The Project Gutenberg eBook of Lusitania: Canti popolari portoghesi This ebook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this ebook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you will have to check the laws of the country where you are located before using this eBook. Title: Lusitania: Canti popolari portoghesi Editor: Ettore Toci Release date: April 11, 2011 [eBook #35802] Language: Italian Credits: Produced by Júlio Reis, Claudio Paganelli and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive/American Libraries.) *** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LUSITANIA: CANTI POPOLARI PORTOGHESI *** Produced by Júlio Reis, Claudio Paganelli and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive/American Libraries.) NOTE DI TRASCRIZIONE: Le correzioni dell'errata (sezione che inizia con «Pochi son quelli...») sono già state riportate nel testo elettronico. I riferimenti alle note 71, 72 e 73 (in «La Pastorella») erano mancanti nel testo originale. Sono stati inseriti arbitrariamente nella posizione più logica. * «Buon giorno e buon anno, Rosetta;[71] [Il riferimento è stato inserito qui perché l'autore nella nota chiede perdono ai lettori per aver cambiato l'originale «Rosa» in «Rosetta»] * va' a pascer la greggia, mia bella scontrosa.»[72] [Il riferimento è stato inserito qui perché la nota si riferisce ad un canto normanno con parole simili] * fanciulla ritrosa, ritrosa a parole.[73] [Il riferimento è stato inserito qui perché la nota spiega che appartiene all'ultimo verso] In questa versione codificata Latin-1, una «a» con un breve è contrassegnata con [)a], un obelisco è contrassegnato con [+], e le lettere greche sono state contrassegnate con [Greco: ...] In questa versione di solo testo, il testo in corsivo è stato circondato da _; il testo in grassetto è stato circondato con =, e il testo in maiuscoletto è stato convertito in caratteri maiuscoli. CANTI POPOLARI PORTOGHESI LUSITANIA CANTI POPOLARI PORTOGHESI TRADOTTI ED ANNOTATI DA ETTORE TOCI [Illustrazione: il logo della casa editrice, Raffaello Giusti] LIVORNO COI TIPI DI RAFFAELLO GIUSTI LIBRAIO-EDITORE 1888 PROPRIETÀ LETTERARIA AVVERTENZA Le romanze (_romances_) popolari del Portogallo, di cui nessuna è, per quanto si crede, anteriore al sec. XV, e che non ebbero chi si desse a raccoglierle prima del decimonono; furon messe insieme e variamente ordinate dal poeta Gio. Battista De Almeida-Garrett, da Teofilo Braga e da altri: io tenni per testi: BELLERMANN, _Portugiesische Volkslieder und Romanzen_, Leipzig, Engelmann, 1864, ed HARDUNG, _Romanceiro portuguez_, Leipzig, Brockaus, 1887. Hanno i Portoghesi, oltre alle romanze, parecchie altre forme di poesia popolare; come canzoni liriche di piú generi, buon numero di quartine di soggetto molto diverso arieggianti alle _coplas_ dell'Andalusia, aforismi in distici intorno alle stagioni, canti funebri (_endeixas_) sul fare dei _vòceri_ corsi e dei _bocet_ rumeni, ed altri assai differenti di contenenza e di metro. (Vedili enumerati in PUYMAIGRE, _Romanceiro_, Choix de vieux chants portugais traduits et annotés, Paris, Leroux, 1881, pag. L.) Degne di particolar menzione sono le _xacaras_, sorta di ballate o canzoni di genere drammatico, ed ora elegiache, ora pastorali, ora burlesche o satiriche. Non fu dunque iperbole sconfinata, come a prima vista parrebbe, quella di Manuel Faria, che nella prefazione di un suo libro osò scrivere che ogni fontana del Portogallo è un'Aganippe, ogni monte un Parnaso. Delle romanze, le piú son comuni a tutta la penisola iberica, con differenze talora notevoli e talora di nessun conto: di alcune non si ha traccia in Ispagna. Una certa quantità ci fu conservata dalla tradizione; ma la maggior parte giunsero fino a noi riportate da Gil-Vicente, dal Ferreira de Vasconcellos e da altri scrittori drammatici. Non di rado vi allude Luigi Camões. I versi hanno forma di ottosillabi; rimati, e piú sovente assonati, quelli pari; senza rima né assonanza i dispari. Se non che oggi questi ultimi son considerati da molti come semplici emistichi; e «certo è che non andavano nel canto staccati e soli, ma constituivano la prima parte d'una tipodia trocaica.»[1] La pensi il lettore in quel modo che gli par meglio. La verseggiatura, che, quando mi venne fatto, usai nel tradurre le poesie contenute in questo volume, non dovrebbe agl'Italiani odierni apparire «strana e barbarica» dopo l'ottimo saggio offertone da Giosuè Carducci nella sua versione, o piuttosto ricomposizione epica, del _Don Beltran_.[2] Non dovrebbe, ripeto; ma pur troppo ciò che nei maestri dell'arte è bell'ardimento, in altri è presunzione brutta e mal tollerata. Sento perciò un gran bisogno di raccomandarmi all'indulgenza delle persone discrete, se anch'io, «dopo l'audacia dell'accettare in italiano la serie monoritma, non dubitai di conservare l'assonanza, comunissima, del resto, nei canti del nostro popolo e non ignota alle rime degli antichi.» La quale indulgenza non verrà, spero, a mancarmi, per aver inoltre, sempre confortato da un sí autorevole esempio, ardito trasporre l'accento di molti ottosillabi italiani, «ripensando come e quali ne canta il nostro popolo nei _maggi_; ripensando che Lorenzo de' Medici, Angiolo Poliziano e gli altri antichi autori di ballate ne scrivevano di cosí fatti: Donne, venite a vedere--Donne, i' allevo un uccello--Fanciulle, siate invitate--Quando vedete un amante--Vagheggiano a' gonfaloni--Né macinano a raccolte--Ma io no 'l vo' però dire--Da me non sarai richiesta--Non ti sarà fatto torto.» Questa, dunque, la verseggiatura, che quando mi venne fatto (dicevo piú sopra) usai nel tradurre: ma difficoltà gravi per sé, e che alla mia scarsa perizia furono insuperabili, mi costrinsero piú d'una volta a tenere altro modo, rimando e assonando come potei, con libertà che pare a me stesso eccessiva.[3] Confesso umilmente l'involontario peccato, nella speranza di aver meno severo il giudizio degl'intendenti. * * * * * Pochi son quelli che pongono mente all'_errata_ quando è in fine dell'opera: ciò valga a scusarmi se mi è parso di metterlo qui a principio, importandomi assai di correggere alcuni sbagli di qualche rilievo incorsi nella stampa. A pag. 65, riga 25, le parole _Cfr._ FERRARO, BERNONI, IVE _ed altri_ dovevano esser ultime della nota quarta, ossia nella riga 32. A pag. 77, riga 22, in luogo di p. 176, leggi 174. Alla stessa pag., riga 24-25, dov'è scritto M. _de la_ VILLEMARQUÉ, _Guverziou Breiz-Izel_ (_Les Matelots_), Paris, 1846, leggi LUZEL, ecc., ediz. cit. A pag. 127, riga 24, ove dice _non abbia a perire_, tolgasi il _non_. Altri pochissimi errori di minor gravità non occorre notarli. [Nota 1: CARDUCCI, _Nuova Antol._, fasc. del 15 maggio 1881, p. 242-43.] [Nota 2: _Nuova Antol._, fasc. cit., e _Rime nuove_, Bologna, 1887, p. 265-71.] [Nota 3: Ciò mi accadde in quattro romanze, che sono: _Conte Yanno_, _Il cacciatore_, _La pellegrina_ e _Lo schiavo_. La xacara _La pastorella_ varia le rime anche nell'originale.] DON GAIFERO (DOM GAYFEIROS) DON GAIFERO (DOM GAYFEIROS)[4] Don Gaifero sta seduto là nel palazzo real; sta seduto al tavoliere,[5] dilettandosi a giocar. Già teneva in mano i dadi, già gli andava per gittar, quando à un tratto ecco lo zio, che lo prende a rampognar: «Tu, Gaifero, sei da questo; tu sei buono i dadi a trar; ma non mica a salvar dame, né coi Mori ad armeggiar. La tua donna è in man de' Mori, né la vai pure a cercar: se d'altr'uomo fosse moglie, non sarebbe là a penar.» Non avea finito, e i dadi don Gaifero fa volar: e se il luogo e la persona era men da rispettar, tavoliere e tavolino lo vedevi sfracassar. Egli al vecchio don Roldano tale alfin risposta dà: «La cercai sett'anni, sette, senza poterla incontrar; quattro per la terra ferma e tre altri per lo mar: varcai monti e valli, senza mai dormire né posar: era il sangue mia bevanda, carne cruda il mio mangiar: sanguinavano i miei piedi dal continuo camminar: mi passarono i sett'anni senza poterla incontrar. Or io sento che a Sansonha[6] l'hanno vista a dolorar; ma senz'armi né cavallo, come posso irla a trovar? Al cugino mio Montesino[7] gli ho dovuti in presto dar, quando là nell'Ungheria se ne andava a tornear: e perciò molto vi prego, né sia vano il mio pregar, l'armi vostre ed il cavallo mi vogliate voi prestar.» «Già sett'anni son trascorsi (non dovestili contar) da che presa è Melisendra, e non fa che lacrimar. E ti vidi sempre in arme, e cavalli ammaestrar: or che sei rimasto senza, la vorresti ire a cercar. Le mie armi non ti presto, ch'io senz'armi non vo' star; né il cavallo ben avvezzo, ch'e' non abbiasi a guastar.» «Mio buon zio, se le vostr'armi v'ostinate a dinegar, la mia donna prigioniera come posso ire a cercar?» «In San Giovan Laterano ho giurato su l'altar di negar l'armi a qualunque me le avesse ad infamar.» Don Gaifero, che ciò sente, alla spada mette man: dalla rabbia par che gli occhi fuor gli debbano schizzar. «Ben io veggo, o don Roldano, ben io veggo, in verità, quanto amor voi mi portate, se vi fa cosí parlar. Fate c'altri me le dica, ch'io ne 'l possa ripagar, queste cose: in gola a voi non le voglio ricacciar.» Tosto accorse don Guarino,[8] che ammiraglio era del mar; Durandarte ed Oliviero pur li corsero a fermar; e con loro dodici altri ch'ivi a sorte si trovàr. Ma pacato don Roldano non fu tardo a replicar: «Ben è chiaro, o mio nepote; ben a tutti chiaro appar; dalla troppa giovinezza è dipeso il tuo mancar. Don Gaifero, chi piú t'ama, quegli t'ha da castigar; s'eri tu mal cavaliere, io tenevo altro parlar. Ma ti so bravo, e ti dico: presto in armi e in sella; va'! pronti sono al piacer tuo l'armatura ed il caval; ed io stesso, don Gaifero, io ti voglio accompagnar.» «Grazie: solo debbo andarvi; solo, o zio, la vo' cercar: l'armi vengano e 'l cavallo, ch'io mi voglio incamminar: del codardo a me, nessuno, vivaddio, potrà mai dar!» Don Roldano la sua spada ecco al giovine donar: «Poi che solo brami andarvi, questa t'ha da accompagnar: generoso è il mio cavallo; violenza non gli far: piú che sprone vuol la briglia; te ne puoi, credi, fidar.» Or mirate don Gaifero come va di buon andar: va per terre di cristiani, e tra i Mori appresso va: ne va tristo e pensieroso, e fa tutto un sospirar: «Melisendra mia dai Mori come posso liberar?» Alle porte è di Sansonha, ma non sa come vi entrar: mentre pur bada e s'angustia, te le vede spalancar. Esce il re nella pianura con sua gente a sollazzar; tutti in abito da festa, tutti allegri a cavalcar. Don Gaifero un po' si scosta; indi affrettasi ad entrar, e si abbatte in un cristiano schiavo intento a lavorar. «Iddio t'abbia in guardia, o schiavo, e ti renda a libertà: dimmi, prego, in questa terra hai sentito mentovar certa dama di tua fede, certa dama d'alto affar, che andò presa qui tra' Mori, e non fa che lacrimar?» «Cavaliere, Iddio sia teco e ti guardi da ogni mal, e altra sorte a me conceda, c'ora è tutto un tribolar. Ai segnali che mi dài, ben io possoti affermar che la dama onde tu cerchi, là in Palazzo deve star. Prendi quella via diritta che al real castello va, e vedrai cristiane molte ai balconi a folleggiar.» Ei la via diritta prende che al palazzo capo fa, e girati gli occhi in alto, Melisendra vede star appoggiata a una finestra, e in un triste meditar tanto assorta, che non sente l'altre intorno sollazzar. Ecco allora innanzi e indietro don Gaifero a passeggiar. «Oh che amabil cavaliere! che garbato cavalcar!» «Meglio che giocare a dama, qui co' Mori a battagliar!» Melisendra, che ciò sente, incomincia a lacrimar. Non già ch'ella il riconosca: non potealo ravvisar cosí tutto in armi bianche, sí diverso nel portar; ma perché quel cavaliere le fa in mente ritornar i francesi paladini e una terra senza par, quelle giostre e que' tornei che si usavano intimar, quando, per la sua bellezza, correan tutti ad armeggiar. E con voce lamentosa cominciavalo a pregar: «Cavalier, se in Francia vai, ambasciata hai da recar: vo' che dica a don Gaifero ch'e' non mi viene a cercar? Se non teme egli de' Mori, se non teme di pugnar, altro amore è la cagione che me gli ha fatta scordar: digli ch'io son presa e schiava, e fo tutto un lacrimar. Che se questo mio messaggio non curasse d'ascoltar, e tu recalo a Oliviero, e tu il reca a don Beltran, e all'imperator mio padre, che mi mandi a riscattar. Ché qui mora voglion farmi e il mio Cristo rinnegar; e mi voglion dar a un Moro delle parti là del mar, e di sette re pagani me regina incoronar.» «Quest'ambasciata, o signora, da te stessa gli puoi far: don Gaifero è qui presente, e ti vien a liberar.» Non avea finito ancora, e le braccia tende già: ella tosto dal balcone si calò senza fiatar. Quando un sozzo can di Moro, ch'era messo a vigilar, con quant'ha piú voce in gola, cominciava ad esclamar: «Accorrete a Melisendra, ché la rubano i cristian!» «Melisendra sposa mia, come potrem noi scampar?» «Iddio, spero, e la madonna ci vorranno accompagnar.» «Melisendra, Melisendra, qui gran forza si vuol far!» Al cavallo apre la cigna, e gli allarga il pettoral; poi vi salta su d'un lancio, senza la staffa toccar, e alla vita prende lei, che si allunga quanto sa: la fa metter su la groppa, perché possalo abbracciar. Dà di sprone indi al cavallo, che ne ha molto a sanguinar; corre e corre e vola e vola: chi saprebbelo arrivar? Ed i Mori da ogni banda tutti a correre e a gridar; quante porte ha quella terra, tutte a furia le serràr. Sette volte dei bastioni pur invano il giro fa; ma l'ottava il buon cavallo riuscivali a saltar:[9] quei di dentro né con gli occhi piú li possono arrivar. Sopraggiunse re Almansorre, che tornava da cacciar. «Su, fa' cuore, o Melisendra; qui conviene scavalcar. Sotto queste verdi piante scendi un poco a riposar; a que' cani io vado incontro, ch'io li vegga spulezzar: quanto valgano quest'armi oggi vo' sperimentar.» Smonta dunque Melisendra, e Dio mettesi a pregar: il cavallo a briglia sciolta vola i Mori ad assaltar. Parve già pigro a fuggire, parve dianzi a stento andar; fiuta adesso il sangue moro, e si sente rinfiammar. Don Gaifero pugna forte, ma piú forte il suo caval; fanno a gara tutti e due chi piú Mori abbatterà. Già ne cascan tanti e tanti, che non son piú da contar; corre sangue in tanta copia, che va i campi ad allagar. Re Almansorre, che ciò vede, cominciava ad esclamar: Allà invoca e Maometto, ché lo vogliano aiutar. «Maledetto te, o cristiano, e piú ancora il tuo pugnar! non c'è al mondo cavaliere che ti possa pareggiar. Sei tu forse Urgel di Nantes,[10] Oliviero singolar, o l'Infante don Guarino, grand'ammiraglio del mar? Non v'è altri fra que' dodici[11] da poterti fronteggiar, se non fosse don Roldano, quel fatato senza par.» Don Gaifero, che ciò sente, questa a lui risposta dà: «Taci, taci, o re de' Mori; non è savio il tuo parlar: molti ha Francia cavalieri che li possono uguagliar. Io non son dei nominati, e a conoscer mi vo' dar; son l'Infante don Gaifero, son nipote a don Roldan capitano[12] di Parigi, ch'è mia terra natural.» Altro il re non vuole udire, né piú innanzi contrastar; volge la briglia al cavallo, e si va dentro a serrar. Don Gaifero, solo in campo, non ha piú con cui pugnar: corre, pieno il cor di gioja, la consorte a ritrovar. «Sei ferito, sposo mio? ah ferito hai da tornar! eran tanti e tanti i Mori, e tu solo a battagliar! Strapperò della camicia mia le maniche a fasciar le tue piaghe; col mio velo le saprò rimarginar.» «Non dir queste cose, o Infanta; non è savio il tuo parlar: s'eran anco a cento doppj, a me nulla potean far: del mio zio Roldano l'armi, credi, son di buono acciar; cavalier che se ne cinga non può mai pericolar.» E cavalcano e cavalcano, senza punto riposar: per le terre là de' Mori senz'alcun sospetto van, ragionando pur d'amore, senza a null'altro pensar. Nelle parti de' cristiani finalmente ripassàr: a Parigi eccoli giunti; li va il popolo a incontrar e ben sette leghe fuori è la corte ad aspettar. Ecco vien l'imperatore la sua figlia ad abbracciar; le parole ch'ei le dice fanno i sassi lacrimar. Vedi il clero tutto quanto, la piú eletta nobiltà; vedi i Pari tutti e dodici;[13] né le dame puoi contar. Alda v'era e don Roldano e l'ammiraglio del mar; l'arcivescovo Turpino, don Giuliano d'Alem-mar, e il buon vecchio don Beltrano, e quanti altri usano star presso l'alto imperatore e alla sua mensa pranzar.[14] Che onoranze a don Gaifero, e che bel congratular! Della molta sua prodezza grandemente lui lodàr, che la sposa ha liberato con valore singolar. Le gran feste che si fecero non si posson raccontar. NOTE [Nota 4: HARDUNG, II, _pag. 13-24_. «Tous nos lecteurs se rappelleront comment don Quichotte intervint dans la représentation que maître Pierre donnait avec ses marionnettes, représentation dont le sujet même était la mise en action de ce romance [_Don Quijote_, II, 26]..... Gaiferos est encore le héros de trois autres romances anciens. Dans le premier, le poëte montre la mère de Gaiferos adressant à son fils des paroles qui le font pleurer: «Dieu te donne barbe au menton, et fasse de toi un preux. Dieu te donne bonheur dans les armes comme au paladin Roland, pour que tu venges la mort de ton père. On l'a tué par trahison pour épouser ta mère. On m'a fait de belles noces aux-quelles Dieu n'eut point de part....» Ces paroles ont été entendues par le beau-père de Gaiferos, qui, furieux, ordonne à ses écuyers de s'emparer de l'enfant et de le tuer. Ceux ci ne purent se résoudre à commettre ce crime; et laissèrent échapper Gaiferos, qui se réfugia chez son oncle. Le second romance nous raconte comment Gaiferos, déguisé en pèlerin, se présente chez sa mère qui le croyait mort, et abat la tête de son persécuteur: le troisième, beaucoup plus court, est sans liaison avec les deux premiers et avec celui que nous avons traduit. M. Milá y Fontanals [_Observaciones sobre la poesia popular con muestras de romances catalanos inéditos_, Barcelona, 1853] pense que le personnage de Gaiferos est le _riche duc Gaifiers_ de la chanson de Roland, le Gaiferus de Turpin et le Waïfre des historiens modernes. [Ecco il luogo del poema francese dove si fa menzione del nostro eroe: «_Venuz i est li riches dux Gaifiers_.» Str. LXII]. Toutefois les exploits que lui prêtent les trouvères espagnols ne sont pas attribués par les pöetes français à son homonyme. Ils font souvenir pourtant de la situation de la belle Aye d'Avignon, tenue renfermée par le sarrasin Ganor dans une tour d'où elle aperçoit son mari Gainier. M. Milá, qui fait cette remarque, rapproche les paroles d'Aye de celles de Melisenda: Vos sodoiers de France qui m'avez trepassée, parlez un peu à moi, car de France sui née, si me dites nouvelles de la douce contrée.... M. Milá fait encore observer que dans le poème de Walter d'Aquitaine, dont le nom n'est pas sans affinité avec celui de Waïfre et de Gaiferos, on trouve le récit d'une fuite du héros et de l'héroine, qui a quelque ressemblance avec celle de Gaiferos et de Melisenda. Ce dernier nom semble d'origine française au critique espagnol; il lui paraît pouvoir être une transformation du nom de Bellisent, une des filles de Charlemagne.» PUYMAIGRE, _Petit romancero, choix de vieux chants espagnols_, Paris, 1878, p. 87-88. Da questa romanza, che nell'originale può leggersi in WOLF _und_ HOFFMANN, _Primavera y flor de romances_, Berlin, 1856, II, p. 229 e segg.; nacque, con forme similissime alle materne, la portoghese, che tradussi seguendo il testo di G. B. ALMEIDA-GARRETT. «Entrou em Portugal por meio do Cancioneiro de Romances de Anvers [del 1555]. Primeiro corria na sua linguagem nativa (GIL VICENTE, _Obras_, II, 27), sendo depois, en forma abreviada, trasladado a portuguez.» HARDUNG, t. cit., p. 3, in nota. Lo stesso Hardung la pone tra quelle d'argomento moresco (_Romances mouriscos_); ad altri sembrò appartenere piuttosto al ciclo carolingio, ovvero (non saprei dire perché) a quel della Tavola Rotonda. Non è del mio proposito fermarmi a parlare della miglior classificazione di questa e delle altre romanze portoghesi: molto ne fu discorso dai critici, e con molta diversità d'opinioni. Vedi, tra gli altri, MILÀ _y_ FONTANALS, _De la poesia heróico popular castellana_, Barcelona, 1874, p. 372-79, ed un bell'articolo di A. MOREL-FATIO, in _Romania_, 1873, p. 128.] [Nota 5: Orig., _Taboleiro_. «Le jeu de las Tablas, appelé autrefois en France le jeu des Tables, était le trictrac, suivant Legrand d'Aussy....» PUYMAIGRE, op. cit., p. 88, in nota. Non il giuoco delle tavole, ma quel degli scacchi è rammentato spesso negli antichi poemi francesi; dove per lo piú accade che «due giocatori... diventano discordi per varie ragioni, e la contesa finisce in modo che uno uccide l'altro con lo scacchiere.» NYROP, _Storia dell'epopea franc. nel M. E._ (trad. di E. GORRA), Firenze, 1886, p. 163, in nota. Cosí fa, in una romanza spagnola, Montasinos a don Tomillas. Eroi che giocano ai dadi introduce Euripide in piú d'una tragedia; di che lo burla Aristofane molto argutamente. Vedi le _Rane_ (traduz. di A. FRANCHETTI), Città di Castello, 1886, p. 123.] [Nota 6: Spagn. _Sansueña_: _Salsonha_, nella lezione di _Trás-os-Montes_: ed è la denominazione araba di Saragozza. Passò questo nome, alterato leggermente in Sansogna, nella nostra antica letteratura. Vedine un es. di Fazio degli Uberti, in D'ANCONA, _Varietà stor. e lett._, Milano, 1885, serie II, p. 106; ed un altro di Teofilo Folengo (_Orlandino_, cap. VIII, ott. 73): «Ma forse l'alta vostra Reverenza mi crede esser un bravo di Sansogna.»] [Nota 7: V. _Don Quijote_, II, 22 e 23. «Montesino est encore un chevalier français créé par les poëtes espagnols. Plusieurs romances, qui sont de véritables chansons de geste, ont été composés sur Montesinos...» PUYMAIGRE, op. cit., p. 113, in nota. Esso ricomparisce nelle romanze sul cugino suo Durandarte, altro guerriero francese d'invenzione spagnola; e per questa via fa novamente capolino in Portogallo. Vedi HARDUNG, II, p. 218.] [Nota 8: Hanno gli Spagnoli intorno a questo don _Guarinos_ una bella romanza, che si legge in WOLF _und_ HOFFMANN, II, p. 313, e che sembra derivata dalla _Chanson d'Ogier le Danois_. PUYMAIGRE, op. cit., p. 109, in nota. Troviamo nei poemi francesi non meno di tre eroi nominati _Garin_; e sono: Garin d'Anséune, Garin de Montglane e Garin le Loherain. NYROP, _passim_.] [Nota 9: In una ballata rumena, che insieme col dotto amico mio prof. S. FRIEDMANN tradussi dalla nota raccolta di B. ALECSANDRI (_Poesit populare ale Romanilor, Bucuresci_, 1866), Bogdan, «temerario in battaglia--e d'arco buon tiratore,» va «con cento di accompagnatura,» a sposarsi con la figliuola «di un Lituano ricco--che ha rinnegato la fede.... Ma come il Lituano gli scorge,--chiude la porta della corte--e la incatenaccia,--e grida cosí:--Qual di voi è lo sposo.