Title: Il sogno di Scipione
Author: Pietro Metastasio
Release date: March 1, 2004 [eBook #11684]
Most recently updated: December 26, 2020
Language: Italian
Credits: Produced by Distributed Proofreaders Europe at http://dp.rastko.net in cooperation with Progetto Manuzio, http://www.liberliber.it Project by Carlo Traverso, revision by Claudio Paganelli
Produced by Distributed Proofreaders Europe at http://dp.rastko.net
in cooperation with Progetto Manuzio, http://www.liberliber.it Project by Carlo Traverso, revision by Claudio Paganelli.
Azione teatrale allusiva alle sfortunate campagne delle armi Austriache in Italia, rappresentata la prima volta con musica del Predieri nel palazzo dell'Imperial Favorita, alla presenza dei Sovrani, il dì primo ottobre 1735, per festeggiare il giorno di nascita dell'Imperator Carlo VI, d'ordine dell'Imperatrice Elisabetta.
A pochi può essere ignoto Publio Cornelio Scipione, il distruttor di Cartagine. Fu egli nipote per adozione dell'altro che l'avea resa tributaria di Roma (e che noi, a distinzione del nostro, chiameremo sempre col solo prenome di Publio), ed era figliuolo di quell'Emilia da cui Perseo, il Re di Macedonia, fu già condotto in trionfo. Unì il nostro Eroe così mirabilmente in sè stesso le virtù dell'avo e del padre, che il più eloquente Romano volle perpetuarne la memoria nel celebre sogno da lui felicemente inventato, e il quale ha servito di scorta al presente drammatico componimento. Cic. in Somn. Scip. ex Lib. de Repub. VI.
PUBLIO, avo adottivo di Scipione.
EMILIO, padre di Scipione.
[L'azione si figura in Africa nella reggia di Massinissa.]
[SCIPIONE dormendo, la COSTANZA e la FORTUNA.]
FOR.
Vieni e siegui i miei passi,
O gran figlio d'Emilio.
COS.
I passi miei,
Vieni e siegui, o Scipion.
SCI.
Chi è mai l'audace
Che turba il mio riposo?
FOR.
Io son.
COS.
Son io;
E sdegnar non ti dei.
FOR.
Volgiti a me.
COS.
Guardami in volto.
SCI.
Oh Dei,
Quale abisso di luce!
Quale ignota armonia! Quali sembianze
Son queste mai sì luminose e liete!
E in qual parte mi trovo? E voi chi siete?
COS.
Nutrice degli eroi.
FOR.
Dispensatrice
Di tutto il ben che l'universo aduna.
COS.
Scipio, io son la Costanza.
FOR.
Io la Fortuna
SCI.
E da me che si vuol?
COS.
Ch'una fra noi
Nel cammin della vita
Tu per compagna elegga.
FOR.
Entrambe offriamo
Di renderti felice.
COS.
E decider tu dei
Se a me più credi, o se più credi a lei.
SCI.
Io? Ma Dee… Che dirò?
FOR.
Dubiti!
COS.
Incerto
Un momento esser puoi!
FOR.
Ti porgo il crine,
E a me non t'abbandoni?
COS.
Odi il mio nome.
Nè vieni a me?
FOR.
Parla.
COS.
Risolvi.
SCI.
E come?
Se volete ch'io parli,
Se risolver degg'io, lasciate all'alma
Tempo da respirar, spazio onde possa
Riconoscer sè stessa.
Ditemi dove son, chi qua mi trasse,
Se vero è quel ch'io veggio,
Se sogno, se son desto o se vaneggio.
Risolver non osa
Confusa la mente,
Che oppressa si sente
Da tanto stupor.
Delira dubbiosa,
Incerta vaneggia
Ogni alma che ondeggia
Fra' moti del cor.
COS.
Giusta è la tua richiesta. A parte a parte
Chiedi pure, e saprai
Quanto brami saper.
FOR.
Sì, ma sian brevi,
Scipio, le tue richieste. Intollerante
Di riposo son io. Loco ed aspetto
Andar sempre cangiando è mio diletto.
Lieve son al par del vento,
Vario ho il volto, il piè fugace;
Or m'adiro e in un momento
Or mi torno a serenar.
Sollevar le moli oppresse
Pria m' alletta, e poi mi piace
D'atterrar le moli istesse
Che ho sudato a sollevar.
SCI.
Dunque ove son? La reggia
Di Massinissa, ove poc'anzi i lumi
Al sonno abbandonai,
Certo questa non è.
COS.
No: lungi assai
È l'Affrica da noi. Sei nell'immenso
Tempio del ciel.
FOR.
