Title: Esilio
Author: Ada Negri
Release date: June 19, 2011 [eBook #36792]
Most recently updated: July 19, 2011
Language: Italian
Credits: Produced by Maria Grazia Gentili and the online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net
ESILIOMILANOFratelli Treves, Editori1914
Terzo migliaio.PROPRIETÀ LETTERARIA.I diritti di riproduzione e di traduzione sonoriservati per tutti i paesi, compresi la Svezia, laNorvegia e l'Olanda.
Tip. Fratelli Treves.—1914
Chiama chiama—ed alcun non le risponde—la Donna prigioniera nella Trappa:dello spiraglio ai ferri ella s'aggrappa,livida tra le sparse ciocche bionde:notte e giorno, alba e vespro, estate e inverno,chiama ed attende, chiama e spera, chiamae piange:—taglia l'aria come lamalo stridor vano del singhiozzo eterno.*
«Sorella Anna, tu che insonne veglisulla torre più alta, e conti gli astrie le nuvole in cielo, e i vïolastriveli dell'alba cingi a' tuoi capegli:se è ver che la Speranza t'assomigliae che il tuo sguardo scorge oltre il mistero,mira se lungi appaia un cavalierolanciato a corsa su disciolta briglia.Forse or non è che un punto all'orizzonte,solo un punto: e convien, sì, ch'ei galoppi!...Ma è lui: verrà: l'attendo ormai da troppianni: verrà dal mare, o pur dal monte.La prigion che mi serra ha sette porte,ognuna è chiusa a sette catenacci:Sorella Anna che lassù t'affacci,prima ch'ei venga, ahimè, verrà la morte!Se tu mi chiami, forse io non ti sento,sì concitato è il rombo delle vene.Polsi pieni di battiti, più lenesegnate, in grazia, il ritmo del tormento!S'io mi conficco l'unghie dentro il palmo,mi placo.... Come, là in un canto, il viscidoe cauto ragno a sè tessendo i liscicerchi della sua tela appar sì calmo,io la mia tesserò, con passïonetenace, con fibrille del mio cuore,con sogni e sogni: e per eluder l'oreio farò del mio pianto una canzone....Ma ten prego, se avvien che alcun tu scorga,agita il velo, gridagli che spronila corsa a volo, pria ch'io m'abbandoni,soffocata dal sangue che s'ingorga!...»*
.... Il tempo stilla, in fredde gocce.—È mortal'Anima, o sul suo spasmo si rannicchia,muta ascoltando se una nocca picchinel muro, o un pugno scardini una porta?...Il tempo stilla.—Un anno? o dieci? o un'ora?...Non chiave nelle ferree toppe stride.Dall'alta torre che nel ciel s'incideSorella Anna si protende ancora.
Trentun dicembre, mille e novecentoundici, mezzanotte.—Taci e pensa,anima.—Nella vigile ed intensatua fiamma, vivi; ma il Destino è spento.Più non si specchia innanzi a te il domani.Nulla aspetti, nè chiedi. La speranzasparve, col sogno. Il tempo che t'avanzasarà come la sabbia fra le mani.Troncato è il laccio che alle creaturet'avvinse, pel tormento e per l'ebbrezza.—Lontanissima, e sola.—Hai l'aridezzadella rinunzia sulle labbra dure.Nella rigida notte, aspre le stelle,simili a chiodi per martirio infissinelle vôlte dei cieli, entro i tuoi fissiocchi incrociano l'iridi sorelle.Fuor del tempo, del peso e dello spazio,da te sôrta, in te chiusa, in te bastante,stai. Si consunse il corpo palpitantenelle stimmate stesse del suo strazio.Quel che ti scosse, amore, odio, rimorso,quand'eri carne appassionata e cuoreschiavo, e fece di te tutto un dolorevile, in ansia di tregua o di soccorso,or cadde: è cencio a terra, è coccio a mare.Nuda or tu sei fra veli d'aria: fortedi te soltanto: e ignori se sia morteo vita la tua nova alba stellare.Vegli fra due voragini, in oblìo..... Vuoto di solitudini senz'orme,rombar sordo di fiumi, alito enormedi venti, ombre di nubi....Ascolta.—È Dio.—
Parole che la bocca mai non disse,per pietà, per orgoglio o per paura,che ai labbri spinse una demenza oscura,che un più forte volere ivi confisse:parole non di suono ma di palpito,miste al sangue pulsante, alla salivadi che il tacer s'abbevera, alla vivacarne che soffre, al cuor che batte a scalpito:han, nel profondo ove s'accolgon bieche,(e chi dir non le volle in sè le udràsempre) un'allucinante fissitàdi facce spente, di pupille cieche.O creatura dalle chiuse labbra,sulla parte di te che fu soppressail tuo silenzio è pari a una compressagelida su ferita che si slabbra.O creatura che disìo non chiamapiù, che amor più non sveglia!... Un'ora solaa te segnava Iddio per la parolache non dicesti: ed or dentro ti clama.Rannìcchiati in disparte, ingoia il pianto,avvilùppati d'ombra. È tardi adessoper la tua verità. Tu sei già pressola soglia eterna, ove il silenzio è santo.
Casa ch'io sogno, le tue basse murasoffoca, a spire, l'edera malvagia.D'intorno, ove la piana ampia s'adagia,una quiete millenaria dura.La passïon dell'edera t'allacciatutta, dalle radici alla cimasa.Tu quasi il sol più non iscorgi, o casabruna, nascosta in boschi senza traccia.Attinge l'acqua con antica cordaal pozzo, e coglie l'erbe, e l'acciarinobatte, per suscitar dentro il caminola fiamma, una schiavetta muta e sorda.Nel focolare ardono ceppi enormi,e le mobili lingue azzurre e gialles'inseguono, s'intrecciano, farfallee serpi, in guizzi, in fughe, in nodi informi:l'allegrezza selvaggia della vampasibila, rugge, splende, s'invermigliad'odio e di sangue, e snoda ed attorcigliatentacoli.—E m'esalto, io, della vampa.—D'essa mi nutro, e del mio chiuso cuore.Ho, per la sete, qualche frutto, e il secchio.Ricopersi d'un vel ciascuno specchioper non tremar davanti al mio pallore.Ch'io non ricordi!... Che il passato in torbideacque sprofondi come bestia mortascagliata a fiume lungi dalla portadi casa, a che il suo lezzo non ammorbi!...Ch'io non ti porti più così feritapel mondo, camminando su rasoitaglienti, anima ignuda, che non vuoimorire, e tanto sprezzo hai per la vita!....... Giardin ch'io sogno, i tuoi cancelli spranga.Bizzarri e inestricabili viluppidi tronchi e fronde, e rose e rose a gruppisorgon dal suolo che non sa la vanga.In te il silenzio è cosa viva, ch'iostringo a me come un mazzo di corolle.D'esso mi nutro, e del mio sogno folle.D'esso mi fascio, e son simile a Dio.Che è che romba per gli androni, ed empiedi sè la casa, e palpita e volteggianell'aria?... È il cuore, è il cuor che mi vaneggia,è il sangue che mi batte entro le tempie.Che è che balza su la brage, e nellacappa rugge una sua rossa parola?....... Anima, tu, che esulti d'esser sola,e ardi, e dal tuo rogo esci più bella.
La soglia è grigia, di corroso sasso.L'erba s'inciuffa tra le fenditure.Offese il tempo un «salve» inciso in purelinee di grazia sul gradino basso.La gran porta di quercia non ha chiaveper aprir, non anello sul battente.Immota, nulla vede e nulla sentedalla prim'alba al palpitar dell'ave.—Pietra, e silenzio.—Investe a vampe il soleil travertino antico, e lo schiaffeggiala pioggia, e in gelidi aliti volteggiala neve ad esso intorno, e le violespuntano tra gli spacchi, e fruga il ventodove può, come può, strisciando al muro:muta la porta sta, quale su durovolto un serrato labbro vïolento.Dietro di sè con spranghe e con uncinidi ferro asserragliandola, gli Amantistanchi del mondo e de' suoi vani incantila sbarrarono un dì contro i destini.Stanchi del mondo e sol di sè beati,l'un sul labbro dell'altra, il verde assenziobevvero dell'esilio e del silenzio,ne l'immemore gaudio avviticchiati.Che fu di loro?... In essi ancor non languela febbre che li fa con torvo acrorecercar coi baci entro la carne il cuore,ed agli amplessi dà sapor di sangue?...O pur la sazietà così li torseche l'un nell'altra incastrò l'ugne a scempio,sibilando, accanendosi nell'empiostrazio, che in arma il pazzo amor ritorse?...O pur, per vie segrete, per recessiopposti, al sol tornarono, alla vastaluce, alla libertà che amor sovrasta,in cerca d'aria, in cerca di se stessi?....... Pietra, e silenzio.—Sulla soglia l'erbacresce, e s'affolta, solo umile accentodi vita; e par che plachi in cento e centopiccoli baci una follia superba.Dice: Perchè?...—Con un aulir selvaggioe dolce, dice: Si trasforma amore.Casa che soffri come un chiuso cuore,perchè non t'apri, ora che torna maggio?...
Sale a fatica—e come il piè la reggaignora, e come a sè dischiuda il varco—fra i rovi aguzzi di due siepi ad arcola Donna che non ha chi la sorregga.Dalla diritta tunica vermigliaemerge, quale fiamma dalla face,il volto, che un'insonne e pertinacecura protende, solca ed assottiglia.Non più di carne: d'anima è quel voltosenza bellezza, senza gioventù.E pur nessuna donna al mondo piùsuperba apparve, nel suo crin disciolto.Chiude, è vero, le pàlpebre sugli occhitalvolta, stanca; con la floscia piegasui labbri di chi sè da sè rinnega,mal raffrenando il pianto che trabocchi.Si domanda: Perchè?...—Se una parolale alitasse, or, sul collo, e fosse baciopiù che parola!... se, improvviso, un laccioumano le cingesse, ora, la gola!...Ma a un sasso inciampa, a un pruno irto le manipunge. Sovvienle allor del suo destino.Non ha che sè, per compiere il cammino.Non ha che sè, per l'oggi e pel domani.Beve alle pozze d'acqua, strappa morealle due siepi, e cupida le addenta.Sol di questo, e d'un sogno, ella alimentail soffio della vita interïore.Ella sa d'un giardino ove i rosail'attendono, dai calici di fuocol'anima vaporando a poco a pocoverso l'Ignota che non giunge mai.Là, fluir d'acque, murmuri di brezzadensa d'essenze, letti d'erba, auroresacre: là, quella in cui non osa il cuorecullarsi, insostenibile dolcezza....Sorgerà un giorno, per magia, per gioia,nel suo gran verde, a sommo della strada.Purchè l'orme non sien false; e non cadaella contro le siepi, e non vi muoia!....... Giunge.—Ma innanzi al devastato campo,ai mozzi tronchi, ai rami ignudi, serral'unghie nel palmo: poi s'accoscia a terra,come la fiera che non ha più scampo.
Poi che ogni donna è al mondo per servirecon la carne caduca e l'immortalespirito acceso, docile fra il malee il ben, soggetta in piangere e in gioire:poi che ogni donna è ancella a chi le prendaper vïolenza il palpitante cuore,io riconosco, o Dèspota Dolore,su me la tua sovranità tremenda.Amo il tuo bacio, ch'è morsicaturaperversa, e n'ho sul petto e in faccia i lividi.Tu ti diverti a torturarmi, e i brividimisuri e godi della mia paura.Ti nascondi, talvolta: e allor m'avvedo,ecco, ch'è maggio, e che nel ciel le stelleson come i fiori sulla terra; e dellestelle e dei fiori uguale, ecco, mi credo.Ma tu, ch'eri in agguato, a un tratto l'ugnam'affondi in collo, e sì mi scuoti, e a sanguebaci e maltratti: ed io m'affloscio, esangue,fra le tue braccia molle come spugna.Mi sei buono, talvolta, e suggi lievele mie lacrime calde dalle ciglia;ma io sorrido senza maraviglia,chè troppo so come la sosta è breve.Terribili silenzi son fra noi,talvolta. Immoto, tu somigli a un morto,ma vegli. Immota, perso in te lo smortoviso, nel cuore io medito de' tuoicelati artigli l'azzannar protervo,repente.—Se tu vuoi, potrò domanimorire. Mi sarà, dalle tue mani,dolce. T'amo così. Così ti servo.