--lo sposo il genero.--scavalchi le mura,--per aprire le porte.--Come Bogdan lo sente,--subito irrompe,--ed incita il cavallo,--che dà un lancio poderoso.--Vola il cavallo come rondine,--ed ecco è giú nella corte.»--Ilia di Mourom, eroe russo (_bogatyr_) del ciclo di Vladimiro, «s'en va sur la grande route, et dès qu'il rencontre un mougik conduisant par la bride un cheval teigneux, il le lui achète au prix qui lui est demandé: puis, pendant trois nuits consécutives, il promène et baigne le sonipède dans la rosée du jardin. Quand cette medication est terminée, Ilia se place à cheval devant une haute muraille, et la bête rustique, devenue un corsier héroïque, la franchit d'un seul bond.» RAMBAUD, _La Russie épique_, Paris, 1876, p. 48. Ma un uomo, che, come il nostro personaggio, andava armato d'una clava di 1500 libbre; che tutti in un colpo riduceva in polvere _quarantamila_ banditi, e che pochi momenti innanzi di comprarsi il cavallo, aveva d'un solo strattone portato via tutta una foresta di quercie; meritava certo, mi pare, d'imbattersi in una bestia degna di lui. Anche miglior animale capitò in sorte a Vassilissa, eroina pur del ciclo di Vladimiro; ché per esso il saltar mura torri e fossati era proprio una bagattella (_ivi_, p. 84), come fu per Bajardo il balzare d'un lancio, con Ivonetto in groppa, oltre i muraglioni e le fosse di Parigi. Vedi _Mambriano_, XXXVI, 72, cit. dal prof. P. RAJNA, nell'eccellente opera _Le fonti dell'Orl. Fur._, Firenze, 1876, p. 101, in nota. Ma chi volesse contare tutti i miracoli che dei cavalli si narrano nei poemi e nelle prose d'argomento fantastico, romanzesco ed eroicomico, facendosi da' piú antichi e calando giú giú fino al _Ricciardetto_ del Forteguerri, anzi fino all'_Orlando Savio_ del Bagnoli; ne avrebbe per un bel pezzo.] [Nota 10: Il testo spagnolo: _Urgel de la Marcha_, Uggeri di Danimarca; l'_Ogier_ dei poemi francesi. «Nei _Quatre fils Aimon_ [o _Renant de Montauban_].... Astolfo è detto cugino di Uggeri, il quale alla sua volta è nipote di Gherardo da Rossiglione e cugino di Rinaldo.» RAJNA, prefaz. ai _Reali di Francia_, Bologna, 1872, I, p. 271. «Intorno all'origine ed alla schiatta d'Uggeri non pare che le tradizioni romanzesche si trovassero pienamente d'accordo..... Troviamo ampiamente diffusa una versione che fa di lui un Saracino convertito nella gioventú di Carlo.» Lo stesso, _Uggeri il Danese nella letter. romanzesca degl'Ital._, in _Romania_, 1873, p. 155. «Sembra ora dimostrato che l'eroe leggendario Ogier le Danois sia una fusione di parecchi altri eroi che risalgono al tempo di Carlo. Cosí noi sappiamo da una cronaca monastica di Colonia che il monastero di san Martino fu ricostruito nel 778 _per Olgerum, Daniae ducem, adjuvante Karolo Magno imperatore_. Un gran numero d'altre citazioni prese da diverse cronache medievali sono state fatte dal Gautier nella seconda edizione delle sue _Epopées_ (III, 53 segg.), da tutte le quali sembra risultare che un conte danese _Olgerus_, un francese _Autcharius_ e un bavarese _Otker_ hanno insieme formato l'_Ogier le Danois_ dell'epopea.» NYROP, op. cit., p. 165. «Il Rajna... ha fatto un tentativo d'identificare _Olgerus_ con il noto dio della mitologia scandinava _Oegir_. Questo tentativo può ritenersi per interamente mancato.» _Ivi_, in nota. E tali da persuadere son veramente le ragioni contrapposte dal chiaro uomo a quelle del Rajna; ma forse non si doveva tacere che il professore italiano, con quella assennatezza e modestia che in lui van sempre del pari con l'ingegno e con la dottrina, aveva scritto: «L'idea è tuttavia di quelle che voglion esser proposte con molto riserbo.» RAJNA, _Le origini dell'ep. fr._, p. 442. Il RABELAIS, sempre ghiribizzoso e burlone, finge che il povero Uggeri, con tutta la sua cavalleria, siasi, dopo morto, ridotto a fare il _frobisseur de harnoys_. (Vedi _Pantagruel_, cap. XXX). Ma quando penso che insieme con lui fu visto, per tacer d'altri, Alessandro il grande, _qui repetassoit de vieilles chausses, et ainsi gaignoit sa vie_; Trajano mutato in _pescheur de grenoilles_, e Bonifazio VIII in _escumeur de marmites_; mi par che il nostro Danese, avuto rispetto alla differenza del grado, non sia de' piú maltrattati.] [Nota 11: Paladini, o Pari; anticam. anche _Peri_. Vedi la nota 9.] [Nota 12: Orig. _Alcaide-mór_, che il BELLERMANN traduce _der erste Burgwart_. A me la voce _capitano_, nel suo significato storico di ufficiale preposto al governo d'una città, parve la piú adatta. Cui non piacesse, metta in luogo suo _castellano_ od altra simile, e tutti lesti.] [Nota 13: «Germanica... è la fratellanza d'armi, di cui Orlando e Ulivieri ci presentano l'esempio di gran lunga piú cospicuo.... Codesti _cumpaignun_, come si chiamano in francese, sono i _Gesellen_ germanici.... Io non so se nella _cumpaignie_ si distinguessero formalmente piú gradi e specie; certo il vocabolo francese si trova adoperato ad esprimerci e un legame piú stretto ed uno meno. Al primo modo sono compagni Ulivieri ed Orlando, Gerier e Gerin; al secondo sono detti a volta compagni tutti i Pari.... Alle idee e agli istituti germanici par dunque riportarci per questo rispetto la brigata dei Dodici Pari. Ed essa vi ci riporta di sicuro anche per un altro; per quel numero dodici.... Cotesto numero è qualcosa di originario: i Pari sono dodici nella _Chanson de Roland_ come in ogni altro testo.» RAJNA, _Le origini dell'ep. fr._, p. 392-93. Intorno alla fratellanza d'armi è da consultare con profitto: TAMASSIA, _L'affratellamento_, studio storico-giuridico, Torino, 1886.] [Nota 14: In piú d'una romanza spagnola del ciclo carolingio, alludesi, come in questa, alla Tavola Rotonda. La cosa va per i suoi piedi, essendo proprio della poesia popolare il confondere tempi luoghi nomi persone uffici titoli ecc.; l'osservazione è del PUYMAIGRE, e si legge nel t. II, p. 312, della sua bell'opera _Les vieux auteurs castillans_, Paris, 1862.] LA RAGAZZA CHE VA ALLA GUERRA (DONZELLA QUE VAI À GUERRA) LA RAGAZZA CHE VA ALLA GUERRA (DONZELLA QUE VAI À GUERRA)[15] I. Scendon Francia ed Aragona fiere in campo a guerreggiar. «Ahi son vecchio, troppo vecchio, e non posso arme portar! Dio m'ha dato sette figlie, né mi volle un figlio dar!» Gli rispose la piú giovine con discreto e bel parlar: «Arme datemi e cavallo, ed il figlio eccolo qua.» «Questo, cara, non può essere; è dei maschi il battagliar.» «Arme datemi e cavallo, ed il maschio eccolo qua.» «O figliola del cor mio, come puoi con gli altri andar? hai la chioma troppo lunga, e conoscer ti farà.» «Su, mi date un par di forbici, ch'io la possa raccorciar.» «O figliola del cor mio, come puoi con gli altri andar? gli occhi tuoi son troppo vivi, e conoscer ti faran.» «Quand'io passerò tra gli uomini, li saprò, padre, chinar.» «O figliola del cor mio, come puoi con gli altri andar? hai le spalle cosí alte, che conoscer ti faran.» «Armi datemi sí pese, che le facciano abbassar.» «O figliola del cor mio, come puoi con gli altri andar? hai cosí ricolmo il seno, che conoscer ti farà.» «Mi si dia corazza stretta, da poterlo rappianar.» «O figliola del cor mio, come puoi con gli altri andar? hai le mani cosí piccole, che conoscer ti faran.» «Guanti datemi di ferro; dentro sempre vi staran.» «O figliola del cor mio, come puoi con gli altri andar? il tuo piede è tanto piccolo, che conoscer ti farà.» «Qua stivali con gli sproni, e piú grosso apparirà. Arme datemi e cavallo, ch'io da uomo saprò far. Babbo, mamma, beneditemi; io vi debbo ora lasciar. Via da bravi, pe 'l re nostro don Giovanni a guerreggiar!» II. «Cara madre, cara madre, io mi sento consumar: ha don Marco occhi di donna; non è d'uomo il suo guardar.»[16] «E tu invitalo, o figliolo, pe 'l giardino a passeggiar: se don Marco è proprio donna, alle rose correrà.» Ma la scaltra un bel garofano tosto fermasi a guardar. «Questo fiore oh come agli uomini è soave ad annusar! Ma la rosa è piú gentile, e alle dame si vuol dar.» «Cara madre, cara madre, io mi sento consumar: ha don Marco occhi di donna; non è d'uomo il suo guardar.» «E tu invitalo, o figliolo, teco invitalo a pranzar: s'egli è donna, come pensi, sul tappeto sederà.» Ella sopra un alto scanno s'andò invece ad assettar. «Cara madre, cara madre, io mi sento consumar: ha don Marco occhi di donna; non è d'uomo il suo guardar.« «E tu invitalo, o figliolo, per la fiera a diportar:[17] s'egli è donna, come pensi, vorrà nastri comperar.» La fanciulla, come accorta, per la fiera va a girar: non già nastri, ma una daga, volle in cambio comperar. «Oh che bella daga è questa da schermire e duellar! sono i nastri per le dame, e alle dame s'hanno a dar.» «Cara madre, cara madre, io mi sento consumar: ha don Marco occhi di donna; non è d'uomo il suo guardar.» «E tu invitalo, o figliolo, teco invitalo a nuotar: s'egli è donna, come pensi, del venir si scuserà.» Mentre quella, come accorta, cominciavasi a spogliar, ecco un paggio con un foglio: essa legge e in pianto dà. «Trista nuova, trista molto, ahi mi vengono a portar! la mia dolce madre è morta, è mio padre per mancar! Le campane del paese mio già odo rintoccar; le mie due sorelle buone di qui odo singhiozzar. Su in arcione, o cavaliere, se me brami accompagnar!» Presto giunsero al castello, e in un salto scavalcàr. «Signor padre, eccovi un genero, se vorretelo accettar. Capitano mio fu al campo, e mi tolse a corteggiar; se mi vuol far sua davvero, con mio padre ha da parlar. Per sett'anni guerreggiai, e da uomo seppi far: nessun mai mi ha conosciuta, se non esso il capitan: ma badate, agli occhi soli mi conobbe ed al guardar.»[18] NOTE [Nota 15: BELLERMANN, p. 64-74. «Este romance foi citado por Jorge Ferreira de Vasconcellos [[+] 1585] na _Aulegraphia_ (Sc. I, A. III), e publicado pela primeira vez por José Maria da Costa e Silva nas notas ao poema _Isabel ou a heroina de Aragão, em 1832_.» HARDUNG, I. p. 88, in nota. Delle tre lezioni che l'egregio raccoglitore ne dà sotto il titolo _Romances de d. Martinho de Avizado_, nessuna è uguale al testo da me seguito. Ecco i quattro versi che soli ci avanzano della lez. castigliana conservataci dal Ferreira: «Pregonadas son las guerras de Francia contra Aragon. ¿Como las haria, triste viejo, cano y pecador?» Crede il NIGRA che questo canto, qualunque ne sia l'origine, sia stato trasmesso dalla Provenza «alle due penisole, italica ed iberica, passando poi colle prime crociate in Grecia e ne' paesi slavi. La redazione primitiva sarebbe quindi, secondo quest'ipotesi, anteriore alla fine del duodecimo secolo; la quale antichità è d'altronde pienamente confermata dall'indole cavalleresca dell'intiera composizione.» (_Canzoni pop. del Piemonte_, in _Riv. Contemp._, vol. XV, anno 6º, p. 230-31.) «E il sig. T. BRAGA, nella nota ai N. 11 e 12 (_Dom Varão_, _Donzella guerreira_) dei _Cantos populares do archipelago açoriano_ [Porto, 1869], riconosce giustissima tale osservazione del Nigra, tanto piú che man mano i fatti vengono a corroborarla. I cavalieri francesi, egli aggiunge, ajutarono Alfonso Enriquez nella conquista di Lisbona, e lo seguirono quando andò a combattere in Terra Santa: la canzone della donna guerriera non s'incontra nell'antiche collezioni spagnole, circostanza che mostra essere il canto una tradizione del littorale. Tutto ciò pertanto conferma la seguente legge di tradizione poetica scoperta dal Nigra:--Questi canti romanzeschi comuni alle nazioni di razza latina debbono, nel dubbio, considerarsi come trasmessi e spesso originati dalla Provenza.» S. PRATO, _Gli ultimi lavori del_ Folk-lore _neo-latino_, Parigi, 1884, (estr. dalla _Romania_, t. XII e XIII). «Sans doute on ne retrouve pas toujours cette origine indiquée d'une manière visible, mais on la trouve assez de fois pour la soupçonner, dès qu'un chant espagnol ou portugais et un chant italien reproduisent une situation semblable.... Il y a, il faut le reconnaître, de forts arguments en faveur de cette conjecture dans les rapprochements qu'offre la littérature populaire de contrées differentes.» PUYMAIGRE, _Chants pop. recueillis dans le Pays Messin_, Paris, 1881, t. I, p. 17-18. Ma per alcuni dubbi intorno a tale opinione, vedi, tra gli altri, G. PARIS, in _Revue critique d'histoire et de littérat._, 1886, t. I, p. 304. Sia come si vuole, fatto è che abbiamo nell'Italia superiore e centrale canzoni piú o meno conformi o remotamente analoghe alla romanza portoghese. Ben dodici lezioni ne cita o riporta il Nigra; quattro delle quali piemontesi, tre canavesi e cinque monferrine. Cfr. FERRARO, _Canti monferrini_ (_La ragazza guerriera_), Torino, 1870, p. 54-56; WOLF, _Volkslieder aus Venetien_ (_La figlia coraggiosa_), Wien, 1864, N. 79; BERNONI, _Canti pop. veneziani_ (_La guerriera_), Venezia, 1873, puntata XI, N. 5; GIANANDREA, _Canti pop. marchigiani_ (_La ragazza guerriera_), Torino, 1875, p. 280.[19] Nella _Romania_ del 1874, p. 96, il PUYMAIGRE pubblicò una canzone bearnese, mancante della fine, ch'egli dice «une variante du romance portugais.» È intitolata: _Les filles du seigneur de Meyrac_, e comincia: «Las guerres son cridades» ecc. La greca riferita dal Nigra si discosta molto dalla nostra; bellissimo riscontro le fa invece la ballata serba, che l'illustre uomo tolse dalla raccolta del TOMMASEO, _Canti pop. toscani, còrsi, illirici, greci_, Venezia, 1842, t. IV, p. 79 e segg. Notevoli conformità con la romanza portoghese ha parimente la _piesna_ del bojaro Stavro Godinovitch, pur citata dal Nigra, e che puoi leggere compendiata nel RAMBAUD, a carte 83-85. «Che poi anche nelle tradizioni popolari di tutti i paesi non sieno rare le donne guerriere, e le Amazzoni greche, e le _Valkirie_ dell'_Edda_, e Brunechilde dei _Nibelunghi_, e la bellicosa Cammilla dell'_Eneide_, e l'altiera Clorinda della _Gerusalemme liberata_, e le _Polenitze_ delle _byline_ [canti epici] russe ce lo testimoniano in irrefragabile modo.... Un altro esempio di donna guerriera ci si presenta nella tradizione mongolica (vedi BERNARD JÜLG, _Mongolische Maerchen_): questa donna guerriera è la moglie dello sciocco protagonista del presente canto: essa, mentre il marito è andato a caccia, si traveste da guerriero, muove incontro al marito, si fa scambiare per il famoso _Surya-Bagatur_; lo vince, s'impadronisce del suo arco, della sua faretra e del suo cavallo, sottoponendolo inoltre ad un'umiliazione singolarissima, che qui la decenza non mi consente d'indicare.... Tornando al canto in questione,.... il signor G. TEIXEIRA SOARES indica un fatto della storia portoghese molto popolare, che, al dire del Braga, conferí non poco al divulgamento di questa canzone comune ai popoli del mezzodí d'Europa [e non solo a questi, come vedemmo piú sopra]. Esso è la storia della celebre Antonia Rodriguez, che si segnalò militando in Oriente in qualità di soldato, come si narra nel _Theatro heroico_ di Froez Perym, t. I, p. 54, e di cui parla Duarte Nunes nella sua _Descripsão de Portugal_, cap. 89, p. 346, ediz. del 1785.» PRATO, scritto cit. In una assai graziosa novella toscana (_Fanta-Ghirò, persona bella_), certo re, tribolato da incurabile malattia, ha tre figliole. «E nella cambera ci teneva tre siede, una celeste, una nera e una rossa. E le su' figliole, quando andevan da lui la mattina, guardavan sempre su che sedia s'era messo il padre; se su quella celeste, voleva dire _allegria_; su quella nera, _morte_; su quella rossa, _guerra_. Un giorno entrano in cambera, e il Re siedeva sulla sedia rossa. Dice la maggiore:--«Signor padre, oh! che gli è intravvenuto?»--«Ho ricevuto una lettera dal Re a confino, e lui mi dichiara la guerra. Ma io, a questo modo ammalato, non so dove sbacchiare il capo, perché da me non posso andare al comando dell'esercito. Bisognerà che trovi un bon generale.»--Dice la maggiore:--«Se lei me lo permette, il generale sarò io. Vedrà che son capace a comandare a' soldati ecc.» IMBRIANI, _La Novellaja fiorent._, Livorno, 1877, p. 537. Se al valente raccoglitore non fosse piaciuto di porre certi limiti a' suoi riscontri, credo per fermo che nella nota appósta alla presente novella non sarebbe mancato almeno un accenno a quelle parecchie canzoni (la portoghese, le piemontesi del Nigra, la slava ecc.) che hanno con essa corrispondenza sí grande. Sol nelle parti accessorie è qualche diversità; e la differenza piú notabile è forse questa, che nella versione prosastica toscana (bisogna proprio dire cosí) tutte e tre le sorelle tentan la prova, cominciando dalla maggiore; dovecché nelle versioni poetiche su citate, una sorella soltanto, od una figlia unica, veste l'assisa soldatesca. Ed è troppo facile intenderne la ragione: quando nei racconti e nelle fiabe popolari tre o piú fratelli mettonsi ad un'impresa qualsiasi, è oramai legge antichissima e quasi costante (chi non volesse dire connaturale a codeste parti dell'immaginazione e del sentimento dei volghi); è legge, ripeto, quasi costante, che solo al minore venga fatto di condurla a buon fine; gli altri n'escono il piú delle volte col danno e con le beffe.--Questa novella era stata prima raccolta e pubblicata da G. NERUCCI, nel vol. intitol. _Sessanta nov. pop. montalesi_, Firenze, 1880. Num. 28, p. 248 e segg. L'IMBRIANI cita come raffronto _La serva d'Aglie_, Tratten. VI della III giorn. del _Pentamerone_, che a me è mancato il tempo di vedere. Cfr. anche COMPARETTI, _Novelline pop. ital._, Torino, 1875 (_Il drago_), N. 17, p. 70 e segg.; un racconto albanese cit. dal RAMBAUD, p. 85, ecc. ecc. Del ciclo della _donna guerriera_ trattò dottamente il LIEBRECHT, in _Heidelberger Jahrbuch_, anno 1877. «La situation qui fait le sujet de notre romance, a pu, d'ailleurs, se produire plus d'une fois. Pitre Chevalier a raconté l'histoire de la bretonne Mathurine partant à la place de son frère et faisant, comme dragon, les campagnes de 1812, 1813 et 1814.... On lisait aussi dans le _Figaro_ du 20 octobre 1879 un récit du même genre, l'histoire de Silvia Marietti se substituant également à son frere. Dans les _Chants de la Carniole_, traduits en allemand par Anastase Grun, Alenka prend les armes pour venger la mort de son frère Gregore (N. 42).» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 167-68. Una giovinetta boema vuol seguire l'amante che va soldato. Ma essa non ha bisogno di travestirsi; farà ben altro: «Je me changerais,» dice, «en petit oiseau, et je me poserais sur ton chapeau.--Je me changerais en hirondelle, et je me poserais sur ta tête chérie.» LEGER, _Chants héroïques et chansons popul. des Slaves de Bohême_, Paris, 1866, p. 205. E in un rispetto umbro, canta una ragazza animosa: «Giovanettino dallo fiore in bocca, e vi sta ben quell'elmo in su la testa: san Giorgio vo' parete quando scocca la sua lombarda [labarda] al drago in su la cresta. Giovanettino dal cappello oscuro, quando sarà che sonerà il tamburo? Io vo' venir con voi mattina e sera, se non foss'altro, a fa' la vivandiera: e per vo', damo mio, se ce n'accada, saprò trattare il fucile e la spada: e per vo', damo mio, né c'è da dire, io saperò combattere e morire.» MARCOALDI, _Canti pop. ined. umbri_, _liguri_, _piceni_, _piemontesi_, _latini_, Genova, 1855, p. 65. Al RUBIERI (op. cit., p. 555) pare che questo rispetto abbia dell'artificiato; e pare anche a me.] [Nota 16: La novella fiorent.: «Fanta-Ghirò, persona bella, du' occhi neri, drento la su' favella: carissima madre, mi pare una donzella.» IMBRIANI, _La Nov._ ecc., p. 539.] [Nota 17: Di questo verbo usato cosí assolutamente, reca noi lessici un esempio di Francesco da Barberino. Io me ne son valso non per comodo di rima o di verso, ma perché mi suona bene all'orecchio.] [Nota 18: L'ARIOSTO, di Marfisa: «Fu conosciuta all'auree crespe chiome, ed alla faccia delicata e bella.»] [Nota 19: All'erudito e cortese prof. S. PRATO vo debitore della seguente canzone affatto inedita, ch'egli raccolse or è poco dalla bocca d'una giovinetta di Roncofreddo (circond. di Cesena), chiamata Maria Regini, la quale disse d'averla imparata a Bologna da un'amica sua. Eccola: V'eran due belli amanti; 'l giovin fa un delitto: fu mandato 'n prigió. La bella giovinetta, vestita da Napuglió, lo va a troà 'n prigió. E quando la fu dentro, lo comincia a bacià: «Levati li tui panni, mettiti 'l mio vestí, che poi te n'esci fora, ed io rimango qui.» Quando fu la mattina, 'n giustizia fu porté, e presto la fantina là venne esaminé. «Grazie, grazie, sor giudice, di vostra gran ragió; di condannà 'na figlia è falsa l'occasió.» «Se vo' siete 'na figlia, fatemelo sapé.» «Sí, sí, io so' 'na figlia lontana dal mio paé. Per no' esse scoperta, mi so' vestía da 'nglè.» Quando fu la mattina, la fece scarceré. «Grazie, grazie, sor giudice, di vostria carità de liberà 'na figlia col proprio innamorà.» Non manca il Prato d'avvertirmi come questa canzone sia quasi totalmente identica ad una romana data in luce dal SABATINI (_Riv. di letterat. pop._, 1877, vol. 1, fasc. 1, N. 13), e come ne sia la forma alquanto bastarda, «cioè né del tutto italiana, né del tutto vernacola.» Nessuno, credo, vorrà meravigliarsi di tale mischianza: ad ogni modo, giovi qui rammentare queste savie parole del compianto IMBRIANI: «Si noterà che i canti non sono quasi mai nel dialetto puro e schietto, contengono colori, forme e parole d'altri idiomi; quasi sempre forme e parole della lingua aulica. Fatto costante del quale non occorre indagar la cagione, e che risponde appunto al bisogno d'idealizzare il linguaggio, quando il pensiero che ci occupa è nobile ed alto.» Vedi _Canti pop. delle prov. merid._, Torino, 1871-72, t. 1, p. X; e RUBIERI, _Storia della poesia pop. ital._, Firenze, 1877, p. 226. Del resto qui siamo, come ognun vede, lontani un bel tratto dalla romanza portoghese: qui l'invenzione, i particolari, ogni cosa è diversa: unica rassomiglianza il travestimento militare della ragazza. Questo canto in somma non entra, si può dire, per niente nel ciclo della _donna guerriera_; ed io non l'avrei forse riferito per intero se non ci venisse dalle Romagne, che sono, com'è noto, un di que' paesi «i quali finora poco o nulla diedero alla letteratura popolare messa insieme dai dotti.» (_Fanfulla della domenica_, A. III, N. 23, p. 8.) Poco diedero, perché poco vi si cercò; ma gli studiosi e gli amatori di buona volontà non vi perderanno certo né il tempo né l'opera. Ed io gradirei non si contentassero solo di rispetti e di stornelli: anche canzoni, o romanze, o ballate che debba dirsi, potranno raccogliere, se ci si mettono con pazienza. Anzi, giacché mi capita il destro, voglio riportare alcuni periodi di un recente scritto del mio bravo amico GUIDO MAZZONI, che dice, a parer mio, santamente: «È opinione comune tra i cultori e gli studiosi della nostra poesia popolare che lo strambotto, il rispetto, lo stornello fioriscano o, per dir meglio, abbiano fiorito (ché il popolo oggi ricanta piú che non inventi) nell'Italia media ed inferiore; la canzone o romanza nella superiore. Cito le parole d'un giudice molto autorevole, il Comparetti:--L'altra forma [quella della canzone] è polistrofa, non è esclusivamente italiana, ed in Italia non si trova che nel settentrione.