Title: Una donna
Author: Roberto Bracco
Release date: November 5, 2011 [eBook #37935]
Language: Italian
Credits: Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli, Barbara Magni, and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net
PROPRIETÀ LETTERARIA
I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i paesi, non escluso il Regno di Svezia e quello di Norvegia.
È assolutamente proibito di rappresentare questi lavori senza il consenso scritto dell'Autore (Art. 14 del Testo Unico 17 Settembre 1882).
Published in Palermo, 10th. June Privilege of Copyright in the United States reserved under the Act approved March 3rd. 1905, by Roberto Bracco and Remo Sandron.
Off. Tip. Sandron — 126 — I — 290312.
Questo dramma, scritto il 1888, fu rappresentato per la prima volta il 2 maggio 1892 dalla compagnia Pasta-Garzes-Reinach, protagonista Tina di Lorenzo, al Fiorentini di Napoli.
PERSONAGGI:
Clelia.Signora Maria Renzi.Mario Renzi, suo figlio.Gerardo Carsanti.Signor Brambini.Beatrice, sua nipote.Bartolomeo.Angiolina.Fonseca.Giannetti.Verani.Maturi.Saverio, portinaio.Un Albergatore.Teresa, cameriera.Giacomo, servo.Carmela.La scena, a Napoli: verso il 1880.
Clelia: ventidue anni, graziosa, fragile, variabilissima di aspetto e di accento. — Mario: trent'anni, pittore: ha qualche cosa d'inconsciamente affascinante. — Signora Renzi: sessant'anni, aspetto sereno, dolce, modestamente signorile. — Gerardo Carsanti: quarantacinque anni: faccia poco simpatica, occhi lievemente affetti da strabismo, modi o troppo melliflui o troppo ruvidi: veste con esagerata e falsa eleganza. — Signor Brambini: sessantacinque anni, ex capitano borbonico: aspetto bonario. — Beatrice: diciotto anni: è una fanciulla bellina, semplice e mite. — Bartolomeo: circa cinquant'anni, ex maestro di ballo: tipo comico: porta delle scarpine senza tacco e in testa un berretto ben ricamato. — Angiolina: quarantasette anni, rivenditrice di abiti: aria di persona zelante, affaccendata, inframmettente, pettegola. — Fonseca: trentott'anni: medico di poca importanza: vivacità furbesca e cordiale. — Giannetti: quarant'anni: contegno d'uomo di mondo. — Verani: trentadue anni: giovanotto vacuo e stupidamente sentimentale. — Maturi: età indefinibile: galoppino di Carsanti: magro, sparuto, sembra un usciere di tribunale. — Saverio: portinaio d'un palazzetto abitato dal mezzo ceto: un omuncolo bilenco. — Albergatore: è rozzo, burbero. — Teresa: cameriera giovane e astuta. — Giacomo: figura di servo sciatto, inelegante. — Carmela: giovane popolana.
Camera modesta, quasi povera, in disordine. Poche suppellettili tra cui un attaccapanni, una tavola, uno stipetto basso, seggiole stranamente diverse. Sull'attaccapanni, soltanto una sottana bianca. Sulla tavola, un tovagliolo mezzo aggrovigliato e alcune bucce di frutta. Sopra una seggiola, un paio di stivalettini attillati. Sullo stipetto, piatti, bicchieri, forchette, cucchiai, coltelli, qualche bottiglia, qualche vaso di creta. In fondo, una porta senza battenti che lascia vedere una saletta e l'uscio di scala. Accanto a questa porta, una seggiola. A destra, un'altra porta. A sinistra, una finestra.
ANGIOLINA e PORTINAIO.
(Quando s'alza la tela, il campanello penzolante ad un muro della saletta si agita e strepita. Nella stanza non c'è nessuno. — Silenzio. — Poi, un'altra volta, il campanello strepita. — E di nuovo silenzio. — Quindi si sente la voce pettegola di Angiolina di là dall'uscio chiuso.)
Ohè! Portinaio!... Portinaio, qui non mi si apre.... Non c'è nessuno in casa? (Pausa.) E mi avete fatto salire!... (Pausa.) Allora venite ad aprirmi.... Sono io, Angiolina la rivenditrice.... Venite ad aprirmi.... Aspetterò che venga la signorina.... (Pausa. — Tra sè:) Ah! benedetto Dio!....
(Si apre l'uscio. Entrano il portinaio con un chiavino in mano e Angiolina che porta sul braccio una veste avvolta in un panno bianco.)
(entrando) Eh! bella mia, io ho l'ordine di non dare la chiave che al signor Mario. Ho aperto perchè siete voi. Se volete aspettare qui, accomodatevi pure; ma, senza offesa, io vi tengo compagnia.
Angiolina può entrare sempre, per regola vostra: e poi, statevi attento che c'è tanta roba preziosa da portar via!... (Ironicamente) In questa casa si guazza nell'oro!... È una pietà, è una pietà!...
(confidenzialmente) Ma che ci volete fare! Questa poveretta è pazza. Se sapeste che offerte ha rifiutate! Il male è che ci vado io di mezzo.... E se qualche galantuomo viene a mettermi nelle mani una carta di cinque lire, solamente, già, per informarsi — perchè, tanto, ambasciate a lei non glie ne porto più —, io non ci sto bene di coscienza, e sono perfino capace di non accettare la mancia. È un peccato mortale!
Lo dite a me? Lo so io se è un peccato mortale: io, che ero abituata ad avere da lei tutto quello che volevo... mentre adesso poco ci manca che non debba io soccorrere lei! Ah! quando penso ai tempi in cui la sua casa era in festa di giorno e di notte e si gettava la roba dalla finestra tant'era l'abbondanza; quando penso alle risate che mi faceva fare — perchè mi voleva un gran bene e mi raccontava tutti i fatti suoi —, credetemi, don Saverio, mi viene da piangere. Aveva sempre trattato gli uomini come fantocci, e ne aveva avuto tesori, e se n'era sempre infischiata... — senza mai commettere mal'azioni, veh!, perchè cattiva non era... —; ed ecco che da un giorno all'altro s'incapriccia di questo spiantato, e addio allegria, addio abbondanza! Manda al diavolo tutti gli amici, e si riduce in questo stato....
Apritele gli occhi voi.
Non c'è come persuaderla. Se le parlo, non mi dà neanche retta.... Ed io, che potrei!... Basta!...
«Potreste»?... Lasciatemi sentire: che cosa potreste? A me dovete dire tutto. Confidatevi.... Tengo segreti qua dentro (la mano sul petto), che neppure un confessore!
(non volendo compromettersi) No.... niente di positivo....
Volete farmi dei misteri; ma questo non va bene. Perchè, se poi avete bisogno di me....
Ma che vi pare? Avessi da confidarvi qualche cosa, non ve la confiderei? Lo so che siete un buon uomo, e che, all'occorrenza, per un amico, vi gettereste nel fuoco; ma, vi ripeto, per ora non c'è niente, non c'è niente....
MARIO, ANGIOLINA, PORTINAIO.
(dalle scale) Che è questa porta aperta? (Entra. Vedendo Angiolina, mostra di seccarsene.) Ah! qui si fa conversazione....
Serva vostra!
(togliendosi il berretto) Tenevo compagnia a donn'Angiolina per non farla aspettare fuori la porta. Questa è la chiave. (Gliela dà.)
(prende la chiave. Infastidito e stanco, siede dopo di aver lasciato in un angolo il cappello e un quadretto che aveva portato sotto il braccio.) E la signora?
È uscita che saranno più di due ore. Poco potrà tardare. Comandate niente?
No.
(ad Angiolina, che gli è rimasta indietro, si rivolge tranquillamente) Che siete venuta a fare? Ve l'ho già detto: desidero che qui non ci veniate.
(paziente) La signorina Clelia mi aveva dato a vendere una veste, (mostra la veste) ed io vengo a dirle che non è stato possibile: non glie la vogliono comprare neppure per dieci lire.
(mal celando il turbamento) Quale veste?
(cavandola dal panno) Eccola....
Come! Anche questa?!
Sissignore, anche questa.
E non l'hanno voluta?
È di lanetta leggera. Fosse roba d'inverno, si troverebbe a vendere facilmente. Ma è robetta di mezza stagione, e siamo in novembre....
(interrompendola) Sta benissimo. Dirò io tutto ciò alla signora. Lasciate lì la veste e non vi date pena. Non è necessario vendere questi stracci.... Grazie tante, e addio. (La saluta con la mano, congedandola.)
Ma io non ho fretta. Posso aspettare.
Addio! Addio! Volete farmi il piacere d'andarvene?
Ah!... ecco la signorina Clelia.
CLELIA, ANGIOLINA, MARIO.
(arriva tutta scalmanata, con in mano un mazzo di fiori sciolti e alcuni cartocci. Giungendo, va difilata a dare un bacio a Mario.) Il portinaio m'ha detto che eri qui, e non so perchè mi son messa a correre per le scale, come se non t'avessi visto da una settimana.... Ah!... non ne posso più. (Pone sopra la tavola i cartocci, mette i fiori in un vaso, e si lascia cadere, trafelata, su una seggiola.) Male! Male, Mario mio! Le cose vanno male! Ma non te ne affliggere....
Si direbbe che vanno bene: hai fatto perfino una provvista di fiori.
Me li ha regalati....
Chi?
Un bel giovanotto. Ah! ah! ah! Saresti capace di crederlo?... Me li ha regalati la solita vecchietta.... Ella sa che io non ci posso stare a lungo senza fiori, come io so che ogni tanto una buona colazione la rende felice!... (Rivolgendosi ad Angiolina con dissimulazione) E tu, Angiolina, come sei capitata qui? Che vento ti ha portata da questa parte?
È inutile di fingere, cara Clelia: lo so che avevi mandato a vendere anche questa vesticciola di lana.... Ti ridurrai come una pezzente da non poter più uscire di casa.
(con un sorriso di bontà) Eh! Chi sa! Non tutti i giorni sono uguali! Bisogna sempre sperare! Ma a te, Angiolina, com'è saltato in mente di dire a Mario la faccenda della veste?
Egli mi rimproverava ch'io fossi venuta, e per giustificarmi....
Intanto, la veste è qui.... Perchè?
Perchè, signorina mia bella, se vi contentate di poche lire, io farò un'altra giratina e cercherò di venderla; altrimenti è proprio impossibile.
Poche lire! Come sarebbe a dire? Una cinquantina?
Scherzate! Meno di dieci. Per dieci me l'hanno rifiutata.
Caspita! Mi arricchirò. Beh! Vendila come meglio puoi. Siano pure otto lire. Saranno sempre guadagnate.
(riavvolgendo la veste nel panno bianco e rimettendosela sul braccio) Volevo poi dirvi, se il signorino permette, un'altra cosa... (timida e prudente) riguardante.... quell'altro abito....
(schietta) Quale altro abito?
(vorrebbe spiegarsi con gli sguardi) Ma come?! Non vi ricordate?... (Le si avvicina e le dice all'orecchio:) Vi debbo parlare di premura....
Alzate la voce, donn'Angiolina! Alzate la voce! Qui non c'è bisogno di far tanti misteri, e, soprattutto,... non c'è bisogno dei vostri servigi. Voi volete mettermi con le spalle al muro, volete. Non mi fate perdere la pazienza.... Ve l'ho fatto capire, sì o no, che mi siete antipatica?
(rimproverando con mitezza) Mario!...
Ih! che maniere!... Vi ho messo forse la mano nella tasca?
No, non me l'avete messa.... (La prende per un braccio conducendola verso la porta) Non me l'avete messa; ma, per ora, andatevene.
(opponendo una lieve resistenza e guardando Clelia come se aspettasse un cenno di risposta) Un momento....
Andatevene.... (La tiene sempre pel braccio.)
Ma....
(con un gesto la prega di pazientare.)
Andatevene. (L'accompagna sino alla porta, e glie la chiude in faccia.)
CLELIA e MARIO.
(umilmente) Perchè la tratti così? Che t'ha fatto di male quella poverina?
Non m'ha fatto nulla di male, ma il vederla bazzicare ancora in questa casa mi urta i nervi. La sua presenza mi ricorda troppo la tua vita passata e mi pare che lei possa rimetterti in relazione con tutta quella gente che t'ha rovinata.
(un po' celiando) Veramente, non è quella gente che ha rovinata me; sono io, invece, che, talvolta, ho rovinata quella gente.... Intanto, tu credi che io possa lasciarmi adescare da donn'Angiolina? (malcontenta) È strano....
(alquanto irritato) Strano o no, quella femminaccia mi fa paura, ed io ti proibisco di....
(interrompendolo con dolcezza) Non la riceverò più, sta tranquillo. O che vogliamo litigare per donn'Angiolina?... (Mutando tono) Permettimi, piuttosto, di farti il resoconto della mia giornata. È cominciata benino, sai; ma poi..., ahimè!, ho sprecato fiato e tempo.
Sentiamo com'è cominciata.
(cava di tasca una scatolina di sigarette e gliene offre una) Provvisoriamente, fuma una sigaretta.
(pigliandola, la guarda) Perdio! Delle Tocos!
(con solennità burlesca) Bagnate dall'onorato sudore della mia fronte: le ho comprate.
(turbato, le rende la sigaretta) Grazie, io non ne voglio. Io non fumo sigarette di lusso....
(un po' mortificata e anche meravigliata) Credevo che per una volta.... Gli è che stamane — ed ecco quel che ti dicevo — ho cominciato col far quattrini. Sicuro! Sono andata dalle Suore, le quali, come di solito, mi hanno accolta festosamente, e subito m'hanno data la buona notizia che il cuscino era stato venduto alla baronessa.... Non mi ricordo a quale baronessa, ma insomma era stato venduto.
Il cuscino! Quale cuscino?