Paura della vita, a tradimentoor su me piombi, e il tuo nodo scorsoiomi getti al collo; ed in me stessa io muoiosenza morire, diaccia di spavento.Ed i giorni e le notti che verrannom'appaion come maschere impenetra--bili; e con peso di massiccia pietral'ieri e l'oggi sul cuor lividi stanno.Da coloro che un dì chiamai fratellisì lontana mi sento, che a soccorsonon grido: non udrebbero: ahimè!... corsotroppo ho dinanzi a lor, con piè ribelli.Ciò che fu non è più—ciò ch'è presentenon vale—sul futuro c'è una portachiusa, di bronzo.—Io son fra quella portae il mio terrore.—Io son quasi demente.Pure conviene attender l'alba, attenderecon piè fermo, con fisso occhio, il ritornodel sole. E il sol guardare, e il chiaro giornogodere, come un fior—senza comprendere.
No!... Comprenderti voglio, o vita, o vitache m'attanagli con sì dure branche,e a prova nelle mie viscere stancheprima scavi poi baci la ferita.Io non ho membro che non porti il segnodella tua vïolenza—e il sanguinantemio cor t'ha in sè confitta, rutilantescure che strappa alla radice il legno.Quando comprenderò, forse il tuo giocobarbaro diverrà per la mia menteun nulla, un fior che sboccia, una vanentenube, vermiglia del tramonto al fuoco.Quando comprenderò, ti sarò grataforse del vario strazio che m'infliggi,torturatrice, che unghia e dente figgidove la carne più ti par malata.Dimmi il perchè, se un perchè esiste. Io vogliosaperlo, per gioirne; e del dolorefar delizia pei sensi, urlo d'amoreper l'anima, corona per l'orgoglio.
Passa una coppia, ove non è la luna.Risa sommesse. Aneliti. Carezzesenza pietà, come vendette. Asprezzedi baci folli. Poi, silenzio. È l'una.Si smemora la notte, in un'insaniadolce. È il languor dei grappoli d'acacia.È quella coppia in ombra, che si bacia.È l'aroma del filtro di Brangania.—.... Tu che fai qui?... Rasenta i muri, e asconditiil viso coi tuo vel, tu che sei sola!...No.—Resti.... Non v'ha lacrima o paroladi rimpianto nei calmi occhi profondi.Sola sei, con la nera ombra difformetua, che t'insegue sul pallor sidereodel marciapiede. E fredda, nel cinereovolto di sfinge e dentro il cuor che dorme.Pur ieri ardevi sino alle midolladel fuoco per cui sol bella è la vita.Chi ti strappò l'anello dalle dita?...Chi a te del sogno inaridì la polla?....... Vedesti il teschio nello specchio, tu.Quei felici che passano, non sanno,ma sapranno.—Oh, il gran ghigno dell'ingannoin quella lastra!...—Ora non soffri più.—
Stolto!... Ed eccoti lì, come uno straccio.Che anima di crusca avevi tumai, che al primo fendente, a mucchio, giùt'è sfuggita?... Sei vuoto, ora. Sei diaccio.Sei una cosa inutile, che il piedegetta da un lato, e terra copre, e crocenon vuole. Non più bocca hai per la voce,nè mano per carezza, e cuor per fede.Ah, sol per questo, vivere era bello,sia pur soffrendo!... Piangere o godere,abbrividir di strazio o di piacere,che importa, pur di esistere, o fratello?...Io non voglio il tuo sonno. Io d'una cosasola ho il ribrezzo: della morte.—Il restoè gioco, anche il dolor più orrendo, questodolor, che tutta m'ha pesta e corrosa:e più esso m'affanna, e più vibrantifiamme attizzo al mio fuoco d'energia:e poi che andar bisogna, e tu la viami sbarri, ti scavalco,—e passo avanti.
In fondo al pozzo abbandonato è notte.Muffe rampanti, viscidi lichenibacian, con bocche gonfie di veleni,la scabra pietra e l'ime acque corrotte.Non stridìo di carrucola, non rostrogaio, reggente a grossa corda il secchioche, grondando, risalga, a glauco specchiodel sole. L'acqua, in fondo, è come inchiostro.Vive di sè, della tenace pollache, dal concavo sasso in sue perenniforze fluendo, il sonno dei millennirompe con qualche pullular di bolla.Più non ricorda che una bocca umanadi lei godette, in lei languì, rinacquedal refrigerio limpido dell'acquequale un bel frutto rosso.—Oh, gioia vanaormai, sgorgar da chiara tazza agli avidiaperti labbri, all'arse fauci, ai vivimoti del cuore, in schietti sorsi, in rividi freschezza, in rigurgiti soavi!...Sol ritrova sua vita e sua fortunase, cinta d'astri come d'una retedi gemme, il volto pallido per setespecchi entro il pozzo, alta nel ciel, la luna.Allor ne l'acqua è un'ansia, un brividìotrepido, un riso d'èstasi, un gorgoglioappassionato, un impeto d'orgoglioche la solleva dal malvagio oblìo:fino alle scaturigini tralucedi perle in danza, al magico fulgore:in ogni guizzo, in ogni goccia amorepalpita; ed acqua più non è; ma luce..... Così, così, dal pozzo che scavastitu stessa, anima mia, per esser mortapria di morire, e dove stagni, assortanella rinunzia d'ogni ben che amasti,ti svegli, tutta in fremito, di schianto,nell'inganno d'un sogno; e in quel baglioresommersa, torni luce e torni amore,trasfigurata dal sereno incanto.
Figlia, i rami di pesco e biancospinodi che s'adorna il tuo bel marzo acerbo,cangia il soffio del tempo in un superbosfiorir di rose lungo il mio cammino.Già un poco sfatte, e del color del sangueche si raggruma a fior d'una ferita,l'inebriante aroma han della vitache per eccesso di pienezza langue.Figlia, e tu non lo sai. Tu bevi i ventidel largo, in quell'incerta mattinaleora, che, ancor fasciata d'ombra, sale,carico il grembo di promesse ardenti.Non vedi ch'io mi fo sempre più smortafra il sitibondo aulir di passïonedelle mie rose; e ch'io ne fo coroneper appenderle in voto alla tua porta.
Tu canti sempre. Canti come ridi,come parli. Hai nel canto una ragionedi vita. Ondeggi e splendi in un alonedi note. In te v'è un pispigliar di nidi,uno stormir di foglie al vento mosse.Ma non ti disser pagine o maestrile tue canzoni. Al fluttuar degli estripieghi, e all'ultima gioia che ti scosse.Parole e ritmo sgorgan per incantodall'anima cangiante come prismaal sole. Iddio con questo alato crismabenedisse in te, figlia, il riso e il pianto.E tu basti alla tua serenità,o creatura d'armonia: viventemelòde, ti disseti alla sorgenteche su dal cuore zampillando va.
La tua freschezza, o creatura, è simileal brusir della pioggia sulle fogliedi giugno, quando scoppian le magnoliecarnee sul ramo, e i gigli sembran calicipieni d'acqua; o al crosciare della pioggiad'autunno, quando l'olea-fràgrans pènetradel suo profondo aroma anche le gocciolelucenti, e chi il respira ha la vertigine;o al sùbito mutar di luci e d'ombrese passino le nuvole di marzocon repentine acquate, e sprazzi vivididi sol fra pianto e pianto, e un turbinìodi pòllini nell'impeto del vento.
Talor,—quando ti credi sola, e ignoriche nell'ombra gelosa in cui t'interniti spìano i miei seguaci occhi materni,—in un pensiero il volto trascolori.Cinte le braccia ad arco sui ginocchi,tesi il mento e la bocca in un superbogesto di volontà, pensi. Niun verbopuò dire quel che dicono i tuoi occhi.Ardor di sangue, ardor di fede, vamporepresso.—Ma è ben tuo, figlia, quel viso?...Ove io lo scôrsi, un giorno?... e avea quel risointerïore, e quel selvaggio stampod'adolescenza conscia d'esser vivaper esser forte!... Ove lo scôrsi?... Forsenell'altra vita. O, forse, in sogno. O, forse,in uno specchio. Ah, mi ricordo!... Empivadel suo denso pallor la fredda lastraappesa al muro. E mi guardava, fisso.Era il mio volto, sôrto da un abissod'ombra, e riflesso in torba acqua verdastra:nuovo a me, dal grande arco delle cigliaal labbro acceso: cerchio inebrianted'enigmi, ove affondavo il cuor tremante:ed ora è tuo perchè il trasmetta, o figlia.
Se necessario è il male, e necessariala morte,—anche tu dunque, o Luminosa,morrai?... tu, che letizia da ogni cosasuggi, come ogni bocca sugge l'aria?...Io t'avrò fatta, io con insonne e fidaansia t'avrò cresciuta, per sapertimortale, e spenta, forse, in braccio averti?...Dunque ogni madre al mondo è un'omicida?...Dunque la vita mia, che a te coi centoe cento suoi lacerti s'aggroviglia,nulla potrebbe in tua difesa, o figlianata per la mia gioia e il mio tormento?...Cingerti non potrebbe un'invisibileveste, d'amore e amor tutta intessuta,che contro gli anni e la ferocia mutadella morte ti renda incorruttibile?...Nella miseria mia solo il patireper te m'è dato, e in esso consumarmi:perchè tu possa, o figlia, perdonarmid'averti messa al mondo per morire.
Non ti basto, lo so. Già i tuoi grandi occhiguardano a un sogno ov'io non oso entrare.Già sulla soglia sei, fra rose chiareche sbocciando ti splendono ai ginocchi.Già tu ascolti—e un po' piangi, e un po' sorridi—musiche dolci ch'io non odo più.Piccola mia, fragile amore, tusei dunque come i passeri dei nidi?....... Vento di primavera, erbe novelle,gemme sui rami, nuvole nei cieli,cantar di fonti, verdeggiar di stelipromessi al caldo oro del grano, stellefulgide come sguardi, novitàdi tutto, ansia di spremer da ogni fogliail succo, da ogni affetto che germogliail suo mistero d'immortalità!...Non io ti mostrerò le cicatricidel cuor, le rosse stimmate, sì a fondoincise, che la vita è nel profondoattossicata sino alle radici.E quand'anche il facessi, i passi snellinon fermeresti tu sulla tua strada,tu, che infili cristalli di rugiadaper farne serto ai morbidi capelli.No!... Vivi l'ora tua, che una sol voltasi vive!... Piangerai dopo. È il tributosacro. Ma da timor gelido e mutol'ora divina a te non venga tolta.
O generata per mirar la gioianegli occhi, e far ghirlande di giunchiglie,passando in danza fra le maravigliedolcissime d'un maggio che non muoia:o tu che porti in te la giovinezzadi tutti i rivi, e pur ti godi a beread ogni fonte che ti dia piacere,ad ogni raggio che ti dia bellezza:stupefatta io ti guardo, e mi domandochi sei: nè più ricordo il mio supplizionel procrearti, e il lungo sacrifiziode' miei begli anni, in te sola vibrando.Nulla ricordo. Ora potrei nel gorgosparire: nulla più t'è necessarioda me: nel getto pieno e statuariodel tuo fiorire il tuo destino io scorgo.Ah, potess'io pensar che da una scorzad'albero, gaia boschereccia ninfa,balzata fossi, e avessi in te la linfadi quel tronco, e la sua virginea forza!...Balzata fossi dagli oceani immensi,vestita d'alghe, satura di sale!...Ma il peccato d'origine, il mortalepeso del sangue incarcera i tuoi sensi.Sei nuova, e pure in te fremono i mondi:vita io ti diedi, e pur mi sei straniera:penetrarti vorrei, ma tu di fierasemplice grazia il tuo mister circondi.E vai,—nè io ti seguo, poi che l'ombrami tiene.—Ma se il mal, belva in agguato,t'abbrancasse, ben io saprei d'un fiatofarmi, per te salvar, la strada sgombra:non sarei che un istinto, un cieco istintocarnale, armato a tua sola difesa:nè cederei, nè lascerei la presaselvaggia, fino a quando avessi vinto.
