Title: Libro proibito
Author: Antonio Ghislanzoni
Release date: March 3, 2006 [eBook #17906]
Language: Italian
Credits: Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net
Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli and the
Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net
Stabilimento Via Andrea Appiani, N. 10.
Succursale Via Carlo Alberto, Bott. 27.
1878
Non credo, per aver scritto gli Epigrammi e le Satire raccolte nel presente volume, di aver commesso una cattiva azione. Ho espresso con schiettezza le mie idee; ho riso di ciò che a me pareva risibile; ho sfogato le mie stizze, e ciò mi ha fatto bene.
Debbo però convenire di aver obbedito ad una istigazione diabolica, allorquando, in un accesso di volgare cupidigia, ho accordato ad un editore la permissione di scroccare ai curiosi la somma di __due lire__ per l'acquisto di un libro destituito di ogni pregio letterario, e assai pericoloso per chi ci tiene alla quiete ed alla salvezza dell'anima.
Dirò, a disgravio di coscienza, che appena consegnato il manoscritto, non risparmiai preghiere nè lacrime per impedirne la pubblicazione. L'editore fu inesorabile. La sola concessione che mi venne fatta, fu quella di affiggere al frontispizio il titolo di __Libro proibito__, con facoltà di deplorare, in poche righe di prefazione, l'imprudenza peccaminosa di chi osasse, malgrado il divieto, spinger l'occhio dentro le pagine.
Io compio dunque uno degli atti più ripugnanti all'orgoglio di uno scrittore; io grido con tutta l'enfasi de' miei rimorsi: __Non leggete!__
Ripeto che in questo libro vi è nulla che possa allettare le persone educate alla buona letteratura. Figuratevi! Un libro di versi senza un raggio di poesia.—E quali versi! Degli endecasillabi, dei settenarii, degli alessandrini, ecc., ecc., foggiati al vecchio stampo, servilmente ligi ai dettati di una prosodia che ha fatto il suo tempo, e incappucciati, per giunta, di quella grottesca majuscola, che fu il massimo obbrobrio di tutti i poemi apparsi in Italia da Dante a Manzoni.
Non vi parlerò della lingua e dello stile. Immaginate quanto si può commettere di più avverso al gusto moderno. Tutta roba da scarto, ciarpami, ferrivecchi, anticaglia. I soliti vocaboli dei soliti dizionari, impastoiati colla sintassi più abusata; infine, la volgarità ributtante di chi presume possa ancora oggidì riuscire accetto, o per lo meno tollerabile, ciò che ha la insolenza di farsi capire.
Ma questo è nulla. Chi dice libro satirico, dice libro immorale. Per sferzare il vizio con effetto, è d'uopo denudarlo; e questo non si può fare senza offendere in molti casi quell'ultima virtù delle persone corrotte, che si chiama il pudore.
Lettore: se tu sei, come non dubito, un libertino consumato da ogni più sozza libidine, dà retta a un buon consiglio: non andar più oltre—getta al fuoco il volumetto e riprendi la via del bordello. Un par tuo non deve guardarsi che dal vizio stampato—è la sola forma di vizio che può farti arrossire.
Ma tu non badi; mi pare anzi di scorgere ne' tuoi occhietti scintillanti di lussuria, che le mie parole non sortirono altro effetto fuor quello di eccitare ne' tuoi sensi un più vivo appetito di lettura.
Ti comprendo.
La tua è una pudicizia del miglior genere, la pudicizia di moda. Tu vuoi mordere al frutto proibito, assaporarlo, deliziarti clandestinamente dei sughi solleticanti; e darti poi l'aria di un Sant'Ermolao, affacciandoti alla finestra per gridare allo scandalo, come se alcuno avesse attentato a qualche tua recondita virtù, risparmiata in collegio dal precettore gesuita.
Va pur là, povero illuso! Ma bada che la mia immoralità non è di quella che ha virtù afrodisiaca. È la immoralità preadamitica che chiama le cose col loro nome che ignora le perifrasi vellicanti. Qualche cosa di nudo, di brutalmente nudo ti apparirà nelle mie pagine, ma i turgidi seni e l'altre peccaminose rotondità che io ti avrò messe innanzi, non ti daranno verun solletico ai sensi, e nessuna visione erotica verrà la notte ad agitare il tuo sonno.—Dei seni di stoppa, delle nudità angolose e grottesche, delle turpitudini che fan ridere.—Quale disinganno! Si può dare, per un libertinaccio par tuo, una letteratura più esecrabile? Un ascetico seminarista non ne caverebbe tanto lievito che bastasse al consumo de' suoi esercizi segreti. Dopo tutto (avverti bene), la barzelletta erotica non occupa un largo posto nel mio libro. Ciò che rende le mie satire diabolicamente pericolose è lo scetticismo di cui sono ammorbate. Scetticismo politico, scetticismo letterario, e—turati ben bene l'orecchio—scetticismo religioso.
Per indurti a bruciare il volumetto, dovrebbe bastarti questa dichiarazione, che nessuna istituzione divina o sociale, nessun sentimento, nessun principio, nessuna autorità è qui rispettata. Ma vi ha di peggio; nè credo esprimermi con una metafora troppo ardita affermando che i miei epigrammi sono una grandine di insulti scaraventata sui cosidetti uomini seri e universalmente stimati da un oberato che non ha più nulla da perdere. Animo! Provati a leggere, ma lagnati poscia di te solo, se allo svolger delle prime pagine, riceverai sul muso qualche grazioso complimento che avrà il sapore di una ceffata.
Dimmi un po': qual gusto puoi tu riprometterti dal sentirti cantare sulla faccia che in fatto di politica, per esempio, tu la pensi come un boricco; che il tuo liberalismo è una grulleria; che i tuoi grandi principi, le tue incrollabili convinzioni, sono una vacuità compassionevole?
Supponiamo. Uno de' tuoi maggiori vanti è quello di chiamarti patriota. Se qualcuno pretendesse dimostrarti che il tuo patriottismo è un assurdo; che l'orgoglio di patria fu in ogni tempo un fomite di sanguinose discordie o di orrendi massacri; che la pace e il benessere non potranno mai consolidarsi nel mondo, se prima dai dizionari e dalla mente dell'uomo non venga cancellato un tal nome—non ti pare che all'udire od al leggere tali enormità, il tuo sangue darebbe nell'acido e le tue funzioni digestive ne rimarrebbero alterate?
Supponiamo ancora:
Ti credi inviolabile per aver conquistato sul campo di battaglia il titolo di eroe, perchè qualcuno ti ha proclamato martire della patria. In verità, martire ed eroe sono due qualifiche onorevolissime; ma se io ti dicessi che queste non bastano perchè i galantuomini ti accordino senza riserva la loro stima; se aggiungessi che molti prodi e coraggiosi tuoi pari sono degni della galera; potrebbe coglierti una tal sincope da freddarti sul colpo.
Quali sono i tuoi principii politici?—Quand'io ti avrò dato un saggio dei miei, ti sarà forza convenire che fra noi non è possibile verun accordo. Vediamo! Sei tu democratico?—Lo sono anch'io, ma faccio voti perchè in Italia duri ancora, almeno per mezzo secolo, il regime monarchico costituzionale. Questo però non toglie che io reputi il regime costituzionale una ciurmeria non d'altro feconda che d'imbarazzi ai governanti e ai governati. Naturalmente, colla tua santa democrazia sul labbro, ti professi amico del popolo. Il buon popolo l'amo anch'io, ma non potrò mai associarmi a coloro che adulano con tal nome una mandra di pecore, perchè si lascino tosare senza mettere un belato. Non ho ancora capito quali differenze sostanziali esistano fra i consorti, i puri, i destri, i sinistri, gli intransigenti, i radicali, ecc., ecc. Sotto ogni bandiera militano dei bricconi in buon numero; e sono convinto che i radi galantuomi non hanno bisogno, per pensare ed agire rettamente, di inscriversi in una confraternita, la quale, o tosto o tardi, può diventare una camorra.
Da nessuna cosa maggiormente mi guardo che dall'espormi al contagio delle Associazioni. Mi pare che anche in politica il miglior partito sia quello di mantenersi libero pensatore; e tu sai bene, mio buon amico, che pensare liberamente significa veder nero ciò che gli altri vedono bianco, e viceversa.
Non sperare che io sia mai per trattarti con benevolenza e rispetto qualora tu fossi ministro, senatore, deputato, sindaco, prefetto, commendatore, cavaliere, infine, ciò che si suol chiamare un alto personaggio.
Basterà un bricciolo di senso comune per farti capire che non avendo io nè cariche, nè impieghi, nè titoli, sono dalla prepotenza degli istinti naturali condannato ad abborrirti. Dopo questo, come oseresti sperar grazia se tu fossi uno di quei mostruosi prodotti del diritto ereditario che si chiamano capitalisti o possidenti? Ciò che debba attendersi di ire e di contumelie un uomo che vive di rendita da un uomo che vive del far versi, molti tuoi pari mostrano di saperlo tenendosi scrupolosamente discosti dai libri e da chi li fa.
Perchè tu abbia a formarti un concetto preciso de' miei principii religiosi, questo solo ti dirò, ch'io fui educato in un seminario, vale a dire in un istituto dove non si fabbricano che dei bigotti e degli atei. Mentirei ignobilmente se affermassi di appartenere alla prima categoria. Non mi dichiaro ateo nel senso letterale della parola, ma siccome il mio Dio non assomiglia punto a verun di quei tipi da gran babbau inventati per far paura alla gente, così me lo tengo tutto pel mio esclusivo consumo.
Tu dirai che vi hanno degli atei i quali professano la più sana morale, ed io ne convengo; resta poi a vedere se quello che comunemente vien giudicato sano, non sia in qualche caso il più gran morbo del mondo.
Vi è una sentenza evangelica nella quale sembrano riassunti tutti i principî e i doveri della giustizia umana—Ama il tuo prossimo, nè fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te stesso. Sta bene. Ho sempre provato una grande soddisfazione nell'amare il mio prossimo; ma se questo mio prossimo è un suonatore di bombardone che mi disturba coi boati del suo istrumento il sonno e gli studi, non mi faccio verun scrupolo di mandarlo al diavolo e di esecrarlo cordialmente. Quanto al non fare agli altri ciò che non vorrei fosse fatto a me stesso, non troverei nulla a ridire se un tal precetto fosse rigorosamente osservato da tutti. Ma se alcuno mi lancia al viso una carota, o mi tende un tranello, o in qualsia modo mira a pregiudicarmi nell'onore o nella roba, credo compiere un atto di sana giustizia rendendogli pane per focaccia. Come vedi, la mia morale è ammorbata nella radice; pensa tu quali potranno essere l'albero ed i frutti.
In fatto di letteratura e di musica, tu sei forse uno di quelli che accettano per buona moneta tutto l'orpello delle nuove teorie. Ti vanti progressista, perchè sdegni l'arte schietta dei nostri buoni padri, e vai in estasi per ogni stravaganza generata dalla anemia o dal priapismo degli impotenti. Nemmen su questo ci può essere accordo fra noi.
Non credere che io disconosca le incessanti evoluzioni del pensiero umano. Ammetto che l'arte è soggetta a continue trasformazioni.—Da bravi! grido anch'io!—serviteci del nuovo! Ma badate che quand'uno ha fatto il palato alle pernici ed al barbèra, non gli si può far appetire, a titolo di novità, dei torsi di cavolo fritti, nè dargli a bere del sugo di barbabietole. Se il mio cuoco pretendesse riformare di tal guisa il servizio della mia mensa, pur tenendo conto delle sue buone intenzioni, gli lancierei nella schiena i piatti e le bottiglie.