Come! Non l'avevi veduto? Non lo avevi ammirato? Già, hai ragione, io l'ho fatto di nascosto perchè non ero certa di riuscire. Ma sono riuscita!... Era di raso azzurro, sai, chiaro chiaro: una tinta deliziosa; e sull'azzurro spiccavano i rami verde cupo e i fiori di velluto d'un rosa pallidissimo. Modestia a parte, un gusto sopraffino. Pareva un quadro.... un quadro tuo! Che bellezza! Che bellezza!
Molte spese, però.
Oh! non molte.... (Facendo il conto) Un trentacinque lire: non più.
E le Suore te l'hanno venduto per....
(imbarazzata come una bambina)... Per qualche cosa di meno. Ma guarda: per la prima volta bisogna transigere. Tutto sta a mettersi in carreggiata... Vedrai, vedrai che quattrini!
Sì, sì, vedrò. E che altro hai fatto?
Ero tutta contenta d'aver lucrato... — via lasciamene l'illusione — d'aver lucrato una bella sommetta, e mi sono messa in giro, perchè ho pensato: «profittiamo del buon quarto d'ora.» Avevo stabilito di non ritornare a casa se non avessi conchiuso sul serio qualche affaruccio. Ma,... il quarto d'ora era già passato! Sta' a sentire. Sapevo che alla Ville de Londres era disponibile il posto di direttrice.... Dirigere una sartoria!... L'idea mi sorrideva. Vi sono andata. Ma il signor Angeloni, il proprietario, mi ha subito riconosciuta e mi ha detto: se volete ordinare degli abiti sono a vostra disposizione, ma che io mi permetta di dare a voi cento lire al mese è addirittura inverosimile. Poi sono andata da Madame Richard. Nella sua casa, veramente, non sapevo che fosse disponibile nessun posto.... Pure ci sono andata con non so quale speranza nel cuore. Madame Richard, da quella donna d'esperienza che è, s'è meravigliata meno del signor Angeloni.... Senonchè, m'ha detto che avrebbe potuto offrirmi l'ufficio di essayeuse.... Cinquanta lire al mese per mettermi addosso la roba altrui e star lì come un attaccapanni a girarmi e a rigirarmi avanti alle contesse e alle principesse armate di lorgnettes e di malignità!... Capirai:... non ne varrebbe la pena e sarebbe superiore alle mie forze.... Finalmente, mi sono recata all'Agenzia dei Fratelli Morandi. Uh! per far loro intendere che io chiedevo e non offrivo un'occupazione di governante, c'è voluto un bel po'. Hanno preso nota del mio nome e della mia abitazione, e quando ho voltato le spalle... m'è parso di sentire che sghignazzassero, burlandosi di me.... (Con malinconia) Forse anch'essi m'avevano riconosciuta. (Pausa) Ero stanca,... Ho fatto delle spesucce e sono montata in un tram. Uno sfaccendato m'importunava; sono discesa: lo sfaccendato è disceso anche lui e m'ha seguita: ed io, per liberarmene, ho presa la prima carrozzella che mi è capitata dinanzi...: una carrozzella sciancata ch'era un piacere a starci dentro...; e sono arrivata qui, tutta scombussolata, con le ossa rotte, senza aver conchiuso niente! Mah! (Sospira.) Lasciamo fare alla provvidenza.... (Sorride tristamente.) E se quella lì non ne vuol sapere, rimedieremo altrimenti.... Perchè, tanto, è meglio morire che vivere assai male!...
(con rammarico affettuoso) Questo è poco confortante per me che sono la ragione vera dei tuoi sagrifizii...
(scotendosi e fingendosi rianimata ed allegra) Su! su! Non farmi quella faccia da sepolcro! Se ho avuto un momento di tristezza, perdonami. E non parlarmi più di sacrifizii. Del resto, ne hai fatti e ne fai tanti tu per me.
Io! Io!... Che faccio io per te? Che cosa posso fare? Che cosa so fare? (Quasi parlando tra sè) Sì, dipingo! Oh! il gran pittore che sono! A stento riesco a guadagnare quanto basta per non lasciar morire d'inedia quella povera mamma mia, acciaccata e sola com'è....
Hai soccorso pure me, tante volte! Sei stato così delicatamente generoso....
(con ironia contro sè medesimo) Ma sì! Generosissimo!
E quando sarai tranquillo di spirito, guadagnerai anche di più. Farai dei bei quadretti.... Anzi dei quadrettoni, e io sarò la tua modella.... Ho già un nomignolo di modella! Cosuccia.... Ero predestinata.... Ma bada che allora vorrò essere pagata.... (Scherzando amorosamente) E tu mi pagherai! Oh! se mi pagherai!...
Non t'illudere, Clelia mia. Credimi, sarò sempre un imbrattatore di tele: qui dentro (toccandosi la fronte) non c'è niente!
(energicamente) E quest'è la tua sventura! Chi non comincia col credersi per lo meno un genio, non sarà mai apprezzato da nessuno. (Indi, eccitandosi in una falsa allegria) Ma che importa?... Sei un genio per me, e basta! Non ti apprezzano gli altri? Peggio per loro! Non ti festeggiano? Ti festeggio io! Adesso, per esempio, ti offro un banchetto. E che banchetto! Ho qui (disfacendo i cartocci) della galantina eccellente... un po' di tartufi in boîte,... e perfino dei sospiri di Van Bol.... Non mi sgridare: era tanto tempo che non mangiavo dolci! Ne ho presi per me, per te e anche... per la tua mamma. T'offro, come vedi, un banchetto luculliano. Vino, poco; ma buono... cioè, così così: una mezza bottiglia di Capri bianco. Ti piace?
(sempre più rattristandosi) Ho già fatto colazione a casa. Grazie. Mangia tu, cara Clelia, che devi avere appetito.
Appetito?... Fame! Fame! Altrochè appetito! (Va aggiustando graziosamente la piccola mensa.) Dunque, non vuoi accettare? Auff! fai lo schizzinoso.... Vedi... mi mortifichi.... (Mette in mezzo alla tavola dei fiori.) Benissimo! (A un tratto) Ah!... ho dimenticato la cosa più importante: il pane. Ma non è nulla. Ora ordino a uno dei miei servitori che me ne comperi. (Va alla finestra.)
Che fai?
Chiamo uno dei miei dodici servitori: il portinaio. (Chiamando) Don Saverio! Don Saverio! (Pausa.) Fatemi il piacere di comperarmi quattro soldi di pane. (A Mario) Ho fame, io! (Al portinaio) Ma, badate: voglio di quei panini neri.... Andate giù, alla Panetteria Francese.... (Pausa. Poi, rispondendo al portinaio) Sì, sì, laggiù.... (Pausa.) Ah! ho capito: non avete i soldi. Ebbene, venite qua, salite, chè ve li darò io. (A Mario, celiando) Quest'uomo non ha mai il becco d'un quattrino!
Un genio incompreso anche lui!...
(gira intorno, impaziente, andando in cerca di qualche cosa) Diamine... diamine....
Che cerchi?
Nulla (Si fruga nelle tasche.) Non trovo il portamonete, ecco. (Continua a frugare.)
Sicchè?...
(desolata) Ehi... me l'avranno rubato nel tram.... Ma no! Se ho pagato il cocchiere della carrozzella.... Ah! comprendo: siccome ho pagato prima di scendere, così certamente l'ho lasciato nella carrozzella.... Che testa, mio Dio, che testa! (Si scorge in lei uno sconforto tetro.)
Mario... ce li dài tu i quattro soldi?
(dopo aver messo le mani nelle saccocce, dice con tormentoso rincrescimento:) Non ce li ho.
(costringendosi alla disinvoltura e alla gaiezza) Beh!... poco male! Banchetteremo senza pane. (Al portinaio) Grazie, don Saverio: non ho più bisogno di voi. (Ma il portinaio indugia.) Che è? Avete da dirmi qualche cosa?
(le si avvicina e le parla all'orecchio) È venuto, poco fa, il padrone di casa.... Si lamentava che pareva avesse mal di stomaco.... Ha detto che un altro giorno aspetterà, e poi... mi spiego? Voleva salire, voleva: ma io gli ho detto che non c'era nessuno.
(sottovoce) E ritornerà?
(sente confabulare senza intendere le parole e monta in collera) Sempre misteri! Sempre confabulazioni segrete!
(dolcemente) Nessun mistero....
Voglio sapere!
Oh! io non volevo dirtene nulla per non seccarti, ma giacchè Dio sa che scioccherie sospetti — e sei molto ingiusto —, eccoti la verità: il padrone di casa vuol mandarmi via. Sei contento, ora?
(mortificato e calmo) Non ti manderà via. Fra un paio di giorni, se non prima, avrà quello che deve avere.
Avete udito, don Saverio? Sicchè, ditegli che stia tranquillo.... E, per carità, se ritorna, non me lo fate vedere! Uh! quanto è antipatico!
(stringendosi nelle spalle, se ne va borbottando.).... Antipatico... antipatico.... Se quello viene, posso io dirgli d'andarsene?... Basta.... (Esce, chiudendo la porta.)
(con uno dei soliti sforzi di finta spensieratezza) Sì, sì, basta con i guai, oggi!... «Signora Clelia il pranzo è servito».... (Siede a tavola. Cava il turacciolo dalla bottiglia, e versa il vino nel bicchiere, mentre Mario è lontano. Indi, a un tratto, cede a un istante d'abbattimento, appoggia i gomiti sulla tavola, e fra le mani stringe il capo abbandonato.)
(se ne accorge e le si avvicina alle spalle) Clelia mia, lo vedi: questa vita non è per te!
(senza alzare il capo, con dolcezza) Non mi dir niente, Mario.
No, non ti rimprovero.... Tutt'altro! (Le bacia i capelli.)
(gli si volta con le lagrime agli occhi) Mario mio....
Tu mi lascerai.... Tu devi lasciarmi: lo comprendo.
No....
Devi lasciarmi.
Ma io ti voglio bene! Mario, credimi. Te lo dico... semplicemente: io non potrei più vivere senza di te.
Ti sembra così... perchè ora non vedi che me, perchè ora eviti qualunque tentazione, perchè vivi isolata: tutta la tua vita è concentrata nella mia persona, e tu dimentichi perfino che ci sono al mondo tanti altri uomini, sì, tanti altri uomini migliori di me, meno noiosi, più attraenti, più intelligenti... (Concitandosi) Ma se questi uomini ti stessero un po' attorno, tu, pure essendo buona come sei, pure amandomi come mi ami, cominceresti a fare dei confronti e cominceresti a comprendere di nuovo che il bacio che ti do io non vale più di quello d'un altro. Grado grado, ti persuaderesti di essere vittima di una fissazione, d'un equivoco... e — anche prima di lasciarmi — mi tradiresti....
(di scatto) Mai!... Questi altri uomini, che dici tu, io li ho conosciuti, io me li ricordo: li incontro ancora, talvolta, per la strada.... E li faccio sempre i confronti, e non mi riesce di trovarne uno che mi paia migliore del mio Mario. E poi, me li figuro vicino a me, desiderosi di me... (con evidenza) e, al solo pensiero di averne un bacio, io provo disgusto, io sento ribrezzo.... Come potrei dunque tradirti?... Non è già che io pretenda d'essere una donna virtuosa.... Non ho nemmeno un'idea chiara di ciò che sia la virtù.... Ma non saprei, non saprei più subire nessun fastidio del cuore e del senso. E dimmelo tu: — questo disgusto, questo ribrezzo, quest'impossibilità, completa, assoluta, di tollerare, da che ho conosciuto te, sinanche un bacio, un semplice bacio, d'un altro uomo, che cosa significa? È la virtù?... o è il vizio?... È un bene?... o è un male?... Io non lo capisco. Ma capisco — ed è certo — che solamente tu mi sei piaciuto e solamente tu mi piaci, e che tua, tutta tua, esclusivamente tua posso e voglio essere.
(commosso) Clelia! Clelia!
(con amorevole abbandono) Mi hai trasformata....
Clelia mia, ti ringrazio.... (La bacia.)
(Tutti e due si calmano. Mario si stacca da lei rincorato, svelto, arzillo e va a prendere il cappello e il quadretto.)
(scontenta) Che fai! Mi lasci proprio adesso?
Sì, ti lascio proprio adesso, perchè adesso mi sento benone, pieno di coraggio.... Ho una buona speranza.... Mi pare che tutto ciò che tenti adesso mi debba riuscire.... Ho qui un piccolo capolavoro.... (Mostra il quadretto avvolto in una carta.)
Lasciami vedere....
È una testina: pare il ritratto d'una scimmia. Ma ho appuntamento con la cima degli imbroglioni: un mezzano d'arte apocrifa. E, perbacco, oggi stesso quello lì mi farà trovare... il compratore americano!
Lasciami vedere..
(allegro) Ti farò vedere... il biglietto rosso. Ahi ah! ah! Arrivederci, (l'abbraccia e bacia) arrivederci, cuor mio, Cosuccia mia, tutta mia, solamente mia....
(ansiosa e triste) Non te ne andare ancora.... Aspetta.... Mi sembra così brutto che tu te ne vada ora che la tristezza è passata....
Va là, che voglio profittare di questo lampo... di genio! Vado e torno presto. (Via di corsa chiudendo l'uscio.)
(sùbito lo riapre, chiamando Mario come se avesse bisogno urgente di trattenerlo) Mario!.. Mario!.. (Tra sè) Ih! come corre!.. (Senza chiudere l'uscio, si accascia sulla sedia presso la porta.)
CLELIA, ANGIOLINA, indi CARSANTI.
(si sente male; le manca il respiro; è abbattuta.) Ahi!... Ahi!... (S'alza, va fino alla tavola apparecchiata, e beve avidamente il vino già versato nel bicchiere. Quindi, respira come si sentisse meglio. — Resta assorta, in piedi, con le spalle voltate alla porta.)