Un sogno risvegliò l'adolescente.Oh, dolce!... Uno sfogliarsi di corollesulla sua bocca e sul suo cuore, folleper la delizia d'essere vivente.E balzò a terra, bianca in quel divinolanguir dell'ombra e delle stelle,—quandonell'aria che pare èsiti tremandonon è più notte e non è ancor mattino.A piedi ignudi sul balcon, soavee ardente, a sè chiamò l'alba virginea:l'assaporò fino all'estrema lineadel cielo, ove il sol nasce al suon dell'ave.Pensò i giardini prossimi a fiorire,l'attender calmo delle forze intatte,le gemme dei roveti entro le fratte,l'acerba novità del divenire.—Buon dì, primo stormir d'ali e di foglie.Buon dì, nuvole rosa e peschi rosa.Ho quindici anni. È troppo dolce cosavivere, quando il cuore è sulle soglie.Chi è colei che vien dall'alto, ed haancor fra i veli qualche stella spersa,mentre la faccia è già tutta sommersanella luce?... sei tu, Felicità?...—
—Mamma, narrami ancor: «C'era una volta....»come quand'ero piccola bambina.Sai, mi dicono tutti «signorina»....Ma non è vero. Ho ancor la treccia sciolta.Quanta neve nell'aria!... Par che scendail cielo a terra, in turbini di fiocchi,e pur non sembra che la terra tocchi....Mamma!... Lo vedi: è un tempo da leggenda.Così soave è la tua voce, seconti di fate, d'astri, di fortuna!...——.... Dunque, c'era una volta, nella luna,Re....—«No, non voglio le fiabe dei re...»—La Principessa allor dirò, che accogliead ìnfula i capelli intorno al viso,e col volger degli occhi e del sorrisoal suo passaggio fa tremar le foglie....Ma non la tentan gracili vïoleche gelosia di folta erba nasconda:di più liberi campi è sitibondaov'ella possa respirar nel sole.Tutta s'immerge nella vampa d'oroche di baci ardentissimi l'investe:ride:—Fratello Sol, guarda: la vestedel tuo più lieto raggio io mi coloro.Canta:—Fratello Sole, ove mi portioggi, che nostra gioia è così pura?...—E sembra una celeste creaturache un'occulta potenza in terra scorti.Tutto move con lei, nell'indicibilefesta del ritmo che il suo passo scande,verso la soglia ove l'attende un grandeIddio, dal viso pallido e terribile....——Mamma, chi è?...—Non so. Forse l'Amore.Ma mi si ruppe il fil nella memoria.È una storia sì logora!... È la storiad'ognuna.... Anche la tua, mio dolce Cuore.Ah, non potere averti ancor raccoltanel grembo, contro cento, contro mille!....... Non tremare. Un racconto delle Millee una Notte or dirò: «C'era una volta....»—
Penso a quel che v'ha in me, ch'io in te trasfusisenza volerlo, o figlia, nell'oscurotravaglio della specie, ove il futuros'incarna e pur s'ignora, ove son chiusii germi che la vita romperà:al segreto del sangue, all'energielatenti, alle ancor buie occulte vie,alle tremende possibilità.Penso all'ignota donna che s'appiattaor, nel fascio di nervi agile al balzo,e nella grazia del tuo piede scalzose t'aggiri con mosse di cerbiatta;e nel rapido battere di cigliache vela e svela....—Ah, basta.—Ah, ch'io non sochi sii, se pur ti feci, se pur t'honelle viscere ancor compressa, o figlia!...Ma che tu sii da me diversa, è giusto.Per questa tua diversità, t'ammiro.Se il mio commisi al fresco tuo respiro,s'io m'innestai nel tronco tuo robusto,fu per passar con più perfetta formain coscïenza, in gaudio, in giovinezzanuova: inutili son forza e bellezzase potenza d'amor non le trasforma.Tu seguirai la sempiterna legge.Viva, entrerai nel sangue de' tuoi figli.Arde nel trasmigrar di quei vermiglirivi la volontà che il mondo regge.Da te soltanto il cuor caduco avràla certezza del fato in van promessoa me dal verso sulla carne impressocome un cilicio: l'Immortalità.
Tanto indugiasti!... Non t'accorgi dunqueche si fa tardi?... Lèvati, e cammina.Sia per mar, sia per erta o sia per china,fuor che qui dentro la tua strada è ovunque.Strozza il singulto, e non voltarti indietro.Nulla qui dentro è tuo, nemmeno l'aria,nemmeno quella smorta cinerariache agonizza nel carcere di vetro.Di tuo non hai che l'anima, confissanel corpo come nuclëo nel tronco,una tunica nera, un sogno monco,e l'affanno pesante che t'asfissia.Pur sarai ricca, ricca senza fondo,se riesci a varcar senza tremarela soglia: se riesci, ecco, a svoltarequell'angolo.—Vedrai, mutato, il mondo.Perchè piangi nell'anima?... Si è fortisol quando tutto si strappò dal nostrocuore, anche il pianto; e solo, e solo il nostroorgoglio in plenitudine ci scorti.Che stringi in mano?... una piccola cioccadi capelli?... Ma gettala, che muoianel fango della via, se pur tu vuoila calma che il ricordo più non tocca!...Nella selvaggia adolescenza, quandodavano i tuoi magnetici capelliscintille al tocco delle dita, e snellii piedi in gaudio erravano, danzandoritmi di libertà, Dio t'avea postonel cuore un Dono. Ed era più che l'oroterreno, ed era più d'ogni tesoromortale. Fosti in colpa. E s'è nascosto.E vivesti anni ed anni come sordae cieca. Or parti. Cercalo. Ma andareandar tu devi senza mai sostare,nella tonaca tua cinta di corda.Bàgnati ai fiumi, asciùgati nel sole,dormi sull'erba, prega con le stelle.Avrai da quelle tue caste sorellemaraviglia di candide parole.Cerca tra i sassi, in mezzo al fango, in fondoai vicoli, alle soglie delle casedi povertà, per strade e piazze invasedi folla. Cerca te, nel vasto mondo!...E ingoia libertà sino a formarnefibre di nervi e succo di midolla:sia essa, in te, fecondo hùmus di zolla,sia qual rete di vene entro la carne!...Allor soltanto sentirai la graziarifolgorarti nelle viscere ebbre.Nella divinità della tua febbreallor soltanto potrai dirti sazia.E rivedrai del Dono intatto impressal'effige in cuore, come in polla viva;ma più non tornerai dall'altra riva,Pellegrina Crociata di te stessa.
Sboccian le stelle elettriche e le stelledel cielo, argentee, sulle vie che ignorie non ti sanno. In cerchi di splendorit'immergi, e mai ti fûr l'ore sì belle.Nome scordasti, e culla, e la menzognalunga e lo strazio dell'inutil pianto:qui, se tu parli nel natio tuo canto,niuno t'intende.—Passa: taci: sogna.Novella pare l'anima in esiglioa sè, come nell'impeto del frescofiorir di marzo a sè par nuovo il pescoroseo-chiomato, e di se stesso il figlio.D'ogni basso livor tu l'hai detersafuggendo: ed or memoria più non hai:sfiori, monda e leggera, il sempre e il mai,in pura infanzia dal lavacro emersa.Il liberato spirito si snudapel battesimo sacro. Ardono gli astrial rito. E tu ti fai simile agli astrisenza tempo, o mia vita, o vita ignuda.
Sole, di fronte. Non c'è più nessuno.Chi odiammo, è lunge. Anche chi amammo, è lunge.Voce amica o nemica a noi non giungepiù. Laggiù in patria, non ci attende alcuno.Per nostra ferma volontà compiemmoquesto distacco. E lacerammo il nodo.Ma il membro donde si sconfisse il chiododà sangue. Anima mia, che mai facemmo?...Tu mi rispondi:—Quel ch'è necessario.Lascia che sgorghi il sangue ch'è corrotto.Poter di rinnovarsi in puro fiottolascia al torrente impetuoso e vario.La vita è bella in quanto è forza, caldaentro il tuo pugno: d'altri, che t'importa?...Se non sai dominarti, ed a te scortaessere, qual virtù ti sarà salda?...Io voglio che tu giunga a tale eroicacima, che il nulla pel tuo cor sia tutto,e il tutto nulla; e quel che fu distruttoseme prepari ad altre messi, o stoica.—*
E ancor mi dici: (e tal silenzio è intornoche il battito dei polsi nell'orecchiomi suona)—Guarda a me come a uno specchioterso, nella tua notte e nel tuo giorno.Io sono eterna. Il mondo è in me riflesso.Nella mia voce udrai tutte le vociche vuoi, canore, tenere, feroci,false, sublimi. Io ti sarò da pressoe da lontano, come tu vorrai:penetrerò per te la vôlta cavadei cieli, e sarò in te, simile a schiavaaccosciata nell'ombra. E mi ameraid'amore. Ah, nessun mai suddito e donnotu avuto avrai come la mia presenzacompatta ed invisibil, coscïenzae senso, in te vivente anche nel sonno!...Tanto, che della morte avrai paurasol perchè allora io ti sarò divulsadal corpo: e me ne andrò, tragica espulsa,te dai cieli implorando, o creatura.
Considera che nuova è la tua via,o magnifica anima vagabonda.La nave che si stacca dalla spondapiù libera non è che tu non sia.Considera che basta un pane, e un pocodi sale, e un sorso d'acqua al tuo bisogno.Mangia la rossa carne del tuo sogno,bevi del tuo pensiero il vin di fuoco.Se turbi a volte oscura disianzad'amor le vene all'aspra giovinezzache non è morta, in taciturna ebbrezzabacia ed abbraccia in te la tua sostanza.Ella, ella sola t'è fedele: abissid'ombra, immense voragini di luceti scopre: a regni d'èstasi t'adduceper mano, e, s'ella vuole, il sol tu fissi.*
Considera che il sasso ove tu inciampiè parte del tuo Io, come la manoestranea che ti tocca, ed il lontanocielo, e le spiche, e l'alte erbe de' campi.Considera le linee sinuosedel corpo, vive del tuo sangue ardente,qual limite non già, ma qual fluentelegame a tutte le terrestri cose.Aderisci con ogni atto all'essenzacosmica. Dilatarsi della vitail nucleo sentirai, fin che smarritat'immerga nella Universal Presenza.Piccola donna in così grande spazio,oltre il peso, oltre il numero e il confinevivrai: del tuo principio e del tuo finedèspota: il cuore, ora e in eterno, sazio.*
Considera che tu fosti in peccatomortale: che strisciasti, curva e stracca,per tortuoso error, con la vigliaccatua debolezza e la menzogna a lato.Considera che eccelsa è la tua sorte,se puoi, dal pozzo ove la coscïenzaaffogava, aggrapparti alla potenzaoriginaria e vincere la morte:e che improvviso sfolgorar di stelledà più folle vertigine a coluiche dall'intrico di meandri buicon pertinace volontà si svelle.Sorpassata la colpa ed il martirio,ondeggiando or disperditi in lucentivie di silenzio e d'estasi.—Mi sentiora?... chi sei?... Boote, forse: o Sirio.
M'appoggio a un tronco, scivolo a ginocchi,confondo anima e corpo alle contorteradici.—E tu credevi d'esser forte,povera donna!...—Or sosto un poco. Ho gli occhistanchi di sole: anche il cervello. Ho questidensi effluvî nel sangue, come un tossicoinebriante ed omicida. Ho gli ossiche mi dolgono, come in chi si destida lunga febbre. E il combattuto orrorech'io credetti d'aver pur ieri ucciso,eccolo, è qui, m'abbranca il petto, il visomi schiaffeggia, mi sputa, ecco, sul cuore.Dio che mi vedi, a questo m'hai condottatu, perch'io tocchi un segno eterno. E lungaed aspra è l'erta ancor, fin che il raggiunga,e già m'accascio come cosa rotta....Fa almen ch'io non mi volga indietro, ch'ionon dubiti, non tremi, non mi pentadel già compiuto; e dentro me ti senta,sola fiamma inesausta, ardere, o Dio.
Ritta nel sole, colle man sul frontea schermo, guardi se un ruscello appaia,se qualche roccia della rea petraiapianga per una sua cerula fonte.Nulla: non trovi nulla, fuor che sassi,polvere, ortiche, calcinacci. E rabbiad'arsura, quasi che rovente sabbiacolle contratte fauci respirassi.Dio mio che sete!... Asciugheresti i fiumi.Ma non v'è nube in ciel, ma non v'è filod'acqua fra pietre. Avessi tu uno stiloper ferirti, e succhiare il sangue a grumi!...Dio mio che angoscia!... E niuno, e niuno accanto,che ti dica:—Coraggio!...—che la stradati accenni, che ti mormori:—No, bada,caschi!...—Se hai sete, ingoialo, il tuo pianto.E sien per te le assaporate lacrimeamara voluttà di beveraggionuovo, che nuovo renda il tuo coraggio,esasperando i sensi aridi ed acri.Se ancor parla viltà, con mani a morsastrozzala, e getta il cencio dietro un foltodi rovi.—Fin che avrai te stessa, moltoavrai: tutto.—E prosegui la tua corsa.E impara a non fidar che ne' tuoi occhie nel tuo piede: a non attender nientedagli uomini, e in te una e onnipossentecreder,—se aver non vuoi rotti i ginocchi.In te sola trovare acqua di venaper sete, campo per raccolto, fogliaper ombra....—allora, e sol se tu lo voglia,comincerà per te la vita piena.