Non lo conosci a tante
Che ti splendono intorno
Lucidissime stelle? A quel che ascolti
Insolito concento
Delle mobili sfere? A quel che vedi
Di lucido zaffiro
Orbe maggior che le rapisce in giro?
SCI.
E chi mai tra le sfere, o Dee, produce
Un concento sì armonico e sonoro?
COS.
L'istessa ch'è fra loro
Di moto e di misura
Proporzionata ineguaglianza. Insieme
Urtansi nel girar: rende ciascuna
Suon dall'altre distinto;
E si forma di tutti un suon concorde.
Varie così le corde
Son d'una cetra; e pur ne tempra in guisa
E l'orecchio e la man l'acuto e il grave,
Che dan percosse un'armonia soave.
Questo mirabil nodo
Che gl'ineguali unisce,
Questa ragione arcana
Che i dissimili accorda,
Proporzion s'appella, ordine e norma
Universal delle create cose.
Questa è quel che nascose,
D'alto saper misterioso raggio,
Entro i numeri suoi di Samo il Saggio.
SCI.
Ma un' armonia sì grande
Perchè non giunge a noi? perchè non l'ode
Chi vive là nella terrestre sede?
COS.
Troppo il poter de' vostri sensi eccede.
Ciglio che al sol si gira,
Non vede il sol che mira,
Confuso in quell'istesso
Eccesso di splender.
Chi là del Nil cadente
Vive alle sponde appresso,
Lo strepito non sente
Del rovinoso umor.
SCI.
E quali abitatori…
FOR.
Assai chiedesti:
Eleggi al fin.
SCI.
Soffri un istante. E quali
Abitatori han queste sedi eterne?
COS.
Ne han molti e vari in varie parti.
SCI.
In questa,
Ove noi siam, chi si raccoglie mai?
FOR.
Guarda sol chi s'appressa, e lo saprai.
[PUBLIO, coro d'eroi, indi EMILIO e detti.]
CORO.
Germe di cento eroi,
Di Roma onor primiero,
Vieni, che in ciel straniero
Il nome tuo non è.
Mille trovar tu puoi
Orme degli avi tuoi
Nel lucido sentiero,
Ove inoltrasti il piè.
SCI.
Numi, è vero o m'inganno! Il mio grand'avo,
Il domator dell'African rubello
Quegli non è?
PUB.
Non dubitar, son quello.
SCI.
Gelo d'orror! Dunque gli estinti…
PUB.
Estinto,
Scipio, io non son.
SCI.
Ma in cenere disciolto
Tra le funebri faci,
Gran tempo è già, Roma ti pianse.
PUB.
Ah taci:
Poco sei noto a te. Dunque tu credi
Che quella man, quel volto,
Quelle fragili membra, onde vai cinto,
Siano Scipione? Ah non è ver. Son queste
Solo una veste tua. Quel che le avviva
Puro raggio immortal, che non ha parti
E scioglier non si può; che vuol, che intende,
Che rammento, che pensa,
Che non perde con gli anni il suo vigore,
Quello, quello è Scipione; e quel non muore.
Troppo iniquo il destino
Saria della virtù s'oltre la tomba
Nulla di noi restasse, e s'altri beni
Non vi fosser di quei
Che in terra per lo più toccano a' rei.
No, Scipio: la perfetta
D'ogni cagion prima Cagione ingiusta
Esser così non può. V'è dopo il rogo,
V'è mercè da sperar. Quelle che vedi
Lucide eterne sedi
Serbansi al merto; e la più bella è questa,
In cui vive con me qualunque in terra
La patria amò, qualunque offrì pietoso
Al pubblico riposo i giorni sui,
Chi sparse il sangue a benefizio altrui.
Se vuoi che le raccolgano
Questi soggiorni un dì,
Degli avi tuoi rammentati,
Non ti scordar di me.
Mai non cessò di vivere
Chi come noi morì:
Non meritò di nascere
Chi vive sol per sè.
SCI.
Se qui vivon gli eroi…
FOR.
Se paga ancora
La tua brama non è, Scipio è già stanca
La tolleranza mia. Decidi…
COS.
Eh lascia
Ch'ei chieda a voglia sua. Ciò ch'egli apprende,
Atto lo rende a giudicar fra noi.
SCI.
Se qui vivon gli eroi
Che alla patria giovar, tra queste sedi
Perché non miro il genitor guerriero?
PUB.
L'hai su gli occhi e nol vedi?
SCI.
È vero, è vero:
Perdona, errai, gran genitor: ma colpa
Delle attonite ciglia
È il mio tardo veder, non della mente
Che l'immagine tua sempre ha presente.
Ah sei tu! Già ritrovo
L'antica in quella fronte
Paterna maestà. Già nel mirarti
Risento i moti al core
Di rispetto e d'amore. Oh fausti Numi!