(entra, non vista, circospetta) Io sono qui.
(voltandosi) Hai venduto l'abito?
Ma che abito!! (Sempre guardinga) Ero abbasso a far la spia. Appena il signor Mario è uscito, io ho infilato il portone. Non sono sola. C'è per le scale il signor Carsanti.
(scattando con violenza) E chi t'ha dato il permesso di condurmi questo seccatore?
Nessuno! E se dovevo aspettare che me lo deste voi il permesso, sarei stata fresca! (Umilissima) Ma quel poveretto mi ha tanto pregata, che io ne ho avuto pietà. E poi non è un appestato, che diamine! Almeno state a sentirlo per cinque minuti. Non vi costa niente. E diteglielo voi stessa in faccia un bel no come glie lo avete mandato a dire tante volte per mezzo mio.... E allora se ne persuaderà e lascerà in pace voi e me. (Esplodendo) Oh! io sono stanca di andare e venire ogni giorno inutilmente! (Mutando tono) Lo posso fare entrare?
Bada che lo tratto male!
Trattatelo come volete: io me ne lavo le mani. (Corre verso la porta.)
No, Angiolina: ti proibisco....
Meglio levarselo d'attorno una volta per sempre. (Sull'uscio, a voce bassa) Ehi, ehi, signor Carsanti....
«Ti proibisco» dico!...
(senza darle retta) Signor Carsanti, favorite... favorite.... La signorina ha acconsentito a ricevervi....
(non ha l'energia di ribellarsi, ed esclama quasi tra sè:) Bugiarda!
(facendo strada a Carsanti) Avanti... Avanti....
(si concentra nella rabbia e nella debolezza.)
(chiude l'uscio non appena Carsanti è entrato.)
(timidamente) Grazie d'avermi finalmente concesso....
(severa) Non c'è da ringraziarmi, perchè non ho concesso nulla. Ho tollerato che voi entraste soltanto per dirvi... per pregarvi di non importunarmi più.
(paziente e galante) È dunque un odio?
Ma che cosa ho fatto io per essere da voi odiato?... In altri tempi, una persona come me non sarebbe stata odiata da voi: anzi voi l'avreste accolta con cortesia, con molta cortesia....
(crudamente) Che ne sapete voi?...
Suppongo.
Non avete il dritto di fare delle supposizioni sul conto mio.
Perdonate.... Non ho la menoma intenzione di offendervi, nè d'irritarvi....
E allora perchè siete venuto mio malgrado?
Perchè... ho avuto in mente di fare una buona azione.
Quale?
(sempre timidamente) ...Io so che le vostre condizioni finanziarie non sono floride; io so che siete stata obbligata a vendere i pochi abiti che vi restavano; io so che menate una vita di privazioni, di sagrifizii, di torture; io so che avete dei debiti....
Non è vero! In ogni caso, ciò non vi riguarda: io non vi conosco!
E io desidero che mi conosciate. La buona azione che intendo di compiere basterà, spero, a rendermi meno ignoto. (Pausa.) Per una donna come voi, abituata al lusso e alla spensieratezza, per una donna così bella, così fine, così preziosa, la miseria... è un'offesa! E io voglio, a qualunque costo, comprendete, a qualunque costo, voglio salvarvi dalla miseria....
Non lo potete!
Sono ricco....
Ma non vi amo.
(con un sorriso maligno, sommessamente) Non è stato poi sempre necessario che amaste per....
(interrompendolo e smettendo un po' l'aria burbera) Ma ora, vedete, non sono più la stessa.... Signore, apprezzate la mia franchezza: non vi amo (recisa) e non potrei essere da voi posseduta mai! Ve lo chiedo in grazia: non insistete.
(insinuante) Io insisto....
(non vista da Clelia, gli fa dei cenni come per ricordargli il consiglio datogli, di fingersi, cioè, un semplice benefattore.)
(non intende bene, e a ogni parola guarda Angiolina per secondarla) Voi non siete più la stessa? Lo credo.... Voi non mi amate, voi non potete essere mia?... Sta bene. E se io... offrendovi il mio appoggio... non vi chiedessi che... la vostra....
(approva e lo incoraggia, coi gesti, a continuare.)
... che la vostra amicizia?
(si stringe nelle spalle sorridendo d'incredulità.)
(accorgendosi che la conversazione piglia una piega amichevole, vorrebbe lasciarli liberi) Io, intanto, me ne vado a sbrigare qualche faccenda.... Torno più tardi.
(presa dal panico) No, Angiolina. Resta qui! (Le si avvicina repentinamente per trattenerla, le si aggrappa alla veste e le dice sottovoce:) Ma se viene Mario, qui scoppia una tragedia.... (Sussultando di spavento) Ah! mi pare la sua voce! (Va alla finestra e guarda giù, trepidante.)
(ne profitta per accostarsi a Carsanti. Parlano tutti e due sommessamente.) Battete sempre sull'amicizia; ve lo avevo detto: battete sempre sull'amicizia.
Ma non mi crederà. Che diamine! Non mi crederà....
Glie lo faccio credere io.... Lasciate fare a me. Adesso glie ne do a bere una delle mie. Tutto sta a preparare la trappola; — e quando sarà in trappola dovrà cedere.
(Si staccano subito perchè Clelia si è voltata.)
(rassicurata) No, non è lui.... Che batticuore!....
(per discrezione, si allontana guardando i muri.)
(a Clelia, sottovoce) Spicciatevi! Ma come? Non avete ancora capito?
Che cosa?
(misteriosamente) Che un uomo di questa specie si trova una sola volta in vita. Non vi accorgete che è uno di quelli che... con le donne... non hanno niente da concludere? (Guarda Clelia negli occhi per scorgere l'effetto della sua menzogna.)
(reprimendo la gioia) Davvero?!
Ssss! zitta! (Poi, alzando la voce) Una volta che debbo restare, piglio aria alla finestra. (Si mette alla finestra, canticchiando.)
(a Clelia) Dicevamo, dunque.... Se io non vi chiedessi che un poco d'amicizia?
(fissandolo) Signor Carsanti, pensate che io sia una donna da potersi canzonare?
Non lo penso. Io vi parlo con tutta la lealtà d'un perfetto galantuomo. (Continua con simulazione:) È una stranezza ciò che vi propongo; ma io sapevo già che voi non m'amate e che non volete amarmi, e avevo risoluto di ottenere da voi, comunque, il permesso... di farvi del bene. (Egli le si accosta troppo. Ella lo scansa.) Amicizia?... (Fingendo di contentarsene) Vada per l'amicizia. Voi non dovete che accettare tutto quanto io vi offro.... Io vi farò abitare come una gran dama; io metterò a vostra disposizione il mio avere;... io interpreterò i vostri bisogni, i vostri desiderii, i vostri capricci, e li soddisferò, e sarò sempre ai vostri piedi, umile, devoto, rassegnato....
(che lo ha ascoltato trasalendo all'idea della ricchezza, lo interrompe) Rassegnato?
A tutto!... (Con trepidazione) Fuorchè a essere ridicolo in faccia al mondo.
(fredda) È dunque la vanità che vi rende così generoso?
(cinico) E se ciò fosse, che ve ne importerebbe?... (Cambiando tono) Ma è anche l'amore. Per il mondo, desidero che siate ufficialmente la mia amante; — per me, per il mio cuore, desidero che non siate l'amante di un altro.
Siete più esigente che non crediate. (Pausa.) Non avete altre concessioni a fare?
(grave) No, signora.
(tormentandosi nell'incertezza, con gli occhi bassi) E siete sicuro di mantenere la vostra parola?
Ne sono sicuro. (Sogghigna senza lasciarsi scorgere.)
Acconsentite? (Pausa. Poi, con voce affabilissima) Non più debiti, non più sagrifizii, non più l'urgenza di costringere la delicata personcina forse anche alla volgarità del lavoro materiale..., e non più il pericolo di dovere obbedire, un giorno o l'altro, a una più dura necessità e di dovervi arrendere, non si sa mai, a qualcuno che sia meno buono, meno affettuoso, meno ricco e più esigente di me. Acconsentite?
(con un grido di spavento) Madonna santa, il signor Mario!
(avendone una scossa violenta) Mio Dio, che avverrà adesso?!...
Il vostro amante!
Sì, lui... Cioè no.... Ma adesso, che avverrà?.. Ho paura... ho paura....
(spiando alla finestra, in preda all'emozione) Non sale ancora le scale.... Se tornasse indietro!... Parla con un uomo grasso....
Il padrone di casa....
Si abbaruffano un poco.... Se si picchiassero, sarebbe una fortuna!... Aspettate.... Il signor Mario cava di tasca del danaro, e glie lo dà.
(quasi fra sè, tremando) Ha venduto il quadro....
Si stringono la mano.... Siamo perduti.... Il signor Mario sale!
Dio! Dio!... T'ha vista?
No.
E allora... entrate tutti e due in questa stanza... (Sulla soglia della porta a destra) Signor Carsanti, scusate il disordine....
(afferrando Carsanti pel soprabito) Venite con me, voi.... (A Clelia — affaccendata ed emozionata) Mandatelo via subito!... Già, (all'orecchio) una volta dovete dirglielo: il meglio è che glie lo diciate ora. Così non ci pensiamo più....
(confusa e perplessa) Sì, hai ragione: Meglio ora....
Misericordia!... (A Carsanti, quasi trascinandolo) Venite, venite con me.
(prima di entrare a destra — a Clelia) Siamo d'accordo?
(Un'altra scampanellata. — Angiolina e Carsanti entrano a destra.)
Eccomi! (Va ad aprire l'uscio di fondo.)
CLELIA e MARIO.
(avanzandosi tutto gaio) Dormivi?
No... Ero lì, sul letto... con un po' di mal di capo.
Ora te lo faccio passare io con un bel bacione (glie lo dà) e una buona notizia. Ho ceduto il ritratto... della scimmia... al mezzano imbroglione, che lo venderà, per conto suo, come quadro di Morelli o di non so chi; e questa cessione mi ha messo in grado di tappar la bocca al padrone di casa e di versare nella cassa del nostro amore l'ingente somma di cinquanta sette lire e cinquanta centesimi. Ecco qua. (Mette il danaro sul tavolino.) Siamo ricchi, perbacco! L'età dell'oro è cominciata!
(dissimulando lo spasimo dell'anima nell'asprezza eccessiva) E per tua madre?
(imbarazzato) Ci ho il resto.
Mentisci.
Clelia, perchè questo tono così acre? Se pure mentissi, non dovresti tu rimproverarmene....
Il tuo primo dovere è di soccorrere tua madre.
Hai ragione.
Io non debbo tollerare che quella povera signora malaticcia mi sia sacrificata... Riprendi quel danaro.
(guardandola in faccia, riprende lentamente il danaro e lo intasca.) Ma tu hai qualche cosa contro di me.
(con voce buona e commossa) Contro di te.... No, Mario mio. No! no! (Frenando la commozione e quasi con accento severo) Ma il fatto è che, per causa mia, tu trascuri la tua arte, trascuri la tua mamma....
Avanti... Continua... (Fissandole negli occhi uno sguardo intenso) Continua....
(rabbrividendo) Mario, non guardarmi così....
Ma perchè non continui?...
... Mi fai paura....
Paura?...
Non guardarmi così.... (Impaurita, retrocede.)
(scattando disperatamente) Ah! perdio! Non c'è più dubbio, tu hai deciso di lasciarmi!
(sempre più tremebonda, con voce soffocata) Mario... Mario, non battermi, non farmi del male..., non sputarmi in faccia,... non dirmi niente.... Ti spiegherò tutto,... ti spiegherò tutto... Ora non so parlarti.... Ti scriverò.... Sii ragionevole.... Pietà di me.... Ti scriverò.... Sono una creatura debole.... Non battermi, no, non battermi... (Retrocede e si rincantuccia in atto di preghiera.)
(fremendo, si è trattenuto a stento, ed ora le si accosta molto vicino, e, con voce soffocata, le dice in faccia:) Sgualdrina!
Mario....
Sgualdrina!
Non chiamarmi «sgualdrina»!
Lo hai trovato l'imbecille che ti paga bene....
Taci....
E dimmi che non è vero.... Dimmelo! Dimmelo!... (Quasi lasciandosi vincere dalla speranza e dalla tenerezza) Clelia, te ne scongiuro, dimmi che mi sono ingannato, dimmi che son pazzo e che mi amerai sempre....
(guardando con la coda dell'occhio la porta a destra, spingendolo paurosamente lontano da questa e fiatando appena) Ti amerò sempre, non amerò che te, sarò soltanto tua, sempre; ma vattene.
Mi scacci?
(supplichevole) Vattene....
(al colmo dello sdegno) Ah!... Orribile! Orribile!... E giacchè tu mi scacci, io non ho più nulla da sapere. (Prende il cappello. — Ha un ultimo barlume di speranza) Clelia?... Addio?... (Aspetta invano; e, prima di uscire, le torna a dire con violento disprezzo:) Sgualdrina! (Esce.)
(va fino alla porta di scala. Trafitta, avvilita, indietreggia un po' e, singhiozzando, cade sulla sedia.)
CLELIA, ANGIOLINA, CARSANTI.
(facendo capolino) Finalmente! (Poi, rivolgendosi indietro a Carsanti che è ancora dentro) Signor Carsanti, che fate lì impalato?
(uscendo pallido, emozionato).... Sono qui.
Con che faccia!...
(indicando Clelia) Piange....
Capirete....
(s'accosta a Clelia e le carezza i capelli) Su, su,... signora Clelia, non piangete così.
(con un piccolo grido felino) Non mi toccate!
(sogghignando, s'allontana.)
(facendogli cenno d'essere indulgente) Meglio andar via, adesso.... (Lo tira pel soprabito.)
(presso la porta, chinandosi verso Clelia) A domani, eh?