Hai tu coraggio di salir più in altoancor, sino alle rocce irte del culmine?Bada! Quei tronchi li ha schiantati il fulmine,che dentellò quei picchi di basalto.Hai tu sìstole e diàstole sì fortiche non abbian, là, presso il ciel, paurad'asfissia?... Bada! L'aria è così purala sù, che uccide chi il suo cor vi porti.Gettasti, veramente, nella fognala pupazza di cenci, incoronatadi carta d'oro e a gonna impastoiata,che fosti fino a ier, per tua vergogna?...Sai tu bene ohe sia la solitudinelapidaria, che sta fra terra e cielosenza speranza?... e puoi, tu, di quel gelofarti una veste di beatitudine?...Sei ben certa d'aver gettato ai sassi,dietro le spalle, tutto, proprio tutto,tanto che il mondo di te porti il luttocome se fossi, diaccia, fra quattr'assi?...Padre e madre non più, nè creaturanata da te, nè alcuno che ti tocchida presso, nè rimpianto che i ginocchiti spezzi, nè desio di cosa impura?...Allora va. Sul vertice più eccelsodella montagna, che somiglia un gridopietrificato verso Iddio, tu il gridoritroverai del tuo soffrir più eccelso.Ma antico quanto il mondo, e vano, o cuoreselvaggio, o monte intrepido, saràquel grido. E l'eco lo rimbalzeràdi picco in picco, in van:—Perchè, Signore?...—
Giardini oscuri, simili a forestevergini, carchi d'èlitre ronzantientro socchiusi calici, formantia quete ville una gelosa veste:giardini oscuri, ove il colloquio dellialberi varia a ritmo d'acqua e d'aria,date una fronda anche alla solitariache si sofferma, pallida, ai cancelli.Ella è colei che non trovò la pacemai, nè pur quando l'ebbe faccia a faccia,e il suo dolore amò, sol d'esso in tracciacorrendo, e solo in quel disìo tenace.Ella è colei che nacque per andareandar, fin che le manchi il soffio e il passo,e morte eterna uguagli il corpo al sassosotto l'eterna fissità stellare.Adesso è stanca. Il sole, a piombo, è spadaarroventata, è ardor che in mille e milleroghi conflagra. Dolce alle pupillegoccia d'acqua sarebbe, o di rugiada:dolce, alla bocca, ritrovar nel caliced'un àrum bianco un sorso per la sete:e poi dormir, supina, in una retedi frasche, sotto il murmure d'un salice.Ma dormire non può.—Sonno s'è toltoe tregua: poi che un attimo d'obliobasterebbe a nasconderle del Dioche va cercando il sospirato volto.Nè ombra può goder: poi ch'essa vuoleardere, sino a non formar che un purogetto di fiamme, alto così nel purocielo, che in sè lo riassorba il sole.
Chi ti condusse alle incantate soglie?...Non sai. Lasciasti l'ombra nel cortilediaccio, di pietra. Ora nel dolce aprileun aroma di mammole t'accoglie.Ma forse sogni. Oh, non destarti, o squallidocuore infermo!... A capriccio, piove e spiove:sotto le rade lacrime non movepure una foglia, e il cielo è tutto pallido.E le gemme sui bronchi sono bionded'infanzia; e i peschi e i mandorli ed i meli,entro le aeree nuvole dei velicaduchi, attendon l'ora delle fronde.Chiare ombrelle di salici s'affaccianoai cancelli ove a spire il biancospinos'ingiglia. A tratti, nel languor divino,qualche petalo muor su la tua traccia.Tutto è sì lieve che par fatto d'alee d'aria: anche il tuo passo e la tua formaterrena: e il senso par che in te s'addormasotto l'incanto che non è mortale.Giardini ignoti sotto cieli ignotibenedicenti!... Or tu rinasci, infantegaia, con pura bocca ancor fragrantedi mistero, con puri occhi ancor vuotidi visïoni: occhi di maravigliainnocente, pel prato ch'è sì verde,pel cielo ove la nuvola si perdee il pesco che tremando s'invermiglia.Niuno ancora sul labbro ti baciò.Niuno ancora sul cuor ti camminò,le vesti con le carni ti stracciò,sotto suola di ferro ti pestò.Sàlvati!... Spranga della tua memoriatutte le porte!...—Sei bambina.—Hai visodi fiore, carne che non duole, risosenza doppiezza, cuore senza storia.Scrive ora sulla tua pagina biancai primi segni di bellezza il petaloaerëo, che in tacita e quietadiscesa, dal sognante albero, manca.T'appare, per la prima volta, Iddio.Ne hai, sommo, per la prima volta, il senso.Te adori in Lui, Lui stringi in te. L'immensoVolto si assorbe nel tuo volto pio.In fiore in frasca in nube in acqua in piantal'anima inesauribile ritrovala sua gioia d'origine. Oh, la piovad'april ti lavi, o Rinverdita!...E canta.
—Il tuo nome?...—mi chiese il vagabondo,camminando con me lungo un fossato.—Lo lasciai sui registri dello statocivile, in un grigio angolo del mondo.Mi schiaffeggiò di me cruda vergognafra l'uom, belva di cauta zanna loscache per meglio colpir meglio s'imbosca,e la femminea serica menzogna.Se uomo e donna tali sono, io voglioesser altro. Esser altro!... E pur m'è toltostrapparmi questo corpo e questo voltoumani a strazio del mio duro orgoglio.Buffa e tragica cosa, essere inscrittonello stato civile, a chi il suo crismachiede all'eterno, a chi nel vasto prismadell'anima rifrange anche il delitto!...Buffa e tragica cosa, avere un nomeche ognun dice, bestemmia, ama, ricorda!...È il doppio nodo, al collo, della cordache un dì ti strozzerà, nè saprai come.Così fuggire, è pazzo ed è sinistro,lo so,—soli col nostro aspro coraggio.Ci arresteranno per vagabondaggio,fratello!... E v'è anche in carcere un registro.Lì ben dovranno imprimere le scarnedita il suggel di riconoscimento,il nome: tatuaggio che l'armentoumano porta sulla viva carne....Ma noi—tendi l'orecchio, a bassa voceparlo, che non ci ascoltino i roveti—ma noi ci fingeremo analfabeti,fratello!... E traccerem, nuda, una croce.*
Croce di vita!.... L'ombra delle braccianere, tese all'amplesso senza scampo,per monte e valle, per foresta e campoingigantisce sulla nostra traccia.Liberi?... Hai tu la tunica del vento,forse?... Puoi star senz'acqua e senza fuoco?...Illudimi, se puoi. Sol per un pococalmalo, questo mio vano tormento.Chiamami Alba quando l'alba è in cielo,chiamami Sera quando il ciel s'addorme.Non separar le mie terrene formedall'albero, dal musco, dallo stelo.Io non fui d'altri e non sarò mai tua,io son di me: pur m'è tremendo il giogodel lento corpo: se il sol fosse un rogo,dentro m'avventerei, per esser sua.Fra gli uomini che odio e il Dio che agognosta la vita: ed ucciderla non posso:ella, ella sola è il tramite che, rossodi sangue, tutta mi congiunge al sogno.
Segar, con una nostra aguzza e lentalima, cauti, nel buio, con trabalzimuti per un pestìo di piedi scalzi,per un rauco sospir di sonnolentabocca, una sbarra di spiraglio: il varcoaprir fra spranga e spranga: annodar cordadi lenzuola, premendo in cor la sordapaura: al nodo avviticchiarsi ad arco,e giù:—toccar l'asfalto, il fresco incantodella notte stellata a un tratto bere,con tale ebrïetudin di piacereche la dolcezza si tramuti in pianto:poi, via: colla rapidità d'un toposelvatico guizzar fra siepe e muro,mettersi in salvo, finalmente, il duroterren baciando per delizia....E dopo?...
Rose, rose, fragranti rose belle,color d'ambra, di fuoco, d'arse bocchegià flaccide, di nevi ancor non tocche,sul ramo a due a due come sorelle:rose in bocciòlo, rose in giovinezzapiena, rose disfatte per eccessodi godimento, rose che l'amplessodel sol spaccò per meglio averne ebbrezza:rose a cespuglio, a siepe, a serti, a densigrappoli traboccanti da muragliebasse, chiudenti il vïator fra maglied'aromi, a frenesia di tutti i sensi!...Ora soltanto la caduca e follevostra grazia m'attira, or che non possocogliervi più, nè mordere con rossoriso al dolcior di vostra carne molle:or che in terra non mia, gioia e certezzad'altri, dietro cancelli a me serrati,offrire al sol vi scorgo i vellutatipetali, per un giorno di bellezza.
Voglio al mio letto d'ospedale, in horamortis, perchè mi chiuda in atto mutogli occhi stanchi d'aver tutto veduto,bianca in azzurra tonaca, una suora.Ella non sappia altro di me che il tristomale, segnato su tabella, in gesso,a capoletto: altro io non senta, pressoa me, che il suo respiro al mio commisto.Tanto ella stessa abbia sofferto e amatoche nulla la ributti: e l'assassinopianga per lei col pianto d'un bambinoche s'appresti a morir senza peccato.Alla sua carità basti l'orroredella misera carne che inabissaentro il mistero, senza nome, scissadall'anima, e vestita di dolore.Della mia bocca l'ultima parolaoda, senza capirla: le mie bracciacomponga in croce: e alla gran calma diacciami lasci,—come fui nel mondo,—sola.
Fonte che sola il mio dolor guariresai, fonte eterna di silenzio cinta,quella che in me credei più forte ho vintaper poter, di te degna, a te salire.Casa e terra lasciai che agli altri miaparve, e non era: poi che nulla al mondoè mio, fuor che l'anelito profondodel cuor, che si trasforma in melodia.Lasciai le passïoni, che con succhiodi tentacoli, ingorde, irte, contratte,vuotavano le mie vene scarlatteper gettarmi dei morti al sozzo mucchio:ma mi seguono esse, in false vesti,guardinghe, pronte per colpirmi al fianco,s'io vacilli, s'io dubiti, se stancoil capo in pianto io curvi, o il piede arresti.Dio m'aiuti!... Blandizia di ricordinon mi tenti, viltà non m'imbavagli,peso di carne non m'abbatta, e fra glispini de l'aspre fratte àpriti, o fior disalvezza!...—La boscaglia ove il piè salelancia i suoi archi al ciel, tempio vivente:veglia e prega uno spirito veggentein ogni tronco della cattedrale.Mi saluta ogni tronco, e sembra fremered'allegrezza in sua scorza ed in sue rame.Io salgo—e da un viluppo di frascamemi giunge, o Fonte, il tuo sommesso gemere!...Sì diaccia sei, ch'io sento il brusco brividodel sasso a fior de lo zampillo;—e cascal'acqua ove il terren molle forma vascafra i muschi. L'acqua, in ombra, ha un color livido.Fonte d'oblio che ti nascondi ai raggidel sol, tu vedi le mie mani in croce.Ti riconosco. Sola ormai la vocetua vince i vasti cantici selvaggi.Prendimi!... Ansando io fino al cuor m'immergo,che si contrae nel subitaneo spasmo,ma resiste. In te nasco, in te mi plasmo,del battesimo tuo la fronte aspergo.E l'acqua si fa rossa del mio belloe terribile sangue, che non dormemai, che m'assorda col suo rombo enorme,indomito al cilicio ed al flagello.E l'acqua bolle come lava, a un tratto.Ecco, e s'è spento ciò che fu perverso:amor simile all'odio, e cozzo avversodi vïolenze, e striscïante pattodi menzogne, e desìo folle d'uccidereo pur d'essere uccisa!...—O vita, o vita,come sei dolce!... O carne rifiorita,come giovine in te l'anima ride!...Chi tramutò sul margine i calzaridi corda in freschi sandali, e la brunatonaca in veste dal candor di luna,forse caduta dalle vie stellari?...Chi a me concesse levità sì grandech'ora cammino come se volassi,e le primule d'ôr sotto i miei passisbocciano a mazzi per le mio ghirlande?....... Uomo, qual che tu sii, col tuo peccatopiù non mi tocchi. Io, sì, potrò, se vuoi,salvarti: sol ch'io fissi dentro i tuoiocchi i miei occhi. E tu sarai placato.E s'io t'incontri mai col tuo misfattopronto nel cuore e nella mano, e quellocadrà: sol ch'io ti mormori: Fratello!in pacata umiltà d'accento e d'atto.Udremo, nel silenzio pieno d'aria,battere il nostro cuor; ma già lontanoda noi, sperduto, non più nostro, vanopalpito d'ala che nell'alto svaria.E il corpo sarà senza consistenza.E l'anima sarà senza confine.Io vedrò in te, tu in me, per le divineluci d'una celeste trasparenza.E sopra e intorno e dentro a noi saràla pace. Uno stupor sarà, d'oblio.E tu pel tuo sentiero ed io pel mioandremo, eterni nell'eternità.