Oh caro padre! Oh lieto dì! Ma come
Sì tranquillo m'accogli? Il tuo sembiante
Sereno è ben, ma non commosso. Ah dunque
Non provi in rivedermi
Contento eguale al mio!
EMI.
Figlio, il contento
Fra noi serba nel cielo altro tenore.
Qui non giunge all'affanno, ed è maggiore.
SCI.
Son fuor di me. Tutto quassù m'è nuovo,
Tutto stupir mi fa.
EMI.
Depor non puoi
Le false idee che ti formasti in terra,
E ne stai sì lontano. Abbassa il ciglio:
Vedi laggiù d'impure nebbie avvolto
Quel picciol globo, anzi quel punto?
SCI.
Oh stelle!
È la terra?
EMI.
Il dicesti.
SCI.
E tanti mari,
E tanti fiumi e tante selve, e tante
Vastissime provincie, opposti regni,
Popoli differenti? E il Tebro? e Roma?…
EMI.
Tutto è chiuso in quel punto.
SCI.
Ah padre amato,
Che picciolo, che vano,
Che misero teatro ha il fasto umano!
EMI.
Oh se di quel teatro
Potessi, o figlio, esaminar gli attori,
Se le follie, gli errori,
I sogni lor veder potessi, e quale
Di riso per lo più degna cagione
Gli agita, gli scompone,
Li rallegra, gli affligge o gl'innamora,
Quanto più vil ti sembrerebbe ancora!
Voi colaggiù ridete
D'un fanciullin che piange,
Che la cagion vedete
Del folle suo dolor.
Quassù di voi si ride,
Che dell'età sul fine,
Tutti canuti il crine,
Siete fanciulli ancor.
SCI.
Publio, padre, ah lasciate
Ch'io rimanga con voi. Lieto abbandono
Quel soggiorno laggiù troppo infelice.
FOR.
Ancor non è permesso.
COS.
Ancor non lice.
PUB.
Molto a vìver ti resta.
SCI.
Io vissi assai;
Basta, basta per me.
EMI.
Sì, ma non basta
A' disegni del Fato, al ben di Roma,
Al Mondo, al Ciel.
PUB.
Molto facesti, e molto
Di più si vuol da te. Senza mistero
Non vai, Scipione, altero
E degli aviti e de' paterni allori.
I gloriosi tuoi primi sudori
Per le campagne Ibere
A caso non spargesti, e non a caso
Porti quel nome in fronte
Che all'Affrica è fatale. A me fu dato
Il soggiogar sì gran nemica, e tocca
Il distruggerla a te. Va, ma prepara
Non meno alle sventure
Che a' trionfi il tuo petto. In ogni sorte
L'ìstessa è la Virtù. L'agita, è vero,
Il nemico destin, ma non l'opprime;
E quando è men felice, è più sublime.
Quercia annosa su l'erte pendici
Fra 'l contrasto de' venti nemici
Più secura, più salda si fa.
Che se 'l verno le chiome le sfronda,
Più nel suolo col piè si profonda;
Forza acquista se perde beltà.
SCI.
Giacchè al voler de' Fati
L'opporsi è vano, ubbidirò.
COS.
Scipione,
Or di scegliere è tempo.
FOR.
Istrutto or sei;
Puoi giudicar fra noi.
SCI.
Publio, si vuole
Ch'una di queste Dee…
PUB.
Tutto m'è noto:
Eleggi a voglia tua.
SCI.
Deh mi consiglia,
Gran genitor.
EMI.
Ti usurperebbe, o figlio,
La gloria della scelta il mio consiglio.
FOR.
Se brami esser felice,
Scipio, non mi stancar: prendi il momento
In cui t' offro il mio crin.
SCI.
Ma tu che tanto
Importuna mi sei, di': qual ragione
Tuo seguace mi vuol? Perché degg'io
Sceglier più te che l'altra?
FOR.
E che farai
S'io non secondo amica
L'imprese tue? Sai quel ch'io posso? Io sono
D'ogni mal, d'ogni bene
L'arbitra colaggiù. Questa è la mano
Che sparge a suo talento e gioie e pene,
Ed oltraggi ed onori,
E miserie e tesori. Io son colei
Che fabbrica, che strugge,
Che rinnova gl'imperi. Io, se mi piace,
In soglio una capanna; io, quando voglio,
Cangio in capanna un soglio. A me soggetti
Sono i turbini in cielo,
Son le tempeste in mar. Delle battaglie
Io regolo il destin. Se fausta io sono,
Dalle perdite istesse
Fo germogliar le palme; e s'io m'adiro,
Svelgo di man gli allori
Sul compir la vittoria ai vincitori.