(scoppia in un pianto più forte e dirotto.)
Boudoir grazioso, pieno di mazzi di fiori. Due porte laterali. Una gran porta a due battenti, in fondo. Una finestra chiusa. Un pianoforte, un sofà, una scrivanietta, mobili civettuoli, ninnoli dappertutto. Un tavolino con su un servizio da liquori, cui mancano due bicchierini. Presso il sofà, una seggiola, sulla quale sono posati appunto i due piccoli bicchieri, una grossa scatola di sigarette e un portafiammiferi d'argento.
CLELIA, MARIO, TERESA.
(Mario è sdraiato, svogliatamente, sopra il sofà. Ha in bocca una sigaretta spenta. Clelia, in abito elegante, gli sta accanto, seduta sopra uno sgabelletto tappezzato, col viso rivolto a lui.)
Vuoi accendere?
Sì.
(prende il portafiammiferi, accende un cerino e lo porge a Mario, che vorrebbe servirsene da sè, ma ella glielo impedisce. Egli vi accosta la sigaretta, indi fuma, mandando in aria grosse boccate.)
(comparendo sotto l'arco dell'uscio in fondo) Avete chiamato, signora?
Sì. Porta via questi bicchierini e quei liquori.
Avete fatto bene a ricordarvene. (Eseguendo l'ordine) L'altra sera, il signore trovò i due bicchierini sulla sedia. Stette zitto con voi, ma poi, il giorno dopo, mi oppresse di domande che mi pareva un giudice... come si dice... un giudice... distruttore. Io dissi che era venuta a trovarvi Gigetta, e che voi non glie l'avevate detto perchè quella lì dà le stoccate....
Metti a posto anche questa scatola di sigarette e questo portafiammiferi....
(pone l'una e l'altro sul tavolino, e s'avvia per andarsene con in mano il servizietto dei liquori.) Volete altro?
Fammi il piacere, Teresina, apri un po' quella finestra. Qui dentro, si soffoca: l'odore di questi fiori dà alla testa.
Mi dispiace, ma non posso servirvi: il pianerottolo sta proprio dirimpetto: non si sa mai che gente passa per le scale. E poi, lo stesso signor Carsanti, salendo all'improvviso, potrebbe vedervi. Ci volete compromettere?
Basta, Teresa, vattene. E ti prego di star bene all'erta.... Stasera, verrà, forse, più presto delle altre sere.
Teresina non ha bisogno di raccomandazioni: pensate a voi: oggi è la vostra festa: divertitevi, divertitevi.... (Esce dal fondo chiudendo con cura la porta.)
(dopo una lunga pausa) Mario! (Pausa.) Mario mio,... sei seccato, di', sei più seccato del solito? (Pausa.) Non mi dici nulla?
(infastidito) Clelia, fammi il favore di lasciarmi tranquillo.
(si alza sconfortata e gli parla dolcemente:) Mi tratti male.
Ma no.
Ogni giorno, ogni giorno peggio!
Ma no.
E non me ne fai capire neppure il perchè.
(volendo essere ancora prudente) Insomma, Clelia, tu non t'accorgi a quali torture mi sottoponi.
(schiettamente meravigliata) Io?!
Questo mistero continuo, questa complicità della serva, questo dovere che ho di nascondermi, di rimpicciolirmi, di fuggire, questa necessità terribile d'andar via paurosamente quando arriva il tuo signore, ti pare niente?
Dunque, tu sei pentito d'essere ritornato al mio amore?
Vi ritornai — e tu stessa ne sei convinta — pazzo di gioia. Sapesti così bene richiamarmi!... Dopo il gran dolore che avevo provato quando tu deliberasti di accettare... la protezione di costui, un sol dolore mi era parso più acerbo, più insopportabile: quello di vivere lontano da te. Ritornai.... Non sapevo ancora che cosa significasse appartenere a quella miserevole categoria di uomini che, a poco a poco, si preparano a ogni vergognosa transazione sotto la veste del così detto «amante del cuore»!
Mario... ma tu non fai nessuna transazione vergognosa.
Non lo so.... Ma certo, quando io esco da questa casa tutta elegante e profumata, mi pare di aver rubato. Io sento i brividi che deve sentire il ladro non ancora esperto.... E l'idea del furto consumato è inevitabile, perchè è intimamente legata al ricordo profondo del godimento. Tu dici che non faccio nessuna transazione vergognosa.... E perchè no? Tu non potevi vivere poveramente: va bene: (accalorandosi) sentivi il bisogno imperioso della ricchezza, o, almeno, dell'agiatezza. Ora, l'hai questa agiatezza: ma sono forse io che te la do, io, io, tuo amante? No. Te la dà un altro. È un altro che ti mette in condizione d'esser mia, ed io sono obbligato a lui... dell'amore che tu mi concedi. Ah! cara Clelia, la transazione è già avvenuta! E poi... vuoi comprendere meglio? Dimmi: (sempre più accalorandosi) se domani io ti chiedessi del denaro, tu... me lo daresti?
(con uno slancio di semplicità) Sì!
(tutto acceso) E ti sembrerebbe naturalissimo....
(come sopra) Sicuro!
(prorompendo con esasperazione) Lo vedi, lo vedi, ti sembrerebbe naturalissimo il farmi commettere una turpitudine: ecco che la tua sincerità mi valuta giustamente e dice, a me e a te, quel che sono diventato!
(annichilita, confusa) Mario mio, se ti ho offeso, senza avvedermene, te ne chiedo scusa. Io sono una donnetta, e... molte cose... non le intendo. (Pausa. Cambiando tono come per ragionare) Ma senti, non ti eccitare più, non esasperarti. Questa unione circondata di mistero, di paure e di sotterfugi ti riesce fastidiosa?... Ebbene, se... (timida) se rinunziassi a questa agiatezza che mi costa tante pene e che mi condanna all'enorme fatica della finzione, se facessi uno sforzo di volontà per vivere in pace economicamente, se tornassi a essere tua anche al cospetto del mondo?
Sarebbe troppo tardi.
(sentendo una trafittura al cuore) Ahi!
Se pure credessi al tuo sforzo di volontà, io non potrei essere per te lo stesso Mario di prima, perchè non potrei mai dimenticare che, dopo il bene che t'ho voluto così perfettamente, tu hai avuto il coraggio di... dividerti tra me e un altro! Clelia, pur troppo, i sensi perdonano meno del cuore.
(scoraggiata) No, no, Mario, t'inganni, t'inganni. Io non ti nego che tu pensi quel che è più verosimile, ma te l'ho giurato tante volte che sinora — e, del resto, non sono trascorsi che una ventina di giorni — ho potuto mettere a profitto la timidità di quell'uomo e mi sono salvata!...
Impossibile!
Ma non sei ancora convinto che io sarei fuggita da lui se non avessi stabilito — malvagiamente sì, lo confesso, malvagiamente — di sfruttarne l'amore cretino senza il sacrifizio della mia persona?
(sogghignando) Il sacrifizio!
Hai ragione. Hai ragione perchè non ho mai saputo dirti bene... quel che sono io. Che vuoi! C'è dei segreti nel principio della vita di certe creature che anche un'intimità come la nostra non permette di rivelare con chiarezza. Un pudore invincibile si oppone. Mario, la prima offesa mi fu fatta.... (con raccapriccio) da chi meno poteva esserne sospettato, quando io ero ancora una povera innocentuccia.... La nefandezza inaudita mi annientò.... Diventai impassibile come il marmo!... Nessuno, d'allora in poi, aveva saputo scuotermi, ridarmi il calore, la febbre, i nervi, la vita.... Tu, sì; e sei di me, adesso, padrone assoluto, unico, completo! Ho potuto disporre del mio corpo, come d'una cosa qualunque, finchè la mia impassibilità uguagliava e confondeva insieme tutti gli uomini; ma non ne posso più disporre ora, ora che nel tuo amore, e nel tuo amore soltanto, io risento di essere una donna. Ora... il ribrezzo per tutti gli altri uomini mi assale atrocemente (con una reminiscenza di terrore) come in quel giorno! Tu li hai soppressi, li hai soppressi tutti.... Io sono donna per te, per te: — per gli altri non sono più niente, neppure un oggetto vile da barattarsi.... M'intendi, Mario, m'intendi finalmente? T'accorgi che nella mia voce c'è una franchezza onesta che non ammette dubbi, che non merita sdegno? T'accorgi che così parla l'anima? che così parla la verità? Ma ascoltami bene; (scuotendolo affettuosissimamente) ma guardami bene negli occhi.... e dimmi: mi credi? mi credi? mi credi?
(aridamente) No.
Dio! Dio! Ma se tu guardassi dentro il mio segreto, comprenderesti come, pure essendo vissuta così orribilmente, io debba ribellarmi ora alla brutalità dell'uomo che non amo.
MARIO, CLELIA, TERESA.
(dietro la porta in fondo, tossisce forte, e batte all'uscio) Ohè, ci siamo, ci siamo....
(imbarazzata, s'affretta a ricomporsi, frenando la commozione da cui era invasa.)
(entrando e chiudendo presto la porta) Subito, sbrighiamoci. Il signore è per le scale coi suoi amici.... Ho già mandato il servitore a fargli i salamelecchi.
(convulsa, a Mario) Tu, un momentino in questo cantuccio. (Lo spinge in un angolo della stanza.) Abbi pazienza, Mario mio.... Quando Teresina t'avvertirà, te n'andrai, come al solito, pel corridoio.
(affaccendata, dando a Mario il cappello e il bastone) Ah! se non prendiamo una casa con due uscite, qui, una volta o l'altra, facciamo il patatrac!
(sempre in gran fretta, a Teresa) Taci, ora! (Poi a Mario, dandogli un bacio e guardandolo negli occhi) Ci vediamo domani?...
(abbassa lo sguardo.)
(perplessa) Mario, ci vediamo domani?
(stringendosi nelle spalle) Non so....
Come non sai?...
(Si ode dalla stanza contigua il vocío delle persone che arrivano.)
(impaziente, tirando Clelia verso il fondo) Vi vedrete, vi vedrete; ma, adesso, fuori! fuori!
(a Clelia) Va, va....
(apre la porta — e in quell'istante il vocío giunge più forte —; indi, ella, uscendo, la richiude. Si odono le sue parole dette vivacemente:) Oh! bravi! bravi! (E la sua voce si confonde con quella degli altri.)
TERESA, MARIO.
(resta attaccata alla porta tenendo fermi i battenti e accostando l'occhio alla serratura.)
(col viso arcigno, il cappello in testa, attraversa la stanza sulla punta dei piedi, siede presso una scrivanietta, e scrive qualche cosa.)
(sempre con l'occhio alla serratura, senza guardar Mario, col braccio gli fa cenno d'andarsene.)
(continua a scrivere.)
(voltandosi, gli dice, soffocatamente:) Che fate là?
(continua a scrivere.)
(Dalla stanza attigua, giungono queste parole, confusamente:)
— Sì, sì.
— Un po' per uno, stasera.
— A me, a me....
— Ah! Ah! Ah! Ah!
Ve n'andate, sì o no?
(consegnandole la lettera che ha scritta) Questa a Clelia.
Ma che significa ciò?
Che non ci torno più.
Siete matto! Volete farmela morire! Già, tanto, questa lettera io non glie la do, e domani farete la pace....
(Risuona di dentro uno scoppio di risa sguaiate.)
(irritato e disgustato, s'avvia verso la porta a sinistra: resta ancora un momento, guardando intorno, commosso e titubante. Ad un altro scoppio di risa, egli, risoluto, come se si liberasse finalmente da un incubo, se ne fugge.)
(guarda la lettera, e, dopo una breve esitazione, la lacera, e ne nasconde in tasca i pezzettini. Indi, tossendo forte, spalanca i due battenti dell'uscio in fondo.)
CLELIA, CARSANTI, il dottor FONSECA, MATURI, GIANNETTI, VERANI.
La stanza attigua è un salotto, splendido di specchi e di candele accese. — Entrano tutti, seguendo Clelia.
Venite, venite: qui si sta meglio, qui ho la mia poltrona favorita. (A Teresa, a parte) È andato?
Sì. (Esce.)
A proposito, io non vi ho ringraziati ancora pei bellissimi fiori. (Indicandoli) Come siete stati graziosi!
(protestano modestamente) Oh!
Dovere! Dovere!
Cioè, cioè... voi, Maturi, non m'avete mandato niente.
(che era rimasto indietro, si fa innanzi confuso) Niente, io?... È strano.... Mi pareva d'aver mandato....
Un pensiero gentile?... Mi basta.
(ridono.)
(con aria di protezione) Lasciatelo in pace il povero Maturi.
Piuttosto, vediamo un poco questi orecchini magnifici di cui l'amico Carsanti ci ha molto parlato. La commissione di vigilanza è sopra luogo e deve procedere alle debite osservazioni.
Sicuro, sicuro!
Ah, sì, gli orecchini che Gerardo mi ha regalati per la mia festa? Vedrete: sono una bellezza davvero!
(impettito, dice piano a Clelia) Ma non hai voluto farmi l'onore di metterli, stasera.
(carezzandolo lievemente) Hai ragione.... Scusami.... Intanto, sii buonino: valli a prendere tu stesso. Li troverai nel mio scrignetto, che è aperto, mi pare.
Fai male a lasciarlo aperto: è una imprudenza. (Esce a destra.)
(va subito dietro a Clelia e le dà un bacio sui capelli.)
(rimproverandolo scherzosamente) Verani! Verani!
(scusandosi) Eh! sui capelli....
Verani, voi avete una segreta sì, ma violenta passione per me.
Sì, è vero! È vero! È verissimo!
(ridendo) Ah! ah! ah!
Ma bada, Clelia, che io sono iscritto prima di lui.... Divento una belva se me lo fai passare innanzi!