Sul gelido registro del NotturnoAsilo, trema la tua mano grossa,tracciando il nome:—Paolo Gibilrossa,muratore, lombardo.—E taciturnomi guardi, con quegli occhi così amarinella faccia di bronzo; e attendi.—Anch'ioscrivo, se vuoi, sotto il tuo nome il mio:—Ada Negri, poeta.—Ecco. Siam pari.E questa casa, ch'è d'ognun,—mi senti,compagno?...—è nostra.—Hai sonno. Hai freddo. È lungela patria. Per l'angoscia che ti pungepiù che pel freddo, forse, batti i denti.La vecchia storia sempre nuova io tuttaleggo nei solchi e solchi che ti scavanoil volto, e nella dura orbita cavadegli occhi, ove ogni luce par distrutta.Porti, nel sacco a spalla, ogni tuo bene;ma raccolto sul petto aver vorrestiil tuo bambino, e dargli, se si destie pianga, un bacio, e il sangue delle vene!...In sua culla di legno il bimbo dormelaggiù, nella casuccia in riva al fiume:la madre agucchia agucchia sotto il lume,ma in cuor cammina sulle tue tristi orme.Pòsati, adesso!... Getta il sacco a terra.C'è un po' d'Italia, qui. Spezza il mio pane.Io parlerò con te delle lontanemessi che splendon sulla nostra Terra.Esule al par di te, che di calcinat'imbratti a cementar le case altrui,e pietra a pietra ammucchi in squadra, suipalchi eretto ore morte è più vicina;strofa su strofa io costruisco i palchieretti contro il ciel, del mio pensiero:tutte le imbevo del mio sangue neroperchè ben l'una contro l'altra calchi.E nulla vale a me, nulla a te valeil pazïente sforzo dïuturno:oggi, stranieri, in questo Asil Notturno:doman, forse, stranieri, all'ospedale.Ma poi che nostro fato è andar pel mondo,tu con la tua cazzuola e col secchiellodi calce, io col pensier che m'è coltelloinfisso ove lo spasmo è più profondo:andare andar, fin che la morte a schiantoci abbatta colla faccia sulla pietra,per consolar la tua tristezza tetrati tesserò col canto un dolce incanto..... Non vedi?... Dalla porta spalancataentrano, a gruppi, taciti fratelli.Hanno donne per mano, hanno fardellisul dorso, hanno la fronte umilïata.Dalle basse finestre, anche: dai murifenduti a un tratto, e poi richiusi, un dietrol'altro, irrompono: in quegli occhi di vetroti riconosci, ed in quei volti duri.Tutti di qualche patria esuli figlisono, e in cuore ne portan crocifissoil rimpianto; e di notte, a buio fisso,i lor fardelli sono i lor giacigli.E tutti vanno e vanno; e dopo giornoè sera, e dopo notte è l'alba, e lungela casa è sempre più: sol la raggiungeil cuor, che sa la strada del ritorno.Strada del sogno, strada, ah, così cortache in un attimo è vinta; ed ecco, il tettodei padri spunta, e in esso il benedettocapo dell'ava che non è ancor morta!...Tu, che firmasti Paolo Gibilrossada Lombardia,—fratello in Cristo:—noiil nostro pane romperem, se vuoi,con questa gente squallida e commossa.Poco, tu dici?... Guarda: amor lo spezzain cento parti e cento; e il bianco salevi asperge, e l'acqua versa nel boccaleche a cento bocche dà la sua freschezza.Nella pace dell'àgape fraternaritroverem la patria; e nell'amoreche il tuo pallor fa uguale al mio pallore,celebrerem la sua bellezza eterna.Poscia, ravvolto nel mantello, al suolocon essi, in fascio, dormirai.—Non io.—Io poeta, a colloquio col mio Diosol visibile a me, veglierò solo:chinata in atto d'umiltà la macrafaccia verso i dormenti, infin che sgombral'alba apparisca, reggerò nell'ombrasul lor riposo la mia torcia sacra.
Orme di sangue scorgo sulla ghiaia.Seguo, in silenzio, la sinistra pèsta.L'aria è pesante. Il ciel cova tempesta,basso così che tocca la petraia.Sotto l'immota ansia del ciel, le chiazzeconto, ancor calde, ancor dolenti, e spio.Nessuno.—È tutto morto, forse.—Ed iounica resto sulle spente razze.Ma di pietrame dietro un grigio ammassoterminan l'orme—e un uomo s'accovaccia.—Uomo, chi sei?... Perchè celi la faccia?...Ben fu il tuo sangue a far vermiglio il sasso?...T'hanno ferito?... ov'è il tuo male?... Lasciach'io ti lavi la piaga, ch'io t'assista.Guardami....—ah!... mai non vidi su più tristafaccia l'orror di più feroce ambascia.Comprendo. Non è tuo quel sangue. L'haiversato in altri. Oh, meglio assai se fossetuo!... Non farebbe di sè tanto rossela terra e l'aria, adesso, e ovunque andrai.Ma non temere della mia presenza.Io sono fuori della legge. Accantostanno, e si guardan, sole, ignude, in pianto,la tua coscienza con la mia coscienza.*
Uomo, io so come il germe d'un delittos'abbarbichi, per odio, in fondo al cuore.Forse, un giorno, il corrusco odio fu amore:fiamma più accesa, arma più aguzza. È scritto.Uomo, io so come cresca e s'aggroviglinel mistero dell'anima il malvagioistinto, e vi serpeggi a spire, adagio,celando in ombra il tossico e gli artigli.Io so l'indeprecabile, funestosogno che mostra l'avversario, intrisodi sangue, a terra.—Ognun, nel sogno, ha ucciso.—Ma il braccio non potè compiere il gesto.V'è tra pensiero ed atto un divïetosupremo. Dimmi, o ignoto—se ti bastila forza—come e quando tu varcastinella tua rabbia il limite secreto.Dimmi il lampo e lo stridere e il gioirefra costa e costa, del coltello. E il gettopurpureo, da quel petto sul tuo pettoallora e sempre, e il vano tuo fuggire:e il subito cader dell'odio, a piombosul corpo offeso: e il dopo: stupefattovuoto silenzio, ove il terror dell'attocompiuto fremo come un sordo rombo.*
Ma tu non parli; e un tremito convulsodalla radice dei capelli ai piediti scrolla; e guardi tu, ma non mi vedi,o dai fratelli, per tua mano, espulso.Colpa e castigo impressi io vedo a un puntosulla tua faccia disperata: e l'unol'altro divora, e poi rigetta: e niunoscorger da essi ti potrà disgiunto.E s'anco non ti fulmini del mondola vendetta, l'Ucciso è in te: qual sassonel ventre il porti, infin che al peso il passonon ceda, e tu con lui non piombi al fondo.Io, randagia indomabile, che il giogodegli uomini gettai, che ne respinsila legge, e dell'orgoglio mio mi cinsicome Brunilde del divino rogo,io sol padrona a me, solo a me schiava,non ti condanno, nè ti assolvo. Pensoche soffri. E accolgo il tuo soffrire immensoin me, qual getto di bollente lava:di me lo impronto, in me il trasmuto, al cuoretuo lo ridono in pura insonne fiammaconverso. Or parti, col tuo chiuso drammaassunto a luce—e ti conduca amore.—
Esso vide stanotte Anna Malpenga,chiamata in basso gergo la Cerbiatta,stringersi al muro, sospettosa e piatta,come attendendo in ansia un che non venga.L'uomo uscir dalle tenebre, in berrettoa visïera sul volto a triangolo,vide; e gettarle, ambiguo, un pacco, e all'angolosparire. Ella tornò, le braccia al petto.Tornò, guardinga, l'occhio a spia, fondendoil corpo all'ombra, stretta nel suo scialle,tratto tratto guardandosi alle spalle,tutta nel suo terror rabbrividendo.E quando entrò nell'orbita rossigna,la denunziò il fanale:—Porti sangue,Anna.—Ma il guizzo tortile d'un angueebbe, fuggendo, la donna serpigna.Ed esso attese, in vana guardia, l'albache, fredda, sporca, sulla roggia lebbradei muri vacillando al par d'un'ebbra,pose, presso alla sua, la faccia scialba.*
Un'altra notte vide Irma la Rossa,—che mostra sullo zigomo sinistrodue sfregi in croce, e due sbaffi di bistrosotto le occhiaie che l'insonnia infossa,—paurosa accosciarsi sui ginocchia una soglia di bettola, se alcunouscisse e la chiamasse....—ma nessunosi volse al ploro dei terribili occhi.E a poco a poco ella s'addormentò,col viso in grembo. E lungo e lunge, mutoe scalzo, fra le braccia di vellutosorreggendola, il Sonno la portò.Dove?... Un villaggio, un campo, un ciglio verdedi canale, una bimba a lavar panni,e silenzio, silenzio. Ed anni ed annipersi nel tempo, ed ella anche si perde........ Ma sussulta. Il fanale è presso a mortenel primo sole. Trepida, la nottolaurta al muro, e dilegua senza motto,mentre al giorno la vita apre le porte.*
Udì pure il fanale (quattro tocchibattevano alla torre di Maria)una voce cantar; ma così pia,così dolce, da mettersi a ginocchi.E riconobbe il canto di Fiorella,che fu tant'anni in carcere. Serenae fioca,—«Ave,—diceva—o Gratia Plena,che poggi il piè sulla più alta stella.»Il bimbo delle sue carni corrosedal vizio altrui, così, sur un saccone,cullava; e la materna passïonetrasfigurava le parole in rose.L'ascoltavano gli usci acchiavacciati,le cieche imposte, il lastrico. E il fanalefiamma divenne, accesa a un immortalealtar, ritto fra l'ombre dei peccati.Tacque la voce e ritornò il mattino,tutto bianco di neve ancor del cielo,ancora intatta. Ed il fanal fu stelodi giglio in un albór quasi divino.
Monos e Una.Ti strappasti tu l'anima, per farnecorda che vibri al tocco dell'archetto?...Da qual paese ignoto e maledettofin qui portasti le tue gambe scarne?...Curvo, e quasi incorporëo nel tintofrac slabbrato alle falde, coi capeglilungo-spioventi intorno al bianco deglizigomi aguzzi, hai l'umiltà d'un vinto.Par che ti sia d'orrore esser fra gli uomini.Ne' tuoi occhi—acqua verde fra le ciglia—sta la perenne triste maravigliad'essere vivo. Ma, se suoni, domini.Nel caffè di sobborgo, ove Arlecchinos'ammorba, in casco, in giacca, colle stanchedonne a lato, davanti a coppe bianchedi tossici o purpurëe di vino,tutti i gesti s'impietrano, la massaha un volto solo, pallido, contratto:ogni favella si fermò di scatto,poi che la tua gigante anima passa.Donde la porti?... dal delitto, forse?...Questo non è Chopin, non è Beethoven.Sei tu, con la follia che dentro movea turbine, e ti schiaccia fra due morsetalora, e strappa l'urlo; e in un singultolo spezza; e poi lo sgrana in razzi, in trillisalenti in frenesia, come zampillidi sangue, verso un paradiso occulto.*
Io che t'ascolto, piccola, celatafra Georg il minatore e Willy il fabbro,pur tengo, dietro questo chiuso labbro,una pulsante forza imbavagliata.Forza di melodia, che da un tormentointimo viene, e che talor mi strozzadentro così, che n'ho la gola mozza,ma non la posso liberar nel vento.Manca l'arco che il mio ritmo selvaggioaccompagni con l'ebbra ala d'un'eco.Quell'arco è il tuo. Forse tu pure un'ecocerchi nel mondo, o nòmade selvaggio.O rapsòdo, se tu Mònos ti chiami,io son Una, son quella che tu vaifra terra e cielo in van cercando; e maisinora ebbe pietà de' tuoi richiami.Ah, ch'io possa cantar fino a sentirein un gorgo di sangue il cor spaccarsi,e per delizia l'anima restarsismemorata fra il vivere e il morire:sospesa al tremolar delle tue cordela voce, come su un azzurro abissodi cieli:—e in religiosa èstasi fissol'uomo al prodigio, od acclamante a orde!....... Ma non per l'uomo.—Per la nostra gioiatitanica, soltanto:—per esprimereil sogno, e in lui la verità sublimeche nulla muor, se pur la carne muoia.
Fluttuo con te, nel tuo sordo tumultoperduta; e tu mi porti e tu mi spingie mi rigetti, e d'ignorarmi fingi,ma ben m'abbranca il tuo potere occulto.Sai di sudore umano, e di sporciziamascherata d'aromi, e del sentored'ogni travaglio: ogni odio ed ogni amoreper oscuro fermento in te s'inizia.Mi piaci per l'enorme onda vitaleche tutta mi ravvoltola, muggentee rischiumante, carne e cuore e menteimpregnando del tuo libero sale.Ogni volto che a lampi appare e spareforse è il mio: chè mio corpo non è questosolo ch'io sento e curo e movo e vesto:chi vi noma e vi scinde, onde del mare?...D'essere innumerevole è mia gloriae mia superbia; e multiforme, comete, folla; e in preda a tutti i venti, comete, che a folate scardini la storia;e, se fremito passi di sommossa,ingigantir con te, con te disvellerei sassi e i cuori, ed oscurar le stellecol divampar della mia furia rossa.
Poi che socchiusa ritrovai la porta,—affaticata per la lunga via—entro.—Accogliete, o buona gente pia,colei che in volto è bianca come morta.Ecco il capoccia dall'imperatoriatesta, asciutto qual zolla che dissecchial sole. Ecco la madre dai cernecchigrigi, in umile aspetto umile storia.Ecco i robusti giovani e le nuore,e grappoli di bimbi fior-di-pesco.Fra i rudi attrezzi del mestiere, il descoè pronto, con la fede e con l'amore.Prima ch'io sieda accanto al patriarcaniveo-barbuto,—ed a' miei piedi il caneguarderà calmo, con pupille umane—benedirò la vostra mensa parca.Uscirà tutta,—vinta dall'incanto,—l'anima vostra dal viluppo oscuro,tacita accompagnando il segno puronell'aria, e il filo tremulo del canto.Tutta la stanza splenderà nei voltiestatici, nei vetri, nei metalli,nei fasci d'armi avvezze, per le vallifertili, a smover terra, a falciar côlti,a mutilar boschi e filari, a incideresolchi. A fiore dei rustici balconiverran le azzurre costellazïonicol raggio dei sereni occhi a sorridere.E più dolce parrà la scabra vitaa chi m'ascolterà con mani giunte:e la fatica amore, e le consuntepietre dell'erta un'immortal fiorita.E i bimbi chioma-d'oro, intenti al miosaio vermiglio ed al mio scalzo piede,adoreranno con ingenua fedein me la vagabonda ombra di Dio.
Vecchio capoccia, domattina all'albami darai una falce per falciare.Ancor dai cieli penderà, sul maredei campi, l'arco della luna falba.Sarà l'ora in cui lutto a pena schiudeocchi e sensi novelli al novel giorno;e tutto fresco e tutto puro intornosi maraviglia di sue forme ignude.Io falcerò coi figli del tuo lettoe coi nipoti del tuo forte nome,fino a che il sol non sia sovra le chiomeraggera, e vino incendiario in petto.A cento a cento cresceran le bichedietro i miei passi: a me dinanzi il suolo,frante le siepi, non sarà che un solo,per la mia falce, mareggiar di spiche.E poi ch'io venni in terra per mostraremiracolo, e il miracolo avverrà.La mozza arista si rinnoverà.Noi falceremo per moltiplicare.Landa, sterpaglia, cavo, anfratto e rocciasfolgoreranno in un gran vello biondo.Non per te, non per noi, ma per il mondostrideran le lunate armi, capoccia!...Nè donde venga il rutilante abbagliosaprem, se dal meriggio ardente in gloria,o dalle messi offerte alla vittorianostra, e piombanti a fascio al secco taglio.E ogni figlio dell'uomo i suoi mannelli—cantando in libertà lungo le stradecandide fra il corrusco delle biade—in alto reggerà come flabelli.E quando il sol s'avvolgerà di veliinsanguinati per la dïuturnamorte divina, noi con taciturnabocca la pace implorerem dai cieli:noi, militi e custodi del tesorodi tutti, accesi nel tramonto gli occhie gli spiriti in Dio, curvi a ginocchi,solleveremo a Lui le falci d'oro.
Vecchio capoccia, ormai dentro la casadorme la tua tribù, queta e serena.La casa è bianca nella luna pienadalla soglia di pietra alla cimasa.Anche l'aia ha un immobile palloreestatico, un candor di nevicata.Lasciami presso il cane, accovacciatacol viso a terra. Ho stanco il corpo e il cuore.Lasciami presso il cane, sulla sogliadi pietra. Non cacciò dal suo felicecampo Boòz la pia spigolatriceche venne a lui così sperduta e spoglia.Io sono Ruth dai morbidi capellicolor di notte, che d'un manto regiosuperbamente coprono lo sfregiobrutale della tunica a brandelli.Ma Ruth rimase. Io partirò coll'alba.Io sempre vado e vado, e mai non resto.Sol mi trattien, rete di perle, questoplenilunio che magico s'inalba.Voglio dormire in un lenzuol di lunacome una principessa di leggenda;e della Lattea Via farmi una bendamaravigliosa alla gran chioma bruna..... Trame d'argento. Ragnatele d'astri.Silenzio. E tutto bianco, tutto bianco........ Ma poi la luna piegherà su un fianco,gonfia, inferma, grottesca, fra giallastrivapori.—E mentre la sua faccia tragicad'assassinata affonderà nel nulla,io pur riprenderò, verso il mio nullache salvezza non ha, la fuga tragica.
Sciara-Sciat.23 ottobre 1911.Non piango, no.—So ben che tu non vuoi,figlio. Il cuore impietrò sotto le bendenere, il tacito cuor che non t'attendepiù. Non si piange sui caduti eroi.Un nome s'incavò nella memoria:Sciara-Sciat.—Là piombasti, in una pozzadi sangue; e ti fu poi la testa mozza,figlio!...—Non piango, no.—Questa è la gloria.Tante madri a quest'ora hanno il mio cuoredi pietra, e la mia faccia d'agonia!........ Tacciono. Così volle,—e così sia,—la Patria, amor che vince ogni altro amore.O figlio, io ti creai colla mia carnegiovine, io ti nutrìi colle mie rossevene, e la forza che per te mi mosseunica or regge le mie membra scarne.Arde in te la sostanza di mia vita,e tu con fibra e fibra ancor t'aggrappia me, come nell'ora in cui gli strappidel tuo corpo al mio corpo eran ferita.Porto, grondanti sotto la gramaglia,le piaghe tue: pur io la testa mozzarotolare mi sento nella sozzaterra, ed il sangue fino a Dio si scaglia.Muoio due morti, in me agonizzo e in te.Ma lacrime non ho. Tu non le vuoi.Passa la guerra, e i giovinetti eroinella ràffica invola, ed il perchènon dice a noi, pallide madri. Passae prende. A rullo di tamburo, a squillodi tromba, all'ombra ardente del vessillo,a ritmo d'inni e di mitraglia, ammassae lancia a torme i figli nostri, i figlinostri, ove un sol fulgore han vita e morte:fide vegliammo noi per questa sortele culle d'oro e gli umili giacigli.Fàsciati di silenzio, o bocca pia,crocifìggiti in petto, o cuor demente:non invocare Iddio, chè Iddio non sente:così volle la Patria.—E così sia.—Che altro io potrei darti, o Patria grande?...vuota è la casa, spento il focolare:la cenere io raccolsi sull'alaree con essa formai le mie ghirlande.Irrigidìi per te la fronte stancanella bellezza dell'orgoglio sacro.Madre d'eroe non piange.—A volte il macrovolto, per aria che al respir le manca,tende, ed il labbro; e il sangue a goccia a gocciasgorga dalla ferita che s'incavanelle profonde viscere, e ne scavala vita, come fa stilla da roccia;ma singhiozzar con disperata vocesul figlio morto, non sarà chi l'oda:sta, di fronte alla gloria, che l'inchiodaal suo materno amor come a una croce.
Nella notte un selvaggio urlo, senz'eco.—Urlo di vita, o pur di morte?...—Quellache in esso lacerò la bocca bellaor s'è composta in un silenzio cieco.Dorme il suo nato a lei daccanto: informenodo di carne inconscia e bruta.—L'attodel generarlo la scagliò d'un trattonel buio di voragini senz'orme.Sprofondò; sprofondò vertiginosa--mente; e più nulla seppe; e il suo vermigliosangue ancor vivo zampillò nel figlio,s'accese in lui, ne imporporò la rosasacra del cuore.—Così tu passasti,o Donatrice, nella discendenzatua: tal fu del donar la vïolenzache te stessa al novello Esser lasciasti..... Crescerà il figlio d'anno in anno, schivoma saldo, in sè nutrendo, quale in scorzad'albero scabra, una compatta forzadi vita, un fresco e rifluente rivod'amore, un'inquieta ansia di germi:ei che non ebbe canti su la cullasentirà in petto l'anima fanciullasola armata, fra tante anime inermi.Si chiederà talvolta:—Ho io due cuori,che, se l'un manca, l'altro rinnovellanel corpo il sano impeto rosso, e nellalotta ritempra i palpiti e gli ardori?...Ho io due vite in me, che l'una premel'altra, e l'invigorisce con midollaocculte, ed è per essa al par di zollache vegli o incalzi il maturar del seme?....... Per lui verrà compiuto ad esultanzail divino miracolo del Dono.La madre rivivrà nel figlio buono,perfetta incorruttibile sostanza:il cuor nel cuore in ritmo pulseràconcorde: senza volto e senza nomee senza voce, e pur presente comeDio, più grande sarai, Maternità.
Vide ella il Falco fendere il sereno.Nel suo rombo pulsava il suo coraggio.Con l'impeto feriva il vento e il raggio.Cielo e terra, di lui tutto era pieno.Il balenare avea d'una saetta,la maestà superba avea d'un nume.Il mostro senza artigli e senza piumelibrarsi ella mirò del sole in vetta:e s'abbattè come s'abbatte un ramoa terra, e rise con riversa gola,e pianse: a lui gettando la parolaancor non detta ad uom vivente:—Io t'amo.—*
E prega, umìle, il Falco che non l'ode:—Io non ti chieggo, o domator di vento,con qual poter foggiasti lo strumentoche ti solleva a le celesti prode.Ma esso è te. Se or tu, con teso rostro,su me piombassi per ghermirmi, e viami rapinassi a volo, e per magiad'ali e d'amore il cielo fosse nostro,ecco, io son pronta: io ti sarò la biancapreda che tutta s'abbandona, e al vampodel vorticoso ardor non cerca scampo,se pur, fragile, in petto il cor le manca:come sien fresche le mie labbra, e snellii fianchi e dolce la mia nuca ai bacisapresti, o Falco, che con colpi audacinuvole ed astri afferri pei capelli.Purità m'è compagna; ed assomiglionel mio candore a un'erma d'alabastro:niuno ancora disciolse il roseo nastroche al mattin fra le trecce m'attorciglio.Ho l'aroma del fieno, che la falcedivelse a pena, e il sol penètra; e diacciospecchio m'è la sorgente a cui m'affaccio,piccola rama pendula di salce.Uomini adusti dall'odor ferinomi soffiaron sul volto, avidi, folli,il desiderio a vampe. Ed io non volli:ma commisi a me stessa il mio destino.Non io, non io de' lor traffici oscuriviver soffersi, leggiadretta serva,con basse ciglia ed anima protervafilando il lino entro i lor vecchi muri:non io le grigie e tortuose scaledi lor case salìi, dove s'afflosciagioventù, senza gaudio e senza angoscia,su spessa coltre e torpido guanciale.Io voglio te, che armi la tua sorteper guerra, e il sole di sfidar sei degno:voglio te, per seguirti all'alto segno,o, se tu cada, ne la bella morte.E questa sia precipitosa, comeil fiammeggiar d'un bolide notturno;e tu dorma in eterno il taciturnotuo riposo d'eroe fra le mie chiome....—*
Prega; e non l'ode il domator di vento,sempre più alto nel rapace volo..... Donna, fragile carne!... Il Forte è solonel suo libero assalto al firmamento.Adora, e taci. E lo vedrai sparirenel superato caos della vertigineazzurra: invitto re sui due prodigidell'universo: il vivere e il morire.
Io t'aspettavo, fin dal giorno in cuidi fiorire m'accorsi all'improvviso,primula in marzo. E venne uno, con visodolce. Ma io mi dissi: Non è lui.Pioggia e sol, spine e rose, fieno e pagliam'apportarono gli anni. Anche l'amore.Non te!... Qualcun ti assomigliò, che il cuoreaggrovigliar mi seppe in gemmea maglia:ed io mi persi a capofitto, giù,col desiderio folle d'annientarmitra forti braccia che potean spezzarmicome la creta.—Ma non eri tu.—Così, polvere e cenere divenneciò ch'io toccai. Seccarono le polle.Avvizzirono i tralci e le corolle,e morte, in vita, in suo poter mi tenne.Tu, nato troppo presto o troppo tardi,per me creato ed a me occulto, soloperch'io son sola, indifferente al volodegli anni, se nel tuo deserto guardi!...Tu, che m'avresti avuta come il mareha l'onda, uguale a te ma in te perduta,e nel dominio avvolgitor vedutaa somiglianza tua trasfigurare!...Non venisti, non vieni, non t'attendopiù. Domani morrò. La vita ha fretta,non vedi?.... Appena schiusa, appena dettauna parola, fugge, impallidendo,quasi colpita da terror....—Ma forsedi là, nell'ombra ove uno spirto toccal'altro in silenzio, io troverò la boccache solo in sogno la mia bocca morse.