Le trasformazioni furono spesso un pervertimento che segnò, nella letteratura e nelle arti, il principio della decadenza. Dopo Dante e Bocaccio, ottennero una effimera voga il cavalier Marino e l'abate Chiari; l'Arcadia impecorì tutto un secolo; le fiabe di Carlo Gozzi e i drammi sepolcrali dell'Avelloni soperchiarono per qualche tempo la buona commedia. La storia è là per dimostrare che il barocco, il puerile, il deforme può prendere quandocchessia il sopravvento nello spirito delle nazioni più colte. In tali casi è progressista chi reagisce. Ammirare tutto che si produce di stravagante e di laido per ciò solo che si discosta dall'usato, non è, come si pretende da taluno, incoraggiare il genio a tentare dei nuovi orizzonti; è favorire l'aberrazione, farsi compiici d'uno sfacelo.
Ti ho detto schiettamente come io la pensi in tale materia; a te, ora, l'imaginare quali possano essere i miei giudizî sull'arte che oggidì si va perpetrando in Italia. Questo solo aggiungerò, che ogni qualvolta mi avvien parlare di certi messeri da te probabilmente venerati quali precursori della grande trasformazione, mi vien sulla lingua un bruciore come di fosforo, e vorrei che ogni mia parola si convertisse in uno sbruffo di petrolio.
Ma io comincio ad avvedermi che vado sprecando la mia prosa senza costrutto. Uno spensierato che abbia speso due lire per l'acquisto di un libro, difficilmente si lascia indurre a gettarlo sul fuoco prima di averlo letto. Il proprio denaro ciascuno vuol goderselo; ed io so di molti ghiotti, i quali si assoggettarono a morire di indigestione piuttosto che lasciar sul piatto un bricciolo di vivanda ad un pasto di prezzo fisso.
Tal sia di te. Va pure innanzi, ingolfati nelle turpitudini e negli assurdi, guastati il sangue e il cervello, perdi la salute, getta l'anima al diavolo—buon padrone! Il mio dovere io l'ho compito; non ho più scrupoli nè rimorsi. Però, bada bene. V'è ancora nel mondo un gran numero di persone morigerate e prudenti, le quali stan ferme in questa massima, che comperare un libro sia un atto di rovinosa follia. Non è gente che abborra dal leggere; al contrario, leggon molto, leggon tutto—ben inteso, tutto quello che vien loro donato o prestato. Sono i parassiti della letteratura; il commercio librario non se ne avvantaggia gran fatto, ma se dessi cessassero dal consumo gratuito, l'Italia cadrebbe nell'idiotismo.
Mi preme che queste brave persone, tanto benemerite degli scrittori e degli editori, non sieno trascinate nell'abisso. Vorrai tu essere tanto iniquo da attentare alla loro pace ed al loro benessere? Leggere un libro proibito è una cattiva azione; ma diffonderlo gratuitamente, prestarlo a chi mai non si permetterebbe di leggerlo se ciò avesse a costargli la spesa di un quattrino, sarebbe veramente un obbrobrio.
Tu non vorrai coprirti di una macchia sì vituperevole. Io te ne supplico, pel bene dell'anima tua, per la prosperità non mai crescente delle così dette belle lettere, per le lacrime de' miei editori. Giurami che a nessuno mai—neanche alle più belle e svenevoli signorine di tua conoscenza—sarai per cedere a prestito il peccaminoso libricciolo. A tal patto, ed anche in considerazione delle due lire che hai spese, io ti assolvo dall'interdetto, e prego Iddio di infonderti quello spirito di tolleranza, che accoppiato al buon senso, paralizza il danno di ogni cattiva lettura.
Pagnottisti,
Metodisti,
Wagneristi,
Preti tristi,
Affaristi,
Camorristi,
Giornalisti,
Son d'Italia gli Antecristi.
—Che di nuovo in politica?
—Tutti i ministri in massa
Minaccian di dimettersi….
—Non v'è più un soldo in cassa?
Consunto al gioco e in femmine
Degli avi il patrimonio,
Ieri moría di sincope
Il cavalier Landonio;
Niun pianse allor che il lùgubre
Caso in città fu noto;
Solo gli eredi in lacrime
Dicean: lasciò un gran vuoto!
Per esser buon scrittore
Voglionsi ingegno e cuore;
Non t'impancare a scole,
Non pensar come vuole
La moda; scrivi quello
Che ti detta il cervello;
Sii naturale, schietto,
Onesto—e sarai letto
La vera sintesi
Dell'età nostra
Con breve distico
Qui si dimostra:
«Tutto si compera,
Tutto si vende,
E carta sudicia
Per ôr si spende.»
Era stimato un tanghero;
Il mondo alfin s'è accorto
Ch'egli era un uom di merito;
Che fece ei dunque?—è morto.
Odo ripetersi
Da molte parti
Ch'oggi in Italia
Risorser l'arti.
Risorte fossero
Al par di Cristo
Che andò alle nuvole
Nè più fu visto?
Perchè al monte Parnaso
Bazzicavano i vati
Nelle remote età?
Fosse quello per caso
Un monte di pietà?
Davver son gentili, davver son garbati
Codesti bïografi dei genii passati!
Se mutan le frasi per far dell'effetto,
Se variano i nomi, tal sempre è il concetto:
«È morto Guerrazzi, è morto Manzoni;
Non restan più al mondo che ciuchi e birboni.»
Se questo strepito,
Questo Dies iræ
Sarà la musica
Dell'avvenire;
Ai nostri posteri
Almeno accordi
Iddio la grazia
Di nascer sordi!
Morì un pöeta; accorrere
Al funeral tu vedi
La città intera; mancano
solo al cortéo gli eredi.
Per ragioni politiche
Venezia abbandonasti;
Or che Venezia è libera
Perchè non vi tornasti?
Temer non puoi dell'Austria
Gli insulti ed i rigori;
Non son partiti i barbari?….
—Restano i creditori.
I questurini abbomini,
Odii i carabinieri—
L'alte ire tue dividono
I ladri e i barattieri.
Con stolta boria
Spesso tu dici:
«Tutti mi onorano,
Non ho nemici»
Ben altri, o Gellio,
Sono i miei vanti;
Me in massa abborrono
Ciuchi e furfanti.
La pena di morte
Vorresti abolita,
Esecri il supplizio
Del carcere a vita….
Mitezza tu chiedi
Pei ladri più abbjetti;
Tu certo prevedi
Qual fine ti aspetti.
Musiche incomprensibili
Scrive su versi orribili;
Oh! chi è costui? scommetto
Che è socio del quartetto.
Fine alle chiacchere!….
Dorina, attenta!….
Dramma nuovissimo
Si rappresenta….
S'alza il sipario….
—Basta! ho capito….
La donna è adultera,
Becco il marito.
Son le tue dotte critiche
D'arte e di scienza un codice,
Per non scordarle, o Gellio,
Tutte le imprimo al podice.
Un uom che prende moglie
L'imagine mi dà
D'un inter che diventa una metà.
—Crivellato dai debiti tu sei,
Pure, ti veggo, Asdrubale,
Sempre gaio e contento.
—Perchè allarmato e triste esser dovrei?
Di penoso nei debiti
Non v'ha che il pagamento.
Sempre si lagna,
Poco guadagna,
Nulla ha studiato,
Fa il letterato;
Ottimo arnese
Da Polizia!
Eccellentissima
Stoffa da spia!
Dieci giornali pubblichi;
Editor benemerito
Ti acclama ogni preterito.
Nell'universo
Regnò sovrana
Fin che fu musica
Italïana;
Volle esser musica
Cosmopolita,
E allor d'Italia
Non è più uscita.
Si può?—Avanti!—Signore….—Che bramate?
—Il saldo del mio conto—Favorite
Di aspettar qualche mese—Mi celiate!….
Non voglio più aspettare—Allor…..partite
Audace, libera,
Indipendente,
Di giogo indocile
È la tua mente….
A chi ne dubita,
A chi nol crede
La tua grammatica
Ne può far fede.
—Il mio core è sempre giovane
Non mel credi?—Sì…. tel credo….
Ma…. che vuoi? Pur troppo, o Clelia,
Sol del cor l'astuccio io vedo….
E l'astuccio, o dolce amica,
È di pelle troppo antica.
Tutti plaudiscono?
L'illustre critico
Sarcasmi biascica,
Le ciglia aggrotta.
Tutti sbadigliano?
L'illustre critico
Esclama in estasi:
«Musica dotta!»
Lavorò settant'anni;
Vecchio, pien di malanni,
Dalla miseria afflitto,
L'umile sottoscritto
Nella carità pubblica
Solo or confida, e spera
Che l'ospizio dei cronici
Lo accolga, o la galera.
Dalle nuziali soglie
Ieri fuggia tua moglie….
E contro Lui ti irriti!
E piangi…. o imprechi a Lei.
Pensa a quanti mariti
D'invidia oggetto sei!
RAFFRONTO STORICO
Se il ver narrarono,
L'oche strillando
Un dì salvarono
Il Campidoglio;
I nuovi pàperi
Cianciando, urlando,
Fan dell'Italia
Barbaro spoglio.
A Recöaro, a Lévico,
In voluttà fastose
Smorzan la febbre isterica
De' Semidei le spose;
E mentre ai balli sciupano
Le fibre e il lusso infame,
Geme dai folti strascichi
Del popolo la fame.
A GELLIO MALATO
Sovente udiam ripetersi
Dai funebri oratori
Che i buoni, i giusti muoiono
E restano i peggiori;
Di tal sentenza, o Gellio,
Quanto tu dei gioire!
Morbo crudel ti logora,
Ma tu non puoi morire.
Nel paësel, gli artefici
Del ferro e della seta
Me per le vie salutano
Col titol di poeta;
Insigne omaggio in patria
Davvero a me vien fatto!
Poëta pe' miei villici
Sinonimo è di matto.
È morto il medico
Dell'ospedale,
I preti adunansi
Pel funerale;
Degli ammalati
Ch'egli ha curati
Perchè alle esequie
Niuno è venuto?
—Ahi! tutti quanti
L'han preceduto!
Ei con tua moglie giacque,
Lo sorprendesti in letto,
Da ciò una sfida nacque,
Fosti ferito al petto.
Del düello la fama
Volò pel mondo; ed ecco,
Ei gentiluom si chiama,
Tutti te chiaman becco.
Perchè ad eccelse cariche
Tu di salir sii degno
Anzianità domandasi
Non scienza o illustre ingegno.
Forse che gli anni mutano
Ad un cervel le tempre?
Quelli che nacquer asini,
Asini restan sempre.
Cani, scoiattoli,
Gatti, cavalli,
Marmotte e scimmie
Soglio ammirar;
Gli storni abbomino
E i papagalli
E l'altre bestie
Che san parlar.
In questo mio libretto
Avrai, te lo prometto,
Caratteri, passioni,
Ardite situazioni….
Però, bada, o maëstro,
Che qui non troverai
L'arte, la scienza, l'estro
E il genio che non hai.
Ai tempi andati,
Ognun credeva
Che fosse bello
Ciò che piaceva.
Per chi la fama
Di dotto ambisce
Or, bello—è quello….
Che niun capisce.
Da un anno don Peppino
Non legge che giornali….
C'è da stupir s'ei diventò cretino?
In un tuo libro hai detto
Che il mio stile negletto
Manca di forbitezza e venustà;
Il tuo libro comprai—mi forbirà.
Uom senza core!
Dieci ragazze
Per te d'amore
Divenner pazze….
Lisa ingannasti,
Tecla hai tradito;
Or ti ammogliasti….
Dio t'ha punito!
Nei collegi governati
Dai famosi Ignorantelli
Gravi scandali son nati,
Ne è mestier ch'io ne favelli.
Se alle falde del Cenisio
Si applicassero costoro,
Senza spese e senza macchine
Compirebbesi il traforo.
Come hai bramato,
Caro avvocato,
Sei deputato,
Ed or, cianciando,
Barcamenando,
Carracolando
Sovra gli scranni
Destro e sinistro,
Va!…. fra dieci anni
Sarai ministro!
«Buon padre, buon fratello,
«Buon figlio, ottimo sposo,
«Onesto, generoso,
«Model d'ogni virtù….»
Tal suona il panegirico
Sempre a chi muor; sol questo
Di lui diran: fu onesto
Dall'ombelico in su.
—Da tre giorni è partita
Tua moglie, e piangi ancora!