Come c'entri tu! Tu sei medico, e i medici non sono....
Cosa non sono?
(rientrando con in mano gli orecchini) Non erano nello scrigno, cara Clelia. Ah, che testolina!
(circondandolo) Vediamo, vediamo.
(con ostentata modestia) Non c'è nulla di meraviglioso.
Corbezzoli!
Stupendi!
Perbacco!
Poche volte ho visti dei brillanti limpidi come questi.
Che acqua!...
(alle spalle di Carsanti, senza farsi udire da lui) Per darla a bere!
E notate la montatura.
Ci scommetto che non è lavoro napoletano.
Ma che napoletano!
(con servilismo lusingatore) Orecchini esteri! Si vede!
Vi costano un occhio!
Circa... sei mila lire!
Allora... due occhi!
Bisogna congratularsi (guardando Clelia) con chi li ha saputi meritare....
E con chi li ha saputi comprare!
Soprattutto, poi, con chi li ha saputi vendere!
(orgoglioso e sempre ostentando modestia) Ed ora fatemi il piacere di finirla. Vado a riporli, Clelia?
Sì, caro.
(Appena uscito, tutti si accostano a Clelia, pettegoleggiando e parlando sommessamente.)
Che brutta roba!
Comperati di seconda mano.
Ecco!
Cosuccia, sei certa che non sono falsi?
Linguacce!
(come vede rientrar Carsanti, esclama) Ah! splendidi! splendidi! Che acqua!
Basta! non mi seccate più!.... Ditemi, invece: avete sete?
A proposito di acqua?
Ma no. Stasera, Champagne. Che diamine!
Se si tratta di Champagne, tutti abbiamo sete!
Sitio! Sitio!
(tocca il bottone del campanello elettrico e va nella stanza vicina, in fondo, a parlare con Giacomo il servo.)
(gettando un sospiro canzonatorio) Verani, che avete?
(che è assorto, posando a sentimentale) Una giornata di spleen.
Se hai dormito tutto il santo giorno!
Sì, ma, dormendo, mi sono accorto che avevo lo spleen. (Languidamente, a Clelia) E anche voi, Clelia, stasera non siete di buon umore.
(con uno dei suoi soliti sforzi di dissimulazione) Perchè no? Anzi! Suoniamo, cantiamo, balliamo, se volete. (Si alza.) Non v'ho detto che da una settimana prendo lezione di pianoforte. (Va al piano e siede.) State a sentire che progressi. (Pesta violentemente la tastiera con un sol dito, principiando il motivo del Rigoletto: «La donna è mobile»; poi ripete le prime note accompagnandovi la voce) «La donna è un mobile....»
(sospirando) Ah! la donna — la donna che dico io — sarebbe per me tutt'altra cosa!
(rimproverandolo scherzosamente, come prima) Verani! Verani!
Non sospirare.
Per chi sospira, Verani?
Per me, per me. (Si alza dal piano.)
(vi si siede.)
(celiando, tira Verani per l'orecchio) Se ti permetti di sospirare per Clelia... (abbassa la voce, velenosamente scherzoso) non ti presto più danaro!
Ritiro il sospiro immediatamente!
(Entrano Giacomo portando in un vassoio due bottiglie di Champagne e i bicchieri a coppa, e Teresa, portando, in un altro vassoio, pasticcini e bonbons.)
(battendo le mani) Ecco lo Champagne!
(al pianoforte, accenna il motivo del brindisi della Cavalleria rusticana.)
Bravo Giannetti! Anche pianista.
Una volta, sonavo un poco.
(stura, intanto, le bottiglie, e quindi versa lo Champagne nei bicchieri, parlottando col servo.)
(a Giannetti) Continuate, continuate: il brindisi della Cavalleria rusticana mi piace.
(continua a sonare.)
E Carsanti lo canterà... (A Clelia) Voi già sapete che Carsanti canta....
Non rilevare queste velleità della prima giovinezza....
Cattivo! E non me ne avevi detto niente.
Va là, va là, non stare a sentire tutte le scioccherie che ti contano.... Offri da bere a questi signori.
(offre un bicchiere a Fonseca) Al primo iscritto. (Poi, a Giannetti, che cessa di sonare) A voi il vostro «vino spumeggiante». (Poi, a Maturi, che, appartato, con innanzi un mucchio di dolciumi, ne mangia avidamente) Buon appetito!
(con la bocca piena) No.... Stasera ho lo stomaco chiuso.
(offrendo un bicchiere a Verani, sospira burlescamente) A voi, Verani.
(insieme) E va bene! E va bene!
(prende un bicchiere e l'offre a Carsanti, che già ne ha uno in mano. Allora, contraccambiandosi uno sguardo grazioso, si scambiano i bicchieri, e se li toccano.)
(li circondano per toccare.)
(toccando i bicchieri di Clelia e di Carsanti) Alla vostra felicità!
(insieme) Grazie, grazie.
Su, su, amici, un po' d'allegria.... Stasera vogliamo fare delle follìe!
Mi sottoscrivo. (Alzando il bicchiere) Hip! hip! hip!
(meno Maturi che è sempre intento a mangiare) Urrah!
(beve il bicchiere colmo, e impallidisce.)
Che hai?
Clelia!...
Oh!...
(mal sorreggendosi) Niente, niente.... (Tentando di sorridere e di celiare) Un po' di Margherita Gautier fa sempre un bell'effetto....
(a Carsanti) Hai del liquore anodino?
(abbandonandosi sulla poltrona) No... piuttosto dell'aceto inglese....
(vanno verso la stanza da letto a destra.)
(cavando di tasca l'ampollina) Ce n'ho io, ce n'ho io.... (Odora l'aceto inglese.)
Vuoi sbottonarti? Chiamiamo Teresa? (Le mette la mano sulla fronte.)
No, non è necessario. (Riavendosi) È passato.
(tastandole il polso) Sicuro... non è nulla....
Ci hai allarmati.
Scusami, Gerardo.
E intanto, vedi, ti sei versato lo Champagne sull'abito.
Via! Via! Andate là, voialtri: lasciate che io interroghi la mia cliente.... Anche tu, Carsanti, via!
Sì, sì, interroga. (S'allontanano.)
(profitta e ricomincia a mangiare.)
(a Fonseca) Veramente, è passato. Un lieve capogiro, sai, accompagnato da un po' di nausea qui.... (indicando lo stomaco) e da una stretta alla gola.
(abbassando molto la voce) Bambina: guardami in faccia. Non c'è proprio altro da dirmi?
(sorridendo tristamente) Oh! Che pensi, adesso!
(all'orecchio) Io gli annunzierei subito l'erede al trono!
(di scatto, con voce severa e soffocata) No, per carità, non scherzare su questo.
Sciocca! Sarebbe una fortuna per te.
Te ne scongiuro, taci.
(stringendosi nelle spalle, s'allontana.)
Ebbene?
Ebbene? Ebbene?
(umoristicamente) Sta a vedere che un medico deve mettere in piazza i mali dei suoi clienti.
(chiamandolo gentilmente) Gerardo, Gerardo, senti.
Io protesto! Noi siamo la commissione di vigilanza e dobbiamo essere informati di tutto.
(s'avvicina a Clelia.)
(si raggruppano a parte, cicalando tra loro.)
(piano a Carsanti) Fammi un favore: mandali via, non sto perfettamente bene.
Che figura mi fai fare? Li avevo invitati a passare la serata con noi. (Continuano a parlare.)
(in mezzo al gruppo) Diavolo, diavolo! Gli combinerebbe un marmocchio?
Di già!
Sarebbe un bel colpo!...
(Le parole di Giannetti, di Maturi e di Verani, appena si distinguono nel vocìo.)
(malcontento, a Clelia) Ti servirò. (Rivolgendosi agli amici.) Signori miei, io vi metto alla porta. Clelia non ha avuto il coraggio di dirvelo, ma ella ha bisogno di riposo.
Oh! ce ne andiamo subito.
Certamente.
(tuttora con la bocca piena) Quanto a me, senza cerimonie, se anche la signora ha bisogno di riposo, io posso restare benissimo.
Tu, senza cerimonie, verrai con noi, perchè senza cerimonie hai mangiato bene e bevuto meglio.
Non dicevo per questo....
Arrivederci, Cosuccia. (Dandole la mano furbescamente) Va a dormire, e... ci siamo intesi? Caro Carsanti....
Buona notte.
Buona notte.
Voi non me ne volete, amici miei, eh?
Vi pare!
Verremo a vedervi al più presto possibile.
(a Carsanti che li accompagna verso la porta) Non t'incomodare....
(in tono lievemente canzonatorio) Resta tu, resta tu....
Ma che! Lasciate almeno che io vi metta alla porta con tutti gli onori.
(insieme, un po' sogghignando) Grazie, grazie!... Maturi, e tu?
Eccomi. (S'inchina a Clelia.)
(un po' in disparte, a Maturi) Ohè, domani mattina, avverti Narducci che io gli mando l'usciere....
S'intende bene. (E raggiunge gli altri.)
CARSANTI e CLELIA, poi GIACOMO.
(si avvicina affettuosamente) Se ne sono andati. Sei contenta?
(dolce) Sì.
E come ti senti?
Molto meglio. (Gli dà la mano con cordialità.) Buona notte, amico mio.
(meravigliato) Mandi via anche me!
(con cortesia fredda) No... Resta, se vuoi. Anzi, mi fai piacere. Credevo che tu volessi andartene. (Pausa.) Io me ne sto ancora un pochino qui, zitta zitta, rannicchiata sulla mia poltrona. Tu, parla. Raccontami qualche cosa.
(scoraggiato) Che vuoi che ti racconti? Niente che ti possa interessare! (Fa qualche passo su e giù per la stanza, indi siede lontano da Clelia. — Dopo una lunga pausa) Clelia....
Gerardo.
Sei tu soddisfatta di me?
Che domande!
Sei soddisfatta di me?
Ma più che soddisfatta....
Ti manca nulla?
Nulla.
Indovino ogni tuo desiderio?
È vero, è vero.
Lesino forse sulle spese?
O che! Sei così largo, così galante....
E... farò anche di più....
Ma io non permetterò mai che tu ecceda!
(va a sederle accanto) Compreremo, sai, la pariglia di sauri inglesi che vende Ebe Michel.... Ebe è in liquidazione. (Pausa.) Voglio che tu sii la più elegante di tutte. — Sei già la più carina.... (Le prende le mani.)
(sforzandosi di essere gentile, dice di no col capo.)
(con espansione timida) Sì, sì, la più carina... la sola che sappia ammaliare un uomo come me....
(si turba.)
(ne tiene sempre le mani e le serra fra le sue) ... perchè, tu lo vedi, io vicino a te divento un collegiale... un collegiale innamorato sino alle midolla, che si tormenta, che spasima e che....
Ahi, non mi stringere così.... Le tue mani sono di ferro....
(alzandosi e raffrenandosi) ... e che resta come uno sciocco alla prima resistenza!
(Lunga pausa. — Si alza lentamente.) Amico mio, non vi dispiaccia.... Me ne vado a letto: sono un poco stanca. Arrivederci, eh?
(sogghignando e concentrandosi in sè) Arrivederci....
(attraversa pian piano la stanza, andando verso destra. Quando sta per oltrepassare la soglia, Carsanti la chiama.)
(timidamente) Clelia....
(si volta.)
(supplichevole) Un bacio....
(con finta disinvoltura) Volentieri. (Come Carsanti le cinge la vita col braccio, ella si stecchisce, e sfiora appena con le labbra il volto di lui, con evidente sforzo.)
(la bacia con paurosa tenerezza, poi, carezzandole i capelli) Sei molto stanca?
Sì....
... Senti.... Tutto, tutto potrai ottenere da me! Abbi pietà! (L'abbraccia avidamente.)
(come presa da una paura invincibile, si svincola.) No! no! questo no! (Le si legge sul viso la sincerità della repulsione.)
(cerca reprimersi, ma poi, pallido di collera, scoppia.) Ah!... nessuna vergogna, nessun dolore può eguagliare il supplizio di vedersi respinto come questa femmina mi respinge!... Da venti giorni, io combatto con tutti i mezzi per piegarla, per conquistarla; da venti giorni, io la circondo di cure, di cortesie, d'affetto, io la colmo di denaro, di abiti, di gioielli... e lei mi sfugge, lei mi disprezza, lei mi offende concedendomi appena l'elemosina d'un bacio sdegnoso e mostrandomi sfacciatamente il suo disgusto, come se avesse oramai il diritto di succhiarmi il sangue per poi buttarmi via come un limone spremuto.
Calmati, Gerardo, te ne prego... non giudicarmi così.... Ricordati, ricordati bene a quale condizione io accondiscesi....
Condizione assurda!
(altera) Assurda o no, voi e la vostra mezzana, insidiandomi, me la faceste credere possibile, ed io l'accettai. (Cambiando subito tono — con accento umile e remissivo) Non dico che adesso voi abbiate torto; ma, via, non potrete negare d'avermi stranamente ingannata.... Sulle prime, m'avevate fatto supporre in voi un misto di generosità e di vanità, e io avevo creduto di potere essere da voi soccorsa non diventando... che la vostra vetrina. Pur troppo, non sono nuova alla vita: so che spesso noialtre creature frivole ed inette non siamo che l'insegna della maschilità e della vanità di chi ci prende in fitto. E questa idea, da cui tante donne si sentono offese, a me, invece, aveva sorriso. Ero più o meno colpevole delle altre? Non so. Diversa certamente: e questa è la vera causa di tutto ciò che accade. Diversa, sì, diversa.... E quando mi sono accorta di essermi lasciata ingannare, quando mi sono accorta dell'assurdità delle mie illusioni, ho tentato di abituarmi al pensiero d'essere veramente vostra; ho tentato di ridiventare come sono le altre, come sono stata anch'io; ma qualche cosa di misterioso e d'invincibile me lo ha impedito inesorabilmente! Ora comprendo d'essere stata un'egoista e peggio, comprendo che debbo chiedervi perdono; e ve lo chiedo umilmente, umilmente....