Che più? Dal regno mio
Non va esente il valore,
Non la virtù; che, quando vuol la Sorte,
Sembra forte il più vil, vile il più forte;
E a dispetto d'Astrea
La colpa è giusta, e l'innocenza è rea.
A chi serena io miro,
Chiaro è di notte il cielo;
Torna per lui nel gelo
La terra a germogliar.
Ma se a taluno io giro
Torbido il guardo e fosco,
Fronde gli niega il bosco,
Onde non trova in mar.
SCI.
E a sì enorme possanza
Chi si opponga non v'è?
COS.
Sì, la Costanza.
Io, Scipio, io sol prescrivo
Limiti e leggi al suo temuto impero.
Dove son io non giunge
L'instabile a regnar: chè in faccia mia
Non han luce i suoi doni,
Nè orror le sue minacce. È ver che oltraggio
Soffron talor da lei
Il valor, la virtù; ma le bell'opre,
Vindice de' miei torti, il tempo scopre.
Son io, non è costei,
Che conservò gl'imperi; e gli avi tuoi,
La tua Roma lo sa. Crolla ristretta
Da Brenno, è ver, la libertà Latina
Nell'angusto Tarpeo, ma non ruina.
Dell'Aufido alle sponde
Si vede, è ver, miseramente intorno
Tutta perir la gioventù guerriera
Il Console Romano, ma non dispera.
Annibale s'affretta
Di Roma ad ottener l'ultimo vanto,
E co' vessilli suoi quasi l'adombra;
Ma trova in Roma intanto
Prezzo il terren che il vincitore ingombra.
Son mie prove sì belle; e a queste prove
Non resiste Fortuna. Ella si stanca;
E al fin cangiando aspetto,
Mia suddita diventa a suo dispetto.
Biancheggia in mar lo scoglio,
Par che vacilli e pare
Che lo sommerga il mare
Fatto maggior di sè.
Ma dura a tanto orgoglio
Quel combattuto sasso;
E 'l mar tranquillo e basso
Poi gli lambisce il piè.
SCI.
Non più: bella Costanza,
Guidami dove vuoi. D'altri non curo:
Eccomi tuo seguace.
FOR.
E i doni miei?
SCI.
Non bramo e non ricuso.
FOR.
E il mio furore?
SCI.
Non sfido e non pavento.
FOR.
In van potresti,
Scipio, pentirti un dì. Guardami in viso:
Pensaci, e poi decidi.
SCI.
Ho già deciso.
Di' che sei l'arbitra
Del mondo intero,
Ma non pretendere
Perciò l'impero
D'un'alma intrepida,
D'un nobil cor.
Te vili adorino,
Nume tiranno,
Quei che non prezzano,
Quei che non hanno
Che il basso merito
Del tuo favor.
FOR.
E v'è mortal che ardisca
Negarmi i voti suoi? che il favor mio
Non procuri ottener?
SCI.
Sì, vi son io.
FOR.
E ben, provami avversa. Olà, venite,
Orribili disastri, atre sventure,
Ministre del mio sdegno:
Quell'audace opprimete; io vel consegno.
SCI.
Stelle, che fia! Qual sanguinosa luce!
Che nembi! che tempeste!
Che tenebre son queste! Ah qual rimbomba
Per le sconvolte sfere
Terribile fragor! Cento saette
Mi striscian fra le chiome, e par che tutto
Vada sossopra il ciel. No, non pavento,
Empia Fortuna: invan minacci; in vano,
Perfida, ingiusta Dea… Ma chi mi scuote?
Con chi parlo? Ove son? Di Massinissa
Questo è pur il soggiorno. E Publio? e il padre?
E gli astri? e 'l cielo? Tutto sparì. Fu sogno
Tutto ciò ch'io mirai? No, la Costanza
Sogno non fu: meco rimase. Io sento
Il Nume suo che mi riempie il petto.
V'intendo, amici Dei: l'augurio accetto.
Non è Scipio, o Signore, (Ah chi potrebbe
Mentir dinanzi a te!) non è l'oggetto
Scipio de' versi miei. Di te ragiono
Quando parlo di lui. Quel nome illustre
È un vel di cui si copre
Il rispettoso mio giusto timore.
Ma Scipio esalta il labbro e Carlo il core.
Ah perchè cercar degg'io
Fra gli avanzi dell'obblio
Ciò che in te ne dona il Ciel!
Di virtù chi prove chiede,
L'ode in quelli, in te le vede:
E l'orecchio ognor del guardo
È più tardo e men fedel.
CORO.
Cento volte con lieto sembiante,
Grande Augusto, dall'onde marine
Torni l'alba d'un dì sì seren:
E rispetti la diva incostante
Quella fronda che porti sul crine,
L'alma grande che chiudi nel sen.