Rischia salute e vita
Chi troppo si addolora.
—Al mio cordoglio immenso
I conforti son vani;
Partita ell'è…. ma penso
Che tornerà domani.
Fabio: alla tua gran voce
L'Italia ha reso omaggio;
Sei cavalier—la croce
Avrà il mio ciuco in maggio?
Piace un dramma a Milan…. cade a Firenze;
Fischia Venezia…. plaudirà Torino.
Variano i gusti, varian le sentenze
Del pubblico cretino.
Flavio maestro chiamasi,
Dunque: perchè fa il critico?
—Flavio fa atroci musiche.
Sandro pittore nomasi;
Dunque: perchè fa il critico?
Sandro fa sgorbi orribili.
Tullio poeta vantasi;
Dunque: perchè fa il critico?
Tullio è poeta pessimo.
In base a tali esempi,
Definirei la critica:
Arte o mestier da invalidi.
Il prete don Natale
Si vanta liberale.
Onde fede io gli presti
Smetta la negra stola;
Or smentiscon le vesti
La liberal parola.
Il partito moderato,
A tuo dir, molto ha mangiato
Alla greppia del poter;
Io tel credo, e sarà ver.
Pure, o Crispo, il tuo partito
Dà tai segni di appetito,
Che se un dì il potere avrà,
Quel che resta mangierà.
S'ode una nuova musica?
Gridan: non è Rossini!
Sei buon scultor? ti oppongono
Canova o Bartolini.
Non è Manzoni! esclamano,
Se un bel romanzo scrivi;
—Gli illustri morti servono
Ad accoppare i vivi.
«Passione maledetta!
Moglie: quel libro getta!
Vi apprenderesti cose
Orrende, obbrobrïose….»
—Oh! che ti frulla in mente?
Questo torto non farmi;
Il libro è un po' indecente
Ma nulla può insegnarmi.
Guai se legge la mia Clara
Questo libro abbominato,
Questo libro ove s'impara
La malizia ed il peccato!
Da un romanzo sì perverso
Ella apprendere potria
Come e quanto io son diverso
Dal marito di Sofia!
Alla Voce del popolo
Mando gli auguri miei;
Pur non credo al provverbio
Vox populi, vox Dei.
Recenti e antiche istorie
Mostran che suol tal voce
Spesso Barabba assolvere
Per metter Cristo in croce.
Sulle tue prime liriche
Domandi il voto mio;
Bravo! pur che sien l'ultime,
Batto le mani anch'io.
Per farti degno
Del paradiso
Il tuo rabbino
T'ha circonciso;
Appena io nacqui,
Dal mio curato
Per l'ugual causa
Fui battezzato;
Senza battesimo,
Predica il prete,
Nel regno eterno
Non entrerete!
Grida il rabbino
Con ugual zelo
Che col prepuzio
Non si va in cielo.
E finchè il mondo
Sarà cretino
Avran ragione
Prete e rabbino.
Quando in Italia i martiri
Pendevan dai patiboli,
Festi il mestier dell'esule;
Oggi l'Italia è libera,
Sai che i giurati assolvono;
Rischia il mestier del martire!
Una gentil signora
Che i letterati adora,
Ieri, nel congedarmi,
A me parlò così:
«In ogni giorno ed ora
Venite a visitarmi;
Gli altri imbecilli vengono
Soltanto al lunedì.»
Il tuo giornale, o Gellio,
Oggi ti rimandai;
La carta è troppo fragile
Per…. l'uso che tu sai.
Turpi i miei libri, e questo
Racconto insulso e gramo
Che tanto m'ha seccato,
Si chiama un libro onesto!
Libro furfante! esclamo:
Tre lire m'ha rubato.
Sotto la monarchia
Gabrio è ruffiano e spia;
Sotto il governo—repubblicano
Che sarà Gabrio?—spia e ruffiano.
Quando d'una effemeride
Tu imbratti le colonne,
Presumi invan nasconderti
Nel vel di un Ipsilonne.
A ognun che il testo esamini
Subito si rivela
Che all'ombra del pseudonimo
Un asino si cela.
—Come è andato il veglione
Ier notte?—Assai giocondo….
Di maschere e persone
Sul tardi c'era un mondo;
Credo (tanto al mattino
Stipata era la festa)
Che vi fosse perfino
Qualche persona onesta.
—Poco mi resta a vivere….
—Che parli tu…?—Lo sento….
Troppo ti amai…. le viscere
Mi strugge un morbo lento….
All'obliato cenere
Di lacrime e preghiere
Qualche tributo, o Eufrasio,
Darai…?—Con gran piacere!!!
Di tutto parla
E nulla sa…
Al Parlamento
Trionferà.
Molto studiò; pur, Flavio
Fu sempre un ciuco—Io penso
Che, entrandogli nel cranio
La scienza, uscì il buon senso.
—Padre…. al venerdì santo….
Commisi un gran peccato….
Mangiai un…. uovo—O scandalo!
Va!… va! tu sei dannato!…
Io…. ch'ebbi dal Pontefice
L'indulto, in quel dì istesso
Non mangiai che una folica….
Ed un branzino a lesso!…
Quattro milioni valgono
I vasti tuoi poderi,
Quasi altrettanto valgono
Le ville ed i manieri;
Ingenti somme valgono
I mobili, gli arredi,
Le molte gemme, i fulgidi
Cocchi che tu possiedi;
Valgono i bovi, valgono
Le scope ed i pitali….
Tu solo, in tal dovizia,
Gabrio, tu nulla vali.
Se a piè mi incontri, o Gabrio,
Meco a parlar ti fermi,
Se al corso in cocchio transiti,
Fingi di non vedermi.
Io, più cortese e amabile.
Dalla pedestre folla
Ti grido ognor con enfasi:
«Addio, superba chiolla!
Ho letto in qualche libro, e intesi dir da molti
Che gli uomini di ingegno fanno i figliuoli stolti;
Di parlar teco, o Gellio, se a qualcheduno accade,
Che tuo padre era un genio tosto si persüade.
Veggo che in molti opuscoli
E libri si censura
Chi chiamò il matrimonio
Nodo contro natura.
Perchè, fra gente seria,
Fra legisti e curiali,
Solo i figli illegittimi
Si chiaman naturali?
Dì: quei capelli
Sì folti e belli;
Clelia, que' denti
Bianchi e lucenti,
Quel nuovo petto
Che hai nel corsetto,
Quanto han costato?
—Tutto ho comprato
A prezzo onesto
Vendendo…. il resto.
Non ti nomai; d'un asino
Scrissi, tu ti offendesti.
Nei versi miei specchiandoti
L'effigie tua vedesti?
Ogni giorno si confessa;
Se ogni notte la contessa
Non facesse un po' all'amore….
Che direbbe al confessore?
L'autor del Rigoletto, scrivendo ad un amico,
Disse: è ben che i maestri ritornino all'antico.
Certi nuovi spartiti, che infatti hanno un tal merito,
Non vedran l'avvenire, vedran bensì il preterito.
Fuori dal Parlamento,
Fra noi dell'umil schiera,
Per falso giuramento
Si può andare in galera—
Al Senato, alla Camera
Miglior sistema è invalso….
Ivi per molti è titolo
D'onor giurare il falso.
Eroi, eroi!
Che fate voi?
—Voi massacrate,
Assassinate,
Voi desolate
Borghi e città;
Un vil bifolco
Che suda al solco,
Val più di voi,
Birbe di eroi!
Tutti oramai son editi
I tuoi capolavori;
I torchi più non gemono,
Gemono gli editori.
Dì quel che gli altri dissero,
Fa quel che gli altri han fatto;
Chi papagallo o scimmia
Non è, pei volghi è un matto.
Allor che al mondo annunziasi
Qualche molesto evento:
«Oh! il dito dell'Altissimo!»
Sclamar dai preti io sento.
D'un prete la Perpetua
Ier l'altro ha partorito…,
A compier tai miracoli
Di Dio bastar può il dito?
Su per giù, nasceranno
In Italia cinquanta-
Cinque spartiti ogni anno…
Ne muoiono sessanta.
Gellio: se non ti avessero
Eletto a deputato,
Col titol di onorevole
Chi mai ti avria chiamato?
Se muore un uom grande
Per senno e valor,
Nell'aria si espande
Immenso fragor.
Son genî incompresi,
Son piccoli eroi,
Son nani che gridano:
«I grandi or siam noi!»
Di Wagner la grand'opera
(Oh evento fortunato!)
Tutti fra poco udranno—
E l'avvenir fra un anno
Si chiamerà il passato.
Al Congresso operaio
Andò il mio calzolaio.
Io colle scarpe rotte
Rimasi; il buon Crispino
Brïaco l'altra notte
Tornò senza un quattrino.
—Dirmi oserete adesso
Che inutil fu il Congresso?
In volto audacemente io ti guardai;
A ragione, Giacinta, ti offendesti….
Se guardata nessun ti avesse mai,
Fama di bella avresti.
Grazie, o Signor! di un pargolo
La casa mia si allieta;
Fa ch'egli cresca incolume,
Fa ch'ei non sia poeta!
Se poi delle tue grazie
Colmar lo vuoi, Signore:
Fa ch'ei sia sempre un asino
Ma ragli da tenore.
A mensa divorando
Con gagliardo appetito,
Così parlava Eugenia
Al burbero marito:
«Come felici siamo!
«Dimmi: non ti consola
«Pensar che noi formiamo
«Due corpi e un'alma sola?»
—Se un corpo solo avessimo,
L'altro rispose, appieno
Sarei felice, o Eugenia;
Mi costeresti meno.
Narran le antiche cronache
Che un pazzo imperatore
Al suo cavallo il titolo
Donò di senatore.
Qual meraviglia? Ai facili
Tempi che venner poi,
Forse più eccelsi titoli
Non ebber ciuchi e buoi?
Su questo cencio ignobile
Che ha titol di Rivista
Sputò la bava sordida
Un rospo giornalista;
Qui con oscene ingiurie
Quel sozzo ordì i ricatti;
E con tal foglio il podice
Credi forbir? lo imbratti.
Fra le bestie bovine del paese
Ha nello scorso mese
Una peste terribile infierito;
Per tema del contagio
Il Sindaco è fuggito.
Che brava gente! A leggere
Le scritte, esclameresti:
«Color che qui riposano
«Tutti eran probi e onesti!»
Pur, se dall'urna sorgere
Potesse alcun, senz'armi
Col portafoglio in tasca
Qui non vorrei trovarmi.
In Dio non crede,
In nulla ha fede,
Pur, don Natale
È clericale.
Che mai lo lega
Alla congrèga
Turpe e nefasta?
—È pederasta.
Troppo imprecasti contro i venduti;
Di tema, o Flavio, perchè non muti?
Qualcun già mormora che sii sdegnato
Perchè nessuno t'ha mai comprato.
La gente uscia dall'atrio,
Il dramma era finito:
—Come i teatri annoiano!
Sclamava un buon marito;
Di becchi e donne adultere
Sempre la scena è invasa;
A tali drammi assistere
Tutti possiamo in casa.
Tutti lodarono
I tuoi sonetti;
Prova certissima
Che niun li ha letti.
Ad una signorina
Amabile e garbata
Dissi: Pasqua è vicina….
Vi siete confessata?
Ed ella: al rito santo
Ci andrò, ma all'ultim'ora;
Spero di fare intanto
Qualche peccato ancora.
Perduto il titolo di deputato,
Ex-onorevole fosti chiamato—
Ma chi in gran conto non t'ebbe prima,
Quasi onorevole oggi ti stima.
Morì l'Osservatore
Organo dei rétrivi….
Qual lutto per l'Italia!
I redattor son vivi.
Ier, sotto i forti,
Grande macello….
Sei mila morti….
Il tempo è bello.
Bombardamento
Ricominciato….
Morti seicento….
Dio sia lodato!
Oggi, gelati
Mille soldati….
Sano son io….
Sia lode a Dio!
Lui grande al par di Cesare,
Quando reggea l'impero,
Lui vinto, infame dissero
E stolto avventuriero;
Giudicheranno i posteri
Qual fu Napoleone;
Ciò che fin d'or si giudica
È il secolo buffone.
Che fai? ti arresta, o Clelia!
Già deponesti i crini….
Sciolti dal fianco caddero
I vasti crinolini….
Il sen ricolmo e turgido
Già sparve col corsetto….
Se ancor ti spogli, o Clelia,
Che porterai nel letto?
Dio! come l'aria è rigida!
Il capo al vento immite
Se ancor tu esponi, o Gellio,
Puoi prendere un'orchite!
Contro il sistema della cremazione
Protestano con ira i collitorti
I gesuiti ed i preti retrivi;
Noi non cremiam che i morti,
La Santa Inquisizione
Preferì sempre di cremare i vivi.
Già della Prussia
Tutti i soldati
Sotto Parigi
Stanno accampati….
Già dell'assalto
Suonata è l'ora….
E la repubblica
Non soffia ancora?
L'esame di botanica
Subiva uno studente.
So, il professor dicevagli,
Ch'ella ha studiato niente;
Un quesito assai facile
Proporre a Lei vogl'io:
Con qual seme propagansi
Le zucche?—E quei: col mio.
Un professor di storia naturale
Per schernire agli esami uno scolaro,
Gli chiedeva con aria magistrale:
«Sa dirmi quante gambe abbia il somaro?»
E quei: «mi è d'uopo in pria veder le sue»
Sotto il tavol guardò, poi disse: «due.»
All'urne accorrete,
Nessuno si astenga!
Però, riflettete
Se più vi convenga
Aver deputati
Già sazi e contenti,
O i nuovi affamati
Che affilano i denti.
—Tre volte Enzo è fallito,…
Or dimmi: come avviene
Che un tal lusso mantiene?
Davver, ne son stupito!
—Le son domande stolte;
Per farsi millionario
Non sai che è necessario
Fallire almen tre volte?
Studiar conviene
Poco, ma bene.
Or, che si studia
Di tutto un po',
Chi nelle pubbliche
Scuole fu istrutto
Può dir: «so tutto,
Ma nulla so.»
Dal freddo assiderato
Un vecchio gentiluomo
Giaceva sul selciato
Della piazza del Duomo.
—A tal ridotto siete!
Diss'io, di terra alzandolo;
Un tetto non avete?
—L'avea; stan riparandolo.
Aprile al termine
Già volge; e piove,
Nevica, grandina
Orribilmente.
Non v'è più dubbio:
Mite e benefica
La Russia muove
Verso l'Oriente.
Si vuole da molti
Che sempre la guerra
Prepari alla terra
Più fulgide età.
Già in arme ai bivacchi
Stan turchi e cosacchi….
Dal knut e dal palo
Qual luce uscirà?
Se per lo stil sol vivono
I libri, i miei morranno;
I tuoi volumi, o Gellio,
Eterna vita avranno.
Così fia noto ai posteri
Fin del mio nome ignari
Che visse al nostro secolo
Un asino tuo pari.
Tanto il tuo viso è sudicio
Di polveri, di intonachi,
Di lisci, di cosmetici,
Di esotici saponi;
Che al corso jer scontrandoti,
Io t'ho scambiato, o Clelia,
Per un avviso mobile
Dell'Agenzia Manzoni.
Ieri cadean malati
Sindaco e segretario;
Oggi son risanati….
Chi fu il veterinario?
Alle abusate adultere
Oggi le Messaline
Sulla scena sottentrano
Con Cleopatra e Frine…
Di nome il palcoscenico
Ove tai donne han stanza
Mutar dovria, chiamandosi
Casa di tolleranza.
Di sedere alla Camera
Ambiscon molti, e anch'io
Al nobil desco assidermi
Non sdegnerei, perdio!—
L'impiego, a ciò che dicesi,
È poco profittevole;
Ma ivi l'onor puoi perdere
Serbandoti onorevole.
Allor che predichi
Dal tuo giornale
Tanta morale,
Veder mi pare
Un vecchio satiro
Dai peli grigi
Che al lupanare
Fa il panegirico
Di San Lüigi.
—Buon dì, Clelia!—Ben giunta…!
—Quali nuove?—Il Gualtieri
È morto—Quando?—Jeri….
—Ventisei…. qual disgrazia!—A dodici ore….
—Quanti anni avea?—Trentotto….
—Peccato! era un brav'uomo….
Dodici…. ventisei…. bel terno al lotto…!
Strano vocío dagli ùteri
Uscia: «noi siam poeti….
Noi siam dell'arte i genii…
Largo agli illustri feti!
Le eccelse vie si sgombrino
Alla divina prole!
Notte voi siete e báratro,
Noi vi rechiamo il sole»
—Iddio vi assista! e plausi,
E gloria al mondo avrete;
Ma prima, questa grazia
Fateci almen: nascete!
—Desiderasti mai la donna d'altri?
È un orribil peccato
Diceva al penitente un buon curato.
—Io!… la donna degli altri!… qual follia!
Cederei volentieri anche la mia.
Di te qual avvi, o Flavio,
Uom più felice al mondo?
Tu ricco sei, tu nobile,
Tu grasso e rubicondo:
Odio giammai nè invidia
A te recò molestia;
Tu già tre volte sindaco,
Tu cavalier, tu…. bestia.
Il tuo stil, ne convengo, è assai purgato;
Pure, ogni volta che i tuoi libri ho letti,
Per non cader malato,
Purgarmi anch'io dovetti.
I giornalisti all'àgape
Fraterna convenuti,
L'uno all'altro ricambiansi
I brindisi e i saluti.
L'ire gelose e gli odii
In amistà si cangiano….
—Sazio han davver lo stomaco;
Fra lor più non si mangiano.
Con frasi tolte a prestito
Tu l'opere componi;
Opere invan le intitoli,
Non son che operazioni.
Morì Vittorio; al lugubre
Annunzio, il popol tutto
Segni di immenso lutto
Pel Sire estinto diè;
E ognun cogli occhi in lacrime
S'udia sclamar stupito:
«Fenomeno inaudito!
«Fu galantuomo e Re!»
Per le inserzioni—a pagamento
La quarta pagina—hai destinata.
Perchè da tutti—ripeter sento
Ch'è di tue pagine—la men pagata?
Morto (d'inedia forse)
È un povero Travet—nè alcun si accorse
Del suo morir…. nè v'ha più chi lo nomini;
Pure, anch'egli era il Re…. dei galantuomini.
Colla dote della moglie
So che i debiti pagasti,
Ma sposandoti incontrasti
D'ogni debito il maggior.
Ieri, un calligrafo,
Per quel che ho udito,
D'equestre titolo
Venne insignito;
Nessuno in dubbio
Vorrà più mettere
Che or si proteggano
Le belle lettere.
—Perchè non paghi i debiti
Mutata è la tua sorte,
Tutti san che ricchissimo
Ti fe' d'un zio la morte.
—S'io pagassi, direbbero
Che col cangiar del fato,
Come gli stolti sogliono,
Anch'io mi son cangiato.
«Dalla miseria
«Consunti siamo»
Gridano i popoli:
«Pan non abbiamo!»
Ed ecco provvido
Giunge un decreto:
«Chi ha fame nutrasi
Coll'alfabeto!»
Scioglimi un dubbio alfine:
Lèvati il falso crine;
Vediam se ancor ti resta,
O Clelia, un po' di testa!
Vogliam raccomandare
Il Vero, un pio giornale,
Organo, a quel che pare,
Del clero liberale;
Gratis a chi lo chiede
Lo mandan per la posta,
E già fin d'or si vede
Che vale quel che costa.
Dalle nuziali soglie
Ieri fuggia tua moglie….
E contro Lui ti irriti!
E piangi…. e imprechi a Lei!
Pensa a quanti mariti
D'invidia oggetto sei!
Era, fa un mese appena, il tuo giornale
Organo del partito moderato;
Progressista or divenne e liberale….
Ai mantici qualcuno ha riparato?
Maestro: alle tue musiche
Crescer dovresti il prezzo….
Col metro misurandoti
Formi un maestro e mezzo.
È morto il Sindaco….
Ahi! fiero evento!
Presto! innalzategli
Un monumento!…
O del suo genio
Nella città
Doman più traccia
Non resterà.
Diva è la Patti, e attestanlo
I molti suoi miracoli
Veramente incredibili
E sopranaturali….
Ieri, se il ver narrarono,
Il giornalista Gellio
Dopo un lustro di proroghe
Pagò quattro cambiali.
Rasa la testa, raso
Il mento ha don Tomaso;
Tutto, quest'uom del cielo,
Sul cor serbato ha il pelo.
Membro dell'Accademia,
Membro del club artistico,
Membro dell'onorevole
Consesso giornalistico,
Membro al comizio agricolo,
Membro dell'Ippodromo….
Che sei tu dunque, o Gabrio?
Che sei? Un membro o un uomo?
I bimbi ai vecchi gridano:
«Dell'arte antica voi
«Siete le illustri mummie,
«E l'avvenir siam noi!»
Nè questi genii in fasce
Pensan che l'avvenire
Non spetta a ognun che nasce,
Ma a chi non dee morire.
Della morte il pensiero
Non mi sgomenta affatto,
Già del grande mistero
L'esperienza ho fatto;
Mai non mi sono accorto
Del nulla mio profondo,
Pure fui sempre un morto
Pria di venir nel mondo.
Dicendo mal di tutti, il vero espressi
Lassù nel mondo; se parlar potessi,
Pietoso passeggier, ora direi
Ogni bene di te, ma…. mentirei.
[1] Io abborro i Wagneristi. Non ch'io disconosca i molti pregi della musica di Wagner. Ammiro quant'altri il genio dell'autore del Lohengrin e del Thannauser, ma ritengo esiziale ai giovani musicisti italiani seguire le sue orme, peggio che esiziale imitarlo nelle stravaganze e nei difetti. L'arte wagneriana è un abisso che attrae, ma è pur sempre un abisso. Il caos musicale che ora si è fatto in Italia è dovuto ai seguaci, agli insegnatori, agli ammiratori di una scuola che è il principio di un mostruoso abberramento.
[2] Accade sovente di leggere nelle commemorazioni necrologiche la frase seguente: «insomma egli era sì onesto, sì buono, che non ebbe mai un nemico.» Se qualcuno nel giorno delle mie esequie venisse a recitarmi sulla fossa, un complimento di tal genere, vorrei che i becchini gli menassero tra il capo e la schiena quattro buoni colpi di zuppa, tanto da insegnare a tutti gli oratori da camposanto che un peggior insulto non si può fare alla riputazione di un galantuomo. «Non aveva nemici!… Ma era dunque un grand'asino, questo povero morto!…» Tale sarebbe o dovrebb'essere il commentario di ogni persona di buon senso.—Hai tu conosciuto degli uomini di mente e di cuore (non ti parlo dei grandi pensatori, dei celebri artisti, degli illustri capitani, ecc., ecc.) i quali, per poco abbiano studiato o lavorato a vantaggio o servigio dei loro simili, non siensi tirati addosso una tempesta di odii e di inimicizie? Non basta forse che uno emerga dal comune per qualche favilla di intelligenza, per qualche dote speciale del cuore, perchè il mondo lo faccia scopo di rancori, di odii e di persecuzioni? Per farci benvolere da tutti, bisogna esser nati cretini, o avendo sortito dalla natura un po' di ingegno e di cuore, comportarci di tal guisa che nessuno mai abbia ad invidiarci.
[3] Le Società del Quartetto sono un'ottima istituzione; ma in Italia non hanno prodotto verun utile risultato. A Milano il Quartetto venne iniziato da un nucleo di letterati e musicisti pretenziosi, i quali da bel principio ne profittarono per mettersi in mostra. Ai concerti intervenne, per moda, la così detta fine-fleur della società; là si cominciò a parlare di arte aristocratica, di grand'arte, ecc., ecc.; là si crearono i primi entusiasmi artifiziali, si organizzarono le camorre, si inventarono i genii dell'alta scuola. La Società del Quartetto divenne a Milano il sabba classico dei musicisti convulsionarii. Molte dame isteriche si videro finger l'estasi e la catalessi per una suonata di Beethowen. Si cominciò a parlare con schifo della musica italiana; si chiamarono volgari Rossini e Verdi—e furono poi stampati e portati a cielo dalla haute-claque dei versi e delle musiche cui non mancherà l'applauso dei posteri, se i posteri vorranno essere, come da molti si spera, più cretini di noi.