(commosso) No, non chiedermi perdono. Non voglio. Mi basta che tu sii pentita.... La tua umiltà (quasi stizzoso) mi molesta.... Non voglio che tu sii umile con me! (Diventando mellifluo) E poi... perchè chiedermi perdono? Tu non sai quello che fai.... Tu sei Cosuccia, non è vero? (ricominciando a carezzarla) ... la mia Cosuccia, e io desidero che tu non ti tormenti, che tu non sciupi con le sofferenze questo bel visino.... Io dimenticherò il male che mi hai fatto... io non oserò mai più di alzare la voce.... E tu, anche, sarai buona... sarai la mia amica... la mia compagna... la mia amante.... Sì? La mia amante?
(glacialmente solenne, scostandosi da lui) Amante, mai!
(acceso d'ira) Ah! vivaddio, ma io ti costringerò! (Sta per avventarsi su lei, afferrando una sedia.)
Bada: chiamo gente!... mi metto a gridare dalla finestra!
(trattenendosi) Non temete.... Non userò la violenza. Vi costringerò... (sinistramente) con tutta la cortesia che merita una pari vostra. (Poi imperiosamente) Scegli: o mi dici di sì, o io ti scaccio stasera stessa da questa casa!
(con esultanza pazza e baldanzosa) Ah! se non sai costringermi che così, io... sono salva!
(trepidante) Come!?
(trionfalmente) Me ne vado!
(sbalordito) Te ne vai?!...
(sempre più eccitata da una gioia mista di rabbia, va a dirgli sul muso) Sì, sì, me ne vado! Me ne vado! (Scoppia in una risata convulsa; indi, minacciosamente) Aspetta. (Corre nella sua camera da letto, uscendo dalla porta a destra.)
(resta fremendo, e passeggia concitato. È inferocito; ma dal suo volto traspare il desiderio vivo che ella non parta.)
(comparisce, rispettosamente, sotto l'arco della porta, in fondo.) Signore, posso spegnere i lumi?
(non si accorge di lui, e, assorto nei suoi pensieri angosciosi, si ferma presso un tavolino.)
(dopo avere aspettato invano la risposta, comincia, nella sala contigua, a rassettare i mobili e a spegnere i lumi. I battenti della porta sono tuttora spalancati.)
(risoluto, si precipita nella camera di Clelia.)
(grida di dentro:) No! Lasciatemi! Lasciatemi! Lasciatemi! (Poi, correndo, guardandosi indietro, avvolta in uno scialle, attraversa la stanza, ed esce per la porta a sinistra.)
(resta a spiare presso la porta, mezzo nascosto, attonito.)
Camera raccolta, modesta e pulita, senza tappeti, senza tappezzerie. Qualche poltrona di tela-pelle, altre suppellettili vecchie ma decenti. Una porta in fondo, una laterale. In un cantuccio, un piccolo cavalletto coperto, qualche tela, molti brandelli di stoffa, in disordine. Questo cantuccio è come il frammento d'uno studio di pittura. È sera. Sul davanti, una tavola tonda con un sostegno a tre piedi, coperta da un panno scuro. La tavola è illuminata da un vecchio ed alto lume ad olio con un gran cupolino di tela verde. Il resto della camera, nella penombra.
Signora RENZI, il signor BRAMBINI, don BARTOLOMEO, MARIO, BEATRICE.
Presso la tavola, giocano a dama la signora Renzi e il signor Brambini. Dall'altra parte della tavola, don Bartolomeo è intento a ricamare un paio di pantofole su un telaietto. Mario ha dinnanzi molti giornali spiegazzati. Ne ha uno in mano e lo legge. Beatrice, seduta presso di lui, ha dinnanzi un cestino da lavoro e nastri e pezzi di mussola, e, ascoltando, cuce.
Avete giocato?
Sissignora, ho mossa questa pedina.
Ah! va bene. (Giocando) Dama!
State a sentire, dunque: (continuando a leggere a voce alta:) «La polizia, sempre tardi come i carabinieri di Offenbach, accorreva, e i signori Negrotti andavano cercando le tracce del notturno visitatore e andavano constatando le conseguenze della visita. Ma tutto era a posto. Si entrò ansiosi nella camera della signorina Margherita, una fanciulla sui diciassette anni, e la si trovò convulsa e piangente.»
Dio mio, che era accaduto?
(a Brambini che ascolta il racconto invece di giocare) Tocca a voi, capitano.
Ma, quello lì mi stordisce con la sua lettura.
(continuando:) «La fanciulla, sulle prime disse di avere udito un rumore e d'aver sospettato che un ladro si fosse intromesso in casa. Ma la finestra della camera era aperta; e la poverina, piangendo dirottamente, confessò....» (Impappinandosi per l'imbarazzo, interrompe la lettura.)
«Piangendo dirottamente»?... Che confessò?
Che confessò?
Avanti, avanti.... Andiamo....
(mettendosi subito il giornale in tasca) Niente, niente, don Bartolomeo.
Uhm! Ci avete lasciati sul più bello.
Proprio!
Ma che! Non ne valeva la pena: scempiaggini!
(a Brambini) Benedetto Dio, ora spero che baderete ai casi vostri.
Aspettate.... Adesso, vi faccio una mossa magistrale, da quel vecchio capitano che sono.
(dando a tenere un lembo di mussola a Mario) Volete?
Sì, volentieri.
(taglia la mussola accuratamente.)
(gettando uno sguardo alla scacchiera) Eh! eh! la vostra tattica, capitano, è quella di quarant'anni fa.
(a Mario, alzandogli la mano) Un po' più su.... Bravo, così. (Poi gli dà a tenere un altro lembo di mussola, per tagliarla.)
(a Bartolomeo, in tono canzonatorio) Che cosa lavorate, don Bartolomeo?
Un paio di pantofole, a servirvi.
Ebbene, pensate alle vostre pantofole, voi!
Io soffio, mangio e faccio un'altra dama.
Da quel vecchio capitano che siete, vi fate battere, se non vado errato. Veramente, da buon capitano borbonico, dovreste piuttosto capitolare.
(un po' sul serio) Meglio capitolare che tradire, maestro mio.... (Giocando) Faccio anch'io dama.
Troppo tardi!
(a Beatrice, gentilmente) Basta?
(togliendogli di mano la mussola) Sì, basta. Grazie.
Eh! sì, (riflettendo) troppo tardi...
Siete tardigrado, caro capitano.... Io, già, trattenuto sempre dai miei... sacri doveri di maestro di ballo, non ho mai fatto il soldato e tanto meno il comandante... Ho comandato, al più al più, qualche quadriglia, quando le quadriglie si comandavano... Ora non usa più... e le quadriglie si ballano a memoria... Ma, lasciamo andare... Volevo dire, a proposito della vostra lentezza, che se fossi stato un comandante, un pezzo grosso, insomma, nell'esercito, avrei introdotto nella milizia la scuola di ballo... (Gli altri ridono.) E c'è poco da ridere. Essa rende svelti, leggeri e veloci.
(canzonando) Scommetto che avreste introdotto nella milizia anche una scuola di ricamo.
E perchè no?... Con l'avvenire non si scherza.... Io, per esempio, ora che non trovo più da lavorare coi piedi — perchè al giorno d'oggi tutti sanno ballare sin dalla nascita — lavoro con le mani.
(vantandosi e facendo l'ultima mossa) Mi dispiace, ma ho vinto io!
E si capisce!... Mi fanno distrarre maledettamente: quello lì col giornale, quest'altro col ballo e col diavolo che se lo porti!... Ma, adesso, la pace, veh! Una partita seria e mi ci metto di puntiglio.
Sì, sì, il signor don Bartolomeo è pregato di tacere....
(alzandosi) E io, intanto, vado a fare due passi e a fumare un sigaro. (Affettuoso) Voi, Beatrice, non avete più bisogno di me?
Bisogno, no...
(dandole la mano) Allora, permettete?
(graziosamente) Permettiamo.
(a lei) Se non vi ritrovo qui al mio ritorno, vi rivedrò certamente prima che andiate a letto: è vero?
Ah! la solita cantatina dell'ultim'ora?
Ma stasera la vogliamo allegra, la cantatina.
Vi obbedirò.
Buona sera, capitano. Buona sera, don Bartolomeo. Vi raccomando: zitto, lasciateli giocare. (Alla signora Renzi) Mamma, vuoi che comperi le pasticche per questa notte?
Ma se non ho più tosse.
Sarà sempre meglio averne in casa. Arrivederci, mamma. (Via dal fondo.)
Signora RENZI, BRAMBINI, BEATRICE, BARTOLOMEO.
(dopo aver aggiustato le pedine) Ci siamo.
Ci siamo. (Sta per giocare.)
Oh! scusate, la prima mossa spetta a me.
Non gli date quartiere, signora Maria.
(con uno sguardo di rimprovero, a Bartolomeo) Be'?...
(chiudendosi le labbra con le dita, borbotta.) Vado a sedermi lontano. (Si alza.) Se resto qua, tanto, io mi conosco, alla tentazione di parlare, non ci resisto. (Va a posare il telaietto sopra un piccolo tavolino molto distante dalla tavola. Canticchiando la mazurca del Ballo in maschera, cava di tasca un mozzicone di stearica e lo accende.) Taran, taran, taran, taran, tarèra... (Fa colare un po' di cera sul tavolino, e, sulla cera colata, mette il mozzicone acceso. Indi, ricomincia a lavorare.) Oh! benissimo! Ciascuno per sè e Dio per tutti.... Taran, taran, taran, taran, tarèra... (Pausa) Silenzio generale. (Brontolando:) Il momento è solenne: le sorti della patria sono in pericolo.
(assorto nel gioco) A vele gonfie!
(che, cucendo, si è interessata alla partita e ha guardato la scacchiera dietro le spalle della signora Renzi, avverte a un tratto:) Attenta, attenta, signora Renzi!... Dovete soffiare.
Bella prodezza! Due contro uno!... E tu, birichina, (celiando) ti metti a combattere tuo nonno? Vattene di lì!
Venitevene qua anche voi, signorina Beatrice. Lasciate che il nonno perda tranquillamente quest'altra partita.
E voi possiate perdere la lingua!
Sì, maestro, ora me ne vengo da voi per non cadere in contravvenzione. (Si alza e, portando seco il lavoro, va a sedere accanto a don Bartolomeo.) Santa pazienza!
Oh! si respira!...
(a Beatrice) Vicino a me, vicino a me. Parliamo un po' di cose gravi.
Cose gravi non ce n'è.
Uhm! (Abbassando la voce) Come va la faccenda?
Quale?
(furbescamente) Quella del cuore.... Il frutto mi sembra maturo: coglietelo a tempo.
(compiaciuta) Non vi comprendo.
Eh! non tante storie! Che gli volete bene, se ne accorgono anche i muri.
(sospirando) E se pure ciò fosse vero, a che basterebbe?
Andate là. Anche lui c'è entrato, oramai. Vi dico che il frutto è maturo. Io me ne intendo. Bisogna fare in modo che egli si decida, ecco. Volete che, con garbo, glie ne parli io?
Per amor di Dio, non fate questo!
(che, più del capitano, è vicina a Beatrice e a don Bartolomeo, ode qualche parola, e vorrebbe udir meglio.)
Che male ci sarebbe? Anzi! Un amico comune è la persona più adatta a stringere, come suol dirsi, i sacchi.
No, don Bartolomeo, no! no! Io tremo al solo pensarci.
(alla signora che si distrae per udire) Ma ora siete voi che vi distraete.
(a Beatrice) Tremare! Nientemeno che tremare?
(accalorandosi) Sicuro! Si trema quando si sta per sentire la parola che deve dare tutto o togliere tutto!
(ha udito, ed esclama senza volerlo:) Cara!
Avete detto?
Niente! Giocate.
Io ho giocato e ho fatto dama; ma voi... dove avete la testa?
Via, non vi arrabbiate. (Giocando e parlando piano) Vi dirò poi un'altra volta dove ho la testa, e sono certa che mi assolverete.
Provvisoriamente, vi mangio due pedine e vado avanti.
(a Bartolomeo) Vi siete ammutolito?
Mi sono ammutolito perchè con voi non c'è mezzo di spiegarsi.... Dovreste intendere che se don Bartolomeo parla, ne ha le sue buone ragioni. (Quasi all'orecchio di lei) Insomma... insomma, stamane, il signor Mario è venuto su, da me, a farsi prestare, com'egli ha detto, un po' di sole per mettere non so che tinte a un suo bozzetto. Quaggiù, poveraccio, al primo piano, egli non ha altro sole che quello che gli mandate voi dalla finestrella dirimpetto....
(abbassa gli occhi e il capo, arrossendo.)
Inutile arrossire, adesso: rossore sprecato! Egli, dunque, è venuto da me, e mentre imbrattava una tela, io ho cominciato a stuzzicarlo: — «Signor Mario, se allo stesso piano vostro non abitassero quei due occhi che sapete, io vi proporrei uno scambio di case. Tanto, io, del sole non so che farmene, e, quanto a ballare e a ricamar pantofole, so farlo anche all'oscuro.»
(ascoltando acutamente) E lui?
Lui: — «Non vi preoccupate, don Bartolomeo: quelli lì, vicini o lontani, nessuno me li porta via.»
Ah?
«E se io, signor Mario, volessi farvi la concorrenza?» — scherzavo, capite?
Capisco!
Per tutta risposta mi ha azzeccata una pennellata di biacca sul naso. (Si tocca il naso come per constatare il fatto.)
(giocando) Povera Signora Maria, è bell'e spacciata!