Ponte di Lodi, i tuoi plumbei pilastriabbracciati dall'impeto del fiumerivedo, e i freschi spruzzi delle schiumecandide a fior dei vortici verdastri.Come una volta ancor vorrei poggiarmialle tue sbarre, e riaver quel ventoin faccia; e mirar nuvole d'argentospecchiate in acqua, e d'esse sazïarmi.Ma esser quella d'allora, con quel voltoe quell'anima, scarna adolescentelivida di superbia, impazïentedi vivere, con sensi aspri in ascolto:e tutto innanzi a me: lo spumeggiantefiume e la vita!...—Ma su via trascorsanon si ritorna. Il tempo spinge, in corsa:altri fiumi, altri ponti, altri miraggi.E vado e vado. Finchè, un giorno.—Addio—dirà l'anima al corpo. E sarà il fiumenatal, che, in sogno, sotto il ponte, a lumed'astri, mi condurrà verso l'oblio.
Della stanza d'esilio—che m'è schermoal mondo e nel mio spasmo m'asserraglia—dietro il muro sottile odo, ferragliarimossa, un tossir querulo d'infermo.Chi è?... Non so. Ma soffre. E il suo lamentodi cencio umano ove la morte ringhia,con nuove corde aspre di punte avvinghiail mio bisogno eterno di tormento.Vorrei, nè posso, consolar l'affannodi quei bronchi inguaribili.—Di fiancol'una all'altra, ma cieche; a fil d'un biancomuro, ma estranee, due miserie stanno:la mala bestia che t'asfissia in gola,o ignoto, e il cancro che mi mangia il cuore.Ma passeranno, sole, nell'orroredel vuoto, senza dirsi una parola.
Due pupille più nere della notte,cinte di bistro su rossetto e biacca,mi chiedono, ammiccando con bislaccabeffa: «Salvation-Army, o Don Chisciotte?...»Raschia con sega di sarcasmo il sazioriso d'un glabro adolescente impuro:—«Non amo, frate-femmina, lo scurosaio. Santo Francesco, o Sant'Ignazio?...»E il popolo in cravatta rossa:—A quando,profeta, il paradiso che hai promessoalla nostra miseria?...—E a me dappressocorre per gioco, urlando, fischiettando.Io guardo, fisso innanzi a me, fantasmiche sola io vedo.—E affronto il mio supplizio.L'amor che mi guidò, fatto cilizio,mi si tramuta in voluttà di spasmi.Camminare su filo di coltello,bersaglio a crudeltà di bocche triste,anche se il fragil corpo non resistebello è, se il sogno che tu insegui è bello.Ma troppo ormai la sozza umana retesul mio respiro le sue maglie serra.—Fuori il tuo cielo, figlia della terra,se lo possiedi!...—Io sono stanca. Ho sete.Dammi un po' d'acqua, o uomo, se pur t'abbiaio tutto dato di me stessa!...—Ed ecco:all'implorante anelito del seccolabbro un sorso di fiele offre Barabba.
Tu batti con la tua timida noccaall'uscio, ed entri; e strisci alla parete,incerta.—Ma chi sei?... Porti una reted'oro sui fianchi, e una giunchiglia in bocca.Vidi altre volte il viso tuo sottiledi faunetta silvestre, fra due ramispuntare. Ma piacer d'altri richiamimi spinse—e non sentìi ch'era d'aprile.Solo or m'accorgo che hai un occhio verdeed uno azzurro, e sai di terra e d'erba.Ah, s'io ti bacio sulla bocca acerba,forse l'anima mia più non ti perde!...Non oso. Ma con denti di pantera,aguzzi, tu sorridi: e t'è cadutoil fior di bocca, e col leggiadro e mutogesto a me ti riveli, o Primavera:e fiori e fiori dalle dita snellesbocciano, in fasci, in grappoli, in germogli:per la mia gioia al nudo suol tu scioglila tua dovizia di terrene stelle.Tanto mi doni?... Vi son dunque tantifiori nel mondo?... ed io le avverse cigliachiuse tenevo sulla maravigliach'ora, per te, mi folgora?... per quantianni fui cieca?...—Ecco le genzïanecilestri, e il fior di menta, e il fior di maggio--rana, e il timo e il ranuncolo selvaggio,e le viole dalle facce umane:ecco i fiori di frutto, ah, sì leggeriche a un soffio cadono, e già gonfio è il semedi sotto; e l'eliotropo aureo, che temela notte, e volge al sole occhi e pensieri:e le rose di carne, di dolcissimae tenue carne, che, a mangiarla, in succhid'amore si trasforma; e nivei mucchidi tuberose, e grappe di narcissi:e il cupo verde delle felci, e i pallidigrigi de le betulle, e le incorporeetrine del capelvenere, e le arboreeglicinie, e le palustri emerocallidi........ Sorreggimi, Occhiglauca!... Ho la vertigine.Or mi trasmuto, come Dafne, in tronco.Lo spirto, in forma umana avvinto e monco,torna, d'un balzo, alla silvestre origine!...Boccadifiori, baciami!... Paroledivine odo, calor di linfe suggo.E dalla vita e dalla morte fuggo,per annientarmi nel fulgor del sole.
Non per dormire—poi che il sonno è toltoa quest'occhi che ardor di conoscenzaaperti tiene anche nell'ombra, senzariposo, accese lampade nel volto:non per dormir, ma per sapere, in ogniletto io volli accostar la belva umana:a lei dappresso ma da lei lontanacome il fantasma che compar nei sogni.E vidi, in lari che si chiaman sacri,la quiete non già, ma il dramma oscurodell'odio sibilar fra letto e muro,e pianger figli a quegli spasimi acri.Tra porta e porta ascoltai scoppi secchidi voce, come palle di pistoladritte al segno del cuore o della gola,o aguzze pietre a fionda contro specchi:parole unghiute, uguali a uncin che artiglia,singhiozzi, uguali a strider di catenescosse—e in vano implorai su quelle peneesasperate un pio chiuder di ciglia.*
Ma, anche, io vidi il volto di chi dormedopo l'amplesso, cuore contro cuore.Stanco, livido, assente, nel floscioredelle labbra, allentate in smorfia informe.Spento il baglior dell'attimo che illudel'anima di sfuggire al suo sgomentod'esser sola, tornar, cieco, il tormentoio vidi, a gogna delle membra ignude.Ed era chiuso senza perdonanzal'un volto all'altro: e torbido, ed avverso:l'uomo non ha che sè nell'universo,sol per pietà gli mente la speranza.E chi conta nel sonno il suo danaro,e chi in sogno combatte un suo rimorso,e chi con suggellate iridi un corsosegue di fiume susurrante e chiaro:e l'amico e il nemico e il vile e il forteguardai nell'ora in cui l'orgoglio obliala maschera: e mal fu: per chi lo spiail sonno è più tremendo della morte.Rantoli e incùbi di morenti in filanegli ospedali; tenebre di celleove colui che non vedrà le stellepiù mai, memorie, vaneggiando, infila!...Spasimoso ansimar sulle cuccettedegli asili notturni, aliti densidi vino, naufragar di tutti i sensinel gorgo delle mescolanze infette!...Destituita dalla somiglianzacon Dio,—da sè diversa umana facciache della luce e del pensier la tracciasmarrisci,—e ti deturpi in oblianza!...Due creature io solo scôrsi, bellenel sonno: ah, così belle, che i giardinidel cielo, dai silenzïi turchini,sfogliavano su lor fiori di stelle.L'uno era un bimbo, in un candor soavedi trine, e lo cullava un pio cantare:l'altro era un marinaio in mezzo al mare,e lo cullava il ponte della nave.
Miniera di Senghenydd.Ottobre 1913.Georg, biondo atleta: non udisti un rombosovra il tuo capo?... uno sparar di centocannoni, a un tratto?...—Ora, silenzio.—È spentoil tempo. L'aria è come fuso piombo.Pietre su pietre franano alle bocchedegli anditi. Ove sono i tuoi fratelli?...Non ti vale dell'unghie far coltelli,nè, ruggendo, divellerti le ciocchescomposte, nè cozzar con sanguinantimembra contro la notte che t'acceca.Di là, nella stessa ombra sorda e cieca,son mille e più di mille agonizzanti.Scagliansi in mucchio verso l'orifiziodistrutto, con feroci granfie il dorsol'uno all'altro raspando, a pugno e morsofuggir primi tentando al gran supplizio:ma fumo e fiamma indietro li ricaccia,non v'è più strada, non vi son più porte:solo, e despota, il caos....—Ma tu sei forte,Georg.—Taci.—Guarda la tua fine in faccia.*
Ricordi tu come sia fatto il cielo?....... Grigio ora, e curvo sui sinistri pozzidella miniera; e un getto di singhiozziimmenso, fino a quel livor di gelo.E donne e donne coi bambini in colloe al fianco, con irti aridi cernecchidi furie al vento; e infermi e storpi e vecchiguatanti il mostro non ancor satollo....E invocano, che il mostro dal suo fondovomiti all'aria le ingoiate squadre:e v'è fra essi la tua bianca madre,Georg!... V'è tuo padre. Hanno te solo al mondo.Le ossature dei pozzi han somiglianzadi scheletri: il silenzio fa spaventopiù dell'urlo: nel livido sgomentodella folla ancor trema una speranza:ma non rende la bocca maledettaquel che inghiottì....—Con gesto di flagelloleva la folla come un sol coltellole braccia, a testimonio di vendetta.*
.... Georg, il corpo tuo grande si fa pietrafra pietre: e luna e l'altre uguali stannoormai nel tempo; e ciò che fu l'affannod'un'ora, è calma immota in ombra tetra.Ma non è morte, e non è tomba. Esistesol la materia, che caduche imaginidi carne transustanzia entro compaginisacre, irridendo alle querele triste.Tenebra di caverne, fulvo dorsodi monte, erbosa immensità di piano,tutto non è che sedimento umano,nè s'arresta Re Atomo in suo corso.E chi calchi l'orecchio sul fecondosolco, o lungo le vertebre del masso,sente il respir dei morti, che il trapassosciolse in vene d'occulto hùmus pel mondo.Georg, biondo atleta, umile eroe sommersonell'ombra, a giorni effimeri perduto,a giorni eterni assunto,—io ti saluto:—prima eri un corpo; ed or sei l'universo.
Forse il lume ch'io cerco è quel che splendelà in fondo. No. S'è spento. Era un mio vanomiraggio. Ma, più in alto e più lontano,un altro lume e un altro, ecco, s'accende.Forse il tetto ch'io cerco è quel che fumadietro quei pioppi; e alcun v'attizza il fuocoper riscaldarmi....—No. Sparve. Era un giocodi nuvole.... Ma un altro è fra la bruma.Forse il fratel ch'io cerco è quel che il visoora mi tende, e il cuor nel viso, emersosopra la folla. Ed ecco, mi s'è sperso....Ma un altro volto scorgo, e un altro riso.Come se dal mio alvo fosse espressoil mondo è mio, sol perchè il vedo in sogno:quel che ho non curo, e quel ch'è incerto agogno,e mangio e bevo del mio sangue istesso.Delizia del cadere, e poi deliziadel drizzarsi d'un balzo, senza chiedereaiuto: e non guardar che la mia fede,e portar dentro me la mia milizia!...E vado. Ad ogni membro ho qualche bendasu qualche vecchia o giovine ferita.Pur, così come a me t'abbranchi, o vita,troppo bella sei tu perch'io t'offenda.Ti benedico, o vita, per l'amoreche mi negasti, per le chiare stradeche mi chiudesti, per le sette spadecon cui mi tormentasti carne e cuore:perchè altro amor più bello, altro sentieropiù largo io sognar posso: e col fantasmache la speranza al desiderio plasmavincer la nuda aridità del vero.
V'è alcun che canta: «O sole mio......» su l'acqueverdastre della Lìmmat.—Chi?...—S'affonda,o voce, il cuor nella tua scìa profonda,il triste cuore ove ogni voce tacque.Freddo, pioggia, crepuscolo. Beffardesbucan le lune elettriche, fra alonidi nebbia. Oscure ombre mi radon, suonirauchi movendo dalle lingue tarde.«Ja, yes.» Ma «O sole mio....» dall'altra rivachiama il canto che forse non ha bocca,ch'è di fantasma; e l'anima mi toccacon la carezza d'una mano viva.Batto i denti, alla pioggia. E più il mantellosu me ravvolgo, e più mi sento ignuda:mi sferza il dorso la ferocia crudadel croscïante gelido flagello.Bene risponde, col suo scampanarea stormo, il sangue entro le arterie folli:—Esilio, tu sei mio perch'io ti volli,perchè mi piacque le tue vie calcare.—Esilio?... Ma qual'è dunque, o tremendaanima, la tua vera patria?... In qualeangol di terra addormirai tu il maletuo, che piangere sempre io non t'intenda?...S'io mi buttassi a fiume, tu farestiforse silenzio, anima disperata.Andrei, colla corrente. Andrei, placataall'improvviso, fin che il Sol si desti,il Sole mio, sì bello e sì lontanoch'io non lo vidi con quest'occhi ancora:e con l'incendio de' suoi raggi indorasol chi per lui gettò l'ingombro umano.
E scavo e scavo, nella pietra, a provadi picca.—Vena d'Oro, vena d'Oro!...—Aspre occultan le rocce il lor tesoro,ma v'è chi a ben perseverar lo trova.Io più non so da quanti anni le bracciami stronco nell'indomita battaglia.Il macigno m'irride, scaglia a scagliabalzando agli occhi. E falsa è ancor la traccia.Se un balenar m'illude, altri mi scosta,brutale, sibilando:—Questo è mio:—.... ma non è oro, è talco.—Ed altri ed iotorniamo, insonni, alla superba posta.Intorno e innanzi a me scorgo perversivolti, quadre e selvatiche mascelledi animali da preda; e le favelleincrocian sfavillìi di stocchi avversi.E il furor della lotta e l'ingordigiatende ed ingrossa i muscoli, scolpisceforza odio frode sopra i volti; e striscedi sangue irrigan la petraia grigia..... Scòpriti finalmente, Oro, bell'Oro,ragion di vita, fonte della grazia.Il polso e il braccio sul piccon si strazia,cedon le fibre all'ìmprobo lavoro.Quando il terren sarà vana maceria,scaverò nella carne sino all'osso.Quando la carne non sarà che un rossobrandello, spaccherò del cuor l'arteria.Ah, forse allor, piombando sul basaltoarido, io penserò che a possederti,o Verità, basta fissar gli apertiocchi negli astri fiammeggianti in alto.
Or che la notte grava sul suppliziodi chi non dorme, e tu sei sola in facciaa te, sola nel vuoto che t'agghiaccia,e non vestita che del tuo cilizio:come fossi sul punto di morireconfèssati, chè l'anima t'ascolta:dolce ti sia, non fosse che una volta,quel che da te mai non fu detto, dire.Confessa che la tua ribellïonenon è che l'urlo della creaturadebole, che mancò la sua venturaper non aver trovato il suo padrone.Confessa che tu vai con fiammeggiantetorcia sanguigna contro leggi ed uomini,solo perchè la forza che ti dominitutta, ancor non t'assalse il cor tremante.Ed altro tu non sei che una fanciullafragile, torturata dall'angosciad'essere sola, e che talor s'accosciarabbrividendo di tutto e di nulla:e—se il dirlo t'è colpo di staffilebene assestato alla superbia prava,che importa?...—non saresti che una schiavad'amor, contenta del suo posto vile,se pur domani, verso te, dal rogoove chi arde più a sè prega ardore,venisse a tese braccia il tuo signore,per cui delizia ti sarebbe il giogo.*
Senza misericordia e senza temaprendi ed indaga, or che nessun ti guarda,questa povera tua vita bugiardache inconsolabilmente in man ti trema.Dilaniala, se vuoi: non ha difesacontro la tua curiosità feroce:puoi con tre chiodi conficcarla in croce,per vendicarti della lunga offesa.È un cencio rosso, con lacerti monchi,con fibrille pendenti: è un feto morto:più non attende ormai, sotto il tuo smortosguardo, che il colpo che da te la tronchi.Ma tu non osi. Ma tu l'ami, frustacosì: la scuoti, con furor selvaggio:giovine ancora, e intrepido, è il coraggioche ti sospinge con schioccar di frusta.Giovine ancor tu sei, per la doviziache in fiori intatti dentro ti germoglia,e più t'adorna quanto più sei spoglia,e, se soccombi, a nuove vie t'inizia.E doman come ieri, sotto pannisuperbi il cuore in umiltà raccolto,null'altro al mondo cercherai, che il voltoinvisibil che cerchi da tant'anni:e se lungo la strada che t'avanzano 'l troverai, forzando anche le portedel silenzio, nei regni della morteseppellirai con te la tua speranza.
I.Croce Rossa.Carità!... Veste bianca come benda,croce al petto vermiglia come piaga:tra fumo e fuoco e sangue che dilagaala e riparo di pietosa tenda:quando ancor l'aria palpita del rombodella mitraglia, ed all'incendio in groppaMorte per campo e per trincea galoppasugli eroi cui trafisse il ferro e il piombo,piccola suora che non teme agguatodi palle sperse, e dei feriti il carcosegue e protegge per sinistro varco,della pietà, che l'arma. Eroe-Soldato!...Chi m'è fratello ignoro e chi nemico,colui che a me si affida è tutto mio;e più egli soffre e più ritrovo Iddionella miseria sua che benedico.Come un leone ha combattuto, ed ora—«Mamma!.....—implora, con l'ansia d'un bambinoCh'io ti menta per lui, bacio divino:ch'io sia la madre della tragica ora!...E il marcio e il lezzo delle piaghe, e i grumidi sanie, ed i troncati arti, ed i ciechiocchi divelti e i cavi petti e i biechilabbri ruggenti e il sangue sparso a fiumiliberin me da me, mi rendan purad'ogni memoria mia: così perdutanel pianto altrui, che dentro il cor sia mutala bestemmia dell'intima tortura.II.Salvation Army.Salvation-Army!...—Senza nome e senzapatria, per tutti i lastrici del mondoe le case perdute e il trivio immondo,gettare, in gaudio, la mia pia semenza:essere una, ed esser mille e più dimille: nei bassi vicoli e nei covidiscendere, ove ingurgitan, da nuovie vecchi sbocchi, delinquenti, drudi,vittime stanche, femmine da conio,Barabba e Alfonso, Maddalena e Taide,e turbe vaporanti dalle laidecarni dell'alcoöl l'arso demonio:dove, figlia dell'ombra, la miserias'accoppia al vizio e genera il delitto,tutta avventarmi, col vibrar dirittodella siringa in una guasta arteria!...Essere una, e mille, e più di mille.Esser piccola e pallida, e risplenderequale una torcia, e alla mia fiamma accendereumane innumerevoli scintille:e sentir che, da esse, opache turbepotrebber forse divampare in roghidevastatori del mal seme, in roghid'anime, illuminanti i campi e l'urbe:per la carne che soffre e per l'aneloamor che l'arde, pel sottil sarmentoe il magnifico incendio, essere il ventoche sospinge le fiamme insino al cielo.III.«Libera me da me.»Infilar presso a te punto su puntonel tugurio ove ignori e sonno e pace,o dolorosa, che, se il labbro tace,riveli il tuo patir nel volto smunto:dell'aratro con te tirar la stangaper fender solchi che ci diano il pane,uomo, che tutte le scïenze umanesai, poi che in pugno sai stringer la vanga:santificar con libero e fraternogesto il tuo maglio, o fabbro, il tuo piccone,o minatore, la tua passïoneumile, o schiavo del travaglio eterno!...Libera me da me, nell'oceanicotumulto travolgendo il mio rottamenaufrago, umanità, che hai sete e famedi cuori, a pasto del tuo cuor titanico!...Forse la triste femmina in gramagliepesanti, la reclusa che mi mugoladentro, con tal convulso arrancar d'ugolache par l'anima schizzi fra tanaglie,tacerà.—Sarò un'altra. Sarò quellache dona. Sarò l'ombra della vita.Coglierò fiori con le bianche ditaper alcun che dirà:—Grazie, sorella....—E udrò l'onda del sangue gorgogliarenon solo in me, ma in ogni calda polladella terra; e fluir, placida, collacalma d'un fiume che discende al mare.
I.Fu, prima, ferocissima, la guerra.Poscia, il saccheggio con la pestilenza.E siccità distrusse ogni semenza.E il terremoto devastò la terra.Mostruosi grovigli d'insepoltevittime scavalcando con dementerabbia, i vivi, fra lunghe urla sgomente,abbandonaron le crollate vôlte.E ad uno ad uno caddero per via.E per giorni e per notti la tormentadivina imperversò, fin che fu spentaogni voce nel mondo in agonia.Di cerchia in cerchia ruinò sperdutodel sole in traccia, come pazzo, il mondo;nel suo terrore d'astro moribondoall'altre stelle in van chiedendo aiuto.Ma la celeste rutilante aurora,per volontà di Dio dal caos balzando,disse: Pace!...—e le arrise il miserandoregno dei morti e del silenzio, ancora.E pace fu, sopra la terra. Il solco,sazio di sangue e di midollo umano,in opulento biondeggiar di granorisfolgorò, senz'opra di bifolco.E ancor le piante misero le fronde.E qualche uccello ancor vi pose il nido.Tutto tornò com'era, a monte e a lido,al bosco e al prato, in cielo e sovra l'onde.Sol fu distrutto quel che l'uom creò,la casa, il libro, il quadro, il circo, il tempio,la macchina: e distrutto egli, con l'empiosuo cuore.—Ma un manipolo restò.—Restò, padrone, in faccia al cataclisma.Restò, più forte della cieca morte.—Compagni!... Nostre ormai sono le portedel tempo!... Assunti dal vermiglio crismaal gran destino, di gladïatoriapossanza i maschi, di superba graziale donne,—avanti!...—Il nuovo impero spaziada nord a sud. Al nuovo impero, gloria!...—II.Ultimi d'una stirpe di titani,progenitori di più eccelsi eroi,or che faremo?... Quale, ora, da noiprova attende, alba vergine, il domani?...Sparvero i lari, i codici, i messali,i crocifissi dalle tese bracciaconsolatrici: inabissò ogni tracciadi civiltà negl'ìnferi letali.O mio compagno atletico, rammentitu il tuo nome?... e tu, fiore di dolcezza,femmina bella come la bellezza,che smarrita mi guardi e non mi senti?...E tu, che ascondi dietro il fronte enormela scïenza dei secoli;—e de' tuoivolumi, ove scrutasti il prima e il poi,l'ammasso in gora senza scampo dorme?...—E tu, che sulle storte gambe reggiligneo torso nodoso, uso al travagliodi leva?... e tu, che corda di bavagliotessevi un dì, tessendo all'uom le leggi?...E tu, donna, che porti sulle labraimpresso il bacio d'una moltitudine?...Tu, ch'eri ladro?... tu, che in solitudinescandagliavi l'insonne anima scabra?...Novello nome per virtù novellavenga a ciascun dal limpido lavacrodonde ei, fanciullo primigenio, il sacrocammino imprenda verso nova stella!...Sia rimesso a ciascuno il suo peccatos'egli peccò secondo la scomparsalegge:—maravigliosa anima, apparsadal caos, prima di te nulla era nato!...Parli e agisca ciascun secondo il dettodella sua verità, nuda ed eternacome quella che i sommi astri governae un perchè impone all'albero e all'insetto:ciascun discopra, invïolato, il voltodella sua verità dall'ombra trista:per la bellezza che non fu ancor vista,per l'amore che ancor non fu raccolto.III.Fiorirà dal novissimo pensierola novissima lingua; ai puri infanticoi colloquî degli alberi e coi piantidell'acque intatto offrendo il suo mistero.Maravigliosa anima nostra, figliadel caos, sì presso alla lucente origineche tocchi, col respiro, la vertiginedegli astri, e chiudi il sole entro le ciglia!...Nella tua nudità senza vergogna,nella tua forza che a se stessa è braccio,e, perchè sciolta d'ogni falso laccio,innocente di frode e di menzogna!...Da oggi a sempre, o tu che nel tuo visosol ti rifletti, va per vie d'amore,lieve ondeggiando in cerchi di splendorecosmico, e ardendo in ogni atomo un riso!....... Ma già tramonta, o miei fratelli, il Diodi questo giorno: già, sanguinolentenubi e spade di fiamma ad occidenteguardano a noi come per dirci addio.Mai non vedemmo, o miei fratelli, il solecon tristezza sì grande naufragare:sparve: è una pioggia ormai, su terra e mare,di tacite impalpabili viole.Dove sono, o fratelli, le campaneche suonavano un dì l'Ave Maria,accompagnando il pellegrin per via,dolci di tutte le dolcezze umane?...Dove le umìli tremule fiammelledei lari, guida al vagabondo e scorta?...O memoria, tu dunque non sei morta!...uomo, ugual tu sei sotto le stelle!...Chi piange?... Il cuor s'accosti all'altro cuore,se ha freddo. E dentro soffochi il singulto.Se rivelato essere a noi l'Occultodeve, e vinto da noi tempo e dolore,dal più profondo anelito dell'Iosorga e s'adori,—come nella culladi strame il Cristo,—innanzi al tutto e al nulla,l'immortale Unità dell'Uomo-Dio.FINE.
Nota dei trascrittori
Le grafie alternative sono state mantenute (vïole/viole, oblìo/oblio). I minimi errori tipografici sono stati corretti senza annotazione.
*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK ESILIO ***