[4] Se avete moglie; se dessa è una di quelle donne eccezionali che, uscendo da onesta famiglia, recano nel domicilio coniugale i propositi della virtù e della fede—una di quelle donne volgari, stupide, antidiluviane, alla cui felicità può bastare l'affetto del marito e dei figli—se, in una parola, vostra moglie fosso tanto sciocca da amarvi e viver paga del vostro amore; non vi è che un mezzo onde voi possiate educarla in guisa che ella si renda degna di mettersi a pari colle dame del buon genere. Obbligatela ad un corso di rappresentazioni drammatiche al Manzoni o in altro teatro dove si recita la buona commedia. Dopo venti o trenta serate di tal regime, vi prometto che ella comprenderà perfettamente di esser stata una gran bestia ad appagarsi di voi, e quando meno ve lo aspettate, verrà a declamarvi sul muso l'apologia dell'adulterio. Una donna onesta null'altro può imparare alla scuola del teatro moderno.
[5] Qualcuno bramerà sapere chi sia questo Gellio, al quale sono indirizzati molti de' miei epigrammi. Dirò: Gellio non è un individuo, sibbene il riassunto di molti individui. È un composto di asino e di briccone; di asino che sa scrivere, di briccone che ha l'aria di gentiluomo; sono tipi che abbondano. Io n'ho visti e praticati parecchi, e spero che picchiandone uno, la battitura venga sentita da molti.
[6] In un mio recente viaggio lungo la penisola, soffermandomi in certi gabinetti che non è bello nominare, ho dovuto convincermi che l'incarico della decenza pubblica e privata oggidì viene esclusivamente affidato ai prodotti della stampa periodica. In molti casi, sono due imbratti che si incontrano.
[7] In seguito alle perquisizioni praticate a Parigi l'anno 1871 negli Uffici della Comune, venne trovata la seguente lettera, diretta da Giulio Vallés al cittadino Protot:
«Mio caro amico,
«Considerando che la più parte de' miei impiegati scrivono il francese come altrettanti conduttori d'omnibus
«Considerando che la grammatica è il più grande dei pregiudizî, la più stupida delle convenzioni stabilite dalla antica tirannide, ecc. ecc.
«La Comune di Parigi decreta:
«Il libro di Vöel e Chaptal, intitolato Grammatica francese, non verrà più insegnato nelle scuole del Governo, essendo volere della Comune che tutti i cittadini dello Stato sieno liberi di esprimere le loro idee come loro talenta meglio.
Si comprende come in Italia non pochi giornalisti parteggiassero e parteggino ancora pel liberalismo dei Comunardi.
[8] Le scandalose intraprese del padre Theöger direttore di un collegio di ignorantelli; le prodezze altrettanto laide che valsero al Padre Ceresa un processo ed una grave condanna, o i frequenti casi congeneri che si sviluppano ogni giorno da altri istituti maschili governati dai molto reverendi, non valgono a dissuadere certi padri e certe madri dal gettare in balìa di tali educatori i loro figli giovinetti. Questi padri e queste madri, leggendo il mio epigramma, lo chiameranno indecente; io ritengo più indecente la loro condotta. Essi diranno che i loro figli si guasterebbero il cuore a leggere i miei otto versi; io ripeto, che in un collegio di barnabiti o di gesuiti accadrebbe loro di guastarsi…. il cuore e tutto il resto. Ma pare che certi parenti il resto lo contino per nulla.
[9] È bene che le leggi impongano un freno al libertinaggio, ma vi ebbero in ogni tempo dei galantuomini e degli uomini insigni, i quali amarono sfrenatamente il bel sesso e peccarono d'ogni lussuria. Ho conosciuto dei libertini incorreggibili dotati delle più elette virtù. Leggete in Plutarco le vite degli uomini illustri. I più famosi capitani, i più saggi legislatori scandolezzarono il mondo colle loro disonestà. Di Giulio Cesare dicevasi che era il marito di tutte le mogli, la moglie di tutti i mariti. Mostriamoci indulgenti a tali debolezze. Questione di cervelletto e di midollo spinale.
[10] Nella Confessione generale di un critico ho sviluppato più largamente le idee accennate in questo epigramma. Amo riprodurre un frammento di quell'articolo:
«Critico letterario suol essere ordinariamente uno scrittore dappoco, negletto dagli editori e dal pubblico, inetto a concepire ed a produrre delle opere attraenti, epperò nemico giurato di chi fa, di chi riesce coll'ingegno e collo studio ad elevarsi—Critico musicale è quasi sempre un musicista abortito, il quale, dopo aver pubblicato una dozzina di polke pel consumo dei salumieri, od aver prodotta un'opera altrettanto elaborata che stucchevole, pretende erigersi a maestro dei maestri, o avventandosi a quanti ottengono dei luminosi successi, crede rivendicare, col disprezzo di ciò che è buono e generalmente lodato, la propria impotenza e le sconfitte obbrobriose—Critico d'arte è sovente un pittore reietto dalle Accademie e obliato dai committenti, i cui quadri, venduti sulle pubbliche aste e passati dall'uno all'altro rigattiere, vanno poi ad affumicarsi sulle ignobili pareti di qualche osteria da villaggio.
«Non avvi idiota, il quale non sia in grado, al più o meno peggio, di esercitare il mestiere del critico. È tanto facile stampare su un quadrato di carta: Manzoni è un gramo poeta, Verdi fa della musica intollerabile. Vela è uno scrittore mediocre; ma non è dato che agli artisti di genio scrivere il Cinque maggio, fare un'opera come il Rigoletto e trarre dal marmo uno Spartaco.
[11] Questo, e l'epigramma che segue, han preso argomento da un libro di Cesare Tronconi apparso col titolo: Passione maledetta. La pubblicazione di quel romanzo sviluppò delle polemiche vivaci. Tutti gridarono allo scandalo, e la moltiplicità dei gridi giovò naturalmente allo spaccio della edizione. Non voglio farmi giudice della morale altrui; ciascuno ha la sua, e ci tiene. Ho però notato che in tali casi non sono sempre gli uomini di fama più intemerata e di vita più irriprovevole quelli che gridano più forte. Nel romanzo del signor Tronconi è narrato di una Clara, la quale violentemente incitata dall'ardente temperamento alle ebbrezze della voluttà, diviene una moglie onesta per aver sposato un giovane e robusto marito abbastanza valido per appagarla. In questo episodio nulla io trovo di immorale; ma ritengo che ogni marito sfibrato si guarderà bene dal permettere alla sua giovane moglie una lettura di tal genere. La denigrazione di certi libri non è il più delle volte che un risentimento dell'egoismo individuale. Ed ecco perchè avviene che il vero apparisca sovente immoralissimo anche ai più liberi pensatori, scevri da ogni pregiudizio.
[12] Un disgraziato poetastro, autore di romanzi non letti e di pessimi melodrammi, in più occasioni, mutando pseudonimi ed iniziali per non darsi a conoscere, scrisse di me e di alcuni miei libretti d'opera tutto il peggio che la sua bile potesse suggerirgli. Egli offerse gratis e ottenne di veder stampati i suoi articoli ipocondriaci in parecchi giornali. Io lo riconobbi alla punta degli orecchi e rido ancora di lui.
[13] Questo Epigramma lo scrissi o pubblicai nell'anno 1870, allorquando Prussiani e Francesi si trucidavano per una obbrobriosa questione di supremazia. Victor Hugo, nel suo splendido discorso recitato a Parigi in commemorazione di Voltaire, espresse presso a poco il medesimo concetto con queste parole: «Il diritto ora ha trovato la sua formola: la forza vien chiamata violenza e comincia ad essere giudicata; la guerra è messa in stato di accusa. La civiltà istruisce il processo…. In molti casi l'eroe è una varietà dell'assassino. I popoli cominciano a comprendere che la grandiosità di un delitto non può essere una attenuante; rubare è un vitupero; invadere non può essere una gloria… No! la gloria sanguinosa non esiste!»
[14] La fecondità musicale dell'Italia è dimostrata dal copioso elenco delle nuove opere che vien pubblicato ogni anno dalla Gazzetta musicale. Non si produsse mai tanto in fatto di musica teatrale, nè mai sì numerosi e chiassosi i successi. Dal 1870 al 1878 apparvero più di 250 opere nuove di zecca. E quante apoteosi di genii! Quanti banchetti d'onore, quanti maestri accompagnati trionfalmente per le vie con fiaccole; a suono di fanfare! quanti nomi levati a cielo, e subito scomparsi nelle nuvole! Delle 250 opere nuove a mala pena ne sorvissero due o tre di maestri già noti in precedenza; dell'altre non si parla più. E mentre nessuno vuol saperne di veder riprodotti i sublimi aborti della grande arte moderna, il buon repertorio di Rossini, di Bellini, di Donizetti, di Verdi, di Mercadante, si va necessariamente assottigliando per mancanza di cantanti idonei e di maestri direttori che comprendano e facciano cristianamente eseguire la musica non ostrogota.
[15] Questo epigramma somiglia nel concetto ad un altro famoso, che viene attribuito ad Ugo Foscolo. I tempi non sono cambiati. Anche oggi in Italia
Suonatori di corni e di tromboni,
Comici, cavadenti, parrucchieri,
Birri, gendarmi, sindaci, lenoni,
Si chiamano per burla cavalieri.
(Vedi Caos italiano).
[16] La pederastia è vizio da preti, da sagrestani e da paolotti. I pellegrini cattolici, accorsi a Roma dal 1872 al 1876 per ossequiare Pio IX, non sempre seppero contenersi dal dimostrare le loro inclinazioni anormali. Il vecchio partito legittimista, composto di clericali ammorbati di lussuria, celebrava recentemente in Parigi delle orgie nefande, parodiando i sacri riti. I semi del brutto vizio si spargono nel mondo da un luogo che appunto per questo fu denominato seminario. Pedagoghi o cappellani lo insinuano nelle grandi famiglie che patteggiano per la monarchia di diritto divino. Non è delicato metter in luce tali brutture, ma è peggio commetterle.
[17] I telegrammi spediti dal Re Guglielmo a sua moglie duraste la guerra Franco-Prussiana, hanno fatto stupire il mondo. Non mai l'egoismo di un potente si mostrò sotto forme più ingenue. Ho tradotto in brevi versi qualcuno di quei piccoli capolavori; ma raccoglierli tutti, e pubblicarli testualmente nella prosa originale, sarebbe un utile ammonimento ai popoli che spendono bestialmente il loro sangue pel capriccio dei despoti.
[18] Mio padre era un ex-militare del primo impero. Egli nutrì fino all'ultimo de' suoi giorni una specie di culto per Napoleone; tanto, che alla vigilia della sua morte (parlo di mio padre) ho veduto delinearsi un sorriso sulle sue labbra avendogli io ricordato che l'indomani porterebbe la data del cinque maggio. Figlio di un bonapartista, io ho nel sangue la simpatia pei napoleonidi, e non ho mai cessato dal professare la più viva riconoscenza per l'uomo che nel 1859 mi ha fatto palpitare di entusiasmo col suo Proclama agli Italiani. Ho scritto un opuscolo in favore di Napoleone III, quand'era prigioniero in Inghilterra. Compiangetemi! Dai possenti caduti c'è poco da sperare—meglio mi avrebbe giovato far l'apoteosi dell'Imperatore dì Germania!
[19] Nulla meglio di una grossa frase poetica per sconfiggere il senso comune. Victor Hugo ne ha sparato una molto grossa dopo la battaglia di Sèdan, quando disse che alla Repubblica Francese sarebbe bastato un soffio per disperdere le armate prussiane.
[20] Un buon fattore campagnolo recandosi al municipio per votare la scelta del deputato, venne interpellato da un elettore novizzo:
—A chi date il vostro voto?
—Diamine! al vecchio… a quello che è già stato alla Camera gli anni passati.
—Non sarebbe meglio mandare al Parlamento degli uomini nuovi? Mi han detto che i vecchi hanno divorato per dritto e per traverso….
—Ed è appunto per questo che dobbiamo preferirli. Se han mangiato, debbon essere satolli; mentre questi altri che sono ancora a digiuno….
—Perdio! non ci aveva pensato—» E tutti due fecero opera prudente e patriottica, votando per l'antico deputato.
[21] Allorquando, nel 1876, andò al potere la sinistra, il nuovo Ministero si chiamò Governo di riparazione. Non è bene fidarsi troppo nelle riparazioni che un ministro può promettere. Se avete freddo, riparatevi ad ogni buon conto colla flanella, o se piove, coll'ombrello.
[22] L'opinione, accreditata dai pedanti, che la vitalità dì un lavoro letterario dipenda più che altro dalle bellezze dello stile, non trova appoggio nei fatti. Le commedie del Goldoni, scritte in lingua negletta, sopravvissero a quelle del Nota forbitissime. Si leggono con diletto le tragedie di Shakespeare tradotte in prosa non sempre elettissima dal Rusconi, non quelle di molti poeti italiani irriprovevoli per la sonorità del verso e per altri pregi dì forma. Autori encomiatissimi per la forbitezza dello scrivere, quali il Caro, il Giordani, il Tommaseo, ecc. ecc., trovano oggidì pochi lettori, mentre il Bandello ed altri novellieri antichi, non hanno cessato di dilettare col semplice prestìgio della originalità e della naturalezza sbadata. Si può essere teste da rapani e far dei libri raccomandabili come testi di lingua.
[23] I giornali milanesi, nell'anno 1877, quando Adelina Patti cantò alla Scala, non la chiamavano altrimenti che col titolo di Diva. L'incenso delle adulazioni e delle iperboli ammirative fu lautamente pagato dai preti-appaltatori, che lucravano sull'idolo, Non apparvero mai, sotto forma di giudizii critici, le più scempie ampollosità. La Patti è una brava cantante. L'ho udita nella Aida; mi parve insuperabile nella espressione plastica del personaggio; non ugualmente atta, per insufficienza di energia vocale, a tradurre tutti gli accenti della musica. L'ambiente della Scala mi parve troppo vasto per una Diva nella quale il talento soverchia troppo spesso la voce. Ho udito, ne' miei giovani anni, quando in Italia l'arte del canto fioriva, non meno di venti prime donne superiori o pari di merito alla Patti. Non si chiamavano Dive; per udirle alla Scala si pagavano tre lire austriache, e talvolta cantavano alle panche. Non si conosceva ancora in Italia l'arte della gran blague americana, e il pubblico era avezzo a sentir cantar bene. Una cantante che sappia ancora esprimere correttamente un periodo di musica senza guastarlo di gargarismi, di singulti, di ventosità tracheali, oggidì può passare per un miracolo.
Epistola in versi
Voi franco mi garrite, altri mi mormora
Dietro le spalle perchè sol di futili
Novellette, di ciancie e di bazzecole
O di lesti epigrammi io colmo il mignolo[1]
Giornaluccio; nè mai d'Europa ai tumidi
Fati consento qualche breve pagina,
Nè mi invischio gracchiando alla polemica
Che oggidì più che mai ferve in Italia
Fra chi in alto è salito e chi si arrampica.
«Passò quel tempo.» Anch'io nelle effemeridi
Da un soldo strimpellai guerra e politica,
E logoro il cervello e guasto il fegato
Mi ho nel vano armeggío. Non trova grazia
Lo schietto vero. Parteggiare, fremere,
Al suon della gran cassa ampolle vacue
Lanciare al vento; reboänti e rancide
Frasi accozzando, inacidir la cronaca
Di sospetti, di oltraggi e di calunnie,
Diluïr telegrammi, imbrattar storie….
Avventarsi…. strisciar…. leccare…. mordere…
Tale è il mestier—Direte: è mestier facile….
Pur (vedete, dottor, com'io fui tanghero!)
Nulla azzeccato ho mai—Italia, patria,
Ordine, libertà, fede ai principii,
Democrazia—palle di gomma elastica
Pel cerretano giocator di bossolo—Serie
cose io credea. Modesto e ingenuo
Esposi il pensier mio; però dai circoli
Dei pusilli gaudenti ove si biascica
La nenia eterna del quïeto vivere,
Nè dai cupi, frementi conciliaboli
Ove ringhian tribuni e arruffapopoli,
Il verbo io presi mai. Prostrarmi agli idoli
Non sèppi. Liberal, volli esser libero[2];
E sì libero fui, che al breve svolgersi
Di quattro o cinque mesi, in abbominio
Venni ai rossi ed ai bianchi, e fu miracolo
Se n'uscii vivo—Bah! quelli gridavano:
Ei s'è fatto codino! alla politica
Di Cavour tien bordone—E questi: «o scandalo!
Ei plaude a Garibaldi ed osa irridere
Qualche nostra Eccellenza!»—Mo! vedetelo!
Ripiglian quelli: il rattoppato e logoro
Abito ha smesso, ed anco ieri il rancio
Pagò al trattor: fondi segreti—«Ei bazzica
Cogli scavezzacolli democratici,
Notan gli altri: badate! di repubblica
E socialismo puzzan le parentesi
Del testo scapigliato—Esser veridico
E leal che mi valse?—Dai sinedrii
Onnipotenti fui reietto; incomodo
Collega a tutti, quei la man ritrassero
Dalla mia dubitosi; mi guardarono
Biechi gli altri ringhiando: al mercenario
Scriba il gibbetto! Intanto si sciupavano
Per me gli anni più baldi in acri e sterili
Guerriglie di parole. Addio, fantastiche
Scorrerie del pensier! Gli estri languirono,
Morì la celia, ogni gentil tripudio
Cessò. Giocondo novellier nei circoli
Più non mi assisi; si converse in rantolo
La gaia nota, e dentro l'interlinea
In gerghi irosi si disciolse il fegato.
Un dì, allo specchio mi guardai; di nivei
Peli la barba, di due solchi lividi
Deforme il volto mi apparì. All'occipite
Stesi la mano, e delle dita il brivido
Intonsurata mi annunziò la cherica.
Gran che! «Alla fibra macerata i redditi
Del prostituto inchiostro un di fien lauto
Compenso, e all'ossa dispolpate l'adipe
Rifiorirà.» Quei che così ringhiavano
Al mio garretto, oggi, impinguati e tronfii
Di ricchezze e poter, dall'alto irridono
La nostra grulleria. Nè a torto ridono….
Ben io, pensando quali a me sovvennero
Fondi segreti, oggi crisparsi i visceri
Mi sento ancora. Le ipoteche rosero
Fin la casuccia ov'io sperava gli ultimi
Miei giorni ricovrar..,. Narri il tipografo
La tetra istoria; questo sol rammemoro
Che la stoltezza di parlare e scrivere
L'abbominato vero, un dì sul lastrico
Mi gettò inebetito.—Eppur: che valsemi
Vender case e poderi? Mi investirono
Con briaco furor mastini e botoli
Di fronte e a tergo; più rabbiosi a mordermi
Ruffiani, spie e ciurmadori in maschera
Da Catoni o da Bruti, che vedevansi
Poi, nelle agapi oscene e nei postriboli,
I dì e le notti gavazzar coll'obolo
Smunto ai citrulli. Oggi, i citrulli godano
Le ben compre lautezze, e prestin gli omeri
Ai nuovi furbi che salir domandano
L'albero di cuccagna! Alla politica
Ho detto addio. Merlo spennato, ai liberi
Miei monti ricovrai; di nuovo ossigene
Il polmon ritemprato, oggi dal vertice
Alla bassa cloäca io guardo, e zuffolo
Allegramente. Che mi cal se chiaminsi
Sella, Minghetti, Visconti o Nicòtera
I rettori d'Italia? O se alla greppia
Dello Stato oggi rumini l'apostata
Che or fan sei mesi ancor fremea repubblica!
Se il giocoliere, rimestando il bossolo,
La rubra palla destramente in lattea
Ciambella tramutò, non io sorprendermi
Oggi potrei. Plauda chi vuole o strepiti
Di rabbiose invettive, io so qual termine
Avrà la farsa. Al sine cura, al ciondolo,
Al lauto appalto, al grasso impiego mirano
Quei che belan sommessi e quei che latrano.
Gli schietti e i buoni dalla mischia ignobile
Si ritraggon sdegnosi; e solitario
Quegli ascende la balza e canta ai vertici
Le divine utopie; questi le libere
Idee fischiate dall'ottuso secolo
Fida nell'orto alle cipolle e ai rapani.
È il partito più saggio. Italia novera
Settemila giornali ove colluviano
L'oscena feccia, il brago, ogni putredine
Della Reggia e del trivio. Ivi si abbeveri
E diguazzi a suo prò chi vuol nei colici
Flussi l'alma stemprarsi, o d'itterizia
Morir consunto.—Dismorbiamo l'aëre.
Caro dottore, e intorno a noi si dissipi
Il reo miäsma che ne investe! Giovani
Ci rifarem. Schiudiam la casa ai lepidi
Amici; suoni di festose musiche
11 salottino, e più chiassosi irrompano
I repressi cachinni. Ospite assidua
Fra noi respiri la gajezza; scoppino
Gli epigrammi, i bei motti, le facezie,
Gli aneddoti giocondi—e in noi riflettasi
L'ilarità di tutti. Sulle pagine
Non ammorbate dalla rea politica
Gli odii e i rancor svaniscono, si appianano
I più tetri cipigli, e dell'innocuo
Lepor le donne amabilmente ridono.
—Al diavolo l'estetica,
La logica, il buon senso,
E l'idëal melenso!
Poichè l'arte pöetica
Dai vecchi impacci è sciolta,
Farò il comodo mio….
E spero questa volta
Coi famosi del secolo
Salire agli astri anch'io.
—Il verno io canto, il verno,
La stagione crudele—
Stanotte il Padre Eterno
In cima alla montagna
Ha fatto il lattemiele….
E gli Aquiloni batton la campagna.
—Al piè del Resegone
Ve'! come il lago fuma
Immoto, senza schiuma!…
Visto dal mio balcone
Il gelido cratère
Sembra la catinella d'un barbiere
A cui mancò il sapone.
—Dalle nuvole rotte
Il sole ad intervalli
In berretta da notte
Mette fuori la faccia stralunata,
Sbadigliando di noja—
E frattanto, di neve disgelata
Sgocciola la tettoia,
Come il nasuccio d'uno scolaretto
Che smarrì il fazzoletto.
—Al margine del fosso
Sulla morta natura
Squittisce un pettirosso,
Coll'aria d'un becchino,
Che d'una vergin sulla sepoltura
Legga ghignando un romanzo di Dròz,
O si sfiati a trillar sull'ottavino
Un tema di Berliòz.
—Se scendo all'orticello,
Cui bieco irride il sole,
Le assiderate aiuole
Mi chieggono un mantello….
Gli alberi incappucciati
Come convalescenti
Ringhiano da dannati:
Dio! che dolor di denti!
—Pur, dai gracili steli
Una pallida rosa piccioletta
In bianca parrucchetta
Sfida il rigor dei geli;
Tanto bella e gentil, che la diresti
Ai languidi colori, ai tratti mesti,
La crèola di Balzac,
Una smilza figura
Di Dorè, di Kaulbach,
Una giovin marchesa in miniatura.
Se non temessi offenderti,
Piccola Pompadour,
Vorrei offrirti un cigaro Cavour!
—Là, sulla opposta riva,
Poderosa, anelante,
Una locomotiva
Fra i gioghi si allontana,
Come un tetro elefante
Che sbuffi il fumo d'un superbo avana.
E dietro a quella sfilano schierati
Dieci vagoni in sembianza di abati
Che vanno al Giubileo
Grugnendo il Laus Deo!
—Sull'ultimo vagone
Gaia e modesta ascendi,
O mia nuova Canzone;
E nella letteraria sinagoga
Se mai, per caso, apprendi
Che oggigiorno hanno voga
Dei carmi così fatti,
Raccomanda a chi studia pöesia
Di andare a scuola all'ospedal dei matti.
Questi, che vedi muoversi
Se per le vie ti inoltri,
Son uomini o soprabiti?
Son soprabiti o coltri?
Uomini son, dal lùgubre
Saio così sformati,
Che, a vederli, ti paiono
Armadii impelliciati.
Un dì, se più farnetichi
Della moda il capriccio,
Costor vedrem per tunica
Vestire un pagliericcio.
E son gli elegantissimi….
Sono i liòns dei corsi!
Eh! via! ribattezzatevi
Ippopotami od orsi!
Se d'uomo qualche pallida
Sembianza ancor serbate,
In voi tre tipi adunansi:
Birro, bromista e frate.
Taluni, poi, che il bàvero
Sovrappongono e il fiocco,
Dite un po': non vi porgono
L'effigie di San Rocco?
Cotanta mole d'abiti
È lusso od è miseria?
O forse che in Italia
Fa il gel della Siberia?
Il Buon Dio, che dei tangheri
Talor si piglia scherno,
Quest'anno per deridervi
Quasi abolì l'inverno;
E in gennaio, investendovi
Coll'afa della state,
Gridò dal cielo: «bestie,
Mo', adesso…. soffocate!»
Buon Dio, la è troppa grazia
Se ridi e non ti sdegni;
Qual gente mai, quai popoli
Dell'ira tua più degni?
Nè stupirei che all'impeto
Dei gelidi aquiloni,
Un dì per noi mutassero
Il clima e le stagioni;
Per noi, che nati ai limpidi
Raggi d'un ciel clemente,
In grembo a questa Italica
Terra di fior ridente,
Invidïam, per stolida
Moda o per goffa insania,
I ghiacci alla Siberia,
Le nebbie alla Germania.
E già di nebbia nordica
L'Italia è tutta piena,
Nè i carmi un raggio vibrano
Di poesia serena;
Nè più dall'aspre musiche,
Gonfie di spurie note,
Esce il sussulto e il fremito
Che l'anima ti scuote.
Divina Arte, che in Grecia
Ignuda eri sì bella,
Smetti tu almen fra gli itali
La nordica gonnella;
Cinta d'un vel diafano,
Sciolta la chioma ai venti,
Delle tue forme vergini
Esci a bear le genti.—
Ti acclamerem qual nunzia
D'una invocata aurora,
E direm che l'Italia
Del sol la terra è ancora.
Novella.
Un tal Stucchi Tommaso
Del päesel di Arona
Avea letto per caso
Un libro del Lessona,
Dove, con molti esempi
Dei vecchi e nuovi tempi,
Chiaro si fa vedere
Che volere è potere.
—«Volere!…. è presto fatto….
Se tanto il voler giova,
Converrebbe esser matto
Per non tentar la prova….
Io non domando onori,
Non titoli o favori,
Di gloria io non mi picco,
Ma…. voglio farmi ricco.
Or più non mi imbarazza
La scelta del mestiere,
Apro uno studio in piazza,
Mi intitolo banchiere;
Se ad iniziar la banca
Il capital mi manca,
Poichè basta volerlo,
Sò come posso averlo.
Ciò detto, il buon Tommaso
Si recò da un notaro,
Franco gli espose il caso,
Gli domandò il denaro;
Ma quei, con faccia bieca;
«Che mi da in ipoteca?
—Nulla—Nulla!…. ho capito
Non posso!…. affar finito.»
—Non può?…. Lei mi canzona!
Tal scusa più non va:
Non ha letto il Lessona?
Lo voglia e lo potrà»
L'altro lo guarda in viso
Con cinico sorriso,
E per uscir di imbroglio,
Conclude: ebben, non voglio!
Ricorse l'indomani
Agli amici, ai parenti;
N'ebbe discorsi vani,
Promesse, complimenti,
Consigli che mordevano,
Sorrisi che parevano
Dirgli: qui tutto avrete
Fuor quello che volete.
E sorse un dubbio in lui:
«Che della vita al gioco
Anche il volere altrui
Debba contare un poco?
Dalle prove che ho fatto
Parrebbe…. Eh! via!…. son matto!
Che colpa ci ha il Lessona
S'io son nato ad Arona?
«Nei piccoli paësi
Piccole le risorse….
Qui gli uomini scortesi,
Qui stitiche le borse;
E poi, nemo propheta
In patria—è storia vieta;
Per ritentar le prove
Convien ch'io vada altrove.
Solo, a piedi, di notte,
Partì senza un quattrino,
E colle scarpe rotte
Un giorno entrò in Torino
Sclamando: «qui ho voluto
Venire, ed ho potuto;
Volendolo, mi pare,
Ora potrò mangiare.»
Infatti, appena scorta
L'insegna di un trattore,
Maso varcò la porta
Con passo da signore;
Sedette, fu servito,
E sazio l'appetito,
Pensò: volevo un pranzo,
L'ottenni, e n'ho d'avanzo.
Ma quando il cameriere
Venne a portargli il conto,
Gli parve che al volere
Fosse il poter men pronto—
Il garzonetto attese
Alquanto, e poi gli chiese:
Vuol altro?—Ora, mio caro,
Vorrei….—Cosa?—Il denaro.
—Denaro!—Certamente….
Tu sai che le parole
Oggi non valgon niente,
E per pagar ci vuole
Denaro; or, come averlo
Potrei senza volerlo?….
—Mi paghi, faccia presto!
—Voglio il denar per questo!
Ed ecco, mentre dura
La strana discussione,
Due guardie di questura
Si avanzan col padrone
—Sentiamo!…. cos'è stato?….
Tommaso in tuon pacato
Risponde: «del diverbio
Fu origine un…. proverbio.»
«Tutto si può, volendo,
Lo dice il testo, ed io
Agli altri esempi intendo
Unir l'esempio mio—
Venir volli a Torino
E feci a piè il cammino,
Qui volli entrar, entrai;
Volli pranzar, pranzai.»
—Ed ora?—Or non avendo
Denaro…. è naturale….
Ch'io voglia….—Intendo! intendo!
Ci segua!…. Al Criminale
Verrà stanotte a cena;
La casa è tutta piena
Di gente che ha voluto
E mai non ha potuto.
In carcere il tapino
Fu trattenuto un mese;
Quindi, lasciò Torino,
Tornò nel suo paëse,
Dove il volere altrui
Fu tanto avverso a lui,
Che, stanco di soffrire,
Gridò: voglio morire!
Ai gridi disperati
Fortuna non è sorda;
Tra ferri e cenci usati
Trovò un chiodo e una corda:
Confisse a un muro il chiodo,
Fece alla corda un nodo,
Pose nel cappio il collo.
E diè l'estremo crollo.
Così dal mondo è uscito
Il povero Tommaso;
E forse egli è partito
Convinto e persuäso
Che quand'un, per disfarsi
Dai guai, vuole appiccarsi,
Non sempre, ma però
Qualche volta lo può.
[1] Questi versi furono stampati nel Giornale Capriccio.
[2] Dovranno correre ancora molti anni prima che in Italia si comprenda che cosa significhi Libertà, quali diritti essa accordi, e quali doveri imponga ai singoli cittadini. Un saggio del come si intendano e si esercitino i diritti liberali nel nostro paese io l'ho dato anni sono nel breve scritto che amo qui riprodurre.
Il cielo era folto di nuvole.
La pioggia cadeva a torrenti….
E in quella giornata (non ricordo se fosse di giugno o di luglio) sfolgorava, per la prima volta sulle pianure di Lombardia il sole della libertà.
I cittadini che, allettati da quel sole allegorico, erano usciti senza ombrello, rientravano la sera cogli abiti inzuppati. Taluni, assaliti da atroci reumi, agonizzavano lietamente al suono delle fanfare piemontesi.
* * *
È inutile che io mi interrompa per sciorinarvi una professione di fede. Sono un liberale, un patriota—tale almeno ho supposto di essere fino al giorno in cui, per una fantasmagoria inesplicabile, ho dovuto convincermi che gli ex-commissari, le spie i poliziotti dell'Austria erano più liberali e più patrioti di me.
* * *
—Non è detto che tutti i buoni patrioti debbano anche esser ricchi.—In quella piovosa giornata, nella quale, come ho detto, il sole della libertà illuminava per la prima volta le aguglie del nostro Duomo, io possedeva due lire e pochi centesimi.
Avevo pranzato solennemente colla metà del mio peculio.—coll'altra metà mi ero procacciata la festa di alternare dei brindisi all'Indipendenza d'Italia in compagnia di due bravi bersaglieri.
Alla sera—rientrato nelle mie stanze—mi sovvenni di aver esaurito
tutto l'olio della lucerna e—ciò ch'era più triste—di non possedere
un baiocco per provvedermi d'altro lume.
Mi coricai al buio.—Il sole della libertà non cessava di splendere sull'Italia—ma la mia camera, ve ne do parola, era oscura come la coscienza di un fornitore di armata.
* * *
Non importa—pensava io, ravvolgendomi fra le coltri—questo benedetto sole della libertà è pure comparso stamane—si può bene, per una notte, far a meno delle candele….
E non era la prima volta—ve lo confesso—che io mi trovassi a tal guaio.
* * *
Libero!—La voluttà di questa parola non può comprendersi se non da
chi abbia avuto la sventura di nascere fra i ceppi….
Tale era nato io.—Non forzatemi a ripetervi i lunghi fremiti della
mia travagliata giovinezza….
Ormai l'Italia è libera. Fremere in libero paese sarebbe
un'eccentricità di pessimo gusto.
* * *
Una circostanza che mi preme accennarvi è questa—che nella primissima notte di libertà—al momento in cui la mia testa si cullava dolcemente sul guanciale e le mie gambe nuotavano voluttuosamente fra le coltri colla improvvida sicurezza di chi si sente emancipato da ogni tirannia—un grido…. molte grida… un frastuono di voci echeggiò nella strada….
Era un drappello di liberi cittadini, composto per la più parte di monelli e di beceri….—un nobile frammento d'Italia libera,.- che inaugurava sotto le mie finestre quell'avventuroso sistema di liberalismo al quale io vo debitore di una epatite insanabile e di cento altri malanni.
* * *
Si gridava a squarciagola: fuori i lumi!
Il palazzo di un ex-consigliere aulico, che sorgeva di fronte alla mia
casa, zampillava di fuoco….
Nella via non rimanevano che tre sole finestre opache—tre finestre
serrate sdegnosamente dalle griglie….
E quelle tre finestre—obbrobrio e sventura!—rispondevano al mio
appartamento.
* * *
Fuori i lumi! fuori i lumi!! fuori i lumi!!!
Dapprima erano grida—poi divennero ululati—da ultimo furono…. sassate.
Sassate!—Si scagliavano sassate contro le griglie di un libero cittadino, perchè questo libero cittadino in quella prima notte di liberali entusiasmi, si trovava per avventura sprovveduto di candele!
All'indomani, potete immaginare se io mi affrettai a procacciarmi, per qualunque prezzo, delle materie infiammabili.—E siccome nei primi cinque mesi di libertà, ai liberi cittadini di Milano vennero imposte, sotto comminatoria di lapidazione o di saccheggio, non meno di sessanta luminarie; così io—per queste dimostrazioni spontanee di liberalismo—venni a consumare circa sessanta pacchi di steariche e ad aggravare le mie passività economiche di un debito complessivo di oltre lire cento.
* * *
Non importa—dissi al droghiere, riponendo la nota nel
portafogli—siamo liberi….
E ciò detto, uscii di casa e me ne andai a passeggiare sulla
corsia….
Era una giornata di bel tempo—e la schiuma dei liberali—tutta gente di aspetto simpatico e di modi garbatissimi—si era schierata in processione e moveva non so a qual meta, traendosi dietro, sur una barella, il busto del generale Garibaldi.