Ma io gli ho detto: — «Ohè, badate, giovinotto, di non far troppo il gradasso. Io ho un vantaggio su voi.» «Quale?» — m'ha domandato. Ed io, subito: «Le ragazze cercano il marito! il marito!, e appunto io, (eccitandosi) mi voglio ammogliare.»
Bravo! E lui? lui?
Lui mi si è accostato affettuosamente e mi ha fatto: «Vecchio volpone, so che mi siete affezionato e m'accorgo che volete scandagliarmi a fin di bene.» E, con la voce un po' commossa, m'ha soggiunto: «Don Bartolomeo, gli uomini non sentono veramente il bisogno di prender moglie che quando hanno trovata la donna che amano forse non più delle altre, ma... meglio delle altre.»
(ansiosissima) E allora?
(emozionato) Allora, s'intende, io ho arrischiata la domanda decisiva: «E voi — gli ho detto — l'avete trovata, questa donna?»
(inebriandosi del gioco) Caricat'arm!
(perplessa) Che ha risposto?
(mal riuscendo a frenare la voce vibrante di tenerezza) Perbacco, signorina Beatrice, la sua bocca ha taciuto, ma i suoi occhi, per quanto è vero Dio, m'hanno detto di sì!
(levando un po' la voce nello slancio della gioia) Ah, don Bartolomeo, vi abbraccerei!
(ha udito le ultime parole di don Bartolomeo, e, presa da una gioconda commozione, prorompendo simultaneamente allo slancio di Beatrice, esclama:) Ma sì, ho perduto, capitano, ho perduto.... Mangiatevi quest'altre pedine, e non se ne parli più! (Alzandosi e ridendo) Ah! ah! ah! Che battaglia! Che battaglia!
Che trionfo!
Sì, che trionfo! (Cambiando tono, a Don Bartolomeo) E voi, maestro, che avete borbottato sinora? Che avete fatto da meritare — almeno, così m'è parso d'udire — il desiderio d'un abbraccio?
Che ho fatto? Un bel mestiere, signora Maria, un bel mestiere!
Beatrice, che ora è?
(guarda il suo orologetto.)
(piano alla signora Renzi) Le ho parlato d'amore...
(avvicinandosi a Brambini) Nonno, sono le nove e mezzo. (Resta presso di lui, aggiustandogli il soprabito.)
(in disparte, a don Bartolomeo, celiando) Le avete parlato d'amore! Con quel viso e con quegli anni?
(tristemente) Eppure, il cuore non domanda permesso al viso nè agli anni quando vuole voler bene... Ah, signora Maria, quante cose ridicole sono molto serie!...
(stringendogli la mano) Siete un brav'uomo!
Sicchè, io vi lascio.
Per me è ora canonica, e vi lascio anch'io. (Prende con una mano il telaietto e con l'altra la candela accesa.)
Di già?
Eh! stasera si lavora perchè siamo alla fine del mese.... Da trent'anni che sono amministratore del marchese Bonaldi, non ho mai cominciato un mese senza chiudere i conti di quello precedente.
(in un tono di declamazione umoristica) E, riconoscendo i vostri meriti, il marchese Bonaldi, un giorno o l'altro, vi otterrà dal vostro ex re la promozione a... generale borbonico.... al riposo!1.
Mi meraviglio che, come maestro di ballo, non siate ancora neppure commendatore!
Nonno, vorrei restare un pochino a far compagnia alla signora Renzi.
Resta, se vuoi.
(alla signora Renzi, salutando) Signora mia, buona notte! (A Beatrice) Signorina Beatrice,... cantatina allegrissima, stasera! Io, lassù, non la sento; ma, tanto, (mostrando la candela) mi rassegno anche a questo.
Buona notte! buona notte!
Buon lavoro, capitano!... Arrivederci, don Bartolomeo.
(presso la porta, caricatamente) Passi, generale...
Prego, commendatore.... Prima lei.
(passando altezzosamente) Grazie!
(Brambini e don Bartolomeo vanno via, e la signora Renzi e Beatrice li accompagnano sino alla porta che s'apre sul pianerottolo, continuando a scambiar con essi saluti e celie.)
Signora RENZI e BEATRICE.
(chiudendo la porta, quasi tra sè) Buone persone! (Va a sedersi su una poltrona distante dalla tavola.) Che ti diceva don Bartolomeo?
(imbarazzata) Mi raccontava... degli aneddoti.
(affettuosamente) Bugia!
(vergognandosi) Avete, dunque, udito.... (Si nasconde il viso tra le mani.)
(interrompendola) Nulla di cui tu debba arrossire dinanzi a me. Bambina! È tanto tempo che il mio pensiero e il tuo s'incontrano nello stesso voto, ed è tanto tempo che io sono la tua migliore alleata.... Vieni, vieni qui, povero angelo!...
(va a inginocchiarsi accanto a lei, infantilmente.)
(carezzandola) Non temere.... Il nostro sogno, ne ho fede, si realizzerà. Vedrai. Già, Mario, a poco a poco, è diventato un altro.... Da quando ritornò da quel piccolo viaggio misterioso — ti ricordi? — l'ho visto sempre più dolce, sempre più sereno, e da qualche mese — oh! io lo comprendo meglio che non possa comprendersi egli stesso — da qualche mese non pensa che a te. E come ci pensa! Ma nè io nè tu gli additeremo la via della felicità. Egli la troverà da sè. La sua natura va verso il bene soltanto se è libera d'andare dove vuole. Nessuna esortazione, nessun consiglio. Sul suo spirito non si può influire che tacendo e aspettando. Io non gli ho mai espressi i miei desiderii, egli ha finito sempre col soddisfarli.
(dolcemente) Io v'imiterò, signora.
E sarà egli stesso che verrà a te; sarà egli stesso che si sentirà attratto da ciò che è ancora il meglio che si possa fare su questo mondo: vivere onestamente con la persona che si ama e da cui si è amati. Perchè... tu l'ami molto, non è vero?
(con grande soavità) Tanto!... Tanto!
(abbracciandola e baciandola con affettuosità profonda) Che tu sii benedetta, figlia mia! (Restano abbracciate, commosse. Indi la signora Renzi abbandona, lentamente, il capo sulla spalliera.)
(alzandosi e rimettendosi dall'emozione) Siete un poco stanca?
(sbadigliando) Non ancora. Adesso che ho fatta la pace con la buona salute, non mi stanco più così presto. Ringiovanisco, sai.
Allora, volete che vi legga una pagina del vostro libro favorito?
No, Beatrice. Ho la mente piena di cose belle. Per questa sera non voglio metterci dentro più nulla: sto tanto bene così! Piuttosto, (sbadigliando) bella mia, mi fai il piacere di rassettare un poco lassù. (Indica la tavola — Il tappeto è sconvolto e ingombro di pedine, di mussola, di tela a brandelli, di giornali gualciti e del lavoro di Beatrice.)
Subito. (Va a rassettare.) Uh! che disordine! Ma qui si vede che la maggior colpevole sono stata io. Che cenciaiola! (Ripone nella cesta i brandelli e nei cassettini della scacchiera le pedine.) Rimettiamo nel quartiere i soldati con cui il nonno deve vincere le battaglie.... Suona la ritirata: a letto, a letto. Bravi, così! — Ed ecco i giornali del signor Mario. (Li piega.) Quello lì che contiene la strana storiella... lo ha conservato lui. (Ricordando) Povera ragazza: chissà che cosa le era accaduto! Il signor Mario ha detto che non valeva la pena di saperlo.... Pure, sarei curiosa.... Signora Renzi, ci avete capito niente, voi?
(a poco a poco si è addormentata.)
(Pausa) Dorme. (Ripiglia un giornale e lo appiccica con uno spillo al paralume, affinchè la luce non importuni la dormiente. — Si ode picchiare.) Eccolo. (Apre.)
CLELIA, BEATRICE, Signora RENZI.
(indossa una povera veste grigia, e ha il capo avvolto in uno scialle. Resta di là dalla soglia. Ha la voce umile e tremante.) Vorrei parlare alla signora Renzi.
È lì che dorme. Adesso è tardi. Non potrebbe favorire domani?
(guardando Beatrice con intensità intuitiva) Domani? Si, ma alla stessa ora, perchè, veda, signorina, ho un bambino lassù, alla locanda, e non posso allontanarmene che quando una buona donna — un'operaia che è occupata tutto il giorno — viene a sostituirmi presso la culla. Se non le dispiace, aspetterò che la signora Renzi si svegli!
(fa un gesto di non sincera condiscendenza.)
(si avanza un poco.)
(in sogno, mormora:) Beatrice....
(con mitezza estrema) Mi pare che si stia svegliando....
(guardando la signora Renzi) No. Credo che parli in sogno.
(mormora ancora:) Mario.... Figli miei....
(trasalisce.)
Sì, parla in sogno....
(come in un sussulto di gioia, si sveglia) Beatrice... dove sei?
Eccomi....
(si ritrae.)
C'è qui una donna che desidera parlarvi.
Dov'è? (Voltandosi e, vedendo Clelia, ne ha un'impressione quasi di paura) Che!
(sempre mite) Mi conoscete?
Vi conosco. (Si alza.)
Supponevo, pur troppo, d'essere da voi conosciuta di nome, ma....
(di scatto) Oh! come credevate che io avessi potuto non vedervi mai? E poi.... (Non continua, per la presenza di Beatrice, di cui si preoccupa.) Beatrice, non trattenerti più a lungo.... Vattene dal nonno.
(piano alla Signora) Voi siete così turbata....
T'inganni....
Ma questa donna?
È... la figliuola d'un amico del mio povero marito.... M'avevano detto che era morta... ed è naturale che il vederla m'abbia un po' scossa.... Vattene, dunque, senza preoccupazione; vattene.
(mal volentieri) Vado.... Buona notte. (Allontanandosi saluta col capo Clelia. — Si guardano scambievolmente con penosa curiosità. — Beatrice esce.)
(segue Beatrice sino alla soglia; poi, quando sta per chiudere la porta, si ferma, udendo che Mario sale le scale e che zufola.)
MARIO, CLELIA, Signora RENZI.
(dalle scale, gaio) Signorina Beatrice, salutiamoci, almeno.
(La signora Renzi e Clelia si scuotono e si scambiano un'occhiata.)
(la cui voce lontana si sente appena) Ero distratta, signor Mario. Vi pare....
(le sue parole si odono più da vicino) Va bene, vi perdoniamo.... Ma, cantatina allegra! (Ridendo) Ah! ah! ah! (Entra. Vedendo Clelia, ne ha come un senso di meraviglia e di terrore) Voi! (Indi, senza troppa durezza) Che fate qui? Che volete in casa di mia madre?
(a un tempo timida, supplichevole e altera) Lo so che una par mia non ha il diritto di metterci il piede; ma io ci sono entrata come si entra in chiesa — devotamente — per implorare una grazia.... Io speravo, e spero, di ottenerla da lei, da vostra madre, questa grazia.
(offesa) Da me quale grazia volete ottenere?
(senza avere il coraggio di dir subito la ragione della sua visita).... Che rendiate meno aspro verso di me... l'animo del vostro Mario.
(le volta le spalle, avviandosi — quasi fuggendo — verso la porta a destra.)
Restate, signora, ve ne scongiuro: io ho bisogno del vostro appoggio, e, per quanto ciò vi possa sembrare strano, io sento che me lo concederete.
(meravigliata) Il mio appoggio?!
Ma voi non sapete ancora che cosa debbo dire a vostro figlio.... Restate, signora, ascoltatemi.
No, no, no....
(severo) Lasciate stare mia madre. Vi ascolterò io.
(abbassa gli occhi mortificata.)
(con maggiore gentilezza) Vi ascolterò io.
(rivolge a Mario un lungo sguardo in cui è un'interrogazione e un ammonimento, ed esce a destra.)
CLELIA e MARIO.
(animata da un repentino coraggio, come se a un tratto avesse la coscienza d'un diritto) Ebbene, mi ascolterai tu! Avevo osato di venire in casa di tua madre e avevo chiesto di parlare a lei perchè, nonostante l'orrore che... in altri tempi... ho potuto destare in quella onesta signora, io adesso dovevo contare più sulla bontà del cuor suo che sulla sprezzante indifferenza del tuo. Sono dieci mesi, Mario, che ti chiamo, che ti cerco inutilmente; sono dieci lunghi terribili mesi che ti nascondi a me, che mi fuggi come se io fossi una femmina infame!
(freddo, ma in tono amichevole) Una volta che io avevo deciso di finirla, sarebbe stata un'imprudenza il rivederti. Quella sera,... la sera della tua festa... uscendo dalla casa dove quel Carsanti era il tuo signore, giurai di non entrarvi mai più. Il giorno dopo, potetti raggranellare un po' di denaro, affidai mia madre... a una giovinetta, a una nostra vicina, e partii, partii per non aver sùbito la tentazione di ritornare a te. Più tardi, quando fui obbligato a riunirmi con mia madre, resistetti alla tentazione. Me ne tormentai, non lo nego, ma vinsi, e mantenni il giuramento pel bene di tutti.
Pel mio bene anche!?
Sì. Ti lasciavo finalmente libera... libera di disporre, come meglio ti piacesse, della tua vita.
(scrollando il capo e sforzandosi di serbarsi tranquilla) Ma... tu sapevi che m'ero fatta scacciare da quell'uomo proprio la sera in cui ti vidi per l'ultima volta, senza sospettare menomamente il tuo abbandono. Di': tu lo sapevi:... io te l'avevo scritto.
(calmo) Me l'avevi scritto: lo sapevo.
E tu sapevi pure la ragione... la ragione per cui m'ero fatta scacciare. Io te l'avevo scritta.
(paziente) Me l'avevi scritta; ma io non t'avevo creduta.
Avrei dovuto, dunque, quella sera stessa, dopo la scena disgustevole, piombarti addosso come se avessi preteso qualche cosa da te, come se avessi voluto vantarmi del mio eroismo, come se avessi voluto chiedertene il premio?... È questo, forse, che avrei dovuto fare?
Sarebbe stato inutile: non ti avrei creduta.
(rabbrividendo) Mario!... io ti comprendo: tu rispondi così per prepararmi a uno scetticismo anche più crudele. Tu hai già capito, non è vero?, perchè io abbia risoluto di bussare alla tua porta; tu hai già capito che io non sono tanto sciocca da voler tentare la riconquista del tuo cuore; Mario (afferrandogli le mani) tu lo hai già capito: io vengo a parlarti soltanto di nostro figlio!
(stringendosi nelle spalle, crudelmente) Nostro!
(con uno sforzo d'amarezza) Ah! l'avevo preveduto!
(Pausa. Con sforzo di pazienza) Insomma, Clelia, cerchiamo di abbreviare questo colloquio increscioso. Riassumi le tue idee, e dimmi con calma: da me tu che pretendi?
(Il dialogo diventa man mano concitato, febbrile, incalzante.)
Nulla pretendo. Io desidero, innanzi tutto, di convincerti che il mio bambino è tuo.
Non puoi convincermene.
Ma perchè non posso? Perchè? Pensaci bene, Mario: la nostra relazione non è rotta che da dieci mesi, e precisamente domani saranno passati due mesi — m'intendi? — da che il bambino m'è nato. Se anche tu, cinicamente, volessi fingere d'ignorare, se anche ignorassi davvero la miseria squallida che da quando mi lasciasti io ho preferito a ogni risorsa losca, a ogni mezzo consigliatomi dalla mia trista esperienza, a ogni utile transazione, non potresti negare ciò che le date, innegabili, ti accertano.
Le date sono contro di te.
Come!
Sino a dieci mesi fa, tu eri amante mia e di Carsanti.
Amante di lui, no!
Evvia!
Tu ricordi in che modo esclusivo io ti amavo.
Chiacchiere!...
Tu ricordi la singolarità della mia esistenza....
Chiacchiere che hanno fatto il loro tempo!
Eppure, ti è noto che se non avessi fidato nella rassegnazione di quell'uomo strano e vanitoso, io non mi sarei mai legata a lui dopo di averti conosciuto.
A me è noto solamente che a lui ti legasti.
Ma con quali speranze?!
Speranze inverosimili!
È vero....
Ne convieni.
Ne convengo perchè, difatti, ebbi a persuadermi che m'ero illusa....
E allora, che mi vai affastellando? Questa tale illusione svanì proprio quando diventasti veramente sua.
Ma appunto per non diventare veramente sua io mi feci scacciare da lui, di notte, come una serva ladra!
Non ti ho creduta quando me l'hai scritto, non ti credo ora, non ti crederò mai!
(con impeto di disperazione) Io, dunque, debbo rinunziare al sogno di ridare il padre al mio bambino, debbo rinunziare al sogno di assicurargli una guida, un avvenire, un nome?... Dio, Dio mio, aiutatemi voi, aiutatemi voi! (Pausa. Poi, prendendogli dolcemente le braccia, le mani, circondandolo amorosamente) Mario, ho tanto sofferto, e ho sofferto in pace, per mettere al mondo quel piccino che, pensavo, sarebbe stata la continuazione della parte migliore della mia vita. Ero sola, ero malata, accettavo il soccorso offertomi da qualcuna delle mie amiche d'una volta — domandane al dottor Fonseca — e ne arrossivo, mi umiliavo, sì, mi umiliavo; ma da una intima soddisfazione ero animata e confortata... perchè?... perchè sentivo nelle viscere il frutto, il tesoro del nostro amore!
(svincolandosi senza violenza) Clelia....
No, non aver paura.... Non saprei più sedurti... Sono diventata un cencio.... E non attraverso la mia persona ammiserita tu devi beneficare quel poverino.... No... la mia persona esiste già così poco e non vale più niente e non spera e non esige niente per sè, ed è disposta a ogni sacrifizio purchè egli sia salvato e salvato da te.
(dibattendosi tra due sentimenti opposti) Clelia, non parlarmi con tanta dolcezza....
E tu non forzare al cinismo la tua natura nobile.... Essa, me ne accorgo, non mi accusa di menzogna.... Mario, Mario mio, lasciati commuovere... cedi alla tua indole... liberami da queste pene atroci... dimmi che salverai il mio angelo, che lo accoglierai, che lo assisterai, che gli vorrai bene... che gli sarai padre. (Lo guarda ansiosamente e angosciosamente negli occhi.)
(che s'era commosso, torna ora ad avere sul viso l'espressione del fastidio e della rigidezza crudele.) No, no, non voglio, non posso!
(se ne sente schiacciata.) Ah!
Signora RENZI, MARIO e CLELIA.
(alle ultime parole di Mario comparisce, gravemente, nel vano della porta) Mario!
(simultaneamente)
Mamma....
Signora....
Io non so essere giudice fra voi due: sono una borghesuccia abituata alla vita casalinga; ma, fra tante cose che avete dette, una sola cosa m'è sembrata semplice ed importante: — c'è un innocente da salvare. (A Mario) Questa donna te ne attribuisce la paternità, e tu non hai fede nella parola di lei. Hai torto? hai ragione? Non monta. Ma io domando a te e ti prego di rispondermi in coscienza: sei tu poi sicuro — bada — sei proprio sicuro di non essere il padre di quel bambino?
(tace.)
Rispondimi.
... Non ne sono sicuro.
Come vedi, la quistione, per un uomo onesto, è risoluta. Tu, uomo onesto, sai che, soprattutto, non devi abbandonare una creaturina che forse è sangue tuo. Se quel bambino non è tuo figlio, tanto, avrai compiuta un'azione pietosa; se è davvero tuo figlio, avrai semplicemente adempito un dovere. C'è il dubbio? E il dubbio basta a crearti un obbligo sacro.
Voi siete giusta, signora.... Avevo ragione di contare sul vostro appoggio.
Sul mio appoggio, contateci; ma io conto sui vostri sacrifizii....
Quali?
Sui sacrifizii che voi stessa avete offerti.
Mi spaventate!...
E che? Sperate ancora un legame tra voi e Mario?
(subito) No!
Ebbene, se volete provvedere, veramente, sicuramente, all'avvenire del vostro figliuolo, voi dovete sacrificargli tutto.
(invasa dal terrore) Tutto... che cosa?
.... Povera donna... i vostri diritti di madre.
(con un grido di violenta ribellione) Impossibile! (Pausa. Poi, timidamente) Mi chiedete troppo, signora. Siete madre anche voi, è vero; sapete la prepotenza cieca di quell'egoismo sublime che è l'affetto materno, ma è naturale che non abbiate un'idea esatta di ciò che mi chiedete. Una santa, una virtuosa come voi, non conosce i misteri di queste esistenze per cui la virtù è una cosa molto confusa: (eccitandosi) ecco, ecco perchè voi non intendete che se in noialtre spostate l'affetto materno nasce, esso qualche volta può essere più tenace, più geloso, più prepotente, più cupido che nelle donne educate all'onestà. Che è mio figlio per me? Non so esprimervelo... non so esprimervelo con le parole. Certo, dai primi momenti della maternità, sentii che essa mi assorbiva tutta; e da quando egli è nato io non mi sono più accorta di esistere che... che per le sensazioni nuove, prodotte in me da quel piccolo essere. E mi proponete di vivere estranea a lui? Ve l'ho detto: è impossibile!... Ogni altra proposta, io l'accetterò; ogni altro sacrifizio mi sembrerà lieve.... Io non aspiro alla riabilitazione; io non aspiro neppure al rispetto compassionevole; io voglio soffrire la fame, io voglio piegarmi alle più umili fatiche, io voglio essere peggio d'una schiava: ma distaccarmi, per sempre, completamente da mio figlio, lasciarmi estirpare il cuore vivo vivo, rinunziare ai miei diritti di madre, no! no! è impossibile, è impossibile!... (È accasciata, esausta di forze.)
E non v'accorgete....
(interrompendola) Via, mamma, per ora tronchiamo....
(severa) No! Voglio andare sino in fondo una volta per sempre. (A Clelia) Non v'accorgete, povera donna (a Mario, che vorrebbe impedirle di continuare) — lasciami dire —... non v'accorgete che nei vostri proponimenti c'è una grave contraddizione? Voi volete che il vostro figliuolo diventi un uomo utile, un uomo d'onore, un uomo felice... e gli preparate lo spettacolo straziante e disonorante di una madre condannata dalle stesse leggi per le quali ora combattete. E che cosa dovrà dirgli di voi suo padre? E che gli direte voi stessa?... E quando questo figliuolo sarà un fanciullo, come affronterete la sua curiosità? E quando sarà un giovane forte ed altero, come affronterete il suo orgoglio? E quando avrà una coscienza per giudicare... come, come affronterete voi il suo giudizio? E quali gioie, quali conforti gli saranno serbati fra un padre e una madre che si disputano il suo cuore e che non hanno di comune nè la casa, nè il nome, nè l'onorabilità? Il suo animo, siatene certa, si alimenterà di rancore, e verrà un giorno in cui egli potrà rimproverarvi persino (solenne e insinuante) di averlo messo al mondo....
(disfatta, senza fiato) Basta... basta.... Lo so che avete ragione.... Io mi sono ribellata, ma alla mia ribellione, ve ne prego, non ci credete.... Adesso non ho più la forza di pensare... e di rassicurarvi.... Ma, qui, qui, nel cervello, un solo, un solo pensiero resta certamente limpido, fermo, immutabile: salvarlo, salvarlo a qualunque costo! Io, io ho la responsabilità della sua vita... perchè avrei potuto (convulsa, lagrimando) avrei potuto... come fanno tante... anche talune di quelle che si lasciano credere oneste... sì, sì, avrei potuto annientare, distruggere la maternità nel suo primo momento; e non lo feci. Il delitto mostruoso sarebbe stato per me un dovere.... Non volli, non volli..., chi sa, forse non per virtù... ma per egoismo.... (Si sorregge a un tavolino.) Ed ora... non parlate più... Sono persuasa... In fondo n'ero convinta anche prima che parlaste.... Mio figlio non deve conoscermi?... E non mi conoscerà!... Me ne andrò lontano assai....
(la soccorrono.)
... lontano assai.... Oh! non dubitate.... Lo farò.... Lo farò....
Una squallida stanza di locanduccia. Un letto disadorno, basso, con accanto una culla napoletana, vuota. Un baule ai piedi del letto. Una tavola con su l'occorrente per scrivere. Poche altre misere suppellettili, tra cui un cassettone e un lavamani. Sopra il cassettone, un biberon, qualche fiala, uno specchietto, dei pettini. Sparsi qua e là, pannolini per bambini. Unica porta in fondo, ma non proprio nel mezzo. La porta s'apre in un corridoio angusto. Una finestra.
CLELIA, Signora RENZI, CARMELA, ANGIOLINA, FONSECA.
(Come s'alza la tela, si vede nel corridoio, presso la porta aperta, un gruppo così formato: Carmela, con in braccio un bambino avvoltolato negli scialli; Clelia, che, pallida e desolata, si aggrappa a Carmela e al bambino; Angiolina che cerca di staccarla da lui; la signora Renzi e il dottor Fonseca che la circondano premurosamente.)
(con voce rotta, stanca e singhiozzante) Figlio, figlio mio....
Coraggio... coraggio!... (È assai commossa anche lei e parla con dolcezza materna.)
(spasimando) Sì... mia buona signora, ne avrò, (bacia e ribacia il bambino) ... ne avrò.... Non vedete che sono forte?
Facciamo piano.... Meglio profittare adesso che il bambino dorme.
Coraggio... via... coraggio!...
Aspettate... aspettate... un altro poco....
Ma così non ve ne staccherete mai!
Aspettate... aspettate... per pietà.... Pensate che non lo bacerò mai più..., mai, mai più! (Continua a baciarlo.)
Ma sì, ma sì, lasciate che si sfoghi!
Addio, figlio mio... Addio, angioletto mio... Addio... addio.... E a voi, signora, grazie. (Le vorrebbe baciar la mano.)
(invece si stringe Clelia al petto) Qui... qui.... Voi non dovete ringraziarmi; voi.... (La parola le si rompe nella gola stretta dall'emozione.)
Grazie... grazie....
(Mentre la signora Renzi abbraccia e bacia Clelia, Carmela, col bambino, si allontana e sparisce.)
(si slancia per seguirlo.)
(la trattengono.)
(con uno sforzo, esce.)
(dà un grido disperato.) (Cade fra le braccia di Fonseca e di Angiolina, che la sostengono e l'adagiano sopra una sedia; indi, a poco a poco, rinviene.)
(dopo una lunga pausa, a Clelia) Sei stata un'eroina.
(appena col fiato) Vedrai....
Ho visto già abbastanza.... Nessuna madre, credi a me, seppe mai essere più nobilmente martire dell'amore materno.
Era necessario....
E sì.... Sei malata, non avevi neppure come nutrirlo.
E se anche lo avessi potuto nutrire!...
Già, già: intendo.... Almeno ora sai che sarà allevato in una famiglia per bene....
E Mario legittimerà il suo figliuolo.... La signora Renzi me l'ha promesso.... E anche io ho promesso qualche cosa. Dovrò... partire per sempre. E partirò. Egli non incontrerà mai sua madre. È tanto giusto che debba avvenire così! (Si abbatte, resta come impietrita, senza sguardo.)
(chiamandola) Clelia... Clelia....
(non l'ode.)
(mormorando:) Che depressione di nervi!
(tirando a sè per il soprabito il dottore) Dottore... «Partire» è una bella parola.... Ma come si fa a partire o a restare? Qui c'è bisogno di soldi....
(accingