglie e le rarità Indiane ed Americane[16] trassero i Giovj nelle lor case di città; ed ivi sorse col nome di Gallia un novel palagio magnifico, che da trent'anni circa spetta a Don Pietro Fossani milanese patrizio. Degne son da vedersi le pitture dell'ampia sala, e qualche fregio del cavalier Isidoro. Ciò è quanto lasciovvi d'antico il novello signore, distrusse esso il restante. Il Museo e poi la Gallia si edificarono sugli annosi vestigj della villa di Caninio Rufo, il [11] quale vi abitava a giorni di Traiano, la cui guerra in Dacia seppe degnamente cantare in greci eroici, e son note le pistole a lui del giovane Plinio. A due passi dalla Gallia il sunnominato possessore moderno di quella alzò in quegli anni ultimi una ridente abitazione, distruttivi alcuni meschini abituri. Contiguo a questa è l'alloggio del cavaliere Aurelio Rezzonico non dell'antica patria immemore, e il di lui orto si specchia nel lago. Più ampie e con giardini a tergo ed in faccia al prospetto del Lario stanno le case del conte Resta, che sullo spazio eressele appartenente a' Padri Minimi, e pria alla badia di Vico. Indietro giace quel vaghissimo ritiro appartenente al Conte Giovanni Salazar per retaggio della comense di lui moglie Marianna della Porta. Ivi nè vasto vi manca il passeggio, nè copia d'acque, nè l'ombra d'annosi tigli, nè la solitudine della prossima e facil montagna. Ma chiamane a se l'Olmo ove il marchese Innocenzo Odescalchi v'adopera [12] ben ampie fortune, ed una mole si estolle che sfida i secoli. Il marmo, l'oro e gli stucchi lustri vi son profusi. Questo palagio chiude lungo il lago il sobborgo di Vico; avvi però di là strada atta alle carrozze che guida fino a Grumello.[17] Grumello Fu quella villa edificata da Tommaso d'Adda, cui nel 1578 dal Consiglio decurionale venne concesso l'irrevocabil diritto di raccogliere sulla costa di Monte Olimpino[18] le acque onde alimentar la fontana. L'ebbe poscia a delizia il[19] Vescovo di Modona Sisto [13] Vicedomini, possedettela indi il cavalier Porta, da ultimo i fratelli Carlo e Benedetto Odescalchi, il qual secondo fu Papa col nome di Innocenzo XI. La acquistarono indi i vescovi sotto Monsignor Neuroni come amministratori del luogo pio de' Catecumeni, e v'abitarono. Il piacentino don Carlo Galli l'ebbe poscia. Ora appartiene al cavaliere conte Giambattista Giovio cui piacque di lodarne in una sua pistola al Conte Roberti[20] il prospetto amenissimo: ed in vero angol non v'ha di monte, non sen di lago che sfugga al guardo lusingato e pago. Di là a pochi passi s'interna nel curvo lido il caserino della Zuccotta[21] Zuccotta erettovi dai Volpi a solingo diporto. Per l'economia [14] delle celle anguste possiam d'isgradarne quasi il lavor geometrico d'un alveare. Ma giù per la valletta che stagli a tergo scende poi non molto dopo il meriggio un frettoloso ponentello che increspa le onde, e fideicomisso[22] nei mesi della state non manca mai.
Segue il Ceresajo, il quale a' giorni di Girolamo Borsieri era ancor colle alpestre, ed allor si ridusse a vigne ed a fertilità d'ottimi frutti, fra' quali hanno vanto i fichi. Poco oltre incontrasi Tavernola, Tavernola che in questi ultimi anni fiorì per l'eleganza degli ospiti suoi, appigionata, com'ella fu, all'Intendente generale delle Finanze baron di Lottinger. Da una colonnetta ivi spuntante a fior d'acqua si determina da quel lato il confine della pescagione riservata al possessore di Grumello. È sul tappeto che il calle angusto dall'Olmo a Tavernola [15] s'abbia da formare in agevole strada larga per braccia dieci[23]. L'amenità allora di tutta quella piaggia crescerà a dismisura, e forse alle falde dell'Olimpino cresceranno più ville che si specchino nel Lario. Nè l'opera viene consigliata soltanto dall'amenità, perciocchè su quella via, non senza esempio di sventure, si traggono le farine alla città sulle schiene de' muli, le quali allora verrebbonvi sulle carra, come pure i fieni che si falciano moltissimi nel piano della Bregia, e debbono ora con lungo giro guidarsi intorno al giogo dell'Olimpino per guadagnare con fatica retrograda l'altra strada, che a Como mette ed agli Svizzeri.
Ma da Tavernola per ire a Cernobio la via Regina discostasi assai dai lidi del Lario,[23] e per vigneti e campi e praterie inoltrasi in quella grande piaggiata, che forse ne' secoli scorsi formossi tutta colle inondazioni del fiumicello Bregia, Bregia il quale non di rado poi [16] romoreggia strabocchevole torrente; e va crescendo ognora il lido con sassi e ghiaje al suo sbocco. Alle di lui foci nell'autunno si prendono nobili trote, le quali amano di guizzare a ritroso sui sassi per deporvi le uova. Una gran parte delle perenni acque della Bregia è divertita all'uso de' mulini. Giace al di là di quelle, dentro un seno lunato, Cernobio, Cernobio cui forse venne il nome dal vocabol latino Cœnobium. Eravi infatti un tempo un munistero di Cluniacesi, e poi vi succedette un convento di religiose, che da Giuseppe II insieme con tante altre vennero soppresse. Ma quella terra già prima di Pretore ornata, e de' suoi particolari statuti, fu distrutta e saccheggiata da Vincenzo Vegio, speditovi da Filippo Visconti duca di Milano; perciocchè i di lei abitanti aveano liberati a forza in Bellagio i debitori della camera fiscale. Ora ella è il soggiorno di piloti celebri e di esperti pescatori, nè scarseggia d'ameni casini, fra' quali vuole ricordarsi quello del [17] marchese Tiberio Crivelli, dei Sala, del fu chiaro e pio poeta canonico Rezzano, e dei Clerici notaj e conti palatini. Pretendono alcuni che l'acqua della Colletta spicciante nel prossimo colle sia molto salubre, ma finora v'è controversia sulla di lei analisi. Dietro a Cernobio sorge con altissima vetta il Bisbino, Bisbino sulla cui cima sta un tempio a Maria Vergine che dal popolo divoto frequentasi. È incredibile l'orizzonte che da quel cucuzzol discopresi, e qualora gli si aggirino dintorno le nebbie, se ne trae presagio in Como di pioggia imminente, onde avvi il proverbio
Vanne a prendere il mantello,
Che il Bisbino ha il suo cappello.
Sulle falde di questa montagna ampia Piazza Rovenna si veggon le terre di Piazza e Rovenna patria del celebre pittore Angiol Michele Colonna. Vi si raccoglie frumento di grani sì belli e grossi, che volontieri cuocesi in minestra alla foggia del farro e dell'orzo. A pochi passi da Rovenna avvi una caverna detta il Pertugio della [18] Volpe, e malgrado il difficile ingresso vi si mise dentro il dottor fisico Onorato Solari. Trovolla estendersi per 900 piedi parigini, e n'estrasse lunghi pezzi d'alabastro assai bello.
All'escir primo da Cernobio s'incontra il torrente Garro, presso cui intorno al 1568 il Cardinal Tolomeo Gallio cominciò il nobil palagio, che appellasi Garrovo, Garrovo e spetta ora al marchese Calderara[24]. Volontieri v'approderà il viaggiatore, nè ommetterà di scorrere il viale, che sale sul monte, ed ha quinci e quindi due rivoli, che per centinaia di conche fluiscono scarpellate nel granito.
Prossimo gli sta Pizzo Pizzo villa dei conti Mugiasca, i cui maggiori forzarono il dorso del monte a prestar loro ameni giardini di sol pieni e d'agrumi; poi curvandosi in circolo le rupi e la via regina si scopre Moltrasio, Moltrasio ove il conte Andrea [19] Passalacqua costrusse non ha guari abitazion vasta e giardini a gran piani scendenti al lago più magnifici ancora. Ivi presso il baron Durini conservasi un Museo d'uccelli vivi, singolarissima cosa, e vi s'ode lo stridor minaccioso dell'aquila e il pianto armonico dell'usignuolo.
Nel petroso fianco del monte si cavan ivi le tegole pei tetti, e le caverne praticatevi e l'esperienza maestra ne fecero edificare celle parecchie per conservare il vino eccellenti, onde senza le cure, che usavano tante i Romani, possiamo bervi annosi liquori e sfidarli quasi nel lusso di quelle cene, per cui spillavano botti che ricevute aveano le uve pigiate sotto Consol remoto.
Singolare è il contrasto di tanta frescura e del calor insieme, che la sferza cocente del sole eccita in que' sassi. Ma il fiumicello che parte Moltrasio con non mutulo gemito, e lava piombando a dritto e rovescio gran massi, spruzza l'accesa aria sì, che abbeveri i polmoni purissima, e s'abbrividisca nel sollione.
[20] Segue Urio Urio Carate Laglio per cammino dritto, ove alla villa Castelbarri, dinanzi Porta, avvi dal lago nobile accesso per una scaléa a due branche, nè lungi mostrasi Carate, nel qual paese mantiensi quasi per retaggio l'arte del costrurre le barche. Poscia in molte villette sparso vedesi Laglio per uliveti osservabile. V'ha chi opina che gli venisse il nome dalla romana gente de' Lallii, altri poi gliel deduce dal Dio Ajo,[25] che i politeisti venerarono sul Tebro. A tutte queste terre sta in faccia dall'altro lido Torno già luogo celebre, e la fonte Pliniana.
Ma seguendo noi la punta di Torrigia, Torrigia che un promontorio pietroso spinge nel Lario a ristringerlo d'assai, siamo per abbandonare quel lungo catino, che gode sempre del popoloso prospetto [21] d'una parte di Borgo Vico, ed entreremo in una scena di lago più deserta e severa. Mi maraviglio insieme con Sigismondo Boldoni, come abbia Paolo Giovio amata tanto Torrigia da scrivere poi che dovessero ivi fabbricare coll'antica eleganza i favoriti della fortuna.
Ripiegando presso al promontorio la prora costeggiamo le montagne a manca tutte poste a castagneti, fra' quali scorre qualche ruscello, che diriano i poeti, d'argento, e diria Magalotti, che ivi in molte ore del giorno potremmo farla da antipode, mentre altri pure si tapina sotto a' raggi del sole, o calafatasi dentro un appartamento. Dopo non breve remeggio giungesi a Brienno, Brienno ove le casucce degli abitanti son poste quasi a ridosso l'una dell'altra, e presentano da lungi co' tetti l'immagine quasi d'una scala. Le sollazzevoli rime del padre Giuseppe Stampa, in cui si raccolsero que' motti, onde fra loro si proverbiano i nocchieri delle varie terre, narrano che a' Briennesi si lanci il titolo di [22] allocchi, ma già nol sono punto, e forse a' vecchi tempi era la loro patria ancor più distinta. Ce ne possono far fede le due lapide,[26] colle quali Publio Cesio Archigene sciolse i suoi voti alle Matrone ed a Giove. Queste si scopersero a' giorni di Girolamo Borsieri.
Il cognome d'Archigene[27] Argegno suona [23] qualche cosa di simile alla prossima terra d'Argegno, e forse Lucio Cesio l'ebbe per suolo natale. V'ha chi lo creda popolato un giorno da que' Greci che i vincitori Romani traslocarono fra noi,[28] e potrebbe a tal sospetto giovar anco l'appellazione grecanica di Picra, che tuttora rimane a quella terra che in vetta sta dell'ardua montagna sorgente al fianco d'Arcennio, alla quale se con aspra fatica di salire ci venga talento, v'ammireremo grani di mirabil candore e grossezza, non che rape rivali di quelle di Norcia. Là su quel vertice stanno vestigj d'antica rocca, come pure di [24] un'altra ad Argegno, il qual posto quasi in un golfo del Lario viene in due partito dal fiumicello, che ivi scarica la Valle d'Intelvi Vall'Intelvi sì celebre per l'industria de' suoi abitanti. Traversandola per il lungo sboccasi con viaggio di miglia circa sette al lago di Lugano. Incontransi per il viaggio caravane di muli carichi per lo più di carbone che sfogasi ad Argegno per imbarcarlo. È singolare che non vi siano marmi nella Valle Intelvi, e però gli abitanti di quelle piaggie si dierono alle opere di gesso lustrato, nelle quali sono abilissimi.
Anche il dizionario Geografico del Ladvocat, prodotto col nome di Brouckner, nell'articolo Como attesta che da questa valle uscirono[29] scultori, pittori, [25] stuccatori, architetti eccellenti. Taluno vuole anche derivarle il nome dall'intelletto.
Seguendo noi il viaggio nostro lungo la riviera incontreremo Cologno Cologno Camogia piccola terra e il fiumicello Camogia, il quale rigonfio bagna talora di sua spruzzaglia l'arco del ponte. Vuolsi che quest'acqua per le viscere del monte sgorghi figlia del lago di Lugano. Ma presso a quella una chiara e fresca fonte zampilla e cade spumosa detta Oliviera dalle piante che d'ogn'intorno l'inombrano, e tutta quella costiera rendon di squisito olio feconda.
Ma già voghiamo nello stretto seno fra la famosa Isola Comacina[30] Isola Comacina Sala e il lido, [26] in cui avvi Sala popolosa di pescatori, che molta preda fanno in quel golfo pescosissimo, detto nelle sue lettere dal giovin Plinio il cannal gemmeo.
Di fianco all'Isoletta sul prossimo territorio avvi una terra che da essa ricevette il nome d'Isola, Isola a cui non manca un'arcipretale collegiata antichissima, presso la quale conservansi assai vetuste pergamene. Sparsi qua e là sul monte vi sono gruppi di case, a cui non manca l'appellazion propria, e dipendono da quell'arciprete. Fra queste ricordo Ossucio, Ossucio ove avvi l'iscrizione [27] che soggiungo, poichè ignoro che sia stata giammai pubblicata.[31]
MATRONIS . ET . GENIIS .
AVSVCIATIVM . CONSECRAVIT .
ARVIVS . NIGRI . F . NOMINE .
SVO . ET . C . SEMPRONII . NIGRI . ET .
BANIONIS . CVCALONIS . FILIAE .
PARENTIVM . SVORVM .
Nella terra non lungi dalla chiesa collegiata i Giovj, che l'origine traggono dall'Isola[32] Comacina, v'hanno memoria [28] delle ricchezze de' lor maggiori l'ospedale e la chiesa di S. Maria Maddalena, a cui con liberal pietà contribuirono terreni smembrati dalle loro possessioni per nodrire i poveri e i viandanti, e resta fino al dì d'oggi in quella famiglia per più di ottocento anni l'autorità e la prerogativa incorrotta di mettervi[33] un ministro. Portano quindi i Giovj per insegna, in testimonio dell'origin loro, il castello [29] posto in mezzo dell'isola. A questo si aggiunse l'aquila da Federico Barbarossa, e s'inquartarono poi le arme dei Medici per dono di Leone X., e le colonne d'Ercole per diploma di Carlo V. Cesare si sovrapposero.
Ma sul confine della terra sorge poi Balbiano, Balbiano già sobborgo dell'Isola, e delizia ora del Cardinale Angel Maria Durini. Ivi sul principio del secolo sedicesimo duravano tuttora magnifiche reliquie[34] della villa de' Giovj. Queste nel 1596 vendette Ottavio Giovio a Tolomeo Gallio conte delle Tre Pievi, poi duca d'Alvito, quindi spinto e dalla bellezza del luogo e dal vetusto diritto ricomperò quella villa nel 1778 il cavaliere conte Giambattista Giovio, il quale dovettela poi cedere nel 1787 già [30] ristorata alle lunghe brame del Cardinale, che coll'ampliazione de' giardini, e col profondo vial carrozzabile di se la rese degnissima. Vi s'innoltri il viaggiatore e verragli incontro l'amenità, in fine poi d'esso l'orror sagro della valle e lo spruzzo quasi della Perlana saluterallo. Talora però queste acque rigonfiansi a torrente infestissimo, e radendo Balbiano si scaricano nel lago.
Vedesi in alto il venerabile santuario di M. V. del Soccorso, Santuario del Soccorso ed a chi salga il monte aspro, danno sollievo alcune cappelle, che i misteri raccolgono della Incarnazione salutifera rappresentati con belle figure plastiche colorite. Dolcissimo e maestoso scende giù nel piano il suono di quelle armoniose campane, per cui volontieri Monsignor Giovanni della Casa avria fatto un epigramma in laude, ei, che pur dettò que' latini versi sì acerbi contro lo squillar rimbombante de' bronzi sagri.
Se il ponte si passi, che al fianco di Balbiano sta sulla Perlana, tosto si è a [31] Campo, Campo ove pochi anni sono un convento v'era di monache, ridotto ora quasi a seconda villa dal Cardinal Durini, che su tutte quelle spiagge profuse danaro, e cultissimo vi raccolse con dignità il beato ozio delle muse.
Da Campo per breve via giugnesi a Lenno, ma noi costeggeremo il selvoso dorso di Lavedo, Lavedo ossia Balbianino sulla cui punta altro casino[35] formossi il prelodato Cardinale di ridente prospetto, da cui domina a cavaliere su due catini del Lario, e tutta vagheggia la Tremezzina. Entro lo scoglio del molo avvi una fessura, da cui ricavò alcuni bei pezzi di spato cristallizzato il dottor fisico Onorato Solari. Questa punta di monte, che spingesi nel lago, quella si è che il Boldoni vago di pellegrini vocaboli denominò il dorso di Abido alludendo a quell'asiatico stretto [32] celebre pel caso infausto di Leandro e pei versi di Museo. Noi varcandola dirizzeremo la prora lungo la riva manca spaziando col guardo satollo in più ampio pelago, e giungeremo in tranquillissimo seno, dove i Caroè hanno una villa.
Tosto lì presso sta Lenno Lenno per qualche reliquia del gentilesimo tuttora venerabile. L'antiquario recherassi quindi alla chiesa arcipretale, e troveravvi un picciol sotterraneo tempio sostenuto da colonne di cipollino, e vedravvi un'ara e qualche altro pezzo di marmo candido. Hannovi anche de' condotti di terra cotta in foggia quadrangolare, nè saprebbesi qual ne potesse esser l'uso. Ben per lo contrario si sa che alla stagione degli oracoli de' Gentili si praticavano i templi o dentro caverne dalla natura fabbricate, o in luoghi dove l'arte avesse procurati dei sotterranei. Tali antri eran conciliatori d'orror sagro, e col pretesto delle esalazioni divine giovavano alle furberie de' ministri [33] degli idoli, onde poi que' sacerdoti ne foravan talora le statue, e col mezzo di tubi arcani facevano gorgogliare dai loro numi le voci misteriose. Vive medico condotto in Lenno il giovane ingegnoso Francesco Mocchetti nato in Como[36], il qual avvolge ben degnamente al suo crine il lauro d'Apollo e quel d'Esculapio, ed ora compie una dotta sua peregrinazione in Lamagna per visitarvi que' dotti e conoscerli ancora di volto, tanto più che può favellare il lor linguaggio non men che l'inglese. Siegua egli ad onorar la sua patria!
Vuolsi che su questo lido depresso ed agevole il giovin Plinio avesse la villa sua detta Commedia, perciocchè gli attori di quelle in sulla scena escivano[37] con borzacchini del coturno [34] tragico più umili. Scorgesi sulla montagna, che s'alza a tergo di Lenno, l'Acquafredda, Acquafredda già monastero di Cistercensi, e pria de' Cluniacesi, che vi si [35] annidarono intorno al 1140; soltanto pochi anni sono ne partirono i Cistercensi, quando loro fu data la Certosa di Pavia. Ivi dimorava il dotto Padre don Pompeo Casati, i cui occhi non lasciavano intatta pergamena alcuna di chiostro o d'archivio, e d'esse n'era ricco quel monastero. Or le case e i fondi si comprarono dal sig. Ignazio Mainoni, il cui fratello Barnabita don Francesco, detto più volte dal Cardinal Burini il puro Sacerdote delle muse; è noto per la facile sua vena, e merita ancora d'esser più noto pel culto ingegno e le sociali maniere.
Quindi piegansi alquanto i colli pieni di vigne e di uliveti, e questi sono le falde e gli zoccoli quasi dell'eccelse rupi, in cui vedesi uno amplissimo strato di pietra orizzontale, che ne favella di rivoluzioni grandi. In alto sta Bolzanico, ove il conte Andrea Passalacqua Lucini ha casa venutagli col pinguissimo materno retaggio Brentan Monticelli.
[36] Lungo la spiaggia del lago corre amenissima la strada regina[38]; e tutta quella parte, che col generale vocabolo appellasi Tremezzina, Tremezzina presenta l'aspetto d'una città continua, tanto vi sono vagamente sparse le case e i palazzi. Niun luogo gode di sol più amico ne' verni sul Lario, e la stagione ivi tien fede ai boschi d'agrumi, nè osano le notturne o mattutine arie mordervi i cedri. I signori Mainoni, il Duca Serbelloni alla Quiete, gli eruditi fratelli conte Andrea e preposito de Carli, e i Brentani di cui molta in que' contorni fu la progenie, altrove anche trapiantata, v'hanno alloggi e giardini ridenti.
Notissimo è l'albergo della Cadenabbia, Cadenabbia che altri Brentani di fresco eressero con felice evento e pel lucro loro [37] e per la comodità de' passeggieri. Ivi più volte si ridussero nel verno a passarvi qualche settimana i RR. Arciduchi venendovi da Milano, ed è di moda che qualche inglese vi passi le intere mesate. Come quasi a metà del Lario v'approdano i nocchieri e vi riprendono lena. Quindi tiensi che il nome venisse da Cà di naulo. Porcacchi e Giovio lodano il vino, che gli ostieri di quelle contrade apprestavano ai vogatori. Prima di giungervi vedesi la villa Clerici posta in alto con giardini a piani varj e scalée, che vi conducono[39]. Il nobil soggiorno spetta ora alla contessa Claudia Biglia figlia ed erede del marchese Generale, che in quel luogo esercitò lo [38] splendore e la magnificenza cinto d'ospiti numerosi a banchetti Lucullei.
Segue un lido sabbioso, su cui il
lago va le arene accumulando per anni,
e poi talora in un solo quasi tutte le inghiotte[40].
Sta sovra esso la Majolica[41],
Majolica
ossia
London-Hôtel
Griante
casa, cui venne il nome[42] dall'esservi
stata tempo fa l'arte de' piatti esercitata
dagli esperti vasaj. Nel curvarsi del seno
scopronsi anche meglio i poggi di
[39]
Griante, paese celebre per commendati
vini, che, soavi al gusto, si giudicano
pure giovevoli allo stomaco.
Indi sotto alla rupe che appellasi il sasso di S. Martino, vedesi una novella opera che assicura il varco ai passeggieri; perciocchè pochi anni sono ivi nell'aumentarsi del lago era di mestieri che i viandanti prendessero qualche barca per tragittare un piccolo spazio, dove le acque giungevano a coprire in qualche mese la strada regina. Vi si provvide con ampio ammasso di pietroni, i quai però di sovente vi si sconnettono dal flagellare de' flutti adirati.
Ma già pieghiamo alla costiera, che mette a Menaggio. Menaggio Questo borgo venne non ha guari ornato di Pretor regio, nè più risente i danni che gli recarono le guerre nel secolo XVI, anzi i di lui abitanti godono fin l'agio di non pagare la tassa personale, perciocchè a tal peso del Censo soddisfanno abbondevolmente colle rendite della Comunità. A manca del Borgo mette foce nel lago la [40] Sanagra[43] fiumicello, cui si vollero attribuire molte guarigioni, massime per male di gambe; ma gli osservatori trovarono quelle acque freddissime e lievi senza mistura alcuna di minerale. Giova però quel fiumicello al commercio non poco, perciocchè tenendosi in collo quelle acque con argini, si strascinano poi alla spiaggia le gran piante che recidonsi sulle montagne. Non esiste più in quel borgo il chiostro de' Canonici regolari, ma tuttora v'esiste la gran lapida al nome sagra di Lucio Flavio Minicio Esorato Flamine di Tito e carico pure d'altri titoli militari e pontificj. Questo sasso vi si fece recare dall'erudito impressore librajo Minicio Calvo nel secolo XVI, che tratto avealo dalla spiaggia presso Rezzonico. Vedesi questa incastrata qual base nella chiesuccia di santa Marta, presso cui don Paolo Paravicini eresse un casino agiato, che serve a quel cavaliere di riposo nel suo [41] viaggio da Como alla Valtellina. Nè manca a Menaggio il soggiorno perpetuo di famiglie nobili, la Castelli, la Magnocavallo, e quella de' Conti Bolza, un cui rampollo fiorisce in Sassonia, e venne rammemorato dal re di Prussia nella storia della guerra settenaria. Anche i Guaita, che soggiornan pel più a Codogna, hanno a Menaggio abitazione signorile, piantata veramente sulle onde del lago, onde, se soffrono l'incomodo del fremito di quelle, godono poi tutta l'amenità d'un prospetto invidiabile. Non vuolsi pure ommettere il recente edifizio de' Campioni, i quali arricchiscono colle miniere e le opere del ferro.
Apresi da Menaggio l'ingresso della valle che mette a Porlezza, Porlezza Cavargna ed a Cavargnoni. Hannovi sul passaggio più terre Croce, Cardano, Codogna chiara per l'origine e ville di più famiglie dei Guaita; da lato poi Grona, Bene, Naccio. A mezzo incontrasi un laghetto pescoso, a cui di recente si aperse più retto ed ampio sfogo in quel di Lugano [42] presso Porlezza, e si acquistarono campi all'agricoltura collo scemarlo e il distruggersi della palude. Più in là scorre il Cuccio, che piomba da Val Cavargna. Ma degli abitatori d'essa tante furono e sì paurose le descrizioni, che saria colpa risparmiarne un motto. Boldoni[44] li dipinse come il più sanguinario popolo; ma i Cavargnoni sono dolci cogli ospiti, e solo hanno alquanto dell'indole Corsa per la vendetta. Poveri e in cima e in fondo delle loro alpi natie procurano di non soggiacere ai diritti sul tabacco e sul sale prefissi. Castagne e latte sono il lor vitto, e nelle feste del Natale si formano un pan duro, che lor serve per mesi, ed appendesi alle soffitte, quasi come que' lustri, che [43] il lusso appicca alle volte delle sale dorate, ed aggiornan con ardenti cere le notti. Può dunque de' Cavargnoni estinguersi alquanto la mala voce. Il soggiorno fralle rupi alimenta costumi rozzi, ma innocenti; vi si conserva l'ospitalità de' secoli Omerici; l'aer puro sottile sereno, in cui vivono que' montanari, sovrasta non di rado al tuono ed alla folgore, come suol dirsi, che l'animo del sapiente s'aggiri sovra l'atmosfera delle[45] passioni, e sol forse può rinvenirsi o serbarsi un tal savio fra le vette solinghe e le selve.
Da queste valli nuovamente il pensier rivolgendo a Menaggio seconderemo il curvo lido che guida a Nobiallo Nobiallo terra nota per le cave dei gessi, e per la divozione de' popoli verso un tempio di Maria Vergine. Fin là quasi piana ed amena corre la via regina interrotta [44] poi dagli aspri scogli di Sasso Rancio. Conviene ivi salir sopra con rapida ascesa e per quelle balze scoscese ne' vecchi tempi tagliossi la via maestra che guida a Grigioni. Ottimamente scrisse Paolo Giovio, che uom di cervello non passeravvi a cavallo almeno per qualche tiro d'arco, poichè la caduta stritolerebbe le ossa d'un infelice innanzi, che le ingojasse il profondissimo lago.
Le spalle de' monti vedonsi qua e là foracchiate da que' giornalieri, che vi estraggono l'ocra di ferro satolla. Indi Gaeta Gaeta gioisce d'un golfo leggiadro, e le di lei falde sono così bene al sole esposte, che tre secoli fa i coltivatori d'esse vi trapiantarono le malvagíe di Candia, che vi provarono ottimamente. Anche al principio dello scorso il Borsieri lodava quelle uve moscatelle, e dovrebbono aspirare di bel nuovo quelle genti alla gloria degli antichi vigneti. Antico sembra pure il nome del luogo, e tiensi che gli venisse dalla somiglianza col lido della Romana Gaeta, mentre [45] in lingua laconica suona tale appellazione lido incurvato.
Gli scogli di Sasso Rancio finiscono poi finalmente, dove spumeggia il ruscello dell'Acqua Seria, che giù scende incognito quasi per valle solitaria, ove le care ombre fanno trovar giovane l'alba nel meriggio d'agosto. In alto della valle sta Breja. Ma sul lido avvi chiostro con Chiesa di Domenicani, i quai però ora non vi abitano. Siegue indi Rezzonico Rezzonico terra, che diede il nome ad illustre famiglia, un cui rampollo trapiantatosi a Venezia produsse quel Pontefice d'ammirabile mansuetudine Clemente XIII, ed altri fioriscono a Milano e in Como. Vuolsi eziandio, che tal gente fosse una sola colla Torriana che dominò molto in Lombardia; e traslocossi anche nel Friuli. Presso il fu eruditissimo Conte Anton Gioseffo Rezzonico conservavasi il Breve di Pio II, in cui favellasi del padronato sulla Chiesa Domenicana spettante a' diletti figli i Nobili della Torre di Rezzonico. Varie appellazioni vernacole [46] giusta i tempi ebbe questa famiglia e questa terra, e sì l'una che l'altra furono quindi anche Arzonico e Ronzonico. Cultissime sono le falde delle montagne che dietro le stanno, poi a certa altezza i castagneti, indi verdeggiano i pascoli saporosi. A pochi passi da Rezzonico scorgesi locata sovra un promontorio la rocca vetusta, per cui ci si conserva una immagine viva delle antiche castella merlate.
Le picciole terre di Pianello e di Cremia[46] Pianello Cremia Musso non ci arresteranno, volonterosi troppo di favellare di Musso già prima dominio, e poi sul finire del secolo XVI feudo dei Malagrida, ora marchesato dei Bossi. La rupe aspra conserva tuttora i vestigi di quella triplice fortificazione innalzatavi dal famoso Triulzi Giangiacomo seguace belligero de' re [47] francesi Lodovico XII e Francesco I. In questa fortezza si mise poi entro nel 1522, ed accrebbela Giangiacomo Medici, ed ignorasi anche se vi riuscisse per fraude, o col favore di lettera del Duca Francesco II Sforza. Egli la rese una rocca quasi inespugnabile, e di là portò il terrore su tutto il lago. Destreggiandosi egli ora con Carlo V Cesare, ora col re Francesco seppe mantenervisi contro gli sforzi del Duca, e dei suoi alleali Grigioni e Svizzeri. Se miriamo al valor di costui militare, non può negarglisi l'ammirazione, ma se le rapine, e le stragi e i danni cagionati si considerino, viene orror di que' tempi. Oltre i nostri storici, parlarono di quelle imprese Galeazzo Cappella, Marco Antonio Missaglia, ed il Fiammingo Enrico Puteano discepolo illustre e successore di Giusto Lipsio. Il Medici[47] [48] rappresentò nel XVI secolo quei condottieri d'arme del XV, e ne torna al pensiero il Barbiano e il Braccio. Ma finalmente poi venne a patti collo Sforza nel 1532, ed ebbe dal Duca il marchesato di Marignano e trentacinque mila zecchini. Ostaggio del trattato fu Giannangelo di lui fratello, poi Papa Pio IV. Si distrusse allora la rocca, di cui pochi rimangono vestigj. Ma se l'occhio spingasi alquanto alto sulla rupe, vi si scopre una fossa ampia e profonda tagliata nel ceppo vivo, dalla quale anche sola può arguirsi, qual forza potesse avere e qual difesa il Medici, cui sebbene da taluno si neghi fino che sapesse scrivere il proprio[48] nome, [49] pure non può negarsi che non abbondasse d'accorgimento, di mezzi e di valore, e ne diè pruove fralle truppe di Carlo V, e poi comandando per Cosmo Duca di Firenze domò malgrado gli ajuti di Arrigo II la repubblica di Siena. Mentre però coll'aspre piraterie sue il Medici travagliava i Comaschi, molto si valse dell'opera intrepida di Luigi Borsieri, a cui fu fratello Giambattista l'avolo dell'eruditissimo nostro cittadino Girolamo.
Presso Musso corre il Carlazzo torrente quasi ignoto, ma che nell'anno 1793 gonfiossi sì stranamente da menarne il guasto grande. Or l'alveo incanalossi di bel nuovo, e gli si sovrimpose un ponte di pietra, e il cielo voglia che non lo sdegni[49] quanto l'Armeno Arasse. Veggonsi nel dorso del monte le antiche cave, da cui si trassero i marmi bianchi pel maggior tempio di Como.
[50] Sfuggon poscia a foggia quasi di mezzo cerchio le montagne dal lido, e nella vallata s'incontrano le terre di Garzeno e Stazzona. Avvi di là strada, che ognora per gioghi e per valli sbocca a Bellinzona.
Dongo poi Dongo giace sulla concava e tranquilla spiaggia borgo illustre per le miniere di ferro[50], non che pei molti campi e vicinanze sue, e per le oneste famiglie che l'abitano, come Musso e Gravedona.
Ampia e ridente pianura separa Dongo da Gravedona, Gravedona e per le più rigogliose praterie hannovi viottoli, che invitano al passeggio. Una rapida fiumana, che muove dalle rupi lontane, divide [51] l'un paese dall'altro, e si pensa ora di sostituire a quel di legno un ponte di solide pietre. Gravedona è castello illustre, e meritò menzione nelle paci di Federico Barbarossa. Godette sino a questi ultimi tempi di leggi sue proprie in materia di vittovaglie, quantunque già da due secoli soggiacesse per ragione di feudo insieme colle pievi di Sorico e Dongo alla famiglia Gallio dei Duchi di Alvito, che ivi mantenevano un Commissario, pel quale s'amministrava giustizia. Son pochi anni, che non senza successo vi s'introdusse una fiera di bestie bovine, le quali vengonvi dagli Svizzeri, e di là per la strada di San Jovio, la quale pertanto fu descritta fralle provinciali, si sbocca ai contorni di Bellinzona. Le circostanze del paese non permisero però di porvi ancor mano, e vorrebbesi eziandio diminuirne la lunghezza, e la solitudine del viaggio con qualche opportuno edifizio.
Sul lido un po' dal borgo distante sta la chiesa colleggiata, e presso a [52] quella, come costume era de' templi vetusti, il battistero separato. Non perderà il viaggiator colto l'occasione di visitarli, e senza dubbio ve lo alletteranno l'opera d'antica foggia, le due iscrizioni d'Agnela ed Onoria appartenenti al secolo V, e qualche annosa pittura, che da lor anche sole distruggerebbono il parer del Vasari, il qual vorrebbe, che il risorgimento dell'arte bellissima s'attribuisse soltanto a suoi toscani il Cimabue e il Giotto. Il fresco nel battistero rappresenta il miracolo della Vergine narrato dal Sigonio, e che vuolsi accaduto nel 823.
Bella mostra fanno di se le case dei Gravedonesi a vario ordin locate sulla sorgente collina, cui tengon dietro le montagne più ardue, ma coltivate. L'arcidiacono Luigi Volta per retaggio Stampa vi possedeva una casa, che tutto domina il lago per miglia venti, e coi giardini vi scende. Presentano questi colle muraglie l'immagine d'una fortezza, e corre voce, che verso la metà di [53] questo secolo gli Spagnuoli scambiasser da lungi quelle muraglie per la rocca di Fuentes, al cui assedio si recavano. Ma tutti supera i palazzi del lago il vastissimo edifizio eretto in Gravedona da Tolomeo Cardinal Gallio[51]. È fama, che sì gran mole v'ergesse quel favorito della fortuna, perchè già con maneggi presso Filippo II si fosse adoperato di avere in feudo anche tutta la Valtellina, che a cinque miglia le sta di fianco. Quattro torri fiancheggiano il palagio, e sale e stanze non mancanvi; vi mancan bensì i giardini, abbenchè l'iscrizion postavi dal Cardinale parli di orti e di fontane. Ma le pareti nudate fanno doglia, e chi ami saper come le ornasse Tolomeo, può leggerne la descrizione di Sigismondo Boldoni, il quale specialmente impiega i vezzi dello stile intorno a quella tavola, in cui s'ammiravan le Grazie con Cerere, Venere e Bacco, ed [54] a quell'altra, che rappresentava il ceteratore Arione sedente in sul delfino. Venne nello scorso secolo spogliato il palazzo d'ogni sua ricchezza, e dicesi, che perisse la nave, sulla quale s'erano collocati molti quadri, perchè da Genova a Napoli si recassero. Del resto qualor pensisi all'impresa di un Cardinal sì magnifico, non che alle leggi da lui dettate col più accorto testamento, e tutte pure infrante col favor delle leggi, sentesi quasi un presidio per non essere infermi giammai di posteromania. Effetto immobile della sua volontà altro non resta, che l'opera pia per dottare in Como donzelle povere.
Vogliono pure qualche nostra parola le montagne sopra Gravedona, nè son senza terre, Traversa, Vercana, Caino, Dosso, Livo, e Peglio. In questa ultima v'hanno belle pitture, e fra queste meritan nome i freschi rappresentanti con tocchi fortissimi il giudizio universale, per cui si nobilita la parrocchiale. In queste montagne veston le [55] donne a foggia di cappuccini, e vuolsi che l'usanza venisse loro per voto fatto nel secolo scorso in occasione di peste; perciocchè costumando già per immemorabil tempo di recarsi in Sicilia gli uomini di queste contrade, e veggendo ivi le pinzocchere in Palermo devote a santa Rosalìa vestirsi di tal foggia, recaron costoro alle lor mogli il pensiero di tale abbigliamento. Hannovi tra queste montanare persone assai benestanti, le quali però mantengonsi fedeli al lor panno tané, e soltanto osano servirsi di lana più fina, e come ognuna di queste femmine porta una cintura da grande fibbia verso l'ombelico fermata, così le ricche avrannola anche d'oro, e il collare che scende sul petto e le spalle, sarà per esse di ben tessuti merletti. Del resto l'aria della salute spicca nei volti loro, ed abbenchè parecchie vengano a Como ne' giorni della maggior settimana per venerarvi il Simulacro del Crocifisso, pure la singolar moda loro attira sempre i guardi nostri, nè io [56] seppi negar mai i miei pensieri alla religion loro, robustezza, e libertà, se i lor beni conoscano, fortunatissima.
Con breve intervallo di lago, ed anche per agevole via si giunge a Domaso Domaso luogo di vivo commercio, che in questi anni ultimi crebbe anche non poco. Molto ivi si esercita la filatura de' bozzoli, e se prenderà piede la costumanza di filarli ad acqua fredda, giusta il sistema prescritto dal chiaro preposto Castelli, meno diserterannosi i monti di legne. Non v'ha spiaggia, dove la Breva (che il vento è del meriggio) eserciti l'impero e la durata maggiore. Quindi e il soffio d'essa e il vicin fiume fanno, che vi si addensin le ghiaje, e cresca il lido; ma pure non sono moltissimi anni, che sprofondossi un promontorio, che spingevasi nel lago. Il caseggiato di Domaso è molto decente. Ivi ha villa il marchese Calderara, i cui maggiori trassero di là l'origine. Nè tacerò l'ameno casino erettovi non ha guari dal musico Giambattista Vasquez, [57] il qual vi giojsce d'un ozio beato, e ritirossi in questa sua patria dopo aver figurato alla corte di Portogallo, dalla quale ha uno stabile assegno. Io mi trattenni al gravicembalo di questo amabile filarmonico, cui pure non manca una piccola biblioteca. Il Mancini nelle riflessioni sul canto collocò il Vasquez fra i cantori del primo rango, e la celebre Madama di Bocage, che[52] giovinetto udillo in Roma, nominollo con lode il Battistino.
Buone case hanno pure in Domaso i fratelli Venini di quella famiglia a cui appartiene l'illustre scrittore abate Francesco; ed in altra pure agiata d'assai, che già fu del maggiore Pietro Paolo Paravicini, esercitò meco l'ospitalità più gentile il dottore di leggi Innocenzo Roselli, cui toccò in sorte la più invidiabil moglie, che tutti sa compiere gli ufficj dimestici, e predica coll'esempio, che le madri sane denno essere le nutrici de' figli loro.
[58] Ameni sono i passeggi presso Domaso, e giù fra prati, dove le acque scorrono copiose; avvi una considerabile fabbrica, in cui segansi i gran tronchi, che per la Mera o per l'Adda giungono al Lago.
Le falde de' monti producono vino potente e grano non poco, nè vi mancano più terre Buggiallo, Trezzone, ed altre. Egli è da un quinquennio che riattossi da Domaso fino a' confini del Lario la via regina, e secondando noi quella col naviglio nostro incontreremo Gera, Gera cui venne senza dubbio il nome dal vocabolo latino Glarea. A foggia d'arco giace questa contrada sul lido, ma le arene, che vi si ammonticchiano, cominciano a rendere la navigazione in quei contorni più difficile. Non avvi luogo più pescoso sul Lario, e molta ed insigne è la quantità delle trote, che ivi si prendono. Ma le lunghe febbri e i visi pallidi degli abitanti per l'inclemente aere afflitti non si compensano dall'utilità della preda. Può vedersi a Gera il [59] raffinatojo del sale, che pe' Grigioni si appresta, e possono pure osservarsi le ruine della villa appartenente già all'erudito storico Conte Giorgio Giulini, i cui maggiori traevan di là l'origine. Il vicin torrente devastolla con orrido impeto, nè più quasi altro vi resta, che le peschiere.
Succedono i miserabili avanzi di Sorico Sorico già capo di pieve e popoloso. Or le case vuote d'abitatori e cadenti a brani divenner ripostigli di fieno. Stavan lì presso i vestigj dell'antico ponte[53] sublicio, il qual vi si formò dal chiaro generale Nicola Picinino per affrettarsi in soccorso de' Ghibellini in Valtellina fautori del Duca Filippo Visconti, e restonne memoria, poichè ruppe indi a poco i Veneziani, e fevvi anche prigione Giorgio Cornaro. Del qual fatto resta [60] un monumento la chiesa presso Delebio eretta alla Vergine dal Duca grato per tanta vittoria.
Noi pel basso fondo spingendo la barca nostra risolviamci di vogare a ritroso perciocchè qui ristringesi il lago a canale, per cui le acque scorron congiunte dell'Adda e della Mera, che dal lago esce di Mezzola, il quale spetta ai Grigioni. Annovi su lui la villa di Sommolago illustre per lo martirio di S. Fedele ai giorni di Massimiano Cesare, e dall'altro fianco Novate, Novate ove gran copia si reca d'abeti e di larici per segarli. Da questo laghetto con otto miglia di viaggio terrestre si giunge a Chiavenna. Egli fu ne' contorni di Novate, che arrestossi nello scorso anno[54] Semonville, il quale colle gemme di Francia e la sua eloquenza recavasi ambasciadore di sua nazione a Costantinopoli.
Ma con breve giro ritorniamo alle
sponde del Lario, e solchiamolo lungo
[61]
i canneti, che occultano al guardo le
paludi del piano di Colico. Esse sfogano
lentamente per varii canali le pigre lor
acque. Fra queste la fossa di Borgo Francone
ne accenna il nome di quel greco
capitano Francilione, il quale pe' Cesari
d'Oriente governò ne' nostri contorni
contro l'irruzione de' Longobardi. Vuolsi
altresì che in questa parte esistesse una
piccola città dal di lui nome appellata,
e certamente non lungi v'era il famoso
castello di Torre d'Olonia. Apresi in
faccia a noi la Valtellina paese per la
fertilità sua, popolazione, numero di
terre, e di famiglie nobili assai considerabile,
e che recò occasione di fatti
d'armi e di passaggi guerreschi anche
nel secolo XVII, quando la Spagna
stava pe' di lei abitatori, e la Francia
pe' Grigioni, che ne sono signori sotto
però certi patti giurati.[55] Il primo borgo,
[62]
che ne occorra in esso è Morbegno.
A contener l'impeto de' Reti fabbricò il
Conte di Fuentes il forte, Forte di
Fuentes che tenne il
di lui nome, nè picciol tesoro costò.
Giuseppe II vendettelo a privato uomo
nel tempo, che gli venne il pensiero di
abbandonar molte rocche e smantellar
anche più città delle Fiandre. Del resto,
benchè abbiavi una collina, che
alquanto il domina, il Forte di Fuentes
era posto di lunga difesa per gli stagni,
che il circondano. Il degno nostro cavaliere
Maggior Pietro Paolo Paravicini,
che i buoni piansero rapitoci da morte
nel 1790, potè sostenervisi per ben
tre mesi nel 1743, e merita memoria,
che inviatovi egli dal Principe di Liectenstein
vi si avviò con trecento uomini
da Coira, e seppe introdurvisi col favor
della nebbia, abbenchè già il Generale
Spagnolo Villafuerta avesse bloccata la
piazza con 1500 soldati.
È da bramarsi, che tanta palude inutile, e cagion perenne d'insalubrità si cangi in campi, dove fiorirebbe l'agricoltura. [63] Ciò si otterrebbe, quando si dilatassero alquanto, e s'approfondissero gli emissarj del lago, del che si parlò estesamente dal Preposto Castelli nel libretto sugli stagni di Colico.[56] Colico La fecondità di que' contorni ne prometterebbe la riuscita ottima. Tengono alcuni che il nome di questa terra, i cui abitanti per l'intemperie dell'aria a cinquant'anni sono già decrepiti, proceda dal latin verbo colligere. Deh sarà mai, che di bel nuovo un giorno, dove stridono le ranocchie, ronzano i tafani, e s'appiattano i beccaccini, sarà mai, che sulle messi bionde s'affatichi il mietitore?[57] Ora ne' mesi estivi fuggono gli uomini [64] lungi da micidiali miasmi, e si ricoverano sulle vette rimote. Quando il pelo si abbassasse alquanto del lago, facil cosa sarebbe il dar innocuo il corso ai molti ruscelli e torrenti, che giù scendono dall'immenso Legnone, dalle cui radici può dirsi, che una catena di monti s'accumoli e giunga sino in Dalmazia[58].
Doro è il luogo primo, che incontrasi Doro dopo, ed è, come tutta quasi quella riviera, addetto al rito ed Arcivescovo Ambrosiano. Di là cominciavano i feudi, di cui fu ornata la famiglia illustre degli Sfondrati, or da pochi anni estinta.
[65] Non lungi sotto a gran massi di monte si scorge Corenno, Corenno da cui traggon l'origine i Conti Adriani. Un d'essi dopo la scoperta di Montgolfier fu un de' primi aeronauti, ed avventurossi con felice audacia al pallone aereostatico. S'ergon presso Corenno vestigj d'antica rocca, e tra questa terra il prossimo Dervio scorre il Varrone figlio di montagne ricche di ferro. Devesi a questo fiume l'ampia spiaggia, che si spinge nel Lario, e che formò egli strascinandovi le arene e i ciottoli. L'industria degli agricoltori seppe poi renderla feconda, e divenne una pianura fertilissima.
Dervio Dervio quindi gode di vasti equabili campi, e fa di se mostra leggiadra ai naviganti, ma non ha comodo accesso alla prossima valle d'Introzzo. Di bel nome gli furon larghi gli scrittor nostri, che l'appellarono Delfo in latino, come pur toccò in sorte per essi a Corenno quel di Corinto. Soggiace alla Pieve di Dervio la valle d'Introzzo; e la compongon con altre pure le terre di Sueglio, [66] Tremenico, e Vestreno. Giuseppe II nel 1786 avendo stabilite nella Lombardia Austriaca otto politiche prefetture pensò a meglio dividere le province, e perchè le cure d'ogni municipalità meglio vi potessero provvedere, e perchè tutte al possibile si avvicinassero le province ad una eguaglianza di carico. Quindi non sol tutte queste parti di lago dieronsi da Cesare ai Comaschi, ma ben anche le feraci Pievi di Casale d'Incino, Garlate, Oggionno ed altre. Ma infelicemente poi il tutto tantosto cadde a vuoto, e la città nostra seguirà a patire il danno, che già soffre da quasi tre secoli colla perdita della Valtellina ceduta a Grigioni, e de' Baliaggi, che godono in Italia gli Svizzeri, abbenchè il sagrifizio di tanto territorio abbia assicurato il resto dell'Insubria ai Duchi di Milano.
Sebben queste doglie d'amor patrio sedinsi alquanto coll'ilarità della navigazione, che già ne guida a Bellano Bellano celebre borgo e simile a nobil città. Ne accoglie il porto ampio di quadrate pietre [67] costrutto, e i guardi nostri si attraggono dagli edifizj decenti, quantunque le guerre l'abbiano assai danneggiato. Sulla maggior chiesa, a' fortissimi martiri Celso e Nazario dedicata, conservansi ancora gli stemmi dei Torriani e Visconti. Il tempio marmoreo vi fu innalzato per Azzo Visconti e lo Zio Giovanni Milanese Arcivescovo. Nicola Boldoni avo, e più Sigismondo il nipote accrebbero al luogo la fama colle doti dell'ingegno. Godono i Bellanesi di mitissima estate, ma nel verno travagliali una pungente aria, che accrescesi dalla Pioverna e dalla prossima Valsasina. Nel di lei distretto quantunque alpestre v'hanno Comunità ventotto, delle quali però non facciam motto, siccome remote dal guardo di chi navighi. La caduta della Pioverna attira ognor forastieri a Bellano. Questo fiume scaturisce non lungi da Introzzo, e piomba da scogli altissimi: altre fonti l'accrescono fino a[59] Corte [68] Nuova. I paesani vogliono, che ivi per ciechi sfoghi si diminuiscono le di lui acque, e queste col girare de' secoli fra i massi del monte, che le strozzava, si approfondarono a perpendicolo un alveo, che meglio non avria potuto farlo la polvere a forza di mine, e la costanza e la spesa pazza di più scarpellini. Vassi a vederne la spumante romorosa [69] cascata, ed avvi ponte sopra, che raccomandato a catene fisse nello scoglio accresce coll'orrore la maestà dello spettacolo, indi con più larghe sponde va la Pioverna al Lago[60]. Non si può a parole spiegar il sasso scavato a foggia di laguna, nè il muggir del fiume. Bello è il contrasto d'aperta luce a pochi passi, bella la tenebrìa muta d'ogni raggio, pel che talor vi s'aggira anche nel meriggio la nottola.
Dopo lo severo spettacolo tanto fanno maggior l'impressione le felicissime campagne, cui diedero i maggior nostri l'appellazion di Cultonio. Queste si terminano dal promontorio di Murcò, e già si scopre Varenna Varenna locata sopra scogli. A que' soli in quel lido ben si può ignorare il decembre tristo, o l'ispido gennajo. Infatti non i lauri soltanto o le mortelle o i melaranci, ma fin gli aloe [70] e le melie azederach vi fioriscono spontanee, e molti in que' dirupi si provvidero di quella pianta siriaca e de' cerei ambiti. Di sì beata temperie scrisse elegantemente in verso l'abate Francesco Venini al patrizio nostro don Antonio Canarisi, anteponendo a sì caro soggiorno il fumo, il fango e lo strepito Parigino. All'eccidio degl'Isolani deve Varenna i principj suoi, ivi quella bellicosa gente ricovrossi, e il Roman rito introdusse fralle piagge ambrosiane. I maggiori Giovj là pur si ridussero per qualche tempo, come apparve per la vetusta lapida da Gianmario Scoto trasmessa a Benedetto Giovio; ma presto mutaron sede, ed erano già Comaschi nel secolo XIII. Sono degni da vedersi i giardini del conte Angel Serponti, e di là può l'occhio scorrere sovra la maggiore ampiezza del Lario, il quale ivi si parte alla foggia della greca ypsilon, il che accennossi da Paolo Giovio, che scrisse ivi il Lario accostarsi[61] alla [71] figura della lettera pittagorica. I monti sopra Varenna non sono infecondi di tartufi fraganti; del qual genere non punto scarseggia il Comasco.[62]
Scorgesi indi presso la riva un palagio, che già fu chiostro; ma quelle vergini con salutare consiglio stimò di trasportare altrove Carlo Cardinale Borromeo per la santità de' costumi ad ognun venerabile.
Sarebbe lunga cosa l'indagare i prodigj [72] del Latteo, dal quale fiumicello prende nome la prossima terra di Fiume Latte. Fiume Latte In questi contorni Ercole Sfondrato edificò la Capuana ricca di fontane. Il Boldoni con eleganza descrissela in due pagine, e con un libricciuolo il padre Giovanni Bonanome nel 1646; ma chi può leggerlo povero di cose e guasto tutto de' bisticci e delle lascivie dello stil secentistico? Spetta ora la Capuana al Conte Alessandro Serbelloni, a cui pervenne l'eredità dell'ultimo Sfondrato Conte della Riviera.
Costeggiano indi il Lario vigne perpetue; dopo sieguono i due piccioli promontorj di Vetergnano. Poco da quelli dista Lierna Lierna cinta da non ingrato territorio. Lodansi i di lei vini per coloro, che soffran di calcoli e podagre, perciocchè al sapor graziosamente tagliente congiungono la facilità d'esser passanti. Nè già mancan d'oliveti quei campi, ma più fecondi ancor ne sono i prossimi, che dierono il nome ad Olcio Olcio terra di qualche fama anche pel [73] marmo Luculléo ossia nero, di cui i maggior nostri si valsero per alcuni pilastri del maggior tempio in Como, e Girolamo Borsieri crede, che ne usassero non già per mancanza di marmo candido, ma per accrescere maestà.
Di qui tantosto orrida innalzasi una balza aspra e forte in varj massi squarciata, la qual copre Mandello, Mandello borgo e pel numero degli abitanti e per gli edifizj e per la fertil pianura, che lo circonda, a niun altro secondo del Lario. Ivi i Marchesi Airoldi hanno un palagio, che per la sua mole cede soltanto al Gallio di Gravedona. Soggiace Mandello per l'ecclesiastica giurisdizione al Vescovo di Como, e soggiacciono a quell'Arciprete Plebano Vassena, Olcio, Lierna, S. Lorenzo sopra Adda, e Grebbio. Se non che la bellezza del lido piano, reca talora a Mandello qualche insalubrità d'aere, allorchè il Lario soverchiamente gonfio straripisi in esso. Celebre fatto d'armi accadde in vista del borgo nel 1532, [74] quando azzuffatesi le navi Sforzesche con quelle di Giangiacomo Medici vennero disperse dal minor numero delle Medicee, ma il Castellano di Musso vi perdette sul fior degli anni il fratel suo Gabriele fortissimo giovane, e lui squarciato nel fianco da una bombarda coperse Giangiacomo, perchè i soldati da compassion tocchi non si lasciassero fuggir di man la vittoria; e poco dopo perdette pure la vita Luigi Borsieri Ammiraglio del predator Mussiano.
Dal promontorio Roboreo si chiudono le campagne di Mandello. In dentro è la Chiesa di S. Giorgio, poi Teolo, indi il Tempio di S. Lorenzo, e il Villaggio della Abbadìa, Abbadìa ove stettero anticamente Monaci Benedettini, e in fin quasi della punta il chiostro già dei Serviti, or vuoto, dacchè si ridussero essi in Como al chiostro di S. Chiara presso la Cosia, abbandonando anche l'altro di S. Girolamo presso le mura della città.
Giungesi poi là dove il lago stretto dalle montagne non ha larghezza che [75] di tre quarti appena d'un miglio. Ivi ebbero i Capitani Sforzeschi il vano pensiero di tirare una catena, onde frenare le scorrerie delle guerre civili. Ma di bel nuovo fuggono le rupi a foggia di gomito, e per rotti massi schiudesi il varco alle contrade di Gessima per vini austeri nota e per buone cave di calce. Questi scogli son tuttora infami per la miserabil morte di Lodovico Savelli, della quale parlò Paolo Giovio. Sdrucciolovvi quel giovane infelice, e nel cadere avvenutosi ad un ramo abbrancollo. Frattanto, chi lo vide pendente dall'altissimo scoglio, invan tentò di soccorrerlo; cinque ore bruciato dal sole stette egli pendente, alfin le forze abbandonandolo cadde, nè gli giovaron punto i letti, che s'eran sul terreno distesi, perciocchè l'urto dell'aria l'estinse pria, che giungesse a terra.
Comincia poscia il fertil territorio di Lecco, Lecco da cui anche avvi strada, che mette in Valsasina[63]. Lecco già sede di [76] Conti Rurali sotto i Re di Germania è castello ampio. Le manifatture del ferro possono intrattenervi l'osservatore: molto pure è il traffico d'ogni sorte, che esercitasi da' suoi abitanti. Avvi anche un mercato di grani, a cui concorrono i popoli limitrofi. Ma ciò, che più distingue Lecco, è la gloria del ferro, e lo diria il maggior Plinio nobilitato da quello, come a' suoi tempi lo erano Como e Tarragona in Ispagna. Dal rivo detto il fiumicello si aggirano ben più che cento edifizj. Vi si fila il ferro ancor sottilissimo, ma i conoscitori della chimica vorriano, che si perfezionasser le macchine per render meno insalubre il travaglio agli artefici. In iscambio ei non è guari, che vi si aperse una fonderia di vasi da cucina foggiati con quella massa di ferro più scabbra e spumosa, che appellasi ghisa, e certamente è da [77] bramarsi per le viscere umane, che bandiscasi il rame, onde, se non vogliamo imitar gl'inglesi, che usan l'acciajo, dovremmo almeno cenare come Agatocle Re in piatti di terra cotta. Ma se ora in queste piaggie ferve il commercio, altre volte squillavan le trombe d'intorno a Lecco. Ne' tempi andati faceasi molto conto di quella rocca. L'assediarono i Veneti nella guerra da essi rotta a Filippo ultimo Duca Visconti, e lunga pezza ve gli stancò Eusebio Crivelli. Romor di conflitti sonovvi pure d'intorno sul principio del secolo XVI: Francesi, Sforzeschi, Antonio da Leva per Carlo V, e il summentovato Giangiacomo Medici vi si stabilirono a vicenda. A pochi passi sotto Lecco si ristringon le acque a canale, e scorre troppo placidamente l'Adda, su cui quasi cinque secoli fa i Visconti edificarono di nobil opera un ponte. Ma non esistono più su quello le ritonde torricelle, colle quali a difesa l'avean munito que' Principi. Giovio ne favella, e vi restavano [78] ai giorni di Boldoni appena i vestigj de' lavori vetusti. Lenta per vizioso declive e sabbie strascinasi l'Adda, che di bel nuovo stagna nel ricettacol di Moggio, che appellossi anche di Pescarenico, Rauso e Garlate. A manca d'esso signoreggiano i Veneti, e Vercurate è loro. Ma di spinger più oltre la gondoletta nostra ne sconsigliano i pigri stagni, che si succedono resi deformi da tanti edifizj pescarecci: laonde convien quasi di navigarvi per lo filo della sinopia, e l'aer grave ne sprona al ritorno non men, che il dolore che a buon Comasco recasi dall'aspetto di tanti disordini, contro i quali pur riclamasi invano[64].
Poco oltre il ponte di Lecco veggiam [79] tosto al nostro ritorno sul lido manco la villa del Marchese Recalcati, la cui vedova e degna madre è il rampollo ultimo de' nostri Conti Lambertenghi.
Giacciono qui le radici del Monte Barro, nella cui destra spalla Desiderio re de' Longobardi ultimo innalzò tempio a Michele Arcangelo, nè di là lunge i di lui predecessori dotato aveano il monastero di Civate. Ma i pensier vaganti richiama alle spiagge Lariane l'amenità di Malgrate, Malgrate il qual guarda Lecco di fronte. Ivi è dove principalmente radunansi coloro, che mercanteggian di calce. Siegue Parezzo, alle cui spalle si apre pianura, che guida alla Pieve di Incino. Sorge poi altissimo monte Reale, e le radici spinge ben addentro nel Lario dirimpetto alla punta di Roboreo nell'altro lido, onde questa è la maggior angustia de' di lui flutti.
Poi sotto macigni nudi curvi su lui sta locato infelicemente Onio, Onio e Valassina e di là schiudesi il varco alla Valle Ascina, che il nome ebbe dal principal borgo. Ivi [80] scavossi una lapida, che venne illustrata dall'Alciato, e tuttor vi sussiste. Il marmo ha queste parole:
GENIO. ASCI.
P. PLINIVS. BVRRVS.
ET. C. PLINIVS.
AETERNI.
In essa, come ognun vede, spira un gusto d'antichità venerabile, e vi si scorgono mentovati due Plinj, Pubblio e Cajo. Quindi tante memorie della gente Plinia fra noi e contorni nostri, e niuna altrove, rendono sempre più inferma la pretesa de' Veronesi per rapirci lo storico naturale. Nella valle di Vicino, che trovasi tra Onno ed Asso, avvi torbiera, di cui si potrebbe trarre profitto con miglioramento anche de' campi e dell'aere. Valbrona non n'è lungi, e di là scendesi agli scoglj, che stanno rimpetto a Mandello, ed alla Badìa. V'ha legge, che vi siano piloti ognor pronti per tragittare i viandanti, e questi sono perciò stipendiati dalle prossime [81] comunità. Vocian quindi alto i passeggieri, se bramano il tragitto di Mandello, o danno fiato ad un corno, se giunger vogliano alla Badìa. Ma di sovente que' barcajuoli mancano ai dover loro, abbenchè dall'altro lido si superin le voci degli Achèi Omerici, o squillisi il corno in metro più lungo, che mai nol sentissero giusta Bojardo e l'Ariosto le foreste in Francia al tempo dei Paladini e del Re Carlo.
Nativi d'Onio sono que' fratelli Torri, i quali co' fuochi artificiali e co' razzi divenner ricchi a Parigi, ed accrebbero concorso al Vaux Hall di Londra sì mal imitato altrove.
Dopo Onio non sì aspri succedono i monti; ricompajon le vigne e le selve, e fra queste è Vassenna. Breve tragitto Vassenna e Limonta ne guida a Limonta, che fu nel 835 donata da Lotario Augusto a' Monaci di Sant'Ambrogio, i quali v'esercitan pertanto i diritti sacerdotali e principeschi. Leggiam nel diploma, che lor si desse per ricavarne l'olio per le lampadi, [82] onde deducesi, che anco in que' tempi per l'Italia non lieti vi prosperassero gli uliveti. In questo soggiorno trattenevasi nel secolo XVI il monaco Roberto Rusca, di cui alcuni libri conservansi presso i collettori di cose patrie, ma scarseggiano di quella critica, della quale fa di mestieri in opere di tal genere. Civenna pure fra monti soggiace al feudo de' monaci Ambrosiani, i quali hanno somiglianti signorie sul lago di Lugano a Campione terra felice, della quale escirono artisti illustri, qual fu quell'Enrico nel 1322 scultor della torre e pulpito nella cattedral modonese, e quel Matteo nel XIV secolo architetto del tempio Monzese, e quel Giacomo che adoperato venne nella Metropolitana di Milano nel 1386, non che all'edifizio della Certosa Pavese; vi nacque pure il pittor degno Isidoro Bianchi. Sebbene dal Ceresio ritorniamo al Lario.
Non breve tratto or dobbiamo scorrere di piaggia deserta, ma finalmente a varj piani scendenti discopronsi i giardini [83] di Villa Giulia ne' quali il signor loro impiegò molto oro, ma non si avvinse alla linea retta, e volle anzi secondare il curvo ed angoloso protendersi e ritrarsi del lido. Qui tacciamo di Villa Giulia, perchè avremo a parlarne quando rinavigheremo per il ramo di Como.
Siegue Pescallo già chiostro di Vergini, ora dal 1580 circa vuoto d'esse, e quasi senza nome. L'orrore de' nudi scogli e della cima del monte salente su dritto accompagna il promontorio di Bellagio, Bellagio ma nel tempo stesso una vicina foresta di pini rallegra il guardo. Il nome del luogo suona troppo chiaramente il latino vocabolo di Bilaco o Bilacio, e tiensi con ottimo giudizio, che qui Plinio avesse quell'altra sua villa detta Tragedia, perciocchè dagli scogli sostenevasi quasi come dai coturni l'attore sovra il teatro. Nè questa collocazione della Tragedia è congettura, mentre Plinio nella lettera a Voconio Romano VII del IX libro dice chiaramente [84] che quella villa coll'alta schiera del monte divideva due laghi. Trovò il Boldoni, che il Bellagin promontorio più d'ogni altro somiglia al Miseno. Vi fu già in vetta d'esso una rocca di pietre quadrate, ove annidavasi alcuni assassini, ma con salutare consiglio Gian Galeazzo padre di Filippo Visconti Duca diroccolla nel 1375. Poscia a mezzo del giogo Stanga[65] Marchesino, come colui, che l'affetto godeva e l'oro del Duca Lodovico il Moro Sforza, potè ergervi signoril villa, la quale incendiossi dall'ira de' Cavargnoni. Ivi gli Sfondrati edificarono il palagio loro volto a meriggio, il qual ora appartiene al loro erede Conte Alessandro Serbelloni. L'edifizio egli è più grande, che leggiadro. Vi si trova l'inscrizion seguente:
M. PLIN....
OVF. SA....
IIII. VIR. I.
T. V.
[85] Non saprei, se tal marmo quello sia, che accennasi da Benedetto Giovio nella sua collettanea, mentre il dotto uomo il riferisce soltanto colle lettere M. PLIN.... e dice, che il sasso sia bruno, quando l'inscrizione da noi qui recata, vedesi scolpita sovra una pietra cenerognola. Ma quel che io so, egli è che i parecchi monumenti Pliniani favellano tutti in favor de' Comaschi, nè lasciano appiglio a Veronesi, perchè possano vantar loro il maggior Plinio[66]. Aggiungasi, che il di lui nipote ed erede nato dalla gente Cecilia possedeva sul Lario beni materni, come appare dalla lettera al prosuocero suo Calpurnio Fabato XI del libro VII. Ma tale questione altrove trattossi da noi, e può anche vedersi nel dizionario degli Illustri Comaschi.
Scendesi dalla Villa Serbelloni al borgo [86] di Bellagio partito in due sì, che dell'un popolo ha cura un preposito, dell'altro l'arciprete. Fra mezzo apresi l'accesso a Villa Giulia così detta dal nome della gentil moglie sua, ed edificata con grave dispendio da don Pietro Venini. Villa Giulia Apparteneva prima il luogo ai Camuzj. Il Venini fra gli ampi fondi, che acquistovvi d'intorno, e mise in istato d'agricoltura eccellente, vasto e profondo aprì viale, che sbocca alla Villa. Duol però all'occhio, che per certo gusto del padrone non vi siano le pareti laterali vestite di verdi spalliere, e duol poi anche più, che il viale non dirigesi al mezzo della casa. Contuttociò l'ardimento dell'opera fu grande, si spezzarono scogli, s'alzaron valli, s'appianarono dorsi di colline, e magnanimo fu il progetto d'unire con una Villa il ramo di Lecco e quel di Como. Più vicina al primo stassi l'ampia e comoda casa, in cui oltre ogni altro agio avvi anche lusso di scelte stampe in rame, ed una sala dipinta assai bene dagli ultimi Bibiena. Se [87] fosse dato di vederla a quel gentile spirito del Conte Francesco Algarotti, non diria egli già, che in quelle prospettive ed architetture vi si passi il limite[67] del vero e del verisimile. Al di là della casa apresi un pian vasto, e per averlo forzossi la natura del luogo; l'occhio si perde nelle montagne aspre, che fiancheggiano il lido del Lario volgentesi a Lecco, ed hannovi ai lati le scale per lunga discesa al porto, e per più breve a varj piani dei giardini ricchi di elette frutta. In questo soggiorno visse più volte col fratel suo quel maestro solenne del pulpito Italiano Ignazio Venini dopo, che dal XIV Clemente fu prescritta la quiete alla Compagnia di Gesù.
E nacque a Bellagio, e dimoravi nei tempi liberi il chiaro professore Giacomo Rezia, le cui preparazioni anatomiche [88] arricchirono l'Università Pavese prima, che vi giungesse il celebre Antonio Scarpa. Del resto va intorno anche qualche libretto del Rezia, che il mostra fornito della più sapiente diligenza, dote per la profession sua l'eccellentissima, e che lo rese ancora scopritore.
In questa beata spiaggia, che tutta ha di contro la fiorentissima Tremezzina, seguono poi le ville Ciceri e Trotti[68]. Ville Melzi Ciceri e Trotti Nella prima il fu conte Ignazio Caimo villeggiò molti anni splendidamente nella state, come colui, che univa l'amore [89] dell'ospitalità all'ampiezza della fortuna accresciutagli dalle sostanze della famiglia, da cui nacque Carlo Ciceri vescovo nostro sotto Innocenzo XI e Cardinale di Santa Chiesa. Giace questa a mezzo il poggio difesa dal mezzo-giorno. Non gode quindi l'aspetto ampio del Lario; però a supplimento in sulle sabbie flagellate dalle onde locossi il caserino detto il Quattrocchio. Ma i giardini in vece del marchese Trotti si specchian nel lago, ed abbenchè non siano della maniera ultima, sono agli occhi coll'ampiezza e il lor compartimento gratissimi, e i viali a docili carpinate ed a ramosa rotondità d'ombriferi tigli si nobilitano anche da nativi tartufi. Nè duolmi punto, che tal giardino sia della foggia antica, perciocchè quando lo spazio non sia vastissimo, l'anglomania d'imitar coll'arte la natura ci riduce sempre a sforzi meschini, e un gobbo quindi nel giardino s'appella collina, e foresta un picciolo intralciamento di rami, fra quale si lascia germinare l'ortica e [90] il cardo. Sebben tal fantasie son nulla rimpetto a quelle, che fin d'ossa spolpate e di scheletri vollero popolare le lor delizie strane.
Si può dalla Lombardia giungere a Bellagio per terra, e forse anche per tal motivo i conti Taverna[69], ed Anguisciola pensano ora di alzarvi una fabbrica di diporto. I due rami del Lario formano colle terre di Pieve d'Incino e la Valle Assina[70] un ampio triangolo nel quale stanno e monti aspri, e valli feconde! Qualche terra ci rammenta anche il culto de' Gentili, come Castel Marte, e Proserpio, che ci ricorda la consorte di Plutone. Tutto questo gran corpo di contadi sbocca per così dire per varie vie al promontorio di Bellagio.
[91] Tosto però, che da quel lido ci scostiamo alquanto, già mutasi scena, e l'aspetto ne attende severo della Grosgalla inospita. Frangonsi i flutti del lago adirato per ben due miglia contro gli scogli di questa montagna, e stanzian volontieri tra que' sassi que' pesci, cui noi diamo il volgar nome di carpani. Finalmente il deserto lido oltrepassata di poco la linea del promontorio di Lavedo ricomincia a spargersi di case, ed ivi è Lezzeno, Lezzeno di cui corre il proverbio, che sia senza luna d'estate, e senza sole nel verno. I vini infatti, che si raccolgono ivi, hanno dell'acquoso, e solo ebbero fama per l'autorità di Lodovico Duca Sforza, il quale consigliato da' medici usavali a giovamento delle aduste viscere e delle ferventi podagre. A giorni di Paolo Giovio era il costume di mischiarli con nobil tempera a quei di Griante o di Varenna, quando i mosti bollivan tuttora. I Vigoni, e i Bellini, che vivono a Milano, v'hanno buone abitazioni: più remota dal luogo [92] è l'origine dei conti Silva. Perpetue vigne e castagneti ne guidano alla punta della Cavagnola, Cavagnola dove amano d'approdare i nocchieri per riprendervi lena con una giara di vin robusto. Sono già tre secoli, che sul campanile della chiesa, che or più non esiste, tenevasi una lanterna col lume, acciocchè i naviganti avessero una scorta nel bujo, quando scendevano dal faro di Lavedo.
Di qui s'apre quel seno d'otto miglia piegandosi fortemente fino ai lidi de' Tornaschi. In questo ottiene le glorie prime Nesso, Nesso capo di Pieve, distinto di antichissima arcipretura. Per una valle, che il divide, spumeggia un fiumicello, e puossi ivi godere nel caldo un zefiro perenne. Mette Nesso per dirupate vie alle terre di Veleso e Zelbio, le quali ad onta delle alte rupi pur raccolgono grani, e vassi pure al famoso pian del Tivano[71]. Su queste [93] montagne venne di recente introdotta una buona manifattura di coltri di lana.
Lungo il lido non si veggono più terre. Ma sul dorso de' monti stanno [94] Careno, Pognana, Lemna, Molina non iscarse d'uomini, che per commercio sparsi nel mondo si ridussero a tetti loro arricchiti. Avvi a Molina sovra un picciol torrente un arco di due balze, che quasi insieme si congiungono. Ma Palanza gode ancora di più vago sito, e le di lei cipolle paragona il Merula con quelle d'Ascalona lodate da Strabone. Sulle creste verdeggiano i pascoli, ove mugolano per tutta la state le mandrie, e a giorni di Paolo Giovio vi s'incontravano i cervi sovente, ma non so io, che ora i pastori ve li veggano.
Ma ecco la sponda in tutto il lario la celebratissima; Pliniana il rumor della spumante acqua ne invita, e il nobile edifizio, e più il miracol del fonte venerabile per la memoria, che ne fecero i nostri due Plinj. Saria colpa il non rivolgere al porto la prora. Giovanni conte Anguisciola per Filippo II Re delle Spagne Governatore di Como vi alzò sulla rupe il palagio, che tuttor vi si ammira; impiegovvisi il Conte nel [95] 1570, come narrasi dal[72] Ballarini, ma poco il godette, perciocchè nel 1579 cercato a morte da un sicario avvolto nell'abito di minor conventuale, tanta ne prese doglia, che chiuse in breve i[73] suoi giorni, e nel ministero succedettegli il nipote Orazio Marchese Pallavicini. Ma il superbo edifizio godettesi dal Conte Fabbio Visconte Borromeo; acquistossi sulla fine del XVI secolo dai Canarisi, il cui successore è il Marchese Francesco. Corre fama, che l'Anguisciola fosse uno de' quattro piacentini patrizj, per cui cadde trafitto Pier Luigi Farnese Duca figlio del Pontefice Paolo III, ma morto lui da' congiurati nel 1547, come mai l'Anguisciola temette insidie in tutta la vita sua? Pure si narra, che ivi egli si ricoverasse da quelle quando Como era per lui l'asilo migliore. Allori e cipressi misti a faggi pioppi [96] castagni coronan la villa. Dal portico di ordine dorico mirasi la fonte indietro e grande avanti spazio di lago. Non più esiste la bella statua di Milon Crotoniate dal Boldoni descritta.[74]
[97] Succedono le selve e i vigneti dei [98] Tornaschi, Torno ma quella uva poco esposta al sole, e più la sciocca manìa di coglierla acerba danno vini lazzi, che però in conto alcuno non possono rammemorarsi con quel liquor languido[75] che Orazio bevette in onor di Corvino. Era però nel paese ancor cinque lustri fa incredibile il raccolto, e poteasi dir con Virgilio, che dai colmi tini spumasse la vendemmia, ma niun quasi ora surroga alle piante vecchie i giovani maglioli. Però, se quel popolo avesse la pazienza d'attendere l'ottobre per cogliere i grappoli, premerebbe migliore il vino, e saria allora tentato di rinnovare la vigna. Egli è noto per le sperienze riferite nel Dizionario Chimico di Macquer accresciuto dallo Scopoli con acini pur verdi e colti in Parigi nella state, i quai si lasciarono fermentare [99] collo zucchero frammescolatovi, essersi premuto vino eccellente. Or la stagione e il sole infondono questo zucchero natìo negli acini, e se il Galileo disse un tratto il vino essere un composto d'umore e di luce, fin dal secolo XIV il nostro Dante, se non erro di memoria, cantava:
Mira il calor del sol, che si fa vino
Misto all'umor, che dalla vite cola.
Ma della agricoltura non si curano molto quelli di Torno, poichè non avvi contrada del Lario, che mandi maggior numero de' suoi a girar pel mondo, e quindi ritornano essi alla patria ben di sovente con non poco danaro. Prima di queste procelle ultime politiche moltissimi andavano in Francia, ed è notevole, che i Tornaschi patiron disagi moltissimi, e fin l'eccidio del lor paese, perchè sotto Luigi XII e Francesco I seguivano le parti Galliche. Quindi andaron raminghi e profughi, e soltanto nel 1532 ai 13 aprile lor ridonò Francesco II Sforza la grazia [100] sua[76]. Dopo rialzossi a felice stato quel luogo col favor del commercio, e vi furono lanifizj di nome, ma tutto svanì poi sul principio del secolo XVII. Girolamo Borsieri nella descrizione manoscritta del territorio Comense ci lasciò memoria de' pannilani, che si tessevano in Torno, e particolarmente nomina quelli, che si chiamavano meschie. Narra in oltre, che verso il 1545 l'avessero mediocremente ristorato i di lui abitatori, e che quelli per venti e più anni si fossero aggirati sul Bergamasco. Forse l'incremento di quelle fabbriche si deve a questi esuli addetti troppo al nome Francese.[77]
Del resto presenta Torno a' naviganti una prospettiva giocondissima posto in lunga estensione a' più piani. Collocati al lago sono i giardini amenissimi del [101] Canonico Canarisi, e vi biondeggiano a dovizia i limoni; sovr'essi stanno quelli già de' Tridi, or del Ruspino, che arricchitosi in Russia quelli ed altri fondi comperò. Vedesi al porto l'antica prepositurale; ma più addentro nella terra ed elevata è la Chiesa di S. Giovanni, dove con molta riverenza conservasi uno de' chiodi, da cui vuolsi, che fosse confitto il Salvator nostro. Questa chiesa venne dal Borsieri giudicata fattura dei tempi di Giustiniano, poichè a' suoi giorni vi si conservavano due epitafj cristiani di quell'epoca. Ma sulla cresta del primo giogo, cui dietro più alti ne sorgon altri, vedonsi i vestigi e le ruine di Monte Piatto, dove v'avea convento di monache a santa Elisabetta dedicato, e le ultime abitatrici d'esso si recarono al santuario della Madonna sopra Varese. Era già stato eletto il chiostro di Monte Piatto, cel narra il Borsieri, come atto a rappresentare i luoghi santi di Gerusalemme, ma la riforma fatta ne' Minori Osservanti interruppe i [102] disegni, che si volsero al monte di Varallo; e perdette quindi il Lario nostro una sì bella occasion di concorso.
Comincia a Torno da questo lato la Pieve di Zezio superiore, la qual abbraccia pure Blevio e Brunate, e sull'altra sponda Urio, Moltrasio, Rovenna, Piazza, Cernobbio, Maslianico. Male alcuni l'appellarono Pieve di Zelbio. Non fuvvi mai alcuna terra col nome Zesio, ma questo è un vocabol corrotto della voce ecclesia. I Canonici della Chiesa maggiore eran ne' vecchi secoli i parrochi di tutti questi distretti. Essi al presente in certi giorni fissi si recano a quelle Chiese in contrassegno dell'antica prerogativa; pure questo diritto delle stazioni soffre ora le controversie mercè l'umana inquietudine contro vetuste giurisdizioni.[78]
Ora noi voghiamo in quella parte di acque, che il prospetto ne offre di tanti [103] edifizj, che adornano il Borgo Vico, ma pieghiamoci a manca radendo il lido, dove piomba sovra lunghissime erbe il Toé, picciol ruscello talvolta secco, che dal monte mettesi tenebroso al sasso, d'onde cade precipitevole. Già ne alletta il guardo Perlasca, ma il nome non ne inganni. Altre volte Perlasca era terra per la nobiltà de' suoi abitatori e la eleganza degli edifizj assai celebre. Se ne veggono tuttor le ruine in parte, e sofferse quella la fortuna medesima, che Torno. Ora coll'appellazione stessa stassi al lido la villa de' Conti Tanzi. Appartenevan anticamente le di lor case alla pontifizia famiglia Odescalchi, e corre anzi voce, che in una di quelle nascesse Innocenzo XI[79]; ma io so, che fu battezzato in S. Benedetto di Como nel 1611, come il dimostrano i [104] libri del parroco a pagina 70.
La villa dei Tanzi fu onorata da Leopoldo II, il qual fermovvisi a pranzo nel 1791. Perlasca o Villa Tanzi L'allegria e il gusto dei giardini v'attirano i curiosi. Avvi senza stento una idea delle vaghezze Inglesi e Cinesi. Spuntan dagli scogli gli aloè, e varj arbusti americani. I mirti e i leandri non vi temono il freddo. Vi si forzò anche la natura, e la scabbra spalla del monte riformossi a leggiadro viale, che cinto di ben vegnenti alberi producesi fin quasi a Torno. Qua e là si nudarono a bella posta i macigni della terra, che v'era. Per lo contrario dall'altro lato hannovi orti più larghi, e v'ha pensiero d'estenderli fin verso allo scoglio, da cui scopresi Blevio.[80]
[105] Blevio dividesi in sette gruppi di case, Blevio onde corre il proverbio delle sette città. Vi manca pianura, ma non vi mancan vigne. Guardano però il sol cadente, onde i vini son piccioli. Vive in Vienna nativo di questa terra l'Artaria, che ha commercio grande di tipografia, di musica e di stampe in rame. Presso Blevio pure soggiorna talora in un suo ameno casino da lui detto facetamente Versaglia Pasqual Ricci maestro di cappella in Como, ed uomo noto a' filarmonici.[81]
[106] Ma da Blevio poi succedono scogli sino a Geno. Geno La fontana magna e il tugurio detto il Mirabello non meritano il nome, di cui godono. Voglion bensì menzione da noi i bei giardini, che circondano l'agiata abitazion recente della marchesa Cristina Menafoglio Ghilini. Comperò ella, mentre il Luogo pio stavasi sotto al regime d'un sol amministrator regio, nel 1790 que' fondi e quelle case dall'Ospedal di Como, le quali serviron già per ricovero agli appestati e per lazzaretto, e denominavansi S. Clemente di Zeno, ove pria ancora v'era un chiostro d'Umiliate. Quando v'edificò la Marchesa, dovettesi toccar anche la chiesuccia, e si scoperse allora una lapide con triplice iscrizione. Quindi vi si sospettò antica villa e sepolcreto d'illustri Romani. Ma questi epitafi son cosa cristiana sotto il Consolato di Flavio Cecina Basilio, il qual acadde nel 463 dell'era nostra. Il sig. Don Antonio dei Marchesi Andreoli ebbe la bontà di ricopiarmeli [107] con una penna diligentissima e sono i seguenti:
HIC REQVIESCIT A.....
GRATA DEO PVELLA QVÆ VIXIT
IN SECVLO. ANN. PL. M. LV.
HIC REQVIESCIT. PRINCIPIVS
QVI VIXIT IN SECVLO ANN. PL. M. III.
HIC REQVIESCIT AVRORA SPECTA
BILIS ET. PENETENS F. QVÆ VIXIT IN
SECVLO ANN. PL. M. LX DEPOSITA
SVB. D. KAL. SEPTEBRIS. BASILIO
V. C. CONSVLE.
Nel fatal contagio del 1630 si tumulavan ivi i cadaveri degli infelici, come potei rilevare dai libri mortuarj dell'Arcipretura di S. Agostino. Qual orrore non è egli mai lo scorrere le carte di que' dì, e vedervi i testamenti rogarsi sulle strade, e sulle piazze da notai, che passano frettolosamente a cavallo, e dalle finestre odono le ultime volontà dei moribondi!
Giacchè da tal pensiero il cuor si commuove, e risentesi l'umanità, non so pur contenermi dal metter querela, perchè [108] o prima, o nell'atto del vendersi Geno mai non siasi diroccata parte dei muri fiancheggianti il lago, onde formarvi una spiaggia, che le vite avria salvate di tanti! Non v'è promontorio per naufragi più infame, nè basta a torre le calamità il convenuto porto, onde io reco opinione, che ben volontieri la provincia tutta Comense dovrebbe concorrere alla salutare spesa di formar poco sopra Geno un banco d'arene a gran pietroni frammescolate, su cui potessero gittarsi i naviganti contro le rabbie dei venti turbinose.
Appoggiasi a volgar voce l'esistenza d'un antica strada, ma ne' tempi, che il Lario tenevasi a più umil livello, vi sarà stata spiaggia continua da Como a Geno lungo il lido. Anche ora in qualche vernata le acque sono sì basse, che si può andarvi sulle ghiaje, ma quando vi si formasse una strada, non vi potria essere ne' mesi freddi più atto passeggio, mentre quel lato è dal sole [109] investito in guisa, che vi si scambia in maggio il gennajo.[82]
Quasi sul nudo dorso del monte stassi il casin del Sasso, ove il fratello di Cristoforo Arnaboldi educa bei fiori, mentre poi Cristoforo, che già si fece noto col valore del canto prosiegue ad arricchirsi in Russia colle felici vendite e compere, e la singolar cognizione in gemme e cammei, il perchè imprende frequenti in Italia i viaggi.
Alla Nocetta son pur due villette di cittadini ben collocate pel verno, e d'indi a pochi passi comincia il sobborgo di Curignola ossia Coloniola, che oggi dalla Chiesa arcipretale prende il nome di Sant'Agostino.
[110] Su questo lido stanno le Lavandaje col viso abbrostito al sole, nè vi mancano i setificj. Ivi compiam la navigazion nostra, e dopo lungo riposo nella gondola non potrà, che riuscirci caro un passeggio nel bel suburbano della Gallietta spettante al Cavalier Flaminio della Torre di Rezzonico,[83] nel quale troveremo unita l'eleganza all'amenità. Nell'ingresso, e nell'uscita da quel suburbano non ci sia grave di donare un guardo alle muraglie, che già il chiostro cingevano degli Eremitani. In essa a fresco rappresentasi l'apparizione del Redentore a S. Agostino in foggia di pellegrino. Mi sorprese quella anche assai più fin che non iscopersi essere una copia della nona tavola di quel libro eccellente, in cui nel 1624 lo Scheldt Bolswert effigiò la vita di quel solenne dottore con bulino, che seppe emular le opere di Vandick, e Rubens.
IL FINE.
1. La guerra de' Milanesi e de' Comaschi fu rozzamente descritta in un poema latino dal contemporaneo Anonimo Cumano, che vuolsi dell'illustre casa Raimondi; e l'eccidio di Como fu nobilmente cantato dal Conte Carlo Castone della Torre di Rezzonico in un poemetto italiano stampato nel tom. II, p. 135 delle di lui opere.
2. Nella fortezza di Baradello morì miseramente nell'anno 1278 Napo Torriani, fattovi rinchiudere da Otton Visconti in una gabbia di travi. La morte di Napo somministrò l'argomento d'una tragedia al sig. Giovanni Battista Nasi attual R. I. Direttore delle Poste in Como, Pastor Arcade, e Socio di varie accademie. Al sig. Nasi non si può negare facil vena in poesia.
3. I Veronesi sforzansi di contrastare a' Comaschi la pertinenza di Plinio Seniore; ma iscorge affatto vani i loro sforzi chiunque voglia appena consultare le Pliniane disquisizioni del Conte Anton Gioseffo Rezzonico. La pubblica opinione però rese giustizia a Como, e questo Plinio leggesi Comasco nelle tavole cronologiche inserite nel Compendio di Geografia Universale del Guthrie.
4. Vedesi la morte di Plinio dipinta sul sipario del nuovo Teatro di Como. Per altro Plinio su d'un sipario, ed un sipario rappresentante una morte le sono cose, che a molti non sanno troppo quadrare.
5. Sono già otto secoli che l'illustre Casato dei Giovj gode singolari diritti e distinzioni. Federico Barbarossa gli concesse di portar nello stemma l'Aquila Romana; Carlo Quinto Imperadore vi aggiunse le colonne d'Ercole; e Leon X. gli accordò d'inserirvi l'arme Medicee.
6. A Martignoni fece l'elogio il sig. Luigi Catenazzi. Dalla maniera ond'è scritto quest'elogio, si riconosce agevolmente in Catenazzi il professore del bel dire.
7. Alcuni portano opinione che le dette colonne non sieno altrimenti di marmo greco, ma bensì di marmo delle montagne del Lario.
8. È da notarsi l'enorme inesattezza del Nuovo Dizionario Geografico, stampato da Giovanni Bernardoni, Milano 1813, ove alla voce Como restringesi la popolazione di questa Città a 7278 abitanti.
9. Bened. Jovii. Hist. Patr. p. 206. = Portus, qui nunc habetur, haud ita non multo ante tam frequens erat, sed alius portus fuit, qui modo Episcopatus appellatur, anno Domini XXV. supra M. et CC. conditus, qui, quia aucto lacu semiobrutus esset, alium construxere. Ad hunc autem antiquiorem portum, illac, ubi nunc horti sunt Episcopi, recta procedebant, unde Divi Probini ædem incursu ripæ ædificatam legimus, quo tempore regio illa frequentissima erat. Sed postquam in civitatula ab Azone Vicecomite condita fuit clausa, paucos habuit incolas, et vero per tempora libertatis Mediolanensis destructa, frequentior fieri cœpit.
10. Questa fu testè demolita, essendosi aperta la nuova strada di Lecco. L'Editore.
11. Fralle inedite lettere del Borsieri avvene una a Lodovico Carretti, in cui vedesi che gli Scalzi faceano pratiche per aver sul nostro territorio una solitudine da fabbricarvi un chiostro. Il Borsieri proponeva la Valle d'Intelvi, ma soggiungeva pure = Chi sa che non cerchin da lunge per trovar d'appresso? = E così fu, divennero essi pochi anni dopo possessori del Giardino del Borsieri. In altra di lui lettera al conte Costanzo d'Adda se ne legge la descrizione. V'eran dentro pitture del vecchio Luino, di Calisto Lodigiano, di Carlo Cremasco, di Giacomo Bassano, di Giacomo Tintoretto, di Giacomo Palma, di Camillo Boccaccino, di Domenico ed Andrea Pellegrini, di Pier Francesco Morazzone. Non vi mancavano belle ajuole con fiori, ombrose selve, industri fonti, armadj con libri eletti. Aveva poi anche il Borsieri nelle case di città qualche raccolta di marmi antichi. Ma Como può ripetere quel verso del Petrarca = Ben fera stella fu sotto ch'io nacqui = tutte si dispersero più volte le cose belle radunate da qualche egregio suo cittadino. Il Vescovo Archinti pria, poscia l'altro suo Vescovo Lazzaro Carafino lo spogliarono di molte iscrizioni che arricchirono Milano e Cremona. — Questo ritiro è stato soppresso. L'Editore.
12. Paolo Giovio in principio del volume = Elogia Virorum literis illustrium = nella descrizione del Museo ad Ottavio Farnese fa cenno dell'isoletta = Insula exsurgit firmissimo pariete circumsepta, jucundaque eminentibus pomiferis arboribus.
13. Larius Sigismondi Boldoni = Neque ego quemquam esse tam barbarum putarim, qui, si illac transiens surgentem novarum ædium molem aspexerit, atque inde disturbatos sæva pietate muros, et jacentem tot eruditorum operum congeriem et obliteratas imagines contempletur, lacrymas tam insigni ruina manantes tenere possit.
14. Fra le inedite lettere del Borsieri ve ne hanno al geografo Magini, ed allo stesso abate Marco Gallio, e da quelle scopresi il furore che avea quell'abate di cancellare la memoria di Paolo e de' Giovj, cui pur doveasi la sorte della di lui famiglia. Così operò pure per Balbiano e a forza d'oro fece che qualche tedesco desse il nome d'Alvito alla celebre Isola Comacina. Nella pubblica biblioteca Comense de' Dottor Collegiati avvi un Codice della Storia Patria di Benedetto Giovio, e in più luoghi nel margine del libro in cui de' templi si tratta e de' chiostri, viene malmenato il Gallio, e in un passo quasi a colmo di delitto si aggiunge = qui etiam Jovianum Museum funditus evertit.
15. Nella lettera al Domenichi del 1543 ai 17 luglio, e nell'altra al conte Agostino Landi del 20 del detto mese ed anno.
16. Veggasi l'itinerario dello Scoto, e il Salmon, e più altri. Fra questi il conte Giambattista Giovio nell'elogio di Monsignor Paolo Giovio in tutta quella parte del testo che corrisponde alle note dall'ottantesima quinta alla centesima sesta.
17. Qui ha principio la strada carrozzabile fatta costruire da S. A. R. la Principessa di Galles, e che termina alla di lei Villa d'Este dopo Cernobio. L'Editore.
18. Veggasi il volume delle Ordinazioni Decurionali scorrente dal 1577 al 1581. Ivi sotto il 5 d'agosto del 1578 leggesi la concessione perchè quelle acque = Villæ Grumelli magnifice ædificatæ ad hilaritatem fere publicam, maximam sint allaturæ hilaritatem.
19. Borsieri Descrizione manoscritta del territorio Comasco = Ballarini, Croniche pag. 316 = Rusca Luigi ne' suoi Madrigali sul Lario = Lettere di Francesco Vicedomini in Como pel Turato 1623, sul fin del volume.
20. Lettera dei conte Abate Giambattista Roberti al cavaliere conte Giambattista Giovio, e risposta del medesimo sopra Giacomo da Ponte pittore detto il Bassan Vecchio. Lugano 1777 alla pag. 58 e seguenti.
21. Ora villa deliziosa del sig. Configliachi Professore nell'I. R. Università di Pavia. L'Editore.
22. Una questa è delle espressioni care e ghiotte adoperate dal conte Magalotti nella lettera, in cui descrisse con istile sì bello, la sua villa di Lonchio.
24. Presentemente la Villa d'Este di S. A. R. la Principessa di Galles. L'Editore.
25. Nume assai poco noto, a cui Roma attribuì la sua salvezza, poichè favoleggiossi che parlasse fra il silenzio della notte, ed annunziasse ai Magistrati l'avvicinarsi dei Galli. Veggasi Tullio de Divinatione.
26. Eccole. = Matronis P. Cæsius. Archigenes. V. S. L. M. = Jovi. O. M. P. Cæsius. Archigenes. V. S. L. M. Furon queste due memorie tra quelle raccolte dal Vescovo di Como Lazaro Carafino, e che poi da' suoi eredi vennero trasportate a Cremona. Ivi tuttora esistono con molte altre nostre, come può scorgersi dal volume del chiaro D. Isidoro Bianchi intitolato i Marmi Cremonesi, a cui potrebbe aggiungersi anche e Comaschi. Quai fossero le matrone è controversia lunga. Se fossero quelle i Genj delle donne, come ancor le Giunoni od altro, si disputa dagli eruditi, ma come anche il dottissimo marchese Maffei trovò tenebroso un tal punto, noi non pretenderemo di schiarirlo.
27. È noto che i Romani avean prenome, nome e cognome, e in quell'ordine appunto che noi pronunziamo le parole Marco Tullio Cicerone, ovvero Cajo Plinio Secondo. Quindi scorgesi la debolezza di quelli, che per torci Plinio il naturalista, lo fanno pazzamente della famiglia Seconda, quando il Secondo non era nome di genti, ma cognome di persona.
28. Si sa per altro, che poco i Greci restaron fra noi; pure il P. Stampa nella sua Accademia de' Nocchieri manoscritta accenna l'opinione.
29. Bella prova potria darne la scuola di disegno, ch'era già stata destinata per ispecial privilegio a questa Valle dalla sovrana munificenza, non che il collegio di Laino che vi fiorì molti anni sotto la saggia direzione di quel Prevosto. L'Editore.
30. Quest'isola tenuta più volte per inespugnabile e celebre tanto dal secolo VI al XII forse fu denominata Comacina fino dai tempi dell'itinerario di Antonino. Non ben si scopre navigando, mentre il di lei dorso confondesi colle montagne sorgenti sul vicin lido. In essa dell'antica grandezza sua nulla ora resta, e sola avvi una chiesa nel di lei colmo. Sarebbe lungo il riferire gli assedj gravissimi e le ostinate difese che la resero celebre a' tempi de' re longobardi e di Federico Imperador Barbarossa; laonde rimettiamo il curioso lettore a Paolo Diacono, al Sigonio nel regno d'Italia, al Muratori negli Annali, alla storia patria di Benedetto Giovio ed a quella del Marchese Rovelli, i quali hanno fatto cenno chi d'una, chi d'altra notizia. L'Editore.
31. Fummi comunicata dal dotto padre abate Casati, a cui dobbiamo l'edizione delle latine lettere del Cicerejo, ossia Ciceri. Nella lapida dopo la parola consecravit, avvi scolpito un cuore, come appunto costumavano i Gentili nelle are che dedicavano agli Iddj. Questi cuori negli epitafi indicano talora la fine del vocabolo, ma talora anche l'intersecano. Ecco anche qui Genj e Matrone.
32. Parole tratte dall'opera del Porcacchi impressa nel 1568 in Venezia da Gabriel Giolito de' Ferrari, ed intitolata la Nobiltà di Como. Libro secondo pagina 101. Veggasi pure Paolo Giovio Descriptio Larii.
33. Il Giuspadronato è però laicale, e ne fu infatti ministro d'anni 12 nel 1720 il conte Francesco Giovio, nel 1710 Giambattista, nel 1662 Giulio padre, avo e bisavolo del cavaliere conte Giambattista. Quindi può anche rilevarsi l'inerudito errore del monaco Roberto Rusca, il quale credette che Leone X. facesse dono dell'ospedale di S. Maria Maddalena a Paolo Giovio. Vedasi l'elogio d'esso Paolo scritto dal conte G. B. Giovio alla nota 3 e 4, come pure l'elogio del Vescovo Paolo Giovio il giovane scritto dal medesimo autore in quella parte del testo che corrisponde alle note 57 e 58.
34. Pauli Jovii Descriptio Larii Lacus = Balbianum, quod Insulæ suburbanum fuit, ubi Majorum nostrorum reliquias, fundum scilicet, et ruinosas magnificentiæ singularis ædes possidemus.
35. N'è ora possessore il Conte Luigi Porro-Lambertenghi, il quale eresse non ha guari nella sua villa presso Fino la grande filanda de' bozzoli a vapori. L'Editore.
36. Ora professore di fisica generale e sperimentale nell'I. R. Liceo di Como. L'Editore.
37. Boldoni nel Lario dubita che la Commedia fosse a Lierna, ma soggiunge nisi Pauli Jovii doctissimi viri aliter sentientis auctoritas deterreret... summi viri auctoritatem, eruditionem, doctrinam atque illam cum optimis quibusque priscorum conferendam eloquentiam reveriti ultro manus damus atque illius coelessis hominis sententiæ acquiescimus. Vedi Plinio lettera VII. del libro IX. Da essa quanto non ricavasi a favore della sentenza di Paolo Giovio? Basta osservarvi la piacevole concavità di quel seno, di cui l'autore ragiona. Aggiungasi inoltre, che Lenno non era punto povero d'anticaglie, e infatti Boldoni istesso scrisse nel suo Lario = Durat adhuc incorruptum ab omni temporis contumelia... templum... Ratio igitur illius fani, non quæ nunc est, sed quam periti quique Architectorum fuisse conjectantur, antequam imperitorum manibus tangeretur, illa erat, quæ Vitruvio dicitur Peripteros, et a fronte et a tergo et a lateribus cincta porticibus... sed rudis et ignara posteritas apertis ad latera templi parietibus obstructisque pilaram intervallis interiores fecit, quæ prius exterius sitæ erant porticus, innumerasque ex marmore tabulas, quibus sepulchrorum epigrammata probatæ antiquitatis erant insculpta per summam vecordiam vel erasis vel commutatis litteris in propria epithaphia convertit.
38. Questa strada da Campo sino alla Cadenabbia è stata assai bene riattata, ed è uno de' più bei passeggi, ove alla libertà campestre si vede andar unita l'eleganza di que' signori e signore che o vi dimorano, o villeggian ivi. L'Editore.
39. Questa bellissima villa spetta ora al signor Sommariva, il quale vi va di giorno in giorno raccogliendo ampio tesoro di pitture sì antiche che moderne de' più celebri pennelli. Per lo che il passeggiero di questa nobil arte intelligente può impiegar ivi una giornata intera col più grande diletto. L'Editore.
40. Agevolossi ora fra l'arena la strada, e meno incomoda si rese fino al borgo di Menaggio. L'Editore.
41. Un Porto ampio e sicuro sorse a questi dì fabbricato a spese della signora Bellini-Riva. Vi si trova un Albergo elegantemente montato, con tutti i comodi pei signori viaggiatori, cui si diede il nome di London-Hôtel in omaggio dell'affluenza d'Inglesi, che nel visitare questo lago vi si fermano a preferenza degli altri alberghi. La situazione infatti è una delle più belle, ed offre dei punti di vista su tutto il lago veramente pittoreschi. L'Editore.
42. La majolica si vuol detta da' Francesi Fayance, perchè l'arte s'inventasse a Faenza. Ora la terra inglese da pippe detta terraglia diede lo scacco molto alla majolica.
43. Quasi sanat ægros.
44. Corpora procera... adde et sæviorem quam Hircanis feris rabiem... par et in fœminis durities animi, e soggiunge le imprese da pirati da costoro fatte a suoi dì, e represse soltanto da Ercole Sfondrato. Il Giovio pure scrisse = Caverniones... genus hominum ingenio factioso, sagaci maxime, cruento perpetuas dirasque in ea vicinia contentiones exercet.
45. Jean Jacques Rousseau, Nouvelle Héloïse. P. 1. Lettre XXIII. parla de' monti del Valese e scrive = image trop vaine de l'ame du sage, dont l'exemple n'exista jamais, ou n'existe, qu'aux mêmes lieux, d'où l'on a tiré l'emblème.
46. Nella parrocchiale di Cremia merita parziale attenzione un quadro bellissimo rappresentante S. Michele, che atterra l'angelo rubelle. L'Editore.
47. Que' condottieri mantenevano soldati, il cui sangue e i servigi vendevano poscia ai Principi, i quali non accostumavano allora d'aver sempre armate al loro soldo.
48. Avvi per altro presso il conte G. B. Giovio una lettera del marchese di Marignano, la cui sottoscrizione in mal carattere è di lui, e dice Io Jacobo de Medisi. In essa ragguaglia Monsignor Giulio Giovio ai 29 agosto 1554 dal Campo sopra Monterigioni della vittoria avuta contro il maresciallo di Francia Strozzi e contro Senesi.
49. Allusione al verso 728 del libro VIII dell'Eneide
Indomitique Dahæ et pontem indignatus Araxes.
50. Quivi le miniere di ferro e i forni del sig. Rubini possono arrestare alquanto il Viaggiatore ad ammirarvi que' seminudi ciclopi, che vi lavorano a fondere il ferro, e le macchine romorose de' magli. Senza punto detrarre agli altri stabilimenti di tal natura, questo è sicuramente il più perfetto e cospicuo di tutto il Regno. L'Editore.
51. Ora spetta ai signori fratelli del Pero. L'Editore.
52. Œuvres. Lyon. 1764.
53. Ponte Sublicio appellavasi in Roma, od anche Emilio, il ponte di legno sul Tevere nel colle Aventino.
54. Cioè nell'anno 1794. L'Editore.
55. Ora la Valtellina forma una delle Province del Governo di Milano nel Regno nostro, sotto nome di Provincia di Sondrio, che n'è il Capo-Luogo. L'Editore.
56. Qui ha principio la strada postale che attraversa la Valtellina sino a Tirano, e vi si trovano Diligenze giornaliere a comodo dei Viaggiatori. L'Editore.
57. Il sig. Rouselin ha ottenuto dal Governo la proprietà delle paludi, che la maggior parte con sommo dispendio sono state asciugate e rese coltive, per cui l'aria è divenuta meno insalubre, e più ferace il territorio; mandando così ad effetto almen in parte l'augurio del nostro autore. L'Editore.
58. »Ma il principe di tutti i nostri monti, disse altrove il nostro scrittore, è poi senza controversia il Legnone. Assorti in meditazioni potremmo lassù sentirci sotto ai piedi muggire il tuono e guizzare la folgore. Qual vasta mole! oh magnificenza di creazione! Sfida il Legnone colla sublimità del suo capo il Pitchinca e il Coracon gioghi d'America? Dannosi al Legnone piedi 7716 d'altezza perpendicolare sopra la riva del lago.« L'Editore.
59. Che significa in questi greppi il nome di Corte Nuova? Sarebbe ella mai stata una Villa regia, come Corte d'Olona nel Pavese, e Cassano presso Adda detta Corte di S. Ambrogio nell'877? Tutto m'è scuro. Forse i Torriani, che signoreggiaron Valsasina, vi misero tal nome, perchè Moschino prese in moglie una figlia d'Ottone di Corte Nuova. Da questi Torriani per mezzo d'Areco, e d'Arechino deduceva la sua discendenza il nostro conte Anton Gioseffo della Torre di Rezzonico, come dimostrollo l'avvocato Giovanni Sironi di Scozia nella vita del Beato Antonio della Torre scritta dal P. Giambattista Cotta, ed impressa in Perugia nel 1730. Quindi anche il La Lande nel suo viaggio d'Italia favellando di Parma dice, che il sullodato Conte allor vivente a quella Corte venisse dai Torriani.
60. Nello scorso anno 1816 si è nottetempo staccato un masso della montagna, che seco strascinò il suddescritto ponte. L'Editore.
61. Larius = Ibi enim maxima latitudo Larii trifariam se in diversa proscindentis ad Pythagoreæ litteræ similitudinem. Pittagora servissi del simbolo della ypsilon per dinotare le due vie, che s'aprono innanzi agli uomini, quella della virtù, e quella del vizio. Per sapere che il Filosofo di Samo facesse uso di tal simbolo, mi convenne, come accade talvolta anche nelle cose più facili, scartabellare di molti libri, onde quasi per l'ypsilon sagrificar potrei il centesimo dell'Ecatombe (cento buoi), che svenò Pittagora alle muse pel problema sciolto dell'Ipotenusa.
62. Qui presso avvi una bella fabbrica di lastre e di vasi di vetro d'ogni maniera, di proprietà de' signori Venini. L'Editore.
63. In questa valle sul monte Codeno fu dove la nostra sig. Elena Perpenti trovò la nuova Campanula Raineri, di cui veggasi la Bibl. Ital. fascicolo di novembre 1816. L'Edit.
64. I signori fratelli Mauri hanno in Lecco recentemente ampliato il loro albergo all'insegna del Leon d'oro colla maggior possibile proprietà, comodi alloggi, scuderie, rimesse. Quindi vagheggiasi lungo tratto amenissimo del Lago. L'Editore.
65. Così accostumarono d'appellarlo gli storici, ma egli era Marchese, e per vezzo usavasi il diminutivo. La di lui famiglia fiorisce in Cremona.
66. Vedi le pagine 80 e 84.
67. Opere T. VI ediz. di Livorno pag. 85 e 86. Può vedersi anche la nota 21 e 22 nell'Elogio del Palladio scritto dal Conte G. B. Giovio.
68. Prima di giungere a queste due ville vedesi alto torreggiare il magnifico palagio del defunto Duca Melzi d'Eril. Quivi ammirasi un edifizio di gusto moderno, ornato di pitture a fresco dell'Appiani, del Bossi e d'altri pittori non inferiori molto, non che di una raccolta di carte de' migliori bulini. Negli ampli giardini poi ond'è cinto d'intorno, merita parziale attenzione la statua del celebre Professore Comolli rappresentante Beatrice che mena Dante in Paradiso, ed un busto del tragico d'Asti di veramente maestro scarpello. L'Editore.
69. Il conte Taverna ha poi fabbricato una villa per buon gusto d'architettura e pei comodi molto elegante e pregievole. L'Edit.
70. Stassi ora costruendo un'ampia strada atta alle carra ed a' cocchi che dalla Brianza mena comodamente a Bellagio, ed a quest'ora sarà praticabile. L'Editore.
71. »Ivi per due miglia di giro avvi una prateria, la quale ha pure uno sbocco da Sormano per Asso e tutta vien cinta da più alte vette. Bello è vedervi fiorir gli anemoni e i ranomoli fra non rari sorbi da uccellatori. Le acque che vi si raccolgono hanno esito in mezzo al piano per ampia caverna. Vuolsi che anticamente ivi fosse uno stagno. La tradizione ci dice le gran novelle sul pian del Tivano. Il Ballarini nella parte 3 delle sue Croniche a pag. 320 vuol che ivi Andefleda moglie di Teodorico re fabbricasse per sue delizie un castello. Il Tatti nel tom. I degli Annali Sagri pag. 509 impugna il racconto, siccome non appoggiato ad antico scrittore. Ma il Ballarini narra poi come testimonio contemporaneo, che ivi cavandosi siansi rinvenute gemme e pezzi d'oro e medaglie d'Imperador diversi. Or per questi fatti non ha bisogno il Ballarini d'antichi scrittori. Anche a' tempi nostri si trovarono delle monete, disotterrate perfin dalle talpe. Ciò che più rileva si è, che copiosa ivi si trova la cacciagione d'ogni genere, e la vasta pianura posta su quella eminenza ci fa parere di vivere in tutt'altro clima, in tutt'altre terre.« L'Editore.
72. Compendio delle Croniche di Como 1619. Pel Turato p. 315 e 316.
73. Lo stesso a pag. 65, e il Tatti Annali di Como. T. III pag. 692.
74. »La fonte che dai nomi de' due Plinj salì in tanta venerazione è degna di tutta l'attenzione. Si ritenne molto tempo che il crescere di lei ed il decrescere fosse così regolare che avvenisse sempre nel periodo d'un'ora. Accade bensì questo fenomeno, ma i periodi del flusso e riflusso sono affatto irregolari. Avvi anche memoria che siasi questa fonte veduta del tutto inaridirsi in un anno per mancanza di pioggia, e per lo contrario in un altro pel soverchio piovere farsi sì gonfia che nè il flusso serbasse degl'incrementi, nè il riflusso del decrescere. Nè è qui mio pensiero di entrare co' fisici a disvelare le cause che la natura prodigiosa mantengono di questo fonte; non riescirà però discaro il veder qui unita la traduzione della lettera di Plinio su questo proposito diretta a Licinio Sura: »Tu puoi assiderti sul di lui margine, e ber della freschissima onda, che or s'avanza, ritirasi ora. Ponivi un anello, o che che meglio t'aggradi, in luogo secco, e il vedrai tosto immolarsi dall'onda sorgente, e poi di nuovo restare in asciutto... qualche aria racchiusa in grembo della terra diserrerebbe ella, e chiuderia la sorgente di questa fontana o col premerla di fianco, o col partirne scacciata in quella guisa appunto, che veggiamo accadere nei fiaschi inversi, dai quali libera non n'esce l'acqua, ma con interrompimento di resistente fiato e simil quasi a singhiozzo? Oppure qual è dell'oceano l'indole, tal è del fonte? ed in quella foggia che l'oceano spignesi ed assorbesi, così il picciolo umor del fonte sopprimesi, o cacciasi fuora? Sarebbe egli mai d'esso, come de' fiumi, i quali al mare sen vanno, e ciò non ostante o dal contrasto dei venti o dall'incontro del flusso costringonsi a ritrocedere? Diremo noi, che nelle ascose vene abbiavi certa capacità, onde mentre vi si raccoglie lo sparso, impigrisca il rivo, e quando poi la capacità sia colma, fuor ne' zampilli più snello e rigonfio? o forse avvi qualche libramento arcano nell'antro del fonte di modo, che quando ei sia men colmo, più agevolmente ne scorrano le acque, e per lo contrario dal troppo impeto si trattengano quelle accresciute, e n'escano quasi bulicame? A Te s'aspetta di scoprire, a noi d'apprendere le cause del prodigio veraci. Io son pago, se il fatto t'esposi bene. Sta sano.» L'Editore.
75. Ode XXI libro III.
76. Come da un esemplare del Decreto Ducale e Senatorio presso di me.
77. I begli arazzi, che pendono fra le arcate del nostro Duomo, voglionsi appunto fabbricati a Torno. L'Editore.
78. Queste stazioni non esistono più, che nello Stato Elvetico. L'Editore.
79. Vuolsi di più che una tal casa fosse quella, di cui sopra la Tanzi miransi ancora le muraglie di facciata su cui serpeggia l'ellera, e che formano un grato contrasto di anticaglia coll'elegante sottoposto edifizio. L'Editore.
80. L'ultimo casino situato su questa estremità, detto La Roda, e che formava parte della Tanzi appartiene ora a madama Ribier. Un bel frutteto, un ameno viale di tigli e di platani, un comodo porto ed altri lavori, che già vi si veggono, opera di pochi mesi, fanno fede che sorgerà in breve altra villa emulatrice delle due veramente belle, cui è posta in mezzo La Roda. L'Editore.
81. Il Versailles del Ricci è convertito ora in una delle più belle ville, detta Sannazzaro, dal nome di quella signora Contessa che vi soggiorna. Oltre l'eleganza dell'abitazione, vi si ammira un giardino all'inglese veramente delizioso, dove è sì folto il boschetto, che anche di pien meriggio vi si può spaziar senza temer offesa dai raggi solari. L'Editore.
82. Il marchese Cornaggia n'è l'attual possessore. Anche quivi avvi un passeggio benissimo sotto arbori arcate, che dalla casa giunge sino al cimitero, in cui si raccolsero gli avanzi degli appestati, di cui si disse sopra, e dal giardino sino alla Nocetta verso Como è continuato il viale fra ben coltivati campi e vigne; dove il gennajo si scambia appunto in maggio. L'Editore.
83. Spetta ora all'illustre famiglia Giovio. L'Editore.
Nota del Trascrittore
Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.
Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.