—Viva! Morte! Viva!
—Abbasso!—Viva!—Morte!…
Strinsi la schiena al muro—mi rizzai sulla punta de' piedi.—La folla era tanto compatta, che il libero esercizio delle braccia mi era interdetto,… Gran mercè che in quel travaso di liberalismo popolare mi fosse permesso di respirare tratto tratto….
Al momento in cui il busto dell'eroe mi passò dappresso portato sulle spalle da quattro brentatori, io non potei dominare il mio entusiasmo—Viva Garibaldi! viva l'Italia libera!—gridai a tutta gola….
E in quell'istante medesimo, la libera mano di un libero cittadino menò sulla libera cupola del mio cilindro un colpo sì liberale—che io n'ebbi la vertigine e dubitai di…. esser morto.
—Vi è mai accaduto di credervi morto?
* * *
Cos'era stato?…
Lo seppi mezz'ora più tardi—allorquando un amabile farmacista, nella cui bottega mi ero ricoverato per medicarmi le contusioni del naso, ebbe a dirmi con molte circonlocuzioni che in ogni modo io aveva commesso una grave imprudenza.
—Tenere il cappello in testa dinanzi al grande capitano della libertà! dinanzi a colui, il quale è, per così dire, l'incarnazione della idea liberale-umanitaria!…
—Ma le mie mani…. ve lo giuro…. in quel momento non erano libere…. Tanto è vero….
—Il popolo non può ammettere tali scuse—rispose il farmacista col suo tono più cattedratico—e siccome le mani del popolo sono sempre libere…. così non dovete meravigliarvi se queste vi hanno ricordato molto opportunamente che in libero paese a tutti incombe l'obbligo di rispettare la libertà e chi la rappresenta….
* * *
Le teorie di quel libero farmacista mi parvero oscure; ma qualche cosa mi aiutava a chiarirle—il sovvenire del formidabile pugno in virtù del quale la cappa del mio cilindro era rimasta per alcuni minuti impiombata alle mie orecchie.
Divenni mutolo e pensoso…. La parola libertà mi si affacciava notte e giorno allo spirito come un problema insolubile. E ritornando col pensiero ai tempi della schiavitù, io non poteva trattenermi dall'esclamare con accento sconfortato: «Eppure, a quell'epoca, nessuno ha mai lanciato dei sassi contro le mie griglie—nessuno si è mai preso l'arbitrio di sfondarmi il cappello con un pugno….»
Queste riflessioni mi conducevano mio malgrado ad un nefando parallelo fra il così detto sole della libertà e la così detta ombra delle forche….
* * *
Una mattina (credo fosse domenica) esco di casa coll'anima alquanto rassicurata…. Getto uno sguardo sul cappello dei passanti, e veggo—strana sorpresa!—che a tutti i cappelli era affisso un cartellino stampato….
Che vorrà dire?…
Si indovina tosto—la scritta è abbastanza visibile: Roma o
morte.
—Tutta gente che ha voglia di andar a Roma?… tutta gente che ha
voglia di morire?
Se tutti vanno a Roma—meno male—spedizione sicura—pensava io.
Se tutti muoiono—quale disastro!
In ogni modo, il cartellino mi sapeva di buffonata—io rideva sotto baffi—nè mi avvedeva—sconsigliato od ingenuo—che cento occhi di liberi cittadini mi saettavano di sbieco.
E ditemi un po' se non c'era da ridere ed anche da ghignare, all'occasione!
Si vedevano, sotto l'enfatica iscrizione, luciccare sinistramente dei cappelli bernoccoluti, coll'ali contorte e bisunte—Tratto tratto, da quei cappelli sporgevano gli zigomatici di una spia, fatti lividi dal digiuno e dall'ira.
Ed ecco appunto una spia—figura da patibolo—sbarrarmi il cammino presso la svolta di una strada—e gridare, additandomi alla folla: morte al reazionario!… è tempo di finirla con questa canaglia!…
Che fare?.- Chinare il capo ai decreti della libertà e affiggere il cartellino buffonesco….
* * *
Fortunatamente quel cartellino non ebbe serie conseguenze—io non andai a Roma e…. sono ancor vivo.—Degli altri che lo portavano in quel giorno ignoro cosa sia avvenuto….Erano centomila all'incirca nella sola città di Milano—ed è probabile che qualcuno sia morto.
* * *
Ho narrato i primi episodi! di una triste Odissea—e vi fo grazia del
resto, che sarebbe monotono….
Sono oramai dieci anni che il sole della libertà illumina di giorno e
di notte—(di notte più che di giorno)—le nostre belle contrade.
E la storia di questi dieci anni mi ha indotto nell'animo un mostruoso
convincimento, del quale non amo discorrere.
* * *
L'altro dì—al momento in cui mi levavo il cappello per salutare una gentile signorina—un libero fumatore del terzo piano mi lanciò sulla fronte scoperta il superfluo della sua salivazione.
—La si accomodi pure, libero cittadino! anzi…. la mi scusi tanto.
Il fumatore, ripresa tra i labbri la pipa, mi guardava dall'alto in basso nell'attitudine calma e serena di chi abbia esercitato uno de' suoi diritti più naturali e legittimi.
Copriamoci per bene la faccia—turiamoci le narici—e in guardia dove si mettono i piedi!—La libertà è in continuo progresso; essa potrebbe piovere dalle finestre sotto forme svariatissime.
* * *
Frattanto—i liberi studenti fanno sciopero all'epoca degli esami….
I liberi scrittori si vanno emancipando dalla grammatica.
I liberi industriali cercano sottrarsi al dispotismo della Banca fabbricando dei biglietti falsi….
I liberi impiegati trafugano le carte degli uffizî.
I liberi cassieri viaggiano all'estero col superfluo dei fondi pubblici….
Le idee liberali marciano di galoppo.
* * *
Persona assai pratica di tali materie mi affermava, giorni sono, che l'Italia non ha goduto infino ad oggi che una mezza libertà…. La libertà vera, la libertà completa, l'avremo dall'oggi al domani, quando i progressisti si metteranno per davvero a fabbricarcela.
In seguito a tale avviso ho preparato i miei bagagli….
—Tante grazie della libertà intera!
La volete? vi cedo anche la mia porzione di mezza libertà che ho goduta fin qui.—Divertitevi, se potete!…
[3] Una strana foggia di poesia si è introdotta e ha preso voga in Italia per iniziativa di due o tre scrittori di ingegno, i quali, per voler essere nuovi ad ogni costo, spesso riuscirono stravaganti e grotteschi. Detti scrittori furono, come avvien sempre, imitati nei difetti—e in questo caso le brutte copie screditarono gli originali.
[4] Assurda sentenza. Il Lessona ha pubblicato con tal titolo un volume interessante; ma non basterebbe una grossa biblioteca per raccogliere le compassionevoli istorie di quei milioni di martiri che vollero con fede, con costanza, con lacrimevoli sacrifizii; e mai non riuscirono ai loro intenti.
—Lena: vedesti mai
Notte più pura e bella?
Non sembra che ogni stella
Sorrida al nostro amor?
Come soave è l'alito
Della notturna brezza,
Che il volto ci carezza
Che ci ravviva il cor!
—È ver, mi rispondea
L'amica sospirando,
E i raggi in me fissando
Dell'occhio suo divin:
«Ah! non sprechiam, dicea,
Notte così serena!….
Andiam piuttosto a cena
Al Gallo o al Rebecchin!»
Ieri, della collina
Sulla romita vetta,
Vidi una forosetta
Che raccogliea dei flor.
«Leggiadra montanina,
Le dissi: quando mai….
Quando appagar vorrai
I voti del mio cor?»
Indi la man le stesi….
Essa la sua mi porse….
Dicendo: «un giorno…. forse….
Poi, rapida fuggì….
Dal colle anch'io discesi….
Pel gaudio d'un istante,
Oh, quante pulci, oh, quante!
Mi morsero quel dì!
A tarda notte insieme
Nella selvetta bruna
Noi sedevam; la luna
Si ricopria d'un vel.
E mentre la sua mano
Al cor la mia premea,
«Arturo, ella dicea, Mi sarai tu fedel?»
Di tali accenti al suono
Mi si drizzar le chiome;
«È forse questo il nome,
Gridai, d'un mio rival!!!
«No! la gentil rispose,
Ma qui fa tanto scuro,
Ch'io t'ho chiamato Arturo
Invece di Pasqual!!!
Ecco il fatal momento….
Fra poco, o dolce Elisa,
Da me ti avrà divisa
L'inesorato mar;
Spiri propizio il vento
Allo spietato legno.
Presto il remoto segno
Dato ti sia toccar!
Perchè la fronte mesta
Pieghi nel dirmi addio?
Pensa che soffro anch'io
Quello che soffri tu;
E sol conforto resta
Al duol che il cor mi serra
Pensar che forse in terra
Non ti vedrò mai più!
Marta non era bella,
Ma bionde avea le chiome.
Folte e lucenti come
Quelle di un cherubin;
Se tu non vuoi, le dissi,
Che a' piedi tuoi mi uccida,
Consenti che io recida
Un riccio del tuo crin!
—Chiedi altro don, rispose;
È mio destin l'amarti….
Nulla potrei negarti
Di quanto è mio davver;
Ma per la chioma folta
Onde ti mostri vago,
Tre lire al mese io pago
Di nolo al parrucchier.
—La scorsa notte in sogno
Io t'ho veduta, Elisa;
Eri al mio letto assisa
In languido abbandon.
De' baci tuoi dormente.
La voluttà gustai;
Nè un bacio sol mi dai
Ora che desto io son!?!
—Carlo: la scorse notte
Te in sogno anch'io vedea,
E mesta a te chiedea
Di cento lire il don;
A me dormente un roseo
Biglietto allor porgesti;
Negarmelo potresti
Ora che desta io son?
Oltre l'usato bella,
Stretto il suo braccio al mio,
Il facile pendío
Del colle Ada salì.
In ciel la prima stella
Era sbucciata appena,
Lontan splendea serena
L'estrema orma del dì.
Gli augelli armonïose
Note sciogliean sui rami….
«Ada, esclamai, non ami
«Quei garruli cantor?»
—Più li amerei, rispose
Ada, se stesser muti,
Immobili, seduti
Sovra un bel disco d'ôr.
—«Se fia che un dì ci annodi
«Il sacerdote all'ara,
«D'oro e di gemme, o Clara,
«Non io ti coprirò.
«Ricco di affetti immensi
«È il core d'un poeta,
«Ma l'ôr che i volghi allieta
«Il fato a me negò.»
Mesta, pensosa, i rai
Al suol la bella affisse,
E sospirando disse:
«Crudo è il tuo fato inver!
«Pure il mio cor giammai
«Non fia che muti tempre,
«Giuro di amarti sempre,
«Ma sposerò un droghier!»
D'Erminia la casetta
Presso la mia sorgea;
All'alba ella schiudea
Le imposte del veron.
Sempre alla sua stanzetta
Era il mio sguardo fiso,
Sognavo il paradiso
Della sua voce al suon.
In ogni atto e costume,
Gentil, soave ell'era;
Più bella ancor la sera,
Quando, disciolto il crin,
Della lucerna al lume,
Con agil man seguiva
La pulce che fuggiva
Dal niveo petto al lin.
Rivedo e bacio alfine
Le cifre desïate,
Le note profumate
Che la sua man vergò;
Fra i monti e le colline
Fra i boschi e i laghi errante,
Al suo lontano amante
Clarina ancor pensò.
Ho l'anima inquïeta….
Come mi batte il core!
È gioia od è terrore?
Quest'ansia, o Dio, cos'è?
Leggiam: «Ti scrivo in freta
Di sopra il mon tebarro,
Ti baccio, adio mio carro.
Ammami e penza ammè.»
Pag.
Interdetto 5
Epigrammi 21
Note agli Epigrammi 94
Poesie Satiriche 107
Note alle Poesie Satiriche 131
Arcadia Moderna.—Anacreontiche 147
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