--Che questo, detto in genere, sia vero non negherà nessuno; ma che la Toscana e l'Umbria non abbiano che liriche popolari, e non anche qualche canzone o romanza, non sono disposto a concedere io che piú d'una ne ho udita nelle nostre campagne. Dove, se è vero che i contadini si compiacciono vantarsi o lagnarsi di amore ne' brevi canti, usano pure rallegrare il lavoro con belle storie in strofette.» (_Cronaca Minima_, anno 1, N. 7, pag. 50.)] CONTE YANNO (CONDE YANNO) CONTE YANNO (CONDE YANNO)[20] Non facea la bella Infanta, non facea che lacrimar: e ha ragione; perché il padre lei non pensa a maritar. Si levò questi dal letto, che pur gemere l'udía: «Che cos'hai, mia cara Infanta? che cos'hai, figliola mia?» «Che ho da avere, signor padre? troppo a me pesa la vita; di tre femmine, una sola, che son io, non si marita!» «E che vuoi tu che ci faccia io? la colpa non è mia; non mancarono ambasciate d'Aquitania e Normandía;[21] tu ascoltarle non volesti, non usasti cortesía. Non è qui nella mia corte uom che degno di te sia, se non forse il conte Yanno; ma pur troppo ha moglie già.» «Ah sí! lui, mio caro padre, proprio lui m'avete a dar! S'egli ha già moglie e figlioli, forte impegno meco avea; ma osservare ei non mi seppe quella fé che mi dovea.» Tosto manda il re pe 'l conte, ma non sa che cosa far; gli fa dir che ha da parlargli, ma non sa che gli dirà. «Vengo adesso dal Palazzo, e mi vuol da capo il re! sarà ben questa chiamata, o sarà male per me?» Al Palazzo torna il conte; a incontrarlo il re venía: «Bacio, Altezza,[22] a voi le mani: parli Vostra Signoría.» E risponde il re severo: «Ben le avete da baciar: somma grazia, la mia figlia voglio darvi ad impalmar.» Nell'udir queste parole, conte Yanno è per mancar. «Dacché presi moglie, un anno e un dí, sire, è corso già.»[23] «Vostra moglie ucciderete; voi l'avete da sposar.» «Se non merita la morte, come la posso ammazzar?» «Via, silenzio, signor conte; non mi state a provocar: non le Infante, ma le schiave, vo' insegnarvi ad ingannar.» «Ben ragione avete, o Altezza, quanto basta perché a morte io senz'altro sia dannato; ché l'offesa è troppo forte: ma una povera innocente a quel modo assassinar, ah no, Altezza, non è cosa che Dio possa perdonar!» «La contessa ha da morire, ché gran male ha fatto già: conte, in questo bacil d'oro la sua testa vo' mirar.» Se ne torna il conte Yanno triste molto a capo chino; lo precede un giovin paggio col funerëo bacino. Neri panni il garzonetto, neri panni egli vestía: spasimava dall'ambascia come fosse in agonía. La contessa, che lo aspetta, quando il conte lunge appar, con in collo il suo piccino, tosto il corre ad abbracciar. «Ben venuto, caro conte! ben venuto, gioja mia!» Ei le scale taciturno e con lento piè salía. Tutte vuol chiuse le porte, che fu in vero novità; come avesse fame, vuole che gli portin da cenar. Ambedue seggono a mensa, ma nessun de' due mangiò: fan le lacrime un ruscello che la tavola irrigò. Conte Yanno bacia il pargolo, che la madre aveva al petto: lascia il caro seno e ride pur a lui quell'angioletto. A tal vista la contessa si sentía fendere il cor, e piangea sí che per tutta quella casa n'andò il suon. «Che cos'hai, sposo mio buono? non vuoi dirlo, caro, a me? Su via, levami di pena; che voleva il re da te?» Affogava egli dal pianto, e risponder non potea: l'abbracciava la sua donna, e amorosa gli dicea: «Il tuo core aprimi, o sposo; non tenermi in agonía: son mie pene le tue pene, la tua gioja è gioja mia.»[24] Balzò in piedi il conte Yanno; la contessa lo seguía: tutti e due si coricarono, ma nessun de' due dormía. Or udite quella misera che gli dice: «O vita mia, io ti prego per Dio santo e la vergine María, d'ammazzarmi qui piuttosto che tenermi in agonía.» «Morte, morte a chi vuol questo; a sí nera tirannía!» «Caro sposo, io non intendo: dimmi, ah dimmi per pietà, che sventura è questa mai che sul capo ora ci sta?» «Incredibile, tremenda; né vi posso rimediar: il re vuole ch'io ti uccida; la sua figlia ho da sposar.» Non avea finito ancora, non la donna udito ancor, e la povera contessa cadde come morta al suol. Ma non vuole Iddio che muoja, benché meglio era morir: un dolor piú che di morte la fa tosto risentir. «Conte Yanno, aspetta, aspetta, ché un rimedio s'ha a trovar: non mi uccidere, o mio sposo; il rimedio eccolo qua. A mio padre, che mi amava tanto tanto, io me n'andrò: mi terrà come fanciulla, e fedele io ti sarò. Questo povero innocente lo vorrà l'altra allevar? come a te fui casta sempre, mi saprò casta serbar.» «Ahimè! ciò non è fattibile, o contessa del mio cor: vuole il re vedere il tuo capo in questo bacil d'òr.» «Conte Yanno, aspetta, aspetta, ché un rimedio s'ha a trovar: ecco fatto; in un convento io mi vado a rinserrar. Mi daranno il pane ad once; mi faran l'acqua mancar: io morrò di struggimento, né l'Infanta lo saprà.» «Ahimè! ciò non è fattibile, o contessa del mio cor: il tuo capo vuole in questo maledetto bacil d'òr.» «Deh mi chiudi in qualche torre, dove sol piú non vedrò; dove l'ore ed i minuti coi sospiri conterò!» «Ahimè! ciò non è fattibile, o contessa del mio cor: non capisci? la tua testa vuole in questo bacil d'òr.» Non avea finito ancora, e picchiava il re alla porta: «Uccidete la contessa, se a quest'ora non è morta.» «La contessa non è morta, ma può star poco a morir.» «Conte, conte, un'orazione, per pietà, lasciami dir!» «Via, contessa, abbila detta pria che venga il giorno, via!» «Trista me! non posso dirla: ahimè, Vergine María![25] Non mi pesa, no, la morte, ma la tua malvagità; per te, conte, mi dispero, per l'enorme tua viltà. Di tua mano tu mi uccidi solo al re per soddisfar: conte, conte, nel gran giorno, Dio ti possa perdonar! A quant'ebbi caro al mondo or mi lascia dire addio; a te chiara fonticella, a voi fiori del cor mio. Addio, rose, addio, garofani, che per sempre ho da lasciar![26] l'amor vostro ah mi serbate; altri a me no 'l serberà! Deh mi date il mio bell'angiolo, la mia vita, il mio tesor! succhj almen l'ultima volta, succhj il sangue del mio cor![27] Prendi, bello, prendi, caro, questo latte d'agonía; hai tutt'oggi la tua mamma che ti adora, anima mia; ma dimani una matrigna di piú alta signoría...» Sta': rintoccan le campane: per chi suona ad agonía? «Per l'Infanta suona: è morta[28] perché troppo ella peccò: dispajar due sposi amanti, Dio giammai no 'l tollerò.» NOTE [Nota 20: BELLERMANN, p. 76-90. «O bello romance do Conde Alberto, ou Conde Yanno, Conde Alves, Conde Alarcos, Conde Anarcos, como o povo lhe chama promiscuamente, anda no principio amalgamado com o romance de _Sylvana_.[29] Encontra-se tamben na Hespanha,.... e suppõe-se que se refere a o assassinato de Dona Maria Telles pelo Infante Dom João para casar com a filha da rainha Dona Leonor. É um dos romances mais populares em Portugal, e tornou-se tão popular talvez porque as angustias da condessa, o adeos a tudo o que mais quería, têm alguna similhança com o fin tragico de D. Ignez de Castro.» HARDUNG, I, p. 145, in nota. Cfr. WOLF _und_ HOFFMANN, _Primavera_ ecc., II, p. 111; MILÀ _y_ FONTANALS, _Observaciones_ ecc., p. 118; lo stesso, _De la poesia popular gallega_, in _Romania_, anno VI, p. 68, ed altri. Ricorda qua e là il presente canto anche un'altra bella romanza castigliana, che leggo, tradotta dal PUYMAIGRE, in appendice al _Romanceiro_ (_Comment la reine fit tuer dona Isabel de Liar_) p. 265. Scrive il medesimo a p. 414, t. II, dei _Vieux auteurs castillans_: «Ce comte, qui se croit obligé d'accorder à son roi la cruelle satisfaction qu'on lui demande, qui sacrifie une femme qu'il aime à un faux point d'honneur, peut nous sembler monstrueux, impossible; mais, comme l'a remarqué Bouterwek, il n'est pas invraisemblable d'après les moeurs et les opinions du siècle où l'action se passe. [Une loi antique permet en effet au roi d'ordonner à un vassal infidèle de tuer la femme qu'il a épousée au mépris de la foi donnée à une autre. BARET, _Les troubadours et leur influence sur la littérature du Midi de l'Europe_, Paris, 1867, p. 428]. Cette légende, suivant Ticknor, est une des compositions les plus pathétiques, les plus belles qu'il y ait dans aucune langue. Cet éloge n'est pas exagéré; rien de plus émouvant que le retour du comte, que son attitude à table, que le soin qu'il prende de fermer, contre son habitude, la chambre où il se retire avec sa femme. [Cfr. SHAKSPEARE, _Othello_, Atto V, Sc. 2]. Comme, dans la dernière scène de ce drame horrible, la présence du petit enfant à qui sa mère veut donner le sein encore une fois, comme cette présence augmente l'intérêt qui s'attache à la victime!... Que de naturel dans les paroles de la comtesse demandant à se retirer chez son père pour y élever ses enfants mieux que celle qui viendra!... Tous ces détails, qui contribuent si bien à l'effet de tout le tableau, sont d'une vérité admirable, et n'ont pu être trouvés que par un poëte. Cela est beau, cela est réellement beau et poignant.... Desdemona, au moment où Othello lui demande si elle a fait sa prière, est moins touchante que la comtesse priant son mari de lui laisser dire une petite oraison qu'elle sait.» E dopo messo a riscontro della romanza spagnola del Conte Alarcos e dell'Infanta Solisa la poesia portoghese, aggiunge a p. 407: «M. Almeida Garret trouve ce romance supérieur au poème espagnol: je ne saurais être de cet avis. La mère est moins touchante dans le romance portugais; les adieux qu'elle adresse à ses fleurs, à la fontaine de son jardin, sont des lieux-communs; dans l'oeuvre castillane la comtesse ne pense qu'à son fils, et ce sentiment est bien dans la nature: tout lugubre qu'il soit, je préfère aussi le dénoûment de l'oeuvre espagnole [dove il conte strangola in modo atroce la moglie, e tutti i colpevoli, citati da essa davanti alla giustizia divina, muojono nel termine di trenta giorni], sans toutefois les derniers vers relatifs à l'accomplissement de l'_ajournement_ prononcé par la comtesse.» Io non presumo di sentenziare _ex cathedra_ tra i due valentuomini; dico solo che la contessa del canto lusitano, volgendo per poco il pensiero alle cose che insieme col figlio le rallegravano la vita, non esce poi tanto fuori del naturale: contro natura sarebbe se nell'animo suo l'amor delle rose, dei garofani, delle chiare fresche e dolci acque, o che so io, vincesse o pareggiasse quello del suo piccino. Ma come l'amor di questo prevale senza confronto e giganteggia su gli altri, cosí il dolore della separazione oltre ogni dire angosciosa, serba quella gradazione, che, non osservata, avrebbe tolto davvero alla nostra romanza grandissima parte della sua bellezza. «La fin du romance offre... des différences de détails dans plusieurs leçons. Dans une version catalane, sans doute peu ancienne, un ange intervient, et apprend au mari, à l'instant où il va tuer sa femme, que Dieu a frappé le roi et l'infant [V. PELAY BRIZ, _Cansons de la terra, cants pop. catalans_, Barcelona, 1866-77, t. III, p. 33].» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 235. «L'épisode qui fait le sujet de notre romance a été plusieurs fois mis au théâtre. Il l'a été en Allemagne par Schlegel, en Espagne par Guillen de Castro, par Jose Milanez, par Mira de Mesca, sous le titre de _Conte Alarcos_, et par Lope de Vega, sous celui de la _Fuerza lastimosa_. Dans cette pièce le dénouement est heureux. Ce n'est pas le comte Enrique (Alarcos), comme le croyaient le roi et l'infante elle-même, qui a surpris les faveurs de la princesse; c'est le duc Otavio. Le quiproquo se découvre à temps pour que don Enrique ne soit pas contraint de tuer sa femme, et le vrai coupable épouse l'infante.» Lo stesso, ivi, p. 234-35. Valga il vero; se uno scioglimento sí fatto poté mandare a casa contente le nervose damine ed i buoni borghesi di Madrid e di Siviglia, si vede alla prima come non abbia quasi piú ombra di quel patetico e di quella impareggiabile efficacia, che sollevano il rozzo canto popolare alle piú gloriose altezze dell'arte. Alcuni passi di questa romanza, come pure di altre, hanno corso anche oggi sotto forma prosastica. V. COELHO, _Romances sacros, oraçoes e ensalmos populares do Minho_, in _Romania_, A. 1874, p. 263.] [Nota 21: Nella romanza il _Conte Alarcos_, la mano dell'Infanta era stata chiesta dal principe d'Ungheria. Trovo bensí rammentata la Normandía qualche altra volta nell'antica letteratura spagnola; per es., al cap. XXII del _Don Paolo de Segovia_, romanzo di Francesco de Quevedo-Villegas, dove parlasi di certa commediaccia composta da non so quale istrione, in cui si vede un re del su mentovato paese farsi eremita senza una ragione al mondo.] [Nota 22: Fino al sec. XV, ai re davasi per lo piú in tutta Europa il titolo di Altezza; all'imperatore soltanto si diceva Maestà. Chiamarono Altezza anticamente anche il papa.] [Nota 23: «Quest'era il Re d'Algier, che per lo scorno che gli fé sopra il ponte la Donzella, giurato avea di non porsi arme intorno, né stringer spada, né montare in sella, fin che non fosse _un anno un mese e un giorno_ stato, come Eremita, entro una cella ecc.» ARIOSTO, _Orl. Fur._, C. 46, ott. 102. «... voglio io che tu mi facci una grazia, che che di me s'avvegna, ove tu non abbi certa novella della mia vita, che tu m'aspetti _un anno et un mese et un dí_ senza rimaritarti ecc.» BOCCACCIO, _Decam._, Gior. X, N. IX, p. 341-42 dell'ediz. di Parma, 1814. Oltre a moltissimi raffronti popolari d'ogni paese, potrei recarne parecchi altri di antichi scrittori italiani in prosa ed in versi; ma bastino i due citati.] [Nota 24: Cfr. la _copla_ andalusa: «Cuando te veo con pena, en mi no reina alegria: pues como te quiero tanto, siento tu pena y la mia.» F. CABALLERO (CECILIA BÖLH DE FABER), _Cuentos y poesias popul. andaluces_, Leipzig, 1866, p. 137.] [Nota 25: «Na versão castelhana a condessa reza e não é feia a sua _preghiera_: mais bonito e mais poetico é o pensamento do cantor portuguez, que lhe não dá nem animo para rezar.» HARDUNG, 1, p. 167, in nota. Osservazione giustissima.] [Nota 26: Il testo: «Adeus flor da Alexandria!» Spero che i lettori intelligenti non vorranno farmi carico di questa piccola mutazione, che a parer mio non riesce dannosa né all'effetto né al senso.] [Nota 27: «... e baciando il volto del figliuolo innocente: Questo [il sangue], disse, è quel latte che ti può dare il petto di tua madre infelice...» SPERONI, _Canace e Macareo_, Atto V, sc. 4.] [Nota 28: Anche la lezione galliziana citata piú sopra finisce in maniera simile: «Moureu a filla do rey pela soberba que tinha: ecc.» E il sig. MILÀ _y_ FONTANALS annota: «Segui est de ver, en esta version, asi como en la del Arch. Acor., por otra parte muy alterada, se halla, aunque incompleto en la nuestra, el pormenor del niño de teta que habla, que hubiera podido creerse intercalacion de Almeida.» _Romania_, scritto cit., p. 69. Osserva lo stesso ALMEIDA-GARRETT, nel suo _Romanceiro_ (ediz. del 1842-43, t. II, p. 54): «Este prodigio de fallarem os innocentes ao peito das mães, nos grandes circumstancias públicas ou nas grandes crises domesticas, era mui favorito dos nossos.» E il PUYMAIGRE, a p. 420, t. II, degli _Auteurs Castillans_: «.... on pensait que souvent les enfants même à la mamelle, pouvaient se trouver animés d'un ésprit prophétique, ou doués de la faculté de la seconde vue, et qu'alors ils parlaient miraculeusement. Cette conviction était repandue dans des contrées fort eloignées les unes des autres: elle existait en Suisse comme en Portugal.» E cita: MARMIER, _Tradictions de la Suisse_, in _Revue de Paris_, 1841, t. IX, e le _Diverses leçons_ de PIERRE DE MESSIE, cap. XXI. Riporta infine il seguente passo del DE LOYER (_Discours et Histoire des spectres, visions, et apparitions des esprits anges démons et âmes_, Paris, MDCV) intorno ai giuochi dei fanciulli, cui si soleva attribuire un che di profetico: «Certes, ces esbats puérils ne sont guère sans prodige. Car tantost vous verrez les enfans faire une longue létanie en rue comme s'ils conduisoient une pompe funèbre. De là on tire un présage de quelque mortalité à venir. Et puis tantost vous les verrez qu'ils porteront des enseignes et banderolles, marcheront de rang, seront divisés en escadrons et se livreront batailles les uns aux autres. Ils ont maintefois predit des guerres en cette façon. Et quelquefois s'est trouvé que ces enfants soutenans en leurs combats qui le party des amis, qui celuy des ennemys, faisoient tomber le plus souvent le sort de la perte future de la bataille sur ceux d'un des partis qui etoient demeurés vaincus.»--Mi torna a mente quel verso di Giacomo Leopardi: «Non so se il riso o la pietà prevale.»] [Nota 29: «O romance de Sylvana é um dos mais sabidos em Portugal. Já foi citado no seculo XVII por D. Francisco Manuel de Mello no seu _Fidalgo aprendíz_.» HARDUNG, I, p. 128, in nota.] LA BELLA INFANTA (A BELLA INFANTA) LA BELLA INFANTA (A BELLA INFANTA)[30] Nel giardino suo l'Infanta sedea mesta e scompagnata; con un pettin d'oro fino le sue chiome pettinava.[31] Girò gli occhi al mare, e vide una molto bella armata: l'uom che n'era capitano, da maestro la guidava. «Dimmi, prego, o capitano, di' per l'anima tua cara, se incontrasti il mio marito su quel suol che Dio calcava.» «Cavalieri vanno tanti a quella terra sacrata! mia signora, il tuo marito dimmi i segni che mostrava.» «Egli avea cavallo bianco, sella d'argento dorata; su la punta della lancia la croce di Dio levava.» «Ai segnali che mi dài, l'ho veduto a una sbarrata che moria da valoroso: io sua morte vendicava.» «Ahi me vedova dolente! ahi povera sfortunata! ecco resto con tre figlie, e nessuna l'ho accasata!» «Che dareste voi, signora, a chi ve 'l tornasse qua?» «Dare' oro e argento fino, quanti son tesori qua; piú le tegole del tetto, che d'avorio e d'oro l'ha.» «Non vo' tegole né oro; non saprei che me ne far: il re servo, son soldato, né mi posso qui fermar. Che dareste altro, signora, a chi ve 'l tornasse qua?» «Tre mulini ch'io posseggo,[32] tutti e tre ti posso dar. Uno macina cannella, belgiuino un altro dà; l'altro poi farina bella, che per me solea guardar.» «Non vogl'io vostri mulini; non saprei che me ne far: il re servo, son soldato, né mi posso qui fermar. Che dareste altro, signora, a chi ve 'l tornasse qua?» «Tre verzieri ch'io posseggo, tutti e tre ti posso dar.» «Io non voglio i tre verzieri; non saprei che me ne far: quand'è il tempo degli aranci, me li manda il re a cercar. Il re servo, son soldato, né mi posso qui fermar: che dareste altro, signora, a chi ve 'l tornasse qua?» «Io le tre figliuole mie, tutte e tre ti posso dar. L'una siati per vestire, ti sia l'altra per calzar; ma la terza, più carina, quella teco dormirà.» «Delle figlie vostre, o Infanta, non saprei che me ne far: il re servo, son soldato, né mi posso qui fermar: altro datemi, o signora, se volete il porti qua.» «Non ho altro io che ti dare, né tu altro a dimandar.» «La gentil vostra persona, questo voi m'avete a dar.»[33] «Cavaliero, l'uom che osasse me di tal cosa tentar, quegli merta esser legato alla coda d'un caval da' miei servi, e trascinato quanto meglio a torno san. Vanne tosto, o cavaliero, vanne tosto via di qua, che da caccia i miei fratelli non avessero a tornar.»[34] «Io non temo i tuoi fratelli, che il cognato in me vedran; io non temo il tuo marito, che dinanzi ora ti sta.» «Se voi siete il mio marito, che mi state a berteggiar?» «Vi sovvenga, o mia signora, di quand'ero per salpar, che un anel con sette gemme in due parti volli far: su mi date il vostro mezzo; l'altro mezzo eccolo qua.»[35] NOTE [Nota 30: BELLERMANN, p. 100-106. «O romance da _Bella-Infanta_ é talvez o mais sabido e cantado pelo povo portuguez. Almeida-Garrett introduziu este romance no quinto acto do _Alfageme_, fazendo-o cantar per um coro de mulheres do povo, á hora do trabalho, o que foi calorosamente applaudido pelo publico. A _Bella-Infanta_ é o unico romance que allude ao tempo das Cruzadas; versões mais modernas substituiram a terra sagrada pelo Brasil ou pela França. O assumpto da Bella-Infanta devia se tornar muito popular n'um paiz onde Fr. Luiz de Sousa tinha voltado da batalha de Alcacer-Kivir, e todo o povo esperava ainda a reapparição de D. Sebastião.» HARDUNG, I, p. 71, in nota.--Il testo del Bellermann differisce alquanto da quello di G. B. Almeida-Garrett. Altre lezioni portoghesi sono, una di Beira-Baixa, riportata da T. Braga nel _Romanceiro geral_ (Coimbra, 1867); due che vanno col titolo di _Dona Clara_, _Dona Catherina_, ed una versione dell'Isola di San Giorgio, edita dal sig. Braga nei _Cantos populares do Archipelago açoriano_ (Porto, 1860). Vedile tutte in HARDUNG, t. c., p. 75-88. Per le varianti spagnuole, cfr. J. A. _de los_ RIOS, _Historia critica de la literatura española_, Madrid, 1862-65, t. VII, p. 446; WOLF _und_ HOFFMANN, op. cit., II, p. 88 e 229; A. DURAN, _Romancero general_, Madrid, 1854, I, p. 175, e PELAY-BRIZ, _Cansons_ ecc., I, p, 173. Vedi anche, per qualche parziale rassomiglianza, il canto catalano _La vuelta de Don Guillermo_ (MILÀ Y FONTANALS, _Observaciones_ ecc., p. 119). Ed un po' piú o un po' meno arieggiano alla nostra romanza alcune canzoni italiane, che si leggono in MARCOALDI, _Canti pop. ined. umbri liguri piceni piemont. latini_, Genova, 1855 (_La prova d'amore_), p. 151; BERNONI, _Canti_ ecc., punt. IX, p. 1 (_Il ritorno dalla guerra_); lo stesso, ivi, p. 11 (_Il finto pellegrino_); FERRARO, _Canti monf._ (_Il falso pellegrino_), N. 25, (_La sposa del Crociato_), N. 37; lo stesso, _Canti di Pontelagoscuro_, in _Rivista di filol. romanza_, N. XXIV; WIDTER _und_ WOLF, _Volkslieder aus Venetien_, Wien, 1864, N. 81; BOLZA, _Canzoni pop. comasche_, Vienna, 1867 (_Il riconoscimento_); IVE, _Canti pop. istriani_, Torino, 1877 (_La moglie fedele_), p. 334; SABATINI, _Canti_ ecc. (_Margherita_), N. 12 ecc.--Il prof. Prato possiede una lezione inedita pitiglianese, che si desidera di veder presto in istampa, non so quanto conforme ai canti ora citati. Per la Francia, vedi: ARBAUD, _Chants pop. de la Provence_, Aix, 1862-64, t. I, p. 91; BEAUREPAIRE, _Etudes sur la poésie pop. en Normandie_, Paris, 1856, p. 79; CHAMPFLEURY _et_ WECKERLIN, _Chansons pop. des provinces de France_, Paris, 1860, p. 193; LA VILLEMARQUÉ, _Barzaz-Breiz, Chants popul. de la Bretagne_, Paris, 1846, t. I, p. 24; PUYMAIGRE, _Chants_ ecc., t. I, pag. 47 e 60; SMITH, _Chants pop. du Velay et du Forez_, in _Romania_, 1880, p. 283-93; LEGRAND, _Chansons pop. recueillies à Fontenay-Le-Marmion_ (Calvados), In _Romania_, 1881, p. 374; FLEURY, _Littérature orale de la Basse-Normandie_, Paris, 1883, p. 264, 269, 270; TARBÉ, _Romancero de Champagne_, Reims, 1863-64, t. II, p. 2 e 221; LUZEL, _Gwerziou Breiz-Izel_, Lorient, 1868, t. I, p. 197 ecc. Efficace oltremodo e pieno di vita è un canto ellenico, che si legge in MARCELLUS (_Chants pop. de la Grèce moderne_, Paris 1860, p. 162), e che mi piace trascrivere per intero: «Devant un métièr doré, avec une navette d'ivoire, une femme belle comme un ange est assise, occupée a tisser. Elle a déjà soixante-deux fois agité son pied, et quarante-deux fois sa navette, lorsque passe un marchand monté sur un cheval noir qu'il arrête, en saluant la femme.--Bonjour a toi, ma jeune fille.--Sois le bienvenu, ô étranger.--Jeune fille, pourquoi ne pas prendre un pallicare et te marier?--Que ton cheval noir meure plutôt que de t'entendre parler ainsi! J'ai un mari à l'étranger depuis bientôt douze ans. Je l'attendrai trois ans, et puis trois ans encore; s'il ne revient pas et s'il ne parait plus, alors je me ferai religieuse et je m'enfermerai dans un couvent pour y porter le deuil.--Ma fille, ton mari n'est plus.... Ton mari est mort, ma fille; mes mains l'ont reçu mourant, mes mains l'ont mis en terre. «J'ai partagé mon pain et mon feu avec lui, et il m'a dit que tu me le rendrais.--Tu l'as soigné, tu l'as enseveli, que Dieu te récompense! Le pain et le feu que vous avez partagés, je vais te les payer.--Je lui ai prêté un baiser aussi, et il m'a dit que tu me le donnerais.--S'il t'a prêté un baiser, cours à lui pour le lui rendre.--Ma fille, je suis ton mari; je suis ton amant, ma fille.--Si tu es mon mari, si tu es mon amant, montre que tu connais la maison, avant que je te l'ouvre.--Il y a un pommier près de la porte; et dans la cour une vigne qui donne des raisins roses et un vin doux comme le miel. Les janissaires qui le boivent s'animent au combat, et le pauvre qui le goûte oublie sa misère.--Cela, tout le voisinage le sait, et c'est connu à la ronde. Montre que tu connais ma personne, avant que je t'ouvre.--Tu as un signe sur la jeue, un autre sous l'ayselle, et une petite morsure sur le sein droit.--Courez, mes bonnes; ouvrez, ouvrez! c'est bien mon amant et mon mari.» Anche in altre due canzoni congeneri della stessa raccolta (_La belle chanteuse_, p. 155, e _La reconnaissance_, p. 163) la donna dice di voler monacarsi, dopo avere, s'intende bene, aspettato qualche altro po' di tempo. Alle cose che si fanno una volta sola, fu sempre ottimo consiglio pensarvi prima due volte, ed anche tre, bisognando. «Dans le Tyrol, un mineur après avoir disparu pendant sept ans, revient trouver sa femme qui le croyait mort. Elle le reconnut seulement quand'elle l'entendit lui indiquer plusieurs objets qui devaient se trouver dans une armoire. (_Traditions du Tyrol_, _Revue de Paris_, 1840, t. VI). Dans la ballade allemande _Liebesprobe_ (_Deutsches Balladenbuch_, p. 14) il s'agit aussi d'un amant qui retrouve sa maîtresse après sept ans d'absence. Il lui dit que la veille il a traversé une ville où celui qu'elle aimait célébrait sa noce. La jeune fille, loin de maudire l'infidèle, lui souhaite autant de jours heureux qu'il y a d'étoiles dans le ciel. Ici c'est encore une bague qui amene le dénouement: «Was zog er von seinem Finger? ein Ring von reinem Gold gar fein; er warf den Ring in ihren Schooss; sie weinte, dass der Ring gar floss.» Ce sujet est du reste très-répandu dans le Nord; nous voyons par les notes que M. A. Wolf a jointes aux chants de la Vénétie, qu'on le retrouve dans la collection de Uhland, _Alt-hoch-und niederdeutsche Volkslieder_ (p. 263); dans celle de Mittler, _Deutsche Volkslieder_ (N. 54); dans celle de Schade, _Volkslieder aus Thüringen_ (N. 4); qu'il est connu en Hollande (Hoffmann, _Horae Belgicae_), en Flandre (_Oude Wlaemsche Liederen_), en Bohême (Waldau, _Boehmische Granaten_), en Angleterre (Percy's _Reliquies of ancient english poetry_...)» PUYMAIGRE, _Chants_ ecc., t. I, p. 58. Sono altresí da vedere, secondo il medesimo, la _Leggenda di Sant'Alessio_; il romanzo della _Biblioteca azzurra_[36] intitol. _Jean de Calais_, ed _El noble cuento del enperador Carlos Maynes de Rroma et de la buena enperatriz Sevilla_, citato dall'Amador de los Rios nella _Historia_ ecc., t. V, p. 64, in nota, ecc.; senza rammentare il canto XXIII dell'_Odissea_.--Ma dove cercheremo l'origine di un'invenzione tanto gradita a popoli cosí diversi? _Probabilmente_, per alcuni, _certamente_, per altri, nella narrazione omerica del ritorno di Ulisse; avvertendo bensí che non è forse luogo a parlare d'un'origine unica e puramente letteraria, o ideale che voglia dirsi. Ai tempi fortunosi delle crociate e dei pellegrinaggi, piú d'un marito e piú d'un amante può bene e meglio esser comparito innanzi alla moglie od all'amata quando già queste lo avevano pianto per morto da parecchi anni, e già si erano consolate, od eran per consolarsi, o non avevano ancora trovato chi fosse buono a consolarle.] [Nota 31: «Sie kämmt es [goldenes Haar] mit goldenem Kamme....» HEINE, _Die Heimkehr_, 2 (_Lorelei_). Pettini d'oro, in molte fiabe e poesie popolari di molte lingue.] [Nota 32: In un canto veneziano, certo cavaliere _de Franzia bela_ uccide a Londra un uomo in duello, e per non aver brighe con la giustizia, prende il volo. Imbattutosi a caso nella donna del morto, che _riposava a l'ombra de un giardin_, questa sente da lui la sua disgrazia. Il cavaliere, con galantería tutta francese, anzi parigina, si offre di sposarla esso in compenso: ma la buona vedova non abbocca, e risponde: «No vogio cavalieri, vogio lo mio marí. _Gò tre mulini in aqua_, che màsena par mi. Vive le altre done, e vivarò anca mi.» BERNONI, Punt. V, p. 11. Tra questa canzone e la nostra, c'è, come si vede, qualche altra rassomiglianza oltre quella dei tre mulini. Nel _fabliau_ di Jehan Le Gallois d'Aubepierre, _La bourse pleine de sens_, il quale non è altro che un apologo in difesa delle donne oneste contro «Les foles garces tricheresses, qui plus que chas sont léicheresses;» una moglie affettuosa venderà più che volentieri i suoi mulini, pur di sovvenire il marito caduto in miseria. LENIENT, _La satire en France au Moyen Age_, Paris, 1883, p. 79.] [Nota 33: In altro canto veneziano già citato (WIDTER _und_ WOLF, N. 81), una donna, che piange il marito assente da otto anni, è pregata d'elemosina da un pellegrino: «Padre mio, non so cosa darve, se non vi dago del pan e del vin.» «Pan e vino mi non voglio; sol una note dormire con vu.» Non occorre avvertire che il pellegrino non era altri che il marito. E nella _Chanson de Germaine_ (PUYMAIGRE, _Chants_ ecc., I, p. 49): «Ce ne sont des pucelles que je veux pour coucher; c'est la belle Germaine, qui seule est à mon gré.»] [Nota 34: Nell'antico teatro spagnolo, cominciando da Bartolommeo de Torres Naharro (sec. XV), troviamo spesso fratelli sommamente gelosi dell'onor della famiglia, e pronti a vendicarlo nel sangue del seduttore: ma come odon parlare di matrimonio, si ammansiscono subito. Cfr. il Contrasto di Cielo dal Camo: «Se ti trova pàremo colgli altri miei parenti, guarda non t'ar[i]golgano questi forti corenti.» Cfr. FERRARO, BERNONI, IVE ed altri. Ed altri raffronti siciliani, friulani e francesi, vedili nel dottissimo commento del prof. A. D'ANCONA al citato Contrasto (_Studj sulla letter. ital. de' primi secoli_, Ancona, 1884, p. 417-18). Bene il critico insigne: «Ma anche qui vi è identità di situazione, che produce necessariamente identità di forme: e né per quella né per queste è d'uopo ricorrere a supporre imitazioni.»] [Nota 35: «Gli anelli hanno in tutti i tempi avuto una gran parte nella poesia popolare; il fatto qui menzionato [nell'antico poema francese _Horn_] di un fidanzato (o di un marito) che ritornato dopo una certa assenza, mette il suo anello (il pegno di fedeltà) in un bicchier di vino, che offre alla donna (sposa) affinché lo beva; occorre, oltre che in molti altri luoghi dei poemi citati in seguito, spessissimo in novelle... Si trova anche in leggende su Salomone (cfr. _Romania_, IX, 437) e in parecchi altri luoghi. Vedi su ciò BARTSCH, _Herzog Ernst_, p. CX sgg.; KOEHLER, in _Jahrbuch_, VIII, 356-59 e WESSELOFSKY, in _Archiv für slavische Philologie_, VI, 397.» NYROP, op. cit., p. 212, in nota. Fra le novelle mi restringo a citare BOCCACCIO, _Decamerone_, Giorn. X, Nov. 9ª, e Giorn. III, Nov. 9ª. Intorno a quest'ultima, leggo in CAPPELLETTI, _Osservazioni storiche e letter. e notizie sulle fonti del Decamerone_, Bologna, 1884, parte I, p. 56-7 (estr. dal _Propugnatore_): «La prima idea di tali racconti, fra i quali gli anelli hanno una parte decisiva, si trova nel dramma indiano _Çakuntala_ o _Sakontala_. Però il Boccaccio si è certamente servito di un lavoro drammatico europeo, cioè dell'_Ecira_ di Terenzio.» Vedi altresí SHAKSPEARE, _All's Well that Ends Well_, Atto V, sc. 3ª. Oltre gli anelli, a volte anche le monete servono ai riconoscimenti, come, nel _Filosofo_ dell'Aretino: TULLIA. «Se il mio marito, che tornarà domattina, ci fosse adesso, col mostrarvi la metà d'un _carlino papale_, ve lo testimoniarei.» BOCCACCIO. «Basta questo a credervelo; perché il resto porto io con me.» (V. _Teatro ital. antico_, Milano, 1809, t. IX, p. 303.) * * * * * Cosí pure le medaglie: MICHELOZZO. «Quel gentil uomo, che aveva nome Diego, si raccomandò a Tommaso mio, di modo che gli trovò una balia per la puttina. Ma di lí a pochi giorni, partendosi l'Imperadore, e Diego dovendolo seguitare, si compose con mio fratello, e lasciatagli la bambina, gli consegnò cinquecento ducati, che gli trafficasse, e dei frutti dovesse farla nutricare e allevare, e in capo a quindici anni, non venendo egli o non mandando per la fanciulla, la dovesse col capitale far monaca, o maritarla, secondo che gli tornava bene; e nel partire, levatosi da collo una _medaglia_ d'oro, dove era la impronta dell'Imperadore, e nel rovescio la Fortuna legata a una colonna, _la divise per mezzo, e dettegli la metà, e l'altra si serbò per sé_; ricordandogli ecc.» LASCA, _La Sibilla_, Atto I. sc. II.--Tornando agli anelli, dirò che non solo i mariti se ne valgono a poter ritrovare le mogli, ma anche i genitori per farsi riconoscere dai figliuoli, e viceversa. In un dramma di Lope de Vega, per esempio, la figlia di Ordõno re di Leon, non avendo alle mani altro miglior espediente, nasconde un anello in certa pietanza che dà a mangiare al padre, e cosí ottiene l'intento suo. Com'è naturale, la chiusa del canto portoghese offre somiglianza notevolissima con quella d'altri canti di soggetto congenere. La _Chanson de Germaine_ finisce: «Encor ne croirais-je pas que vous êtes mon mari, ou bien vous me direz ce qui m'est arrivé.« «C'est arrivé, Germaine, que votre anneau rompit; en voilà la moitié, montrez la vôtre aussi ecc.» E la cit. canzone (_Germine_) della raccolta Champfleury e Wekerlin: «T'en souviens-tu, Germin', de la première nuit où tu étais montée sur un beau cheval gris, placée entre tes frères et moi ton favori?» «Donnez-moi des indic's de la deuxième nuit.» «En te serrant les doigts, ton anneau y cassa: tu en as la moitié et l'autre la voilà ecc.» E l'antica ballata del _Sire de Créquy_, riferita in parte dal RATHERY (_Moniteur_ del 26 agosto 1853) e citata dal PUYMAIGRE (_Chants_ ecc., I, p. 64): «Votre anneau d'épousailles en deux je brisai; vous prites la moitié, l'autre je la gardai ecc.» «On trouve dans la _Normandie merveilleuse_ l'histoire d'un seigneur de Bacqueville, qui apparut de cette façon chez lui le jour où sa femme allait contracter un second mariage, et se fit reconnaître à l'aide d'une moitié d'anneau.» FLEURY, op. cit., p. 268, in nota.] [Nota 36: «.... Ancora ai nostri giorni si possono nei sobborghi di Parigi lungo la Senna e nelle province trovare gli ultimi avanzi di quella letter. pop. spessissimo men che mediocre, che ha ricevuto il nome di _Bibliotèque bleue_ per la sua copertina azzurra, che in generale copriva gl'innumerevoli volumi spediti dagli stampatori di Troyes. Si riconoscono facilmente questi piccoli e brutti libri dal loro testo sbiadito, sopra una carta cattiva e bigia, ornata di poverissime incisioni in legno, che dovrebbero illustrare le imprese eroiche di Carlo e di Rinaldo. Il testo risponde alle figure, ed è pieno di errori grossolani e di gravi alterazioni...» NYROP, op. cit., p. 58.] LA NAVE CATERINETTA (A NAU CATHERINETA) LA NAVE CATERINETTA (A NAU CATHERINETA)[37] Della nave _Cathrineta_ quanto avrei da raccontar! ascoltatemi, o signori; vi farò trasecolar. Già passava un anno e un giorno che vagavano pe 'l mar: non avean piú vettovaglie, non avean piú da mangiar. Certe suola pe 'l domani ecco misero a immollar; ma il cojame era sí duro che no 'l seppero ingojar. Fu tirato allora a sorte chi dovessero ammazzar; e la sorte, per disdetta, cascò sopra il capitan. «Via, coraggio, sul trinchetto monta monta, o marinar, se scorgessi alfin la Spagna, se scorgessi il Portogal!» «Io non scorgo, no, la Spagna; io non scorgo il Portogal; scorgo sette spade ignude, che ti vengono a tagliar.» «Su, piú alto! su, gabbiere! sul calcese hai da montar: non si vede ancor la Spagna? non si vede il Portogal?» «Viva! viva! oh, che regalo mi farete, o capitan? vedo terra là di Spagna; vedo (evviva!) il Portogal! Anche vedo tre donzelle d'un arancio all'ombra star: l'una pur bada a cucire, rócca ha l'altra da filar; ma di tutte la piú bella siede in mezzo a lacrimar.» «Tutte e tre son mie figliole, ch'io mi struggo d'abbracciar: sí, di tutte la piú bella proprio a te la vo' sposar.» «Non vogl'io la vostra figlia; costò troppo ad allevar!» «Ti darò tanto denaro che no 'l possi mai contar.» «Non vogl'io vostro denaro; costò troppo a guadagnar!» «Posso darti un caval bianco, cui non vidi al mondo egual.» «Vi terrete il caval bianco; costò troppo ad avvezzar!» «Sarà tua la _Cathrineta_; va' con essa a navigar.» «Non vogl'io la _Cathrineta_; la potrei mal governar.» «Che vuoi tu dunque, o gabbiere? che regalo ti ho da far? «Voglio l'anima tua, l'anima tua mi voglio via portar.» «Io, demonio, ti rinnego; non mi stare piú a tentar: rendo l'anima al Signore, il mio corpo dono al mar.» Ecco un angiolo il raccoglie, e lo salva da annegar: sparve tosto il reo demonio, si quetaron vento e mar: e la nave _Cathrineta_ venne a sera ad ancorar.[38] NOTE [Nota 37: HARDUNG, I, p. 23-25. «O romance da Nau Catherineta, nome que Th. Braga julga se referir ao celebre galeão Santa Catherina do Monte Synai, que levou a infanta D. Beatrix para Saboya, anda em muitas versões e variantes por quasi todas as provincias do reino. Os horrores da antropophagia ameaçaram muitas vezes a quellos intrepidos marinheiros que navegavam para as Indias ou o Brazil.» HARDUNG, I, p. 21, in nota. «Th. Braga diz que a lenda da Nau Catherineta _não tem uma determinada origem historica; é a generalidade tetrica de todos os naufragios_; mas Almeida-Garrett é de opinião que se refere ao naufragio que passou Jorge de Albuquerque Coelho, vindo do Brazil no anno de 1565.» Lo stesso, ivi, p. 23, in nota. «A quoi... fait allusion ce _Romance_? Est-ce à un naufrage célèbre, comme le veut Garrett? Est-ce au vaisseau _Santa-Catherina_, dont Gil Vicent a parlé dans une de ses pièces (_As côrtes de Jupiter_), comme le pretend Braga? On ne saurait l'établir.» LOISEAU, _Histoire de la littérature portugaise_, Paris, 1886, p. 51. Anche al Puymaigre la supposizione dell'Almeida-Garrett sembra poco fondata. «No romance tradicional portuguez da _Náo Catherineta_, que não se encontra na poesia hespanhola, apparece-nos o costume da anthropophagia: a náo anda perdida na volta do mar, e a sorte é que designa quem hade ser devorado pelos seus companheiros. Ha a qui a grandeza sublime das Cantilenas germanicas, que os successos da navegação da India não fizeram senão avivar na memoria do povo. Na _vida do Agricola_, Tacito, descrevendo a pirataria dos Usipienses, que devastavam a Bretanha--no romance diz-se: _Já vejo costas de França_[39]--allude á anthropophagia no mar:--algumas vez repellidos, foram reduzidos pela fome a comerem primeiramente os fracos de entre elles, depois _a quelles a quem cahia a sorte_. Depois de terem assim circundado a Bretanha, perderam os seus navios por não os saberem governar, e foram tomados pelos piratas, e cahiram successivamente nas _mãos do Suevos_ e dos Frisios. (Cap. XXVIII). No norte do Portugal em que preponderou, sobretudo na Galliza, o ramo suevico, é frequente a tradição da _Náo Catherineta_.» BRAGA, _Theoria da historia da litteratura portugueza_, Porto, 1881, p. 41-42. Ed a p. 40 aveva già scritto: «Raro será o Romance popular portuguez que não contenha um symbolo germanico francamente expresso [?], mesmo com a ingenuidade de quem já o não comprehende.» Il rispetto che è sempre dovuto all'ingegno, non esclude, tra galantuomini, un'onesta libertà di giudizio e di parola: qui l'eminente uomo, lasciandosi abbarbagliare da un suo presupposto, che lo mena spesso a conclusioni a dirittura sbagliate o poco probabili; allenta un po' troppo le briglie alla fantasia, che non a torto il Malebranche ebbe a soprannominare la _pazza di casa_. Comunque sia nata questa bella romanza, io non so rendermi persuaso come possano entrarci e il _costume_ dell'antropofagia, e Tacito col suo Agricola e con gli Usipii, e quella infelice stiracchiatura di Brettagna e Francia, e gli Svevi, e i Frisi, e le cantilene e i simboli germanici, e via dicendo: no, il caso di un viaggiatore, e particolarmente d'un marinajo, mangiato dai compagni affamati, nonché il rimettersi dei miseri pericolanti alla sorte; è pur troppo di tutti i tempi e di tutti i luoghi; ed è stato piú d'una volta sottoposto al giudizio dei tribunali, ed anche due o tre anni or sono dette da scrivere a tutti i giornalisti del vecchio e del nuovo mondo. _Misura tre volte e taglia una_, dissero i nostri nonni, che la sapevano lunga; ora la massima parte dei critici, compresi alcuni dei piú valenti, han troppo la mano a tagliare. Il LOISEAU (p. 49) e il PUYMAIGRE (_Romanceiro_, p. 173) si meravigliano a buon diritto che un popolo il quale tante fatiche sostenne e tanta gloria seppe acquistarsi sui mari, non possegga maggior numero di canzoni d'argomento simile a questa, meritamente carissima e divulgatissima in tutto il Portogallo. Anzi, il primo dei due scrittori citati mostra dubitare che non tutte ci sieno pervenute; e potrebbe anche darsi che si fosse apposto, perché ogni cosa ha il suo destino. Altre sette versioni abbiamo di questo canto, oltre quella da me tradotta: e sono, una di Lisbona, un'altra dell'Algarvia, e cinque dell'isola di San Giorgio, le quali offrono poche e poco osservabili differenze. L'Hardung, appunto per questo, ne riporta una sola; tutte si leggono in BRAGA, _Cantos pop. do archipelago açoriano_, p. 285-87. Grande analogia con la nostra romanza ha un canto provenzale (_Lou Moussi_) edito dall'ARBAUD nella citata raccolta (I, p. 127-30). Ma questo, molto inferiore, le cede sopra tutto nel colorito e nell'effetto drammatico, il quale vi è scarso, oltre che nella chiusa, lontana le mille miglia da quella cosí pura e serena idealità che illumina e ingentilisce la poesia portoghese. Vorrei, ma non posso, far citazioni a conferma di quanto scrivo, perché il sig. Damaso Arbaud interdice qualsiasi _traduzione e riproduzione anche parziali_! Se io non avessi per davvero in uggia le liti e chi se ne compiace, come per celia mostrò d'amarle la buon'anima di Leonardo Salviati in quell'ameno capitolo _In lode del piatire_; sarei curioso oltre modo di vedere un po' che razza di fondamento _in jure_ abbia siffatto divieto: diremo divieto, per non dire con G. PARIS (nella _Revue critique_, se non erro) _pretensione strana_. Anche il PUYMAIGRE (_Chants du Pays Messin_) e lo CHAMPFLEURY (nella _Revue des Provinces_) si scandalizzano giustamente d'un rigore sí nuovo e sí capriccioso. Il canto dianzi citato non solo è della Provenza, ma di tutta la Francia marittima. Scrive l'ARBAUD (p. 131) che il Rathery ne pubblicò nel _Moniteur_ del 15 giugno 1853 una lezione, che apparisce essere dei dintorni di Bordeaux. Altra ne raccolse il medesimo Rathery nella valle d'Ossau. L'Arbaud non fa cenno veruno della romanza portoghese, che non dovette conoscere. Tolgo dal PUYMAIGRE (_Romanceiro_, p. 174) questi altri raffronti: _La courte paille_, canto pubblicato dallo Smith nella _Revue des langues romanes_ (nov. e decembre 1879, p. 248); LUZEL, ecc. ediz. cit.; due canzoni catalane, che si leggono in PELAY-BRIZ, _Cansons de la Terra_, Barcelona, 1866-77, t. IV, p. 32-33; ed un canto di marinari edito dal BRAGA (_Cancioneiro pop._, Coimbra, 1867, p. 144). Eccolo nella traduzione del Puymaigre, non avendo presente l'originale: «Perdu dans la haute mer, un pauvre navire allait; déjà sans boussole et sans rames, la faim les tuait tous. «On recourut aux noirs sorts, pour voir le quel d'eux avait à être par les autres tué, pour être mangé ce jour-là. «Le sort maudit tomba sur le meilleur mousse qu'il y avait. Ah! comme le malheureux pleurait, priant la Vierge Marie! «Mais tout à coup le gabier, voyant la terre du côté de la proue, cria, joyeux, de la hune: Terre, terre de Lisbonne!» Anche in questa breve canzonetta, come vede il lettore, torna in ballo il _costume_ dell'antropofagia; a cui pure accenna l'ultimo verso del canto provenzale. Sarà tutta colpa degli Usipii? Un canto asturiano richiama la chiusa della _Nave Caterinetta_. Mi è grato riportare anche questo nella versione del Puymaigre: «Un matin de la Saint-Jean, un matelot tomba à l'eau.--Que me donneras-tu, petit matelot, pour que je te retire de l'eau?--Je te donne tous mes vaisseaux, chargés d'or et d'argent.--Point ne veux de tes vaisseaux, ni de ton or, ni de ton argent: je veux que quand tu mourras, tu me livres ton âme.--Mon âme, je la donne à Dieu, mon corps à la mer salée.» Ecco in fine una notissima canzoncina francese, di cui si hanno varianti in gran copia: «Il était un petit navire, qui n'avait jamais navigué: quand il partit pour l'Amérique, il portait vingt-cinq passagers. Au bout de cinq à six semaines, les vivres vinrent à manquer. Il fallut donc tirer au sort pour savoir qui sera mangé. Le plus jeune met la main dans l'urne; c'est lui qu'le sort a designé: --O sainte Vierge, ô ma patronne, c'est donc moi qui serai mangé! Il court, il grimpe à la grand'hune; il voit la terre, il est sauvé. Si cette chanson vous embête, nous allons la recommencer.»] [Nota 38: Non in tutte le lezioni della _Nave Caterinetta_ fa la sua comparsa il diavolo. Per esempio, in una di quelle pubblicate dal Braga, dice il gabbiere rispondendo alle offerte del capitano: «Não quero as tuas filhas, Deus vol-as deixe criar: o que te quero pedir, se vós me quizeres dar, é a Nau Catherineta, para n'ella navegar.» E l'altro: «Essa Nau já não é minha, é do Rei do Portugal: elle, assim que lá chegar, elle a mandará queimar.» Cosí termina la romanza.] [Nota 39: Il testo da me seguito (Almeida-Garrett) ha _Hespanha_.] IL CACCIATORE (O CAÇADOR) IL CACCIATORE (O CAÇADOR)[40] Certa volta un cacciatore fu a cacciar, come solea; i suoi cani erano stanchi, e perduto il falco avea. Traversava un nero bosco, quando il giorno tramontò; a una quercia grande grande esso allora si appoggiò. Nell'alzare un tratto gli occhi, vide cosa da ammirar; una bella giovinetta su tra' rami alti posar.[41] Con gli sciolti suoi capelli tutto l'albero fasciava; col fulgor vivo degli occhi tutto il bosco illuminava. Ora dice la donzella (state bene ad ascoltar): «Su, coraggio, o cavaliere; non ti devi spaventar. Una cara e pia regina a un gran re mi partorí: ero in braccio alla nutrice, quando sette fate qui a giacer m'han condannata per sett'anni, sette e un dí.[42] Oggi compiono i sett'anni; compirà domani il dí: teco prendimi per Dio; per Dio levami di qui!» «Fa di attender fino all'alba di domani, o bella mia; voglio prima consigliarmi, consigliarmi con la zia.» Gli rispose la donzella, (e ben disse in fede mia): «Deh mal prenda al cavaliere che non usa cortesia; che mi lascia qui su l'albero, senza farmi compagnia!» Sul suo ramo ella rimase; andò il giovine alla zia: quando fé ritorno al bosco, l'alba ancor non apparía. Tutta scorre l'albereta, ma la quercia non v'è piú; corre e corre e chiama e chiama: non risponde alcuno piú. Scorge al fine in lontananza galoppar giú per la via di signori e cavalieri molto bella compagnia: seco portano l'Infanta, perché il giorno si compía. A tal vista il giovinetto cadde come morto al suol; ma riebbe tosto i sensi, e la spada sguainò. «Ah chi perde ciò ch'io perdo grandemente è da punir! da me stesso ecco mi giudico; qui la vita vo' finir.» NOTE [Nota 40: HARDUNG, I, p. 87-89. «O romance de Caçador, chamado nas colleções hespanholas _da Infantina_ [WOLF _und_ HOFFMANN, _Primavera_ ecc., II, p. 78], è, secundo a opinião de Almeida-Garrett, de origem portugueza, porque os hespanhoes não se lançaram no maravilhoso das fadas e incantamentos da eschola celtica de França e Inglaterra.» Ivi, p. 87, in nota. «Der Glaube an Feen und Hexen, Zauberei und Teufelspuk gehört den romanischen Völkern wie den germanischen an. Mit einem leichten Zuge von Schalkheit und Humor wird der Lehre gegeben, dass die einmal sich darbietende Gelegenheit, Gutes zu thun oder sein Glück zu machen, wenn sie einmal versäumt worden, nicht wieder kommt.» BELLERMANN, p. 273. Ed il PUYMAIGRE, a proposito dell'analoga romanza spagnola: «Il y règne un merveilleux, une teinte un peu vague, qui fait songer aux légendes des bords du Rhin. La petite infante sur son arbre est la première à faire des avances au chevalier. Tel est, dans les fictions espagnoles, le rôle presque toujours attribué aux femmes. Celles-ci vont souvent un peu loin dans leur amabilité. Remarquons-le pourtant, si les héroïnes du Romancero ne sont pas des Lucrèces, il n'y a en général pas d'obscénité dans les détails, pas de ces grosses gravelures dont nos fabliaux sont remplis.» _Les vieux auteurs castillans_, t. II, p. 358. Una lezione soltanto abbiamo, del _Caçador_; ma della _Infeitiçada_, che molto le rassomiglia, se ne contano non meno di sette. Questa, secondo l'Almeida-Garrett, è probabilmente originaria di Francia; ed egli pensa che abbia varcato i Pirenei nella compagnia signorile di Enrico di Borgogna. In materia di poesia popolare, difficilmente potendosi avere una vera e propria certezza, conviene appagarsi delle ipotesi ragionevoli; e questa mi sembra tale. Una bella romanza corrispondente alla _Infeitiçada_ leggesi anche nei canzonieri spagnoli, e comincia: «De Francia partio la nina.» È tra quelle tradotte, a parer mio non sempre felicemente, da GIOVANNI BERCHET (_Opere edite ed inedite pubblicate da Francesco Cusani_, Milano, 1863, p. 187). I raffronti mi si offrirebbero in buon numero; ma basti citare i seguenti: FERRARO, _Canti monferrini_, N.º 55 (_La figlia del re_); ARBAUD, _Chants_ ecc., t. II, p. 90 (_La fillha dou ladre_); BEAUREPAIRE, _Étude sur la poésie pop. en Normandie_, Paris, 1856, p. 53; BLADÉ, _Poésies pop. de l'Armagnac et de l'Agénais_, Paris, 1879, p. 76 e 114; PUYMAIGRE, _Chants_, ecc., t. I, p. 153 (_L'amant discret_), e p. 158 (_La rencontre_); BUJEAUD, _Chants et chansons pop. des provinces de l'Ouest_, Niort. 1866, t. II, p. 90, ecc. Anche il PUYMAIGRE (_Chants_ ecc., I, p. 158) crede all'origine francese di queste romanze, e riferisce a sostegno della sua opinione una canzonetta normanna d'Oliviero Basselin (***1818)[43], che trascrivo: «Eh! qui vous passera le bois, dictes, ma doulce amye! Nous le passerons cette fois sans point de villenye.» Quand elle feust au bois si beau, d'aymer y l'a requise: «Je suis la fille d'un mezeau (lebbroso); de cela vous advise.» «De Dieu soit maudit le merdier, qui la fille a nourrie! Quand il ne la mest a mestier, ou qu'il ne la marye, ou ne la faict en lieu bouter que homme n'en ayt envie!» Quand elle fut dehors du bois, elle se print à soubzrire: «Belle qui menez tel desgoys (mormorio), dictes-moy, qu'esse à dire?» Et respondit a basse voix: «Je suys la fille d'un bourgeois, le plus grand de la ville: l'on doibt couard maudire.» «Femme je ne croiray d'un mois, tant soit belle ou habile.» La cosa, ripeto, è probabile, ma siamo lí; altro è certezza assoluta, ed altro un'ipotesi, per quanto avvalorata da buone ragioni. Ma non voglio passare sotto silenzio un'acuta osservazione dell'Arbaud, col quale concordano l'Almeida-Garrett ed il Puymaigre: quella che in Francia è figliuola d'un borghese e non piú, diventa, in Ispagna (e bisognava aggiungere in Portogallo), di nascita regia. «Le génie espagnol» conclude giustamente l'Arbaud, «anoblit tout ce qu'il touche.» L'astuzia, poi, d'una giovine, che per fuggire vergogna si dà per figlia di lebbroso, non è senza riscontri; e se ne trova una traccia in BÉROALDE DE VERVILLE (_Le moyen de parvenir_, LXXVII, _Committimus_): «Monsieur le médecin Taillerie menoit en pratique ce petit chirurgien [un barbiere di Vendôme]; et pource qu'il avoit longtemps à être chez la noblesse où il alloit, monsieur le médecin, jà veillard, menoit sa femme qui étoit encore jeune, que le barbier accompagnoit en trousse. Étant en chemin, le médecin demanda au barbier comme se portoit sa femme.--Vraiment, dit-il, monsieur, il faut qu'elle se porte bien, si elle veut; d'autant que je l'ai approivisionnée six bons coups, cette nuit, sans ce qui s'est fait depuis.--Cela leur servit de risée, tant qu'il furent arrivés à la noblesse, où ils alloient. Le soir, chacun étant retiré, le médecin devisant avec sa femme, laquelle lui avoit entamé le propos de ce jeune barbier, lui demandant, possible en songeant à ce qu'il avoit dit tantôt, pourquoi il s'en servoit plutôt que d'un autre:--Ma mie, se dit-il, je me sers de lui, pource que je désire qu'il ait sa vie toute gagnée, d'autant qu'il n'a plus que deux ans ou environ à travailler, à cause qu'il paroîtra tout ladre.--Cette réponse fut cause que la demoiselle s'en dégoûta ecc.» Scrivevo piú sopra che tra il _Caçador_ e la _Infeitiçada_ è grande rassomiglianza: meglio era dire che in alcune lezioni si ha come un'intrecciatura un composto delle due romanze; di cui la seconda si chiude con un improvviso riconoscimento di fratello e sorella: «Dizei-me vós, ó donzella, dizei-me de quem sois filha?» «Sou filha d'el-rei de França e da rainha Constantina.» «Arrenego eu de mulheres, mais de quem n'ellas se fia! Cuidei de levar amante; levo uma irman minha!» (Lez. di G. B. ALMEIDA-GARRETT.)] [Nota 41: «Un ouvrage célèbre de l'ancienne littérature castillane, _La Gran Conquista de Ultramar_, contient une version de l'histoire du _Chevalier au cygne_: on y raconte qu'Isonberte prit la fuite pour échapper à un mariage. Elle rencontra une barque que personne n'occupait. Elle se plaça dans cet esquif et le laissa aller au hasard. Au bout de quelques jours, la barque aborda. Isonberte sauta à terre, et se trouva dans un pays sauvage. Le comte Eustache, qui en était seigneur, se livrait justement au plaisir de la chasse. Sa meute, flairant les traces de l'infante, se mit à la poursuivre. Isonberte, effrayée, grimpa sur un arbre, au milieu des branches duquel elle s'offrit au regards charmés du jeune seigneur. Cette situation pourrait avoir eu quelque influence sur le début de notre romance. Dans la _Chaîne traditionnelle_ (p. III), M. Usson, sans grands motifs, ce nous semble, rattache notre romance à un conte indien.» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 220. Intorno alla _Gran Conquista de Ultramar_, vedasi lo stesso scrittore, _Les vieux auteurs castillans_, Cap. XI.] [Nota 42: «Dans un romance asturien, la _Pèlerine_, recueilli par De los Rios (_Jahrbuch_, t. III, p. 279), la fille d'un roi, emmenée par la sainte Vierge du palais de son père, est conduite dans une forêt où elle doit rester sept ans moins un jour, sans manger, sans boire et sans parler à personne. Une petite colombe blanche viendra la voir chaque jour, tenant dans son bec une fleur jaune, et à l'odeur de la fleur on saura bien qui envoie la colombe.» Lo stesso, _Romanceiro_, p. 219.] [Nota 43: Circa l'autenticità delle poesie (_Vaux de Vire_) che vanno col nome del Basselin, è da vedere LÉNIENT, op. cit. p. 263-95.] CONTE NILLO (CONDE NILLO) CONTE NILLO (CONDE NILLO)[44] Conte Nillo, conte Nillo fa bagnare il suo caval: mentre beve il buon destriero, incomincia egli a cantar. Il re guarda, ma, nel bujo, non lo può raffigurar: se ha da ridere o da piangere la sua figlia ancor non sa. «Taci, figlia, e porgi orecchio; sentirai che bel cantar! o son angioli del cielo, o la sirena del mar.»[45] «Non son angioli del cielo, né la sirena del mar; questi, o padre, è il conte Nillo, che sua sposa mi vuol far.» «Chi rammenta il conte Nillo? chi l'ardisce mentovar quel vassallo mio ribelle, che in esilio fei cacciar?» «Mia, signore, è mia la colpa; me dovete gastigar: senza lui non posso vivere; io l'ho fatto richiamar.» «E ancor osi, o traditora, tua vergogna confessar? Pria che spunti il nuovo giorno, lo vedrai decapitar.» «No; chi verserà il suo sangue, anche il mio dovrà versar: dove a lui faran la fossa, anche a me l'hanno a scavar.» Per chi suonan le campane? a che tanto scampanar? Trapassato è il conte Nillo, è l'Infanta per mancar: son cavate già le fosse, già li vanno a sotterrar, l'un nell'atrio della chiesa, l'altra al piede dell'altar. Là un cipresso, qua un arancio ecco vedonsi spuntar:[46] cresce l'uno, cresce l'altro, e si vengono a baciar. Non sì tosto il re lo seppe, ambedue li fe tagliar: getta l'uno sangue vivo, l'altro dà sangue real. Un colombo e una colomba ecco vedonsi volar; contro al re, che siede a mensa, ecco vengonsi a posar. «Ahi mal abbia un tanto ardore! ahi mal abbia un tanto amar! non in vita, non in morte gli ho potuti separar!» NOTE [Nota 44: BELLERMANN, p. 134-38. «O romance do Conde Niño, ou Conde Nillo, come lhe chama Almeida-Garrett, encontra-se na provincia de Tras-os-Montes, no Algarve, onde foi recolhido por Estacio da Veiga sob o titulo de Dom Diniz, e nas ilhas dos Açorez, onde le chamam Dom Duardos. Não existe nas colleções hespanholas.» HARDUNG, I, 216, in nota. «M. le comte Albert de Circourt et moi avons traduit un ancien ouvrage espagnol, où, sous le titre de _Victorial_, est racontée la vie de Don Pero Niño, comte de Buelna. Ce Pero Niño, dont l'existence fut très aventureuse, épousa dona Beatrix, infante du Portugal et cela en dépit du père de celle-ci Dom Joan. Malgré le mécontentement de ce prince, ce mariage n'amena aucune catastrophe. Suivant Braga, ce serait cependant cet épisode qui aurait donné lieu au romance du comte Nillo. Nous doutons de cette origine, sur laquelle Braga revient encore dans ses _Trovadores_, p. 325. Almeida-Garrett remarque que le nom de Nillo n'est pas portugais, mais que, sous la forme Niño, il serait espagnol. Il croit que ce chant vient de la Provence ou de la France. On a plusieurs leçons de ce chant: _Dom Doardos_, _Ermida en mar_, _Dom Diniz_ ecc. [V. HARDUNG, ivi, p. 217-224].» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 188. Arieggia in alcune parti alla bella romanza di _Gerinaldo_, di cui si conoscono piú versioni e che si legge anche nei canzonieri spagnoli: questa, secondo il Braga l'Almeida-Garrett e l'Hardung, è una reminiscenza dell'avventura apocrifa di Einhard o Eginhart, celebre segretario di Carlo Magno.] [Nota 45: «Erguei-vos, bella Infanta; vindo ouvir lindo cantar: ou são os anjos no céu, ou as sereias no mar.» «Pois não são anjos no céu, nem as sereias no mar; é um triste prisioneiro, que meu pae manda matar.» _Romances de Gerinaldo_ [lezione dell'isola di San Giorgio], HARDUNG, I, p. 108. E nella lezione ALMEIDA-GARRETT, ivi, p. 115: «Anda ouvir, oh minha filha, este tam lindo cantar, que ou são os anjos no céo, ou as serejas no mar.» «Não são os anjos no céo, nem as sereias no mar; mas o triste sem ventura a quem mandais degollar.» Una lezione della romanza castigliana _Conte Arnaldos_, edita dal DELIUS e riferita dal NIGRA, _Canzoni_ ecc. _Riv. Contemp._, fasc. gennaio 1860, p. 82: «O idolo ha la princesa en los palacios do está: --si saliredes, mi madre, si saliredes de mirar; y veredes como canta la sirena de la mar.-- --Que non era la sirena, la sirena de la mar; Que non era sino Arnaldos ecc.» Accenna pure alle sirene una canzone canavese edita dallo stesso Nigra, fasc. cit., p. 78: «La serena ch'a cantava s'a n'in chita [smette] de canté.» Dove l'illustre uomo annota opportunamente: «Il mito delle sirene, popolarissimo nella poesia greca e latina (V. Omero, Odiss. [Greco: m], 39-53; 158-209; [Greco: ph], 306; Virgilio, Eneid. V ecc.) si perpetuò nelle tradizioni del medio evo, e nei numerosi canti e racconti intorno alle Nisse, alle Elfine, alle Ondine, alle Korrigan e alle Fate, fra cui fu lungamente popolare la celebre Melusina. V. Kastner, _Les Sirènes_. Paris, 1859; _Roman de la rose_; _Roman de Brut, passim_; i poemi italiani di cavalleria; _Les pays basque_, par Francisque Michel. Paris 1859, 334.--Il canto della sirena è spesso mentovato nella poesia popolare italiana. V. la raccolta di Tommaseo, Tigri, Marcoaldi, Pasqualigo ecc.» Ecco in fine il ritratto che della sirena ci dà un _bestiario_ pubblicato da P. MEYER, in _Romania_, 1872, p. 430; ritratto, come si vede, al tutto identico a quelli che ce ne lasciarono i classici: «Sereine est de mer. j. peril: feme est part desus le lonbril, et poisons desoz la ce[i]nture. Tant chante bel que creature ne s'e[n] porroit pas sooler ne d'oïr le dòuz chant chanter ecc.» In secolo assai piú vicino al nostro, quella gran testa quadra di Don Ferrante «sapeva a tempo trattenere una conversazione.... descrivendo esattamente la forma e l'abitudini delle sirene.» V. _Promessi Sposi_, cap. XXVII. Quando i portenti erano cosa piú che ordinaria, anche i pesci (gli uccelli è inutile dire) fecero mirabilia come virtuosi di canto. «E poi videro una fontana lunga e larga per spazio di miglia cinque, piena di molti pesci, li quali cantavano dí e notte... e era sí dolce canto, che lingua umana non potrebbe narrare. E poi videro l'arbore della gloria... lo quale arbore era pieno di uccelli piccoli; e aveano penne rosse come carbone di foco acceso, e parevano lucerne appese, e cantavano tutti ad una voce sí che parevano angeli del Paradiso celestiale. E cosí facevano a tutte ore del dí, e tanto era dolce e soave quello canto, che ogni mente umana si sarebbe addormentata;...» V. _Leggende del sec. XIV_ (_Del paradiso terrestre_), Firenze, 1863, I, p. 496-97.] [Nota 46: Cfr. _La Tessitrice_, canto ellenico: «E la fanciulla [uccisa] divenne canna, e il giovine [suicida] un cipressetto ecc.» TOMMASEO, op. cit., t. III, p. 64-68; _La suocera omicida_, ivi, p. 135; MARMIER, _Chants popul. du Nord_ (_Adeline_, canto svedese), Paris, 1842, p. 213; MARCELLUS, _L'amour au tombeau_, op. cit., p. 212; DOZON, _Chansons pop. bulgares_ (_L'amant déséspéré_), Paris, 1875, p. 391, ed ivi, p. 334, per la citaz. di un canto serbo e di altri canti scozzesi, brettoni, catalani, normanni, ecc. La stessa circostanza è in un canto rumeno, che per essere pochissimo noto in Italia, riporterò tradotto dal professore S. FRIEDMANN e da me, sperando di far cosa grata ai lettori. Va col titolo _L'anello e il velo_, e dice: I. C'era una volta, c'era una volta un figliol d'un re, giovine e bello come l'abete del bosco[47] sovr'alta montagna. Or ei tolse in moglie una fanciulla del villaggio, una fanciulla rumena, cara a tutto il vicinato, con faccia soave lucente, con persona tenera flessuosa come il fiore dei campi nella luce del sole. Ecco gli è giunta lettera grande [con ordine] di partire, di andarsene al campo. Nell'anima e' si duole, e parla cosí: «O cara mia, cuor mio, prendi 'l mio anello e mettitelo in dito. Se l'anello arrugginirà, sappi, o cara, ch'io sarò morto.» «Dacché mi lasci in casa piangendo, eccoti 'l velo di seta, guarnito d'oro negli orli. Se l'oro si struggerà, sappi, o fratello, ch'io sarò morta.» II. E' monta a cavallo e si pone in viaggio. Va fino a un luogo, dove accende un gran fuoco in mezzo del bosco, alla fontana del _Corvo_. Si mette la mano in seno, guarda il velo, e il cuor gli si spezza. «Cari amici, guerrieri miei, prodi figli di draghi,[48] statevi pur qui a banchettare e all'ombra sdrajatevi. Or io me ne vo, ché in casa ho dimenticato la spada arrotata sur una tavola verde.» Torna addietro, ed ecco s'incontra in un bravo,[49] in un bravo su picciol cavallo. «Buona fortuna, o giovinotto mio bravo!» «Che rechi? onde vieni?» «Se brami, o signore, saperlo, ad altri potrebbe esser bene, ma è per te mala cosa ed amara. Tuo padre è córso, il paese tutto ha posto a soqquadro, finché ha trovato la tua bella, e l'ha gettata in uno stagno largo e profondo.» «Tieni, o bravo, il mio cavallo, e menalo al padre mio. Se chiedesse ov'io sia, digli ch'io sono andato giú in riva allo stagno, e nell'acqua mi son buttato a ritrovare la fanciulla che amai.» III. Il padre si tira dietro tutto il paese; asciuga lo stagno, e i due giovani trova insieme abbracciati, su la rena gialla prostesi; ambedue nel volto sereni, talché vivi parevano. Il re allora si pente; nella seta gli avvolge, in chiesa li fa portare, e in due casse li mette, casse belle da imperatore, sopravi lettere latine: e lui ha murato presso l'altare ad oriente, lei nell'atrio a occidente. E dalla tomba di lui è uscito, o fratello,[50] un abete verde coperto d'ellera, che pende su la chiesa; e da quella di lei una piccola vite fiorita pieghevole, che dall'alba alla sera alla chiesa si è abbarbicata e con l'abete confusa. Tuona, o Signore, e fulmina; tuona su chi tronca a mezzo il dolce e fervido amore d'un giovine e d'una fanciulla. Alle piante cresciute su la sepoltura di amanti infelici, una canzone italo-albanese (_La ballata di Angelina_) attribuisce virtú miracolosa: «Andò a nascere un cipresso--là dove sepolto era il garzone;--e spuntò una vite bianca--là dove sepolta era la fanciulla.--Per sotto l'alto cipresso i feriti passavano:--prendevano foglie di cipresso,--e alle ferite le mettevano.--E sotto quella vite bianca--i malati andavano a passare;--prendevano gli acini della vite bianca,--e l'infermità guarivano.» CAMARDA, _Appendice al saggio di grammatol. comparata su la lingua alban._, Prato, 1866, p. 113. In una delle piú antiche ballate inglesi (_Fair Margaret and sweet William_), dal cuore della fanciulla spunta un rosajo, e da quel dell'amante una rosa selvatica, che, al solito, cresciuti, s'intrecciano insieme; e il canto finisce con una scappatella burlesca: «Poi venne il cherico della parrocchia,--per dir la verità,--e disgraziatamente li tagliò;--altrimenti vi sarebbero ancora.» Quanto all'origine di questa leggiadra fantasia popolare, convien ricercarla nella storia di Tristano e d'Isotta, che nel medio evo si propagò per quasi tutta l'Europa, e che procede visibilmente dalle metamorfosi mitologiche. Vedi BOSSERT, _La litterature allemande au Moyen-Age_, Paris, 1882, p. 298.--Ma dal cuore e sulle tombe di amanti sventurati, non soltanto sorgono fiori arboscelli ed altre maggiori piante. A mo' d'esempio, in certa novellina popolare russa raccolta dall'ATANASIEFF e citata dal prof. PRATO (_Quattro novelline popolari livornesi_, ecc., Spoleto, 1880, p. 105), su la tomba di due fanciulli barbaramente sgozzati dalla zia, spuntano un ramo d'oro e uno d'argento. Né si può legger senza ridere un canto serbo, che nel luogo dove una giovinetta innocente morí per man del fratello, fa saltar fuori di schianto non già fiori od alberi od arbusti, ma una chiesa a dirittura: non dice (peccato!) se col bravo suo campanile o no. A proposito di piante venute su da cadaveri o da sepolture, vedi MARMIER, _Légendes des plantes et des oiseaux_, Paris, 1882, p. 34-35; DE GUBERNATIS, _La mythologie des plantes, ou les légendes du règne végétal_, Paris, 1878, t. I, p. 161-62; GASTER, _Literatura populara românâ_, Bucuresci, 1883, p. 483, il quale rimanda specialmente a LIEBRECHT, _Zur Volkskunde_, p. 166 e 282-83, ecc. «Dans un chant de l'Ukraine (_Chants hist. de l'Ukraine_, tr. par Chodzko, p. 30), une rose est regardée comme l'âme d'un jeune homme:--Cette rose c'est l'âme du jeune homme, qui est mort de chagrin pour la jeune fille.--Dans la _Cronica dos Vicentes_, monument de la langue portugaise au XV siècle, on rencontre, dit Braga, des traditions relatives aux Français, qui virrent aider à conquérir Lisbonne. Telle est la légende du chevalier Henrique et de son page fidèle. Sur la tombe d'Enrique poussa un palmier.--Au chant VIII des _Lusiades_, nous voyons que Camoens a rappelé ce prodige: «Olha Henrique famoso cavalleiro a palma, que le nasce junto a cova.» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 189-90. Un canto brettone: «Ce fut merveille de voir la nuit qui suivit le jour où on enterra la dame dans la même tombe que son mari,--de voir deux chênes s'élever de leur tombe nouvelle dans les airs;--et sur leurs branches, deux colombes blanches sautillantes et gaies,--qui chantèrent au lever de l'aurore et prirent ensuite leur volée vers les cieux.» H. DE LA VILLEMARQUÉ, _Barzaz-Breiz_, Paris, 1846, I, p. 45. «Le couplet de la chanson de Malborough,» dice l'ARBAUD, I. p. IX, in nota: «_On vit voler son âme--à travers des lauriers_,--ne parait pas avoir eu une autre origine.» Sarà o non sarà; poco importa. Concluderemo piuttosto col DE GUBERNATIS, op. e t. cit., p. 160, in nota: «On veut absolument revivre après la mort, et l'arbre est le symbole _le plus vivant de la vie_.»] [Nota 47: In altro canto: _Sette fratelli come sette abeti_. Anco dai Greci moderni l'uomo è paragonato spesso ad un albero alto e diritto, come sarebbe il cipresso. Una canzoncina nuziale albanese, raccolta da G. JUBANY (Trieste, 1871, p. 109), dice della sposa: _Ha la statura come il cipresso_. Nel _Libro dei re_ di Firdusi questo paragone è frequentissimo.--_Homme grand comme un pin du dèsert, comme un sapin du marais._ Vedi _Kalevala, runo 48_ (traduz. di L. LÉOUZON LE DUC) Paris, 1879. I Serbi rassomigliano ad un pino il guerriero: un vòcero còrso ancora inedito: _Lu me altu quantu un pinu!--lu me minutu cipressu!_ Polipete e Leontèo sono da Omero paragonati a due querce. (_Iliade, XII_.)] [Nota 48: Orig. _Zmeu_. Forse non c'è cosa che piú sovente dei draghi s'incontri nei canti e nelle fiabe popolari rumeni; ai quali un guerriero, un uomo valoroso è un drago; drago un cavallo forte e veloce al corso. Anche ai Serbi, drago (_Zmei_) vale uomo fiero, prode, terribile: anzi, nella mitologia slava, col suddetto nome si designa spesso qualche iddio, per es., quello del fuoco. Draghi e dragonesse hanno i Bulgari, presso i quali mutansi talvolta in orsi in pesci ed in uomini. DOZON, _Chansons popul. bulgares inedites_, ediz. citata. Altrove occorrono in vece uomini trasformati in dragoni. DULAURIER, _Les chants pop. de l'Arménie_, in _Revue des deux mondes_, 1 avril 1852. In un canto (_pesma_) della Macedonia, Alessandro il grande è generato da un drago; ed anche un'antica favola greca, riferita da Luciano, lo disse nato da un serpente, come di un serpente fu, tanti secoli dopo, creduto prole l'albanese Giorgio Castriota. DOZON, _Rapports sur une mission littéraire en Macedonie_, Paris, 1873, p. 42. G. MASPERO (_Contes pop. de l'Egypte ancienne_, Paris, 1882, p. 42) fa menzione d'altro drago che parla veramente bene ed è signore d'un'isola incantata. Certa fiaba calmucca narra d'un drago ch'è una pasta di zucchero. Sono alquanto simili ai draghi le _Koutchédras_ degli Albanesi, le quali hanno un po' dell'uomo ed un po' della bestia. Circa i draghi e le dragonesse delle fiabe e novelline pop. ital. e specialmente siciliane, vedasi la dotta prefaz. di G. PITRÉ al vol. IV della _Biblioteca delle tradiz. pop. sicil._, Palermo 1875, p. CXX-CXXIII.] [Nota 49: Al _bravo_ dei Rumeni si può estendere quanto si legge nella seguente noticina apposta ad un canto pop. russo dal DE JULVÉCOURT (_La Balalayka, Chants pop. russes_, Paris, 1837, p. 12): _Le brave c'est le héros de toutes les chansons pop.; c'est une espèce de titre de noblesse que le paysan s'attribue avec amour; c'est une épithète glorieuse qu'une belle adresse toujours à son amant_.] [Nota 50: Fratello (altre volte _amico_) dice all'uditore il poeta, forse a imitazione dei Serbi.] LA PRINCIPESSA PELLEGRINA (A PRINCEZA PEREGRINA) LA PRINCIPESSA PELLEGRINA (A PRINCEZA PEREGRINA)[51] Una bella principessa pellegrina volle andar: va cercando un cavaliere, che lasciavala a penar. Certa sera ad un torrito castel venne a scavalcar, sospettando, a qualche indizio, che il suo caro fosse là. «È qui, dite, il cavaliere? esso qui deve abitar.» E una dama le rispose con discreto e bel parlar: «Non è in casa il cavaliere, ma non può molto indugiar: se la pellegrina ha fretta, glie lo manderò a chiamar.» Non avea finito ancora, e fu visto ritornar: «Che ci fate qua, signora? a che mai veniste qua?» «Per amor d'un cavaliere mi son messa a viaggiar. Tornerò, mi disse, presto; ma no 'l vidi piú tornar. Padre, casa abbandonai; corsi e corsi terra e mar, lui per tutto ricercando; e no 'l posso ritrovar.» «Mala stella, mia signora, tardi v'ha fatto arrivar! Io fuggivo il padre vostro, che mi volle trucidar: corsi terre, varcai mari, e qui venni a riparar. Pria che fosse un anno e un giorno (mi faceste voi giurar) non potevo altra donzella né altra dama disposar. Anno e giorno eran passati, né sentía di voi parlar: la signora del castello ebbi jeri ad impalmar.» Non avea finito ancora, e la donna è per mancar. «Ahi meschino alla mia vita! ahi che dolore mortal! mi è spirata nelle braccia: trist'a me! che n'ho da far?» Là su in vetta alla sua torre, ecco l'altra imperversar: «Portala via, cavaliere; corri, buttala giú in mar!» «Non farò questo, signora, ch'ella è di sangue real, ed amò con tanta fede chi l'è stato disleal!» Non avea finito ancora, ed ei pur venne a mancar. La signora del castello tosto mandali a interrar in due fosse ben profonde, su la riva là del mar. E su lui di pini un gruppo ecco a un tratto frondeggiar; e su lei di lamentevoli canne un gruppo tremolar.[52] La signora del castello tutte le mandò a tagliar: ma le canne dalle radiche si vedeano rispuntar; e la castellana, a notte, le sentiva sospirar. NOTE [Nota 51: BELLERMANN, p. 140-44. Della presente romanza reca l'HARDUNG (I, p. 225-32) tre altre lezioni, molto inferiori in bellezza a questa, che l'ALMEIDA-GARRETT compose di vari frammenti. Cfr. WOLFF _und_ HOFFMANN, op. cit., t. II, p. 48; _Gerinaldo_, in _Jahrbuch_, 1861; PUYMAIGRE, _Chants_ ecc., t. I, pag. 74; NIGRA, op. cit., fasc. VI, p. 186; FERRARO, _Canti monferrini_, N. 42 ecc. Sennonché i vincoli di affinità che legano alla nostra romanza le canzoni citate, sono per la massima parte assai debolucci: mi somigliano, sto per dire, certe parentele còrse, ognun sa quanto strette.] [Nota 52: Eccoci da capo alle piante sorte su dalle sepolture di amanti ch'ebbero fine infelice. Qui mi è venuto fatto di ripensare a ciò che l'ARBAUD (op. cit., I, p. XX-XXIV) scrive molto assennatamente circa la diffusione delle fiabe e delle poesie popolari nell'età di mezzo. Dopo aver accennato ai cantori vaganti, da cui si vuol riconoscere in principal modo cotesta diffusione, soggiunge: È un pregiudizio volgare il credere, come tanti fanno, che la gente, nel medio evo, si movesse di rado e mal volentieri da casa: altro se si movevano, massimamente quelli d'umile condizione! Vedete i pellegrinaggi: non sono essi forse una prova manifesta di quel bisogno che, a dispetto di chi adopravasi ad impedirli, spingeva sí gran quantità di persone a lasciar patria e famiglia? Ora i pellegrini furono come chi dicesse il _giornale del medio evo_. Aggiungi poi le fiere, a cui convenivano spesso uomini d'ogni qualità e d'ogni nazione; aggiungi i _perdoni_ e tante altre feste religiose di gran richiamo; aggiungi in ultimo tutte quelle bande di mercenari onde allora si componevano gli eserciti; e si vedrà quante e quanto facili strade si aprivano ai racconti ed alle canzoni d'origine popolaresca, perché potessero correre speditamente dall'un capo all'altro d'Europa, e mettere alle volte cosí profonde radici in terra non propria, da sembrare anche ai piú intendenti native di quel tal luogo. Quest'ultime parole, per verità, non si leggono, e né meno altre corrispondenti, nel passo dell'ARBAUD da me compendiato: ve le ho aggiunte di mio, perché ne sono in certa guisa come una conseguenza, e perché nessuno, credo, vorrà contraddirmi.] DON ALESSIO (DOM ALEIXO) DON ALESSIO (DOM ALEIXO)[53] Eravamo tre sorelle somiglianti da scambiar; insegnava l'una all'altra a cucire e a ricamar. La piú piccola di tutte certa sera volle andar per la porta del giardino, con due torcie, a sollazzar. Vestí un abito da paggio, che non potea meglio star; pugnal d'oro alla cintura, borzacchini da allacciar: per la strada, innanzi e indietro, si metteva a passeggiar. «Qui,» dicea, «son tre sorelle; qual'ho io da innamorar?»[54] E noi ridevamo, stando su 'l balcone a rimirar. Le sue torcie alfine ammorza, ché la luna è su 'l levar: ma com'è presso la porta, le vien fatto d'abbassar gli occhi, e scorge un eremita su un sedile a riposar. «Che ci fate in queste parti? che ci fate, o padre, qua?» Non rispose l'eremita; ma il vedemmo tosto alzar, e allungarsi tanto e tanto, che faceane il cor tremar. «Sei venuto dall'inferno, ch'io ti possa esorcizzar? o sei anima purgante, ch'io ti possa suffragar?» «Io non vengo dall'inferno, che tu m'abbia a esorcizzar; né son anima purgante, che tu m'abbia a suffragar. Ben di don Alessio l'anima sono, e vengoti a avvisar che ti aspettan sette armati, vedi, a quel portone là, e han giurato per Dio santo che ti vogliono ammazzar.» «Ed io giuro per Dio santo e la vergine Maria, che se fossero anco il doppio, non do volta in fede mia. Cavalieri, avanti avanti; gareggiam di valentia: fuori, fuor le vostre spade, ch'io, mirate, ho fuor la mia! Se mancasse alcun di spada, vo' che questa per lui sia: a me basta il pugnal d'oro,[55] a salvar la vita mia.» Mentre parla, la sua tonaca l'eremita getta via, e lei stringe nelle braccia con estrema vigoria. Ma la giovin, col pugnale che il bel fianco le guarnía, tale un colpo al cor gli vibra, che lo stende su la via. «Chi ti ha morto, don Alessio? chi ti ha morto, anima mia?» «Tu, o signora, tu m'hai morto; mal potuto altri l'avría.» --Ben calzata e mal vestita, va' pur là, donna Maria: sei dannata omai per sempre; vano il piangere saría.-- NOTE [Nota 53: BELLERMANN, p. 146-50. «Die mit Lebendigkeit erzählte Romanze hat einen heitern Anfang, aber ein tragisches Ende. Die jüngste von drei Schwestern, die zu neckischen Streichen aufgelegt ist, ersticht in ihrer Verkleidung ihren ebenfalls verkleideten Geliebten, indem sie glaubt, einen ihr imbekannten Zudringlichen abzuwehren. Die Romanze ist in Portugal mit mancherlei Varianten weit verbreitet, und scheint Portugal ausschliesslich anzugehören.» BELLERMANN, p. 275. «Almeida Garrett estime beaucoup ce romance bizarre qui ne nous plaît pas infiniment; mais il déclare que ne l'ayant pas trouvé complet, il a réuni divers fragments. On voit, en effet, qu'il a pris moitié d'un romance en _a_ et moitié d'un romance in _ia_; il donne de plus, en note, des variantes en _e_. Nous avons cru devoir traduire ce texte, parce qu'il ne nous semble pas que les arrangements d'Almeida Garrett aient notablement défiguré un chant vraiment populaire. La fidélité avec laquelle Almeida a reproduit les vers de la fin qui s'accordent si mal avec le reste de la pièce, est une preuve de ses scrupules. A ce bizarre _remate_ il joint cette note:--Ce dernier couplet qui apparaît dans toutes les leçons, appartient-il en effet au romance? Est-ce le fragment d'un autre chant qui y a été joint par l'ignorance du vulgaire? J'inclinerais vers cette supposition, mais j'ai conservé ce couplet parce que je n'ai pas rencontré une seule leçon où il ne figure.--» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 213. Un'altra lezione edita la prima volta dal BRAGA, e che leggo in HARDUNG, I, a carte 173, comincia: «Na cidade de Madrid, na melcor que el-rei tenia ecc.» E il raccoglitore osserva: «Apesar de que o primeiro verso parece indicar origem hespanhola do romance, não se encontra nas collecções hespanholas. Nas Ilhas des Açores Castella é substituida pela Hungria. A versão de Almeida-Garrett é composta de varias lições provincias, e o collector confessa que algumas palavras foram conjecturalmente substituidas por elle.» Ivi.--Tre sono, in tutto, le lezioni riportate dall'Hardung: quella che principia co' due versi dianzi citati, il testo dell'Almeida-Garrett ed un'altra, di cui ecco i primi quattro versi: «Lá na côrte de Castella, entre los grandes vivia nobre e altivo cavalleiro, que era a flor de fidalguia ecc.» «Nous remarquerons que les deux versions des îles Açores ne finissent point par les vers qu'a conservés Garrett, pas plus que l'autre version que nous traduisons aussi. Cette dernière se termine très bien, sauf que le suicide qui lui sert de dénouement n'est guère dans les données chrètiennes habituelles au Portugal». PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 214. Qui, rimettendomi sempre a chi ne sa piú di me, vorrei dire ancor io la mia. Senza dubbio, quell'essere alcune lezioni mancanti dei quattro ultimi versi riprodotti dall'Almeida-Garrett, rincalza non poco il sospetto che siano d'altra romanza; non di meno, che possano appartenere alla presente, me lo persuadono quelle tante e tante incoerenze e capricci e singolarità quasi inesplicabili, di cui le fiabe, i racconti, le poesie popolari d'ogni tempo e d'ogni paese ci offrono esempi infiniti.] [Nota 54: «Sôn 'namuratu delle due sôrelle; da una all'altra non so qua' pi[)a]re.» MARCOALDI, op. cit. (canti liguri) pag. 86.] [Nota 55: Pugnali e spade d'oro, anche in altre romanze portoghesi e spagnole e nei canti popolari di piú nazioni: «Tira el rei seu punhal de oiro ecc.» _Romances de Gerinaldo_ (lezione ALMEIDA-GARRETT). V. HARDUNG, I, p. 111.] GIUSTIZIA DI DIO (JUSTIÇA DE DEUS) GIUSTIZIA DI DIO (JUSTIÇA DE DEUS)[56] Ne va preso il conte, preso ne va, preso e ben guardato: non lo prendon come ladro, né per uom ch'abbia ammazzato; ma una giovin che tornava da Sant'Jacopo[57] ha sforzato: dormir seco non gli basta, ch'ei la cede a un suo creato. Questo accadde là tra i monti, lunge assai dall'abitato: ivi lei lasciò per morta, né piú cura se n'è dato. Tre dí pianse ella e tre notti, e piú avrebbe lacrimato; ma il buon Dio non manca mai d'ajutar lo sventurato. Ecco passa quivi a sorte vecchio e povero soldato dalla barba come neve, che alla spada iva appoggiato: di conchiglie una schiavina e il cappello ha tutto orlato. Si fe presso alla dolente, e amoroso le ha parlato: «Via, non pianger piú, figliuola, ché a bastanza hai lacrimato: quel villano cavaliere ne va preso e ben guardato.» Menò quindi la fanciulla quel buon vecchio di soldato, la menò seco alla reggia, dove il conte han già portato. «Io ti prego, o mio signore, per l'Apostolo sacrato, che sia oggi a questa misera sí gran torto vendicato. Sposo il conte vuol la Chiesa, e la legge decollato: la sua nascita no 'l salvi; contro al Ciel, vedi, ha peccato.» E il re disse ai consiglieri, tutto in volto corrucciato: «Vo' che sia questo negozio senza indugio qui sbrigato.» «Chiaro è il fatto, molto chiaro, ed è presto giudicato: o sposarla deve il conte, o dev'esser decollato.» «Questo,» disse il re, «mi garba; tosto il boja sia chiamato:[57] o sposar la pellegrina, o senz'altro, decollato.» «Venga il boja con la scure!» gridò allora l'accusato: «meglio morto mille volte, che campar disonorato!» Or udite quel buon vecchio, quel buon vecchio di soldato: «Questa, o re, non è giustizia; malamente hai giudicato: sposi pria la pellegrina, e sia poi decapitato: morte lava il disonore, ma non lava già il peccato.»[58] Non avea finito ancora, e la sua spada ha gittato: non piú segni di romeo, non piú armi di soldato; in canuto e santo vescovo s'è in un lampo trasformato, con la mitra tutta gemme e un bel pastoral dorato. Per la man prese la giovine, per la man lo sciagurato: le parole rituali, a sposarli, ha pronunziato. Tutti piangono gli astanti; piú d'ogni altro il condannato; e piangendo invoca morte, ch'ei non sia disonorato. Lui contrito il santo vescovo assolvea dal suo peccato; indi il portan via per morto, né il carnefice è chiamato: giudicavalo Iddio stesso; pria d'un'ora è trapassato. Ma sovvenne pronto all'anima quell'Apostolo sacrato, ché non altri fu il romeo, il buon vescovo, il soldato. NOTE [Nota 56: BELLERMANN, p. 160-66. Seguo il testo dell'ALMEIDA GARRETT, che poco differisce della lezione della provincia di Beira Alta, raccolta dal BRAGA. «Ce dernier a, de plus, donné de ce romance deux autres versions où n'intervient pas un personnage mystérieux. Comparez ce chant avec el _Conde Grifos_ du _Romancero general_ [di A. DURAN, Madrid, 1854], I, p. 65 [e WOLF _und_ HOFFMANN, _Primavera_ ecc., II, 55]. À propos du mariage du comte et de la pèlerine, on lit dans le texte portugais: Por palavras de presente alli os tem desposado. _Por palavras de presente_ est l'expression consacrée pour le mariage qui se fait en personne, et non par procuration: _por palavras de futuro_.--_Desposado_ est le sacrement, par opposition à _casamiento_ qui peut se faire attendre dans le mariage par procuration.» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 169. Io, come il lettore ha visto, tradussi _palavras de presente_ con _parole rituali_, quantunque la frase dell'originale sia proprio quella che a tenore dei sacri canoni si adopera in questo caso. Vedi, intorno a questo celebre santuario, A. CHIAPPELLI, _Studii di antica letter. cristiana_, Torino, 1887, _nello scritto La leggenda dell'Apostolo Jacopo a Compostella e la critica storica_. Nel cap. I (p. 149-73) si dimostra ampiamente, con ragioni che a me parvero inoppugnabili, la impossibilità della predicazione del nominato apostolo in occidente. Ai tempi d'Erasmo il concorso dei pellegrini era già molto minore; ond'egli, nei _Colloquia_ (ediz. di Lipsia del 1729, p. 410), piacevoleggia cosí:--MENEDEMUS: «Dic mihi, quid valet agitque vir optimus Jacobus?» OGYGIUS: «Multo frigidius solito.» MENED.: «Quid est in caussa? senium?» OG.: «Nugator, scis divos non senescere. Verum haec nova persuasio, quae late per orbem divagatur, facit infrequentius salutetur solito; et, si qui veniunt, salutant tantum; nihil, aut quam minimum donant, dictitantes eam pecuniam rectius collocari in egenos ecc.»--Andaron troppo lungi dal vero i nostri Alberigo Gentile e Celio Calcagnini, quando l'uno dette all'Olandese la taccia di _pendulus litterator_, e l'altro lo rassomigliò ad un ballerino di corda? Io penso di no. Direi piuttosto che non parlasse in tutto secondo verità Erasmo, che ripreso una volta perché non osservava a rigore la quaresima, rispose celiando che l'anima sua era cattolica, se lo stomaco pizzicava del luterano. A Compostella, e cosí pure a Gerusalemme ed agli altri santuarj d'oltralpe e d'oltremare, pellegrinarono sempre gl'Italiani in assai scarso numero, a paragone d'altre genti piú devote di loro; e non di rado per motivi almeno in parte mondani. Come i pellegrinaggi a Roma fossero argomento di beffa, vedilo in quella sonettessa del Lasca, ove parlano il noto _Stradino_ ed un _Cavalier Nano_: _S._ «Bambolin mio, che Dio vi benedica, e vi contenti secondo il disio, ditemi dove andate voi ratio, se già non v'è il parlar troppa fatica?» _C. N._ «A Roma santa, d'ogni bene amica, per soddisfare un voto ne vo io: sendo guarito, come piacque a Dio, d'un morso che mi dètte una formica.» _Le rime burlesche_ ecc. (ediz. Verzone), p. 12. Talvolta si accompagna allo scherno la satira arguta e mordace contro la corruzione del clero. Nella _Scolastica_ dell'Ariosto (atto III, sc. 6), Bartolo, ad espiare certo suo peccato giovanile, vorrebbe farsi romeo. E un frate gli dice: «Voi potete veder la bolla, e leggere le facultadi mie, che sono amplissime: e come, senza che pigliate, Bartolo, questo peregrinaggio, io posso assolvere e commutar gli vóti. E maravigliomi ch'essendo, com'io son, vostro amicissimo, non m'abbiate richiesto; perché dandomi quel solamente che potreste spendere voi col famiglio nel viaggio, assolvere vi posso, e farvi schifar un grandissimo disconcio, all'età vostra incomportabile: ecc.» È cosa notevole che non abbia nulla del satirico né del buffonesco il _Canto di pellegrini_ di G. B. dell'Ottonajo, che comincia: «Per vóto a visitar Galizia andiamo, e a render grazie al Barone immortale, per li preghi del quale dalla peste di Roma salvi siamo.» Sarà forse perché non tutti i capi ameni d'allora si adattarono a credere con messer Francesco Berni che il tempo della moría fosse, come a lui pareva, «.....il miglior tempo e la piú bella stagion che la natura sappia fare.»] [Nota 57: Mi fa risovvenire il FROISSART: «A ce point grigna le roi les dents, et dit:--Qu'on fasse venir le coupe-teste! ecc.» Leggi tutto il bel passo in VILLEMAIN, _Tableau de la littér. au Moyen Age_, Paris, 1878, II, p. 141. Altri testi sono alquanto diversi. Cfr., p. es., l'ediz. Yanoski, Paris, 1865, p. 98.] [Nota 58: «Don Tello [parla il re Alfonso VII], da' ad Elvira il nome di sposa per riparare l'oltraggio che le recasti; e quando il carnefice t'avrà mozzo il capo, ecc.» LOPE DE VEGA, _El mejor alcalde el rey_, Atto V, scena ultima.--«E voi [parla ora quel famoso Don Pedro il crudele, che, siccome dice L. DE VIEL-CASTEL, potrebbe chiamarsi _la provvidenza dei tragici spagnoli_], e voi che prometteste di sposare Eleonora, fatelo subito, se non volete che l'anima vostra abbia a perire insieme col corpo. Ma intorno a ciò ve la intenderete col vostro confessore; perché, badate bene, o la sposiate o no, domattina la vostra testa dovrà senz'altro cadere.» A. MORETO, _El rico hombre de Alcala_, Atto II, sc. XVI.] LA PELLEGRINA (A ROMEIRA) LA PELLEGRINA (A ROMEIRA)[59] Una giovine romea per quei verdi poggi va: altra mai sí casta e bella non fu vista viaggiar. Le scendea lunga la gonna sovra l'erbe della via; giú calato un cappellino i begli occhi le copría. Lei seguiva un cavaliere, la seguiva a fin di mal; ma per quanto si affrettasse, non potevala arrivar. A un olivo, presso un eremo, dopo tanto la fermò: essa allora a quella pianta benedetta si appoggiò. «Io ti prego, o cavaliero, per Dio santo e per Maria, che mi lasci col mi' onore seguitar la strada mia:» Ma quel tristo Iddio non teme, né ragion vuole ascoltar; ben si appresta, imbestialito, le sue brame a soddisfar. Lottan essi braccio a braccio, ed è lunga lotta e dura, fin che al suol casca la debole e innocente creatura. Ma un pugnal videgli al fianco, nel cadere: lo strappò via di forza l'animosa, e nel cor glielo piantò.[60] Nero il sangue dalla piaga, nero e molto giú piovea: «Per Dio santo e per la Vergine io ti supplico, o romea, quando a casa tornerai, tua vendetta non vantar; non dir nulla dell'oltraggio, ch'io ti volli dianzi far.» «Co' tuoi, sí, brutto ribaldo, e co' miei mi vanterò; come uccisi un vil furfante col pugnale suo dirò.» Indi corre alla campana, e a sonar forte si dà: «Buon romito, ve ne prego per Iddio, venite qua. Raccomando a voi quest'anima peccatrice: nel sacrato sotterriamo intanto il morto: e Dio l'abbia perdonato!» NOTE [Nota 59: BELLERMANN, p. 168-70. «O romance da Romeirinha, un d'aquelles que tiveram origem nos perigos que corriam os romeiros, e sobretudo as romeiras em suas peregrinações, é conhecido em Trás-os-Montes e no Minho. ALMEIDA-GARRETT, Rom., III, p. 9-14, traz uma lição apurada pelas duas versões d'estas provincias, e pouco differente da versão de Trás-os-Montes.» HARDUNG, I, p. 118, in nota. Di questa bella romanza il BRAGA dà un testo che offre qualche piccola diversità: la mia traduzione è condotta su quello dell'ALMEIDA-GARRETT. Il lettore cortese mi scuserà se non reggo alla tentazione di riferire parte di una stupenda lettera di GIOVANNI DA CATIGNANO, detto ancora il beato Giovanni dalle Celle, dove una pia monaca, certa Domitilla, è da lui sconsigliata di mettersi _a cammino del santo Sepolcro_: «Ho udito come tu, con molte vergini e donne oneste et altri giovani, volete andare oltre a mare. Piatoso desiderio è quello nella corteccia. Ma nella midolla è piú crudele che ogni crudeltà; nimico d'ogni onestà; porta di perdizione e dispersione di tutte le virtudi; perdizione d'ogni innocenza e puritade.... Forse dirai:--Io voglio andare per lo perdono.--O perché vogli andare a rischio d'essere cibo dei pesci del mare? et a rischio di perdere la onestade.... quando tu puoi avere il perdono nel paese tuo?.... E forse pensi andare con tanta agevolezza col corpo in Gerusalemme, con quanta agevolezza tu vai con lo spirito? Ma e' non sarà cosí; anzi ti voglio contare parte de' pericoli che potrai trovare. In prima, entrerai nel mare. Nel quale infermerai; e non potrai mangiare nulla, anzi vomicherai ciò che tu arai dentro. Nella qual nave sarai messa nel fondo cogli uomini mescolatamente; e non veggono né lume né luce. E dove tu prima fuggivi la veduta degli uomini, allora ti converrà stare stretta con loro. E per li disagi farai faccia di meretrice; e non ti curerai piú d'onestade. Uscirai fuori del mare; andrai fuori negli alberghi: et arai una camera ove alberga soldati masnadieri et ogni mala gente. Et in queste mescolanze potrai diventare sepolcro d'ogni immondizia.... Dico adunque che il diavolo non udí mai predica che piú gli piaccia, che questa del passaggio. Perocché migliaja di donne onestissime farà meretrici; e migliaja di giovani che portano il fiore di verginitade, la lasceranno tra via. Mento, se queste cose non intervennono, quando s'andò a Roma per lo cinquantesimo [il giubileo del 1350]; e s'io non udi' da uno masnadiere:--Noi facemmo quello strazio delle belle donne, che se elle fossono state pecore.... E gli occhi tuoi onestissimi perderanno il loro timore. Perderai l'umile tuo digiuno e le genove [genuflessioni, prostrazioni], che tu suoi fare. Affaticherai il corpo, senza divozione. Spegnerai lo spirito tuo.... Priegoti mi scriva se questo è vero, che tu debba andare; ovvero che mi sia stato detto per darmi fatica, non poco utile a molti semprici giovani e purelle di Cristo, le quali vogliono volare senz'alie, nella fine ed ultime parti del mondo; essendo di ciò confortati dal diavolo, e non da Dio. Il quale ama piú l'anime pure, che terra di repromissione o che la pietra del sepolcro suo ecc.» Questo furore dei perdoni e dei pellegrinaggi pare invadesse, piú che altro, le donne inglesi; di cui molte, giovani e belloccie, incorsero nei pericoli sopraccennati, e se ne tornarono a casa tutt'altro che _purelle di Cristo_. «V'è un capitolare di Carlomagno indirizzato contro i penitenti vagabondi, i quali probabilmente consideravano la catena di ferro che portavano al collo, espiatoria dei peccati futuri al pari che dei passati.» HALLAM, _L'Europa nel M. E._ (traduz. di G. Carraro), Firenze, 1874, p. 271. «Braga a rappelé dans les notes de son _Cancioneiro popular_ l'histoire de dona Ximena, qui, prise par un More, feint de céder à son amour, l'embrasse et l'entraîne avec elle dans la mer. On a attribué au mari de cette autre Lucrèce, Mendo Vasquez de Britteiros, des vers où il est fait allusion à cette mort, et qui se trouvent dans l'_Histoire chronologique et critique de l'abbaye royale d'Alcobaça_, par Fortunato de Sam Boaventura. Outre ce romance de la _Pèlerine_, les Portugais ont sur le même sujet deux imitations du romance castillan _Rico Franco_.» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 216. «O romance de Dom Franco, recolhido pela primeira vez, por Th. Braga, é conhecido na Hespanha sob o titulo do Rico-Franco (DURAN, Romancero General, t. I. p. 160). N'uma das versões da Ilha de S. Jorge, Dom Franco é substituido pelo Duque da Turquia, o que justifica a classificação do romance como romance mourisco.» HARDUNG, II, p. 61, in nota.] [Nota 60: Invenzione delle meglio accètte ai poeti popolari è quella di una giovine che, o per vendetta o per salvar l'onestà, uccide un uomo con l'armi sue proprie: le canzoni italiane di siffatto argomento sono parecchie. Questa (di Alessandria), tutta forza e rapidità, è nel MARCOALDI, raccolta cit., p. 166-67: _LA VENDICATRICE._ «Oh, varda ben, Munfren-na, oh, varda quel casté: i è trentatré fanten-ni, ch a j'ho menaji me. I m'a negà l'amure, la testa a j'ho tajé.» «Ch'u' m digga lü, sior conte; ch'u 'm lassa la so' spà.» «Oh, dimi ti, Monfren-na; cosa ch'a 't na voi fa'?» «A voi tajé 'na frasca per ombra al me' cavà.» Lesta con la spaden-na al cor a j'ha passà. «Va là, va là, sior conte; va là 'nte quei boscon; le spen-ni e li serpenti saran toi compagnon.» Ha riscontro in altra piemontese edita dal FERRARO (_Canti Monferrini_, p. 4): _LA LIBERATRICE._ «Vostu viní, Gianfleisa, vostu viní cum mi?» «O si vurrei ca vena, pruntème d'un cavà.» «Cavà l'è bela prunt; t'j manche anma che ti.» Sa l'è muntà a cavà, singsent mija senza parlée. «O varda là Gianfleisa, 'r casté ca ti voi minée; tanti ca j' ho minaje i'n sun pí riturnée.» «Sa te digo ti, Gilardu, prestme ra to spà.» «Csa vosti fé, Gianfleisa, dra me spadin-ha d'or?» «Avôi tajée ina rama da fé umbra ar me cavà.» Quindi r'ha aví ra spà an man, ant ir cor a i r'ha piantà. «Stà lí, sta lí, Gilardu, a ra fresca rusà; e mi ca sun Gianfleisa, purtrò ra nova a cà.» Cfr. NIGRA, _Canzoni_ ecc., fasc. V. p. 153 (_Monferrina_). Tolgo la seguente dal BERNONI, racc. cit., punt. IX, p. 2: _LA INCONTAMINATA._ «O Betina de l'aqua fresca, me daressi un po' da bevare?» «Va da basso a le fontanele, che de l'aqua ghe ne sarà.» «Toca, toca gli spironi, bela; in Franza te vôi menar.» Quando in Franza fu rivata, la mia bela trà un sospir. «Ma perché sospiri, bela? tanto tempo che moro per ti!» «Me xe morta la mia mama; me convien morir 'nca mi.» «Non pensar piú a la tua mama; pensa a mi che so el tuo amor.» «Maledeto sia 'l sartore che m'à fato questo busto: 'l me l'à fato gnente giusto, che no posso respirar. Cavalier, dame la spada, ché la steca [del busto[61]] me vôi tagiar.» El ghe dà la spada in mano, e nel cuor se la impiantò. «Me xe morta la mia bela; me convien morir 'nca mi.» Cfr. FERRARO, _La Monferrina incontaminata_; NIGRA, fasc. V, serie 2, _Il Corsaro_. «Gerard de Nerval raconte dans la _Bohême galante_ que la fille d'un pâtissier, ayant porté des gateaux chez son seigneur, fut forcée de passer la nuit dans le château de celui-ci. Elle lui demanda son poignard pour couper le noeud d'un lacet, et s'en perça le coeur.» PUYMAIGRE, _Chants_ ecc., I, p. 139. Dubita l'egregio uomo che da questo fatto abbia avuto origine la canzone _La fille du pâtissier_ (ivi, p. 137-38). Altre canzoni che piú o meno si accostano alla romanza portoghese ed a quelle italiane dianzi citate, sono in PUYMAIGRE, stessa racc., I, p. 140; DE LA VILLEMARQUÉ, _Barzaz-Breiz_, I, p. 354; lo stesso, ivi, p. 305, _Les trois moines rouges_; _La filleule de du Guesclin_; BUJEAUD, _Chants et Chansons popul. des provinces de l'Ouest_, Paris, 1866, II, p. 177, _La fille des Sables_; LUZEL, _Gwerziou Breiz-Izel_, ed. cit., I, p. 319, 325, _Rolzmel chon, Jeanne le Roux_; BEAUREPAIRE, _Etudes_ ecc. pag. 56, ecc. In altre canzoni italiane e straniere incontriamo ragazze, che dando spesa al cervello, sanno uscire d'impaccio senza ricorrere al sangue. Vedasi, p. es., _La fuga e il pentimento_ in MARCOALDI, p. 162; PUYMAIGRE, _Chants_, ecc., _Les damoiselles du Château de Bonfort_, I, _p. 131 e 134_; ARBAUD, op. cit., _Les tres capitanis_, I, p. 143; CHAMPFLEURY et WEKERLIN, op. cit. p. 95, _La jolie fille de la Garde_ ecc. ecc.] [Nota 61: Metto le parole _del busto_ dentro parentesi, perché la lezione è visibilmente sbagliata.] LA FIDANZATA (A NOIVA) LA FIDANZATA (A NOIVA)[62] «Dio vi salvi, cara zia, che ritrovo qui a filar!» «Ben venuto, o cavaliere; è cortese il tuo parlar.» «In mal punto ebbi a partire, in mal punto a ritornar: me nessuno riconosce; un altr'uomo ho da sembrar. Meglio morto là tra' Mori che un sì fatto rimpatriar!» «Ah nepote del mio core, ti conosco ora al parlar! Io son cieca, non mi vedi? dal continuo lacrimar.» «Babbo, mamma dove sono? io vo' andarli ad abbracciar.» «Ah il tuo babbo e la tua mamma gli ho veduti sotterrar!» «Che ne fu del mio naviglio, che mandai qui ad ancorar?» «Ordinava il comandante che prendesse tosto il mar.» «E de' miei cavalli bianchi, ch'io dovetti qui lasciar?» «Caro, i tuoi cavalli bianchi li mandava il re a pigliar.» «Che ne fu della mia bella, ch'io lasciavo a sospirar?» «Oggi, o caro, si fa sposa, e domani va all'altar.» «Dove sono i fidanzati? li vo' andare un po' a trovar.» «Figliol mio, non te lo dico; ti potrebbero ammazzar.» «Non temete, zia, di nulla; son discreto e so parlar: ma se cortesia non basta, questa spada supplirà.» «Dio vi salvi, miei signori, che possiate in gioja star!» «Oh ben venga il cavaliere! via, sedetevi a pranzar.» «Io non son qui per le nozze, né qui sono per pranzar: vo' veder la fidanzata, ch'è cugina mia carnal.» Essa viene da una stanza, e fa tutto un lacrimar: come vede il cavaliere, allibbisce, è per mancar. «Se tu piangi per vedermi, me ne vo' senz'altro andar; se tu piangi per le donora, te le posso anche pagar.» «Con la vita la pagasse chi mi seppe raggirar! chi mi disse ch'eri morto, caro, in terra d'oltremar! Gli altri restino a far festa, gli altri restino a pranzar; l'amor mio primo, nessuno potrà farmelo lasciar!» «Vengan pur giudici ed alcadi[63] di Castiglia e Portogal: se poi qui non c'è giustizia, questa spada l'ha da far!» NOTE [Nota 62: BELLERMANN, p. 172-76. Il vero titolo di questa romanza è _A noiva arraiana_. La voce soppressa mal si tradurrebbe in italiano. «Garrett tem esta xacara por bem antiga e originaria do Algarve.--_O fronteiro que mandou ao mar a armada do cavalleiro ausente, faz pensar que isto seja coisa do tempo das nossas emprezas de Africa. O logar da scena é inquestionavelmente na raia. Mas aqui ha mar, e armadas que vão ao mar: não pòde pois ser outra a raia senão a do Algarve._» HARDUNG, II, p. 97, in nota. «Almeida-Garrett déclare qu'il ne connaît qu'une version de ce romance. [Un'altra fu poi raccolta nell'Algarvia; onde apparisce manifesto ch'egli aveva dato nel segno. Vedi HARDUNG, t. cit., p. 99, in nota.] .... On en retrouve quelque chose dans un romance catalan, _D. Luis_, mais la fin est différente; elle rappelle celle du comte Nillo, dont elle reproduit aussi vaguement quelques détails. Les poésies populaires où un mari, un amant, arrivent au moment où ils vont être sacrifiés à un successeur, sont en nombre tel que nous renonçons à les indiquer.» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 205.] [Nota 63: Giova sperare che i giudici e gli alcadi invocati dal nostro bravo giovinotto, non sieno della stessa risma di quelli che a detta di Sancio Panza andavano sí facilmente _a risico di ragliare_. Vedi _Don Quijote_, parte II, cap. 27.] GIOVANNINO (JOÃOSINHO) GIOVANNINO (JOÃOSINHO)[64] Giovannino fu a giocare una notte di Natal; vinse cento doppie d'oro già coniate o da coniar:[65] anche uccise un sacerdote, che dicea messa all'altar; ingannò sette fanciulle in età da maritar, e usurpò sette castelli, tutti regia proprietà. Quando il padre seppe questo, lo volea fare ammazzar; ma la povera sua madre cominciava a singhiozzar: «Risparmiate il sangue nostro; se ci costa Iddio lo sa: deh vi basti di cacciarlo dalla terra sua natal!» Va il meschin peregrinando, e si mette a dimandar: «C'è qui pane, che ne possa anche un povero comprar?» «Non c'è pane in queste parti, né chi pane sappia far.» Va il meschino un po' piú avanti e si mette a dimandar: «C'è qui vino, che ne possa anche un povero comprar?» «Non c'è vino in queste parti; non usiam viti piantar.» Va il meschino anche piú oltre, e si mette a dimandar: «C'è un po' d'acqua, che ne possa anche un povero comprar?» «Non c'è acqua in queste parti; non ne vuole Iddio mandar.» Va il meschino avanti avanti, e si mette a dimandar: «C'è qui erba, che ne possa anche un povero comprar?» «Non c'è erba in queste parti; qui non s'usa seminar.» Diventò santo di colpo, tale angoscia ebbe a provar. NOTE [Nota 64: HARDUNG, I, p. 243-45. «Este romance muito interessante foi recolhido em duas diversas variantes por Th. Braga.--É unico documento da poesia popular portugueza em que encontramos a antiga tradição germanica do banido, tantas vezes empregada na penalidade feraleira.--» Ivi, p. 243, in nota. L'altra variante, meno bella, va col titolo di _Flores e Ventos_ (ivi, p. 245-46), e comincia: «Caminhou Flores e Ventos uma noite de natal; deshonrou sete donzellas todas de sangue real; arrasou sete citades que o pae tinha p 'ra lhe dar: matou seis padres de missa, revestidos no altar; jogou cem dobrões de ouro marcados e por marcar. Sua mãi, quando tal soube, logo ao rei foi fallar ecc.» E finisce cosí: «Sete annos andou em sella, outros sete andou em pé; foi acabar sanctamente no adro de Nazareth.»] [Nota 65: «Nous ne savons trop ce qu'on entendait par là; mais nous remarquons, que, dans une chanson du Canada (_Chansons pop. du Canada_, publ. par Ernest Gagnon, p. 47) il est question de _sous marqués_.» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 240.--Io, dalla mia parte, mi contenterò di osservare che soltanto in Francia, e piú specialmente nel secolo di Luigi XIV, corse, tra l'altre, la moda di voler trovare in tutto e per tutto _de la raison_, e che i poeti popolari non ebbero né avranno mai conoscenza di questo avvertimento del Boileau: «Il faut, _même en chansons_, du bon sens....»] LO SCHIAVO (O CAPTIVO) LO SCHIAVO (O CAPTIVO)[66] Io venía dal mar di Amburgo su una bella caravella, quando i Mori ecco ci presero pur cosí tra pace e guerra. Nelle lor terre, per vendermi, mi portarono, a Salè; ma non fu Moro né Mora che un quattrin desse di me. Finalmente un can d'Ebreo mi degnava comperar: negra vita era la mia; mi trattava come un can. Pestar sempre il dí lo sparto, e la notte la cannella; una sbarra qui alla bocca, non gli avessi a mangiar quella. Manco mal che la mia buona padroncina mi donava tutti i giorni del pan bianco, di quel pan ch'essa mangiava. Dava a me quant'io chiedessi, e piú ancor che non chiedea: le piangeva io nelle braccia, ma non già per lei piangea. Mi diceva essa: «Non piangere: vuoi, cristiano, rimpatriar?» «Ah signora! come andarmene, se mi manca da pagar?» «Se hai bisogno d'un cavallo, ti darò, caro, una bella cavallina; se di nave, ti darò una caravella.» «Del cavallo, o mia signora, non saprei che me ne far; troppo è lunge di qui Cëuta di Castiglia e Mazagan. E né pur voglio la nave, ché tant'è, non fuggirei; di quel poco che tuo padre mi pagò, lo froderei.» «Prendi allora questa borsa qui di seta gialla; to': è un ricordo che mia madre moribonda mi lasciò. Vanne; paga il tuo riscatto; e alle donne di laggiú di' se quello d'un'Ebrea, o l'amor loro val piú.» Non avea finito ancora, e il padrone ecco arrivato: «In buon punto voi veniste, che il Signore sia lodato: sento adesso che i denari del riscatto mi han mandato.» «Ma ci vogliono _crociate_[67] molte, amico; ci hai pensato? chi ti diè tanta moneta che il riscatto sia pagato?» «Parte già ne avevo; il resto le mie due sorelle han dato; me 'l portava dianzi un angiolo dal Signore Iddio mandato.» «Dimmi, orsú, cristiano, dimmi, vuoi tu farti rinnegato? ti darò la mia figliola, ti darò tutto il mio stato.»[68] «Io non voglio esser giudeo, non io turco rinnegato; io non voglio che sia detto che mi hai messo nel tuo stato: porto Cristo crocifisso io nel core qui stampato.» «Che cos'hai, buona Rachele? dimmi, via, figliola amata, se per colpa di quel cane veggo te sí addolorata.» «Lascia stare quel cristiano, che di nulla è debitor: volontaria glie l'ho dato, s'ei mi deve il mio bel fior.» Tosto il padre in una torre tutta pietra l'ha serrata: ché quei Mori non dicessero: «È l'Ebrea disonorata.» «O mandola, o mia mandola, sta' qui al muro a infracidar: se n'è ito l'amor mio, se n'è ito via pe 'l mar.» NOTE [Nota 66: BELLERMANN, p. 184-90. «O romance do Captivo de Argel é um typo dos mui populares contos de captivos que relatam a salvação de prisioneiros christãos da mão dos mouros. Foi derivado o romance do Captivo de Argel da Hespanha. (DURAN, _Romancero General_, N. 258). Th. Braga o obteve do Porto, escripto em uma letra que denuncia o seculo XVII. Garrett conhecia variantes de Lisboa, Ribatejo e Extremadura; Estacio da Veiga o encontrou em Tavia; e nos Cant. pop. do Archip. Açor. (p. 323-325) Braga publica duas versões da Ilha de S. Jorge.» HARDUNG, II, p. 46, in nota. Le lezione manoscritta del sec. XVII comincia: «Mi madre era de Hamburgo, mi padre de l'Antequera ecc.» Quella dell'Algarvia: «O meu pae era de Hamburgo, minha mãi de Hamburgo era:» e cosí una dell'isola di San Giorgio, salvo una differenza da nulla. «Braga remarque que Camoens, dans les _Disparates da India_, a terminé une strophe par deux vers de la version castillane: Mi padre era de Ronda, y mi madre de Antequera. D'après la manière dont Ceuta est mentionnée ici, le romance daterait de l'époque où cette ville était devenue espagnole, et ne serait pas plus ancien que le XVII siècle, à en croire ce passage; mais dans d'autres leçons, Ceuta n'est pas nommée, et peut-être y a-t-il eu ici interpolation moderne.» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 171.] [Nota 67: Sorta di moneta.] [Nota 68: Orig. _estado_. In italiano, _stato_, per _sostanze_, _patrimonio_, ha parecchi esempi di scrittori autorevolissimi. A me non è parso far male, conservando nella mia traduzione una voce di significato comune alla lingua nostra ed a quella del testo.] IL CIECO (O CEGO) IL CIECO (O CEGO)[69] «Annetta, la porta deh m'apri adagíno: son tutto ferito; non reggo al cammino.» «Se t'hanno ferito, da' retta, o meschino, andarne puoi tosto per altro cammino.» «Deh m'apri la porta, me l'apri adagíno: son privo degli occhi; non vedo il cammino!» «No, porta o portello non t'apro, carino: via, dico, in malora per tristo cammino!» «Ah il povero cieco va solo e tapino, cantando, accattando, per questo cammino!» «Qua, mamma, qua, mamma; sentite un pochino cantare quel cieco che ha perso il cammino.» «Se canta ed accatta, pan diamogli e vino; è un povero cieco che fa suo cammino.» «Non vo' del tuo pane, non vo' del tuo vino; vo' solo che Annetta m'insegni il cammino.» «To', Anna, la rócca; su mettivi 'l lino; col povero cieco va' giú pe 'l cammino.» «È vuota la rócca, finito è il mio lino; conosce il buon cieco, conosce il cammino.» «Deh ancor mi accompagna, di grazia, un pochino: son privo degli occhi, non vedo il cammino.» «Oh quanti mai, quanti dal colle vicino signori a cavallo per questo cammino!» «Venuti son tardi, mio dolce visino; gli aspetto che è tanto su questo cammino!» «Ve', calan giú tutti pianino pianino: il cieco, il mio cieco, lo vede il cammino! Mi assetta amoroso su vispo ronzino: un cieco mi porta, ma vedo il cammino.» NOTE [Nota 69: BELLERMANN, p. 192-94. «Almeida-Garrett, baseandose sobra o facto de que o mesmo assumpto é tractado n'uma ballada escoceza (PERCY'S, _Reliques of Ancient English Poetry_, Series II, book I, 10), suppõe que os mercantes portuguezes trouxessem de Glasgow ou Aberdeen esta historia, e de Vianna ou do Porto se internasse pelo Minho onde ella é mais vulgar.» HARDUNG, II, p. 105, in nota. Si conoscono di questo canto altre due lezioni, delle quali una dell'isola di San Giorgio. «Le romance est obscur. Le pauvre aveugle est un amant. Anna ne le reconnaît-t-elle pas d'abord? Pourquoi l'accueille-t-elle si mal, elle qui paraît se prêter ensuite à un enlevement?.... Braga rapproche ce chant d'un romance castillan: Yo me era Mora moraina. Il y a quelque analogie entre ce romance et celui de Sainte Iria.» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 242. La conformità con la nostra romanza, se altri voglia proprio trovarcela, è solo un po' nel motivo, e né pure in tutte le lezioni.] LA PASTORELLA (A PASTORINHA) LA PASTORELLA (A PASTORINHA)[70] «Buon giorno e buon anno, Rosetta;[71] che fate?» «Le pecore cerco qui attorno sbrancate.» «Per Bacco! pastora sí amabil donzella?» «Fu questa e non altra la sorte mia bella.» «Fra' monti la strada sicura non è; vorreste, carina, venire con me?» «Voi buon consigliere non siete di certo; lasciar la mia greggia per questo deserto!» «Non vo' che la greggia si perda, o Rosetta, ma teco in riposo qui starmi un'oretta.» «No; questo è un discorso che zoppica assai: se vede il padrone ch'io tardo, son guai.» «Cagion del ritardo puoi dirgli ch'è stato un forte acquazzone che ha tutto allagato.» «Ma ciò non è vero; mentire io non so: ci ha colpa un galante, piuttosto dirò.» «Attenta, carina; non odi belare?» «Sarà la mia greggia; mi dà pur da fare!» «Io volo a cercarla: che importa se stracci farò del vestito per questi sassacci?» «Ma come! calzato di seta per balze sí aspre e scoscese? ahi povere calze!» «Eh vada il vestito le calze e ogni cosa, per farti servizio, bellissima Rosa!» «Son tutte, son tutte, lodato sia Dio!» «Lo vedi? era scritto; tuo servo son io.» «Lasciatemi 'n pace, signore: oh che pena! or ora il padrone vien qui con la cena.» «Se viene il padrone, sia 'l ben arrivato: diremo che adesso qui son capitato.» «Ma andate, ma andate; se no, mi dispero: non vo' piú vedervi, né pur col pensiero.» «Addio; queste roccie tu goditi, o Rosa: va' a pascer la greggia, mia bella scontrosa.»[72] «No, via, non fuggite: signore! o signore! ah cieco è l'amore; m'arrendo all'amore!» Sedettero all'ombra, ché ardente era il sole: fanciulla ritrosa, ritrosa a parole.[73] NOTE [Nota 70: BELLERMANN, p. 196-98. «A xacara da Linda Pastorinha, que não desdiz dos mais bellos idyllios ou pastourellas de genero provençal, é sabida e cantada por todo o reino, apparecendo numerosas variantes. Th. Braga julga a mais verdadeira aquella «que vem precedida de um preambulo em prosa, contando como um irmão chegado do Brazil á sua terra, antes de se dar a conhecer á sua irmã, começou a fallar-lhe de amores, por aposta contra os que lhe diziam ser ella a mais esquiva de todas as raparigas do lugar.» HARDUNG, II, p, 71, in nota. «Cette petite pièce, célèbre dans la poésie populaire portugaise, rappelle tout à fait les _pastourelles_ qui furent en si grande vogue chez les Provençaux comme chez les Français, qu'essayerent aussi les Espagnols, témoin la jolie _serranilla_ du marquis de Santillane, _la vachère de la Finojosa_, et dont on retrouve de nombreuses dégénérescences parmi les chansons rustiques de nos diverses provinces... Cette production est très répandue dans tout le Portugal, et Almeida-Garrett en a donné de nombreuses variantes. De son côté, Braga a publié deux versions de _Linda Pastora_ [titolo dato dall'Almeida-Garrett a questa poesia, che appunto fu da esso raccolta dalla bocca di una lavandaia in un villaggio, portante, non so perché, quel nome curioso]. Toutes deux ont un dénouement qu'Almeida a aussi rencontré. Le galant chevalier n'y est autre que le frère de la bergère; il veut éprouver la vertu de sa soeur. C'est là sans doute une interpolation.[?] Telle, toutefois, n'est pas l'opinion de Braga, et nous devons le reconnaître, cette donnée se retrouve dans un certain nombre de chants populaires de divers pays et offrant de très grandes ressemblances avec la pastourelle portugaise.» PUYMAIGRE, _Romanceiro_, p. 210-11. «Scorrendo le moltissime pastorelle raccolte dal Bartsch [_Altfranzösische Romanzen und Pastourellen_, Leipzig, 1870], sotto delle piccole e insignificanti varietà si trova costantemente lo stesso fondo: un contrasto tra un cavaliere uscito a diporto e una fanciulla dei campi, incontrata a caso; un capriccio d'un quarto d'ora, uno scherzo, che rimane scherzo anche quando finisce sul serio.» BARTOLI, _Storia della letter. ital._, Firenze, 1879, t. III, p. 184. Gentili composizioni che richiamano strettamente le Pastorelle di Provenza e di Francia, vantano ancora gli antichi poeti d'arte portoghesi: due, per esempio, s'incontrano nel canzoniere del re don Dionigi molto affettuose e delicate, in particolar modo quella che comincia: «Hunha pastor ben talhada cuydava en seu amigo ecc.» Di questa ho dinanzi una fedele e spontanea versione metrica, condotta dal sig. ANNIBALE GABRIELLI sul testo messo a stampa dal chiaro prof. Monaci (Halle, 1875), e pubblicata nella _Rassegna italiana_ del 15 giugno 1886. Circa poi al maggiore o minore influsso che nella lirica portoghese ebbe quella dei Provenzali, intorbidando alquanto co' suoi colori artificiati le limpide fonti paesane, è questione assai dibattuta, e che qui, anche volendo, non potrei né meno sfiorare. Vedi, tra quelli che ne scrissero con piú o meno competenza e larghezza, DIEZ, _Ueber die erste portugiesische Kunst und Hofpoesie_, Bonn, 1863, p. 30-34 e 72-95; BARET, _Les troubadours_ ecc., p. 186-228; MONACI, _Canti antichi portoghesi tratti dal Cod. Vat. 4803_, Imola, 1873 (prefaz.); lo stesso, _Il Canzoniere portog. della Vaticana_, ediz. di Halle su cit.; MEYER, in _Romania_, N. 6, p. 265; BRAGA, _Cancioneiro portuguez da Vaticana_, Lisboa, 1878 (introduz.); lo stesso, _Theoria da historia_ ecc., ediz. cit., p. 88-92; RENIER, _Il tipo estetico della donna nel Medio Evo_, Ancona, 1885, p. 45-46; LOISEAU, _Histoire_ ecc., p. 8-22 ecc. Alle due lezioni di _Linda Pastora_ edite dal BRAGA si rannodano, quanto alla circostanza principale, alcune canzoni italiane, come _L'onestà alla prova_ (BERNONI, punt. XI, p. 1-2); _La prova d'un rapimento_ (MARCOALDI, p. 161); _Il finto fratello_ (FERRARO, p. 90) ecc.; avvertendo bensí che tra la prima e l'ultime due c'è quel divario che passa tra la verità e l'inganno, come, senza bisogno d'altro, mostra il titolo della ballata raccolta dal FERRARO. Tra i canti francesi, cfr.: ARBAUD, _L'enlèvement_, II, p. 113; PUYMAIGRE, _Chants_, ecc., t. I, _L'épreuve_, p. 97; _La bergère rusée_, p. 160, _Même sujet_, p. 162, _La bergère mouqueuse_, pag. 164, _Chanson nouvelle sur l'entretien d'un Seigneur et d'une Bergère_, pag. 166; BLADÉ, _La pastouro alecado_, III, p. 202; FLEURY, _Le passant et la bergère_, p. 282, _Même sujet_, p. 284, _La brebis perdue_, p. 287 ecc. Di questi, parte riconnettonsi piú specialmente alla lezione da me tradotta, parte a quella del BRAGA.--In un bel canto svedese, una onesta giovine, tentata in modo consimile dal fratello, sconosciuto, risponde: «Je suis née pendant que le coq chantait. Ma mère mourut au lever du soleil. On ensevelit ma mère dans la terre noire, et l'on sonna pour mon père. On ensevelit mon père dans la terre noire, et l'on sonna pour mon frère. On ensevelit mon frère dans la terre noire, et l'on sonna pour ma soeur. Les voilà tous morts, tous ceux qui devaient me nourrir et m'habiller; tous, excepté mon jeune frère, qui a remplacé pour moi mon père et ma mère. Il m'a donné une mère adoptive, qui m'a appris à coudre et à faire des broderies d'or. Elle m'a appris à coudre et à broder, mais non pas à devenir un objet de blâme dans le pays. Elle m'a appris à mettre le linge sur la table, mais non pas à croire aux belles paroles ecc.» MARMIER, _Chants du Nord_, p. 175-76. Non occorre qui rammentare come anco la romanza portoghese _A infeitiçada_, cit. a p. 85, e la sua corrispondente spagnola «De Francia partio la nina» cit. a p. 86, sieno due dei non pochi esempi di riconoscimento d'un fratello e d'una sorella. Il medesimo accade nella romanza asturiana _Don Bueso_, nell'altra romanza catalana _La cativa_, in una canzone tedesca (_Annelein_) ecc. Altre volte il riconoscimento è fra due sorelle (vedi WOLFF _und_ HOFFMANN, _Primavera_ ecc., II, p. 58). La _xacara_ della _Pastorinha_, o, se vi piace meglio, _Linda pastora_, è conosciuta in Gallizia. (_Romania_, 1877, p. 53.)] [Nota 71: Orig., _Rosa_. Chiedo scusa ai lettori di questa mutazioncella, per cui diventa nome proprio un termine convenzionale della lirica amorosa dell'età di mezzo. Non v'è scolaretto di liceo che non rammenti il primo verso del Contrasto di Cielo dal Camo: _Rosa fresca aulentissima_, ecc. Ed «ognun sa come il paragone, anzi la trasformazione allegorica della donna amata nella rosa, sia comune alla poesia dotta e alla popolare; e se ne veggono numerosi esempi nelle note del Vigo [_Canti pop. siciliani_, Catania, 1870-74]. Una ballata trascritta dal Carducci (_Intorno ad alcune rime dei secoli XIII e XIV_, Imola, 1876, p. 66), di sur un memoriale notarile del 1287: _Danzando la fresca rosa, Preso fui de so bellore_. È notissima la ballata del Cavalcanti: _Fresca rosa novella_. Le canzonette del Giustiniani sono indirizzate a una rosa. [Vedi, p. es., quella delicatissima: _Rosa, quanti ti vedon_...] Una canzone francese antica nel Paris, _Chansons du XV s._ (Paris, Didot, 1875, p. 56): _Royne des fleurs que j'ai tant desirée_. Altri piú antichi passi di poesie francesi reca il Caix nella _Riv. di Fil. Rom._, p. 180, e nella _Riv. Europea_ di rimatori italiani antichi.» D'ANCONA, _Studj su la letter_. ecc., p. 413. «I poeti francesi paragonavano le loro pastorelle alle rose di maggio [_Sa facete vermeillete come rosser floris_. V. BARTSCH, op. cit. (romanza anonima) p. 45]; anche i provenzali lodavano nelle loro donne il _fresco colore di rosa_... In una poesia dell'Italia Settentrionale del secolo XIII, si dice alla Madonna: Oi _rosa_ encolaria del parais,.... [La Chiesa: _Rosa mistica_; il MANZONI (_Il nome di Maria_): _O rosa_, ecc.] In una raccolta veneziana si legge: Chi vo veder tre roze in t'una rama, vada a la porta de la Casa Nova; che ghe xe tre putele co la mama, che le se chiama tre in t'una rama. In una raccolta napoletana: Russa la facce toa comu' na _rosa_.... quannu nascisti tu, _rosa marina_, fici gran festa lu suli e la luna. E altrove: _rosa bianca_, _rosa rossa_, _rosa di giardino_, e via discorrendo.» BARTOLI, op. e t. cit., p. 146-48. Similmente una delle piú antiche e graziose romanze spagnole (_Cancionero general_, ediz. del 1535, p. 107), che riferisco nella mia traduzione: «_Rosa_ fresca, _rosa_ fresca, tutta bella e tutta amor, quand'io v'ebbi nelle braccia, voi servir non seppi, no: or io ben vi servirei, ma non posso avervi, no.» «Vostra, amico, fu la colpa; non fu mia di certo, no. Ambasciata mi mandaste per un vostro servitor; ma saluti e' non mi fece, ben diverso mi parlò: che avevate donna, amico, laggiú in terra di Leon; che avevate donna bella e figliuoli come un fior.» «Chi vi disse ciò, signora, verità non disse, no: in Castiglia non fui mai, né là in terra di Leon, se non quando ero tant'alto e non conoscevo amor.» Fa meraviglia che un uomo della levatura e della dottrina del TIKNOR (_Hist de la littér. esp._, traduite de l'anglais par I.-G. Magnabal, Paris, 1864, t. I, p. 117) abbia potuto scrivere a proposito di questa romanza: _Rosa était le nom de la dame aimée_. Anche gli Ungheresi ed i Turchi dicono _rosa_ l'amata; come _basilico_ è detta per vezzo nei canti popolari slavi e greci moderni; come nei rispetti e negli stornelli toscani, ora il damo _è giglio valoroso_, ora _fior di resta_, ora _palma d'argento, spiga di grano lavorato, stella brillantina, specchio rilucente, mandorlo fiorito_, e cosí via. _Rosa_, d'uomo giovinetto, nella ballata storica _I Reali di Napoli alla rotta di Montecatini_; dove dice Maria, madre di re Roberto e di Piero, morto in cotesta battaglia: «Ov'è il mio giglio e la mia _rosa_ e il fiore?»] [Nota 72: Il cit. canto normanno _Le passant et la bergère_: «Adieu, ingrate bergère: puisque rien ne t'attendrit, je m'en vais dessous ces chênes pleurer le jour et la nuit.» «Oui, va t'en dessous un chêne pleurer le jour et la nuit: et moi j'irai dans la plaine chanter et me divertir.» Quanto meno selvatica la ragazza guascone della pur citata canzonetta _La pastouro alecado_! «Un moussou que passauo l'a toucat lou mentoun. La pastouro fierroto a troubat acò boun.» Nella canzone normanna _La brebis perdue_, è curioso a vedere come la brava foresotta s'ingegna di salvar capra e cavoli. Con uno dei consueti artifizi di chi, mostrando contentarsi di poco, mira ad ottenere pienissimo l'intento suo, dice il giovine tentatore: «Laiss'-moi prendre sur ta bouche seulement un doux baiser, Ne sois point assez farouche que de me le refuser.» A cui la fanciulla: «Prenez-le, si vous voulez, mais tout de suite partez; car je saurais me défendre et faire ce que je doi. Vous n'avez rien à prétendre; partez, monsieur, laissez-moi.» Cfr. CAVALCANTI, ballata _In un boschetto_ ecc.: «Merzé le chiesi sol che di basciare e d'abbracciare le fosse 'n volere.» Anche il _Seigneur_ d'uno dei canti della raccolta del Puymaigre si contenterebbe d'un bacio e d'un abbraccio; ma, come diciamo qui in Toscana, ci trova la sua. Non badino, prego, i lettori al soverchio naturalismo del penultimo verso: _Rustica progenies_ (è antico dettato) _nescit habere modos_: «Embrasse-moi, je te prie; pour mon amour c'est un petit salaire. Embrasse-moi, je te prie; un seul baiser me doit être permis.» «Allez, monsieur; vous me mettez en colere; ou je vous ferai, sans beaucoup de train, baiser le dos de ma main, et vous verrez que c'est la même chair; baiser le cul de mon chien. Rien n'est pour vous et tout est pour Colin.» Cfr. la ballata di V. GOETHE, _Der Edelknabe und die Müllerin_. EDELKNABE. «Ruhst du in meinen Armen aus?» MÜLLERIN. «Mit nichten! Denn wer die artige Müllerin küsst, auf der Stelle verrathen ist. Euer schönes dunkles Kleid thät' mir leid so weiss zu färben. Gleich und Gleich! so allein ist's recht! Darauf will ich leben und sterben. Ich liebe mir den Müllerknecht; an dem ist nichts zu verderben.»] [Nota 73: «.... tutte quante [le ragazze] chiudono gli occhi e si arrendono: l'amore è cieco, e comanda.» SHAKSPEARE, _Re Arrigo V_, atto V, sc. II. Ahimè! volle il destino che l'ultimo verso dell'ultima di queste romanze, come pure l'ultima di queste annotazioni, fossero per l'appunto una sconcia impertinenza, una goffa e rancida calunnia contro al bel sesso. Male, mio povero libro, male; non troverai grazia presso le anime gentili.] [Illustrazione: decorazione del libro] INDICE AVVERTENZA _Pag._ V _Don Gaifero_ (Dom Gayfeiros) » 1 _La ragazza che va alla guerra_ (Donzella que vai à guerra) » 23 _Conte Yanno_ (Conde Yanno) » 37 _La bella Infanta_ (A bella infanta) » 55 _La nave Caterinetta_ (A nau Catherineta) » 69 _Il cacciatore_ (O caçador) » 79 _Conte Nillo_ (Conde Nillo) » 89 _La principessa pellegrina_ (A princeza peregrina) » 103 _Don Alessio_ (Dom Aleixo) » 111 _Giustizia di Dio_ (Justiça de Deus) » 119 _La pellegrina_ (A romeira) » 129 _La fidanzata_ (A noiva) » 141 _Giovannino_ (Joãosinho) » 149 _Lo schiavo_ (O captivo) » 155 _Il cieco_ (O cego) » 163 _La pastorella_ (A pastorinha) » 169 [Illustrazione: decorazione del libro] OPERE EDITE DA RAFFAELLO GIUSTI =Ausonio Liberto= (G. Levantini-Pieroni). Le Selections. Un vol. in-16. L. 3 -- =Baldi.= 20 lezioni di Stenografia Gabelsberger-Noe, con copiosi esercizi di lettura stenografica. In-8. 1 -- =Barboni L.= Giosuè Carducci e la Maremma. Un eleg. vol. in-16. 1 50 =Bartolini.= Elementi di Stenografia secondo il sistema Gabelsberger-Noe, con 10 tav. fotol. In-8. 1 -- =Bettini.= La Fotografia moderna; trattato teorico-pratico. 2ª ed. aum. e corr. con ritr. dell'aut. ai sali di platino fatto a luce elettrica. In-8. 6 -- =Blavier.= Nuovo trattato di Telegrafia elettrica, trad. ital. di A. Zenoni e R. Piqué. 2 vol. in-8. con 200 inc. int. nel testo. 20 -- =Bonaventura A.= Fantasie musicali. Rus. Un eleg. vol. in-16. 1 -- =Cappanera.= Lezioni pratiche di telegrafia elettrica. 4ª ed. rived. ed ampl. 2 -- =Cappelletti Licurgo.= Raccolta di aneddoti antichi e moderni. Un vol. in-16. 1 50 =Castelar.= Ricordi d'Italia. Vol. I, trad. ital. di P. Fanfani; vol. II, trad. ital. D. Duca. 2 -- =Clasio.= Favole e Sonetti pastorali. 0 60 =Corazzini.= Storia della marina militare italiana antica in-16. 4 -- =Codice di Commercio=, 2ª ediz. con l'aggiunta delle disposizioni transitorie e del regolamento, leg. in tela. 1 25 =Coen.= Siamo quattro; racconto por giovinette. In-16 con figure. 1 50 =Esopo Frigio.= Cento favole scelte. trad. ital. del prof. G. Gualtieri. 0 80 =Giacomelli A.= Commediole per istituti d'educazione. Un vol. in-16. 2 -- -- Componimenti drammatici. Un vol. in-16. 1 -- =Gioppi dott.= Luigi. Manuale pratico di fotografia. In-32. leg. tutta tela. 1 50 =Guida di Livorno= e de' suoi contorni. 2ª ediz. con pianta della città. 1 -- =Lami.= Tavole di disegno geometrico da copiarsi a occhio e mano libera. 1 -- =Lapucci P.= Compendio di Storia e Geografia della provincia di Livorno. Un volumetto in-16. 0 35 =Lunel.= Manuale pratico pel tracciamento delle curve sul terreno. In-32. leg. tutta tela. 2 50 =Luzzatto.= Elementi di scienza sociale In-16. 2 -- =Mazzanti.= Racconti per giovinetti. 1 20 =Mazzola R.= Elementi d'Aritmetica. Un vol. in-16. Seconda Edizione. 3 20 =Melzi B.= Nuovo vocabolario universale della lingua italiana, storico, geografico, scientifico, biografico, mitologico. 6ª Ed. Un vol. leg. in tela. 6 50 =Menasci.= Canti di Enrico Heine. In-16 3ª ediz. 3 -- =Moutet.= Avviamento allo studio della lingua francese. In-16. 3ª ed. 0 80 -- Scelta di poesie francesi.--Un volumetto in-16. 0 40 =Matteoli Antonio.= Grammatica ital., per le classi element. sup. 2ª ediz. 0 50 =Negri.= Il cuciniere italiano. In-16. 2 50 { =Oates.= Grammatica della lingua inglese. { Parte I. In-16. 2 -- { Libri { -- Grammatica della lingua inglese. Parte II. approvati { In-16. 1 50 dalla { R. Acc. { -- Grammatica della lingua inglese. Parte III. Navale { In-16. 3 -- { { -- Letture inglesi. In-16. 1 50 =Olivati G.= Geografia fisica e politica. Corso teorico e pratico. In-16. 3 50 =Polese Francesco.= Erasmo maestro. Studio. Un vol. in-16. 2 -- =Sestini e Funaro.= Elementi di Chimica. 2ª ediz. corretta ed accresciuta. 4 -- =Targioni-Tozzetti Ottav.= Antologia della Poesia italiana. 4ª ed. not. accr. 4 -- -- Antologia della Prosa italiana. 4ª ediz. riveduta e corretta. 4 -- -- Tesoretto della Memoria. Scelta di poesie per uso delle scuole e specialmente per le prime classi tecniche e ginnasiali. Un vol. in-16. 1 -- =Tasso T.= La Gerusalemme liberata. Un vol. in-32. di pag. 400. 1 -- =Testi G. M.= Complementi d'Aritmetica e principii d'Algebra. 1 75 =Vallecchi O.= La Geografia pei miei bambini. 0 80 =Vivarelli.= Lezioni di chimica applicata. In-16. 3 -- *** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LUSITANIA: CANTI POPOLARI PORTOGHESI *** Updated editions will replace the previous one—the old editions will be renamed. 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It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life. Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg™ and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state’s laws. The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation’s website and official page at www.gutenberg.org/contact Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine-readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS. The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit www.gutenberg.org/donate. While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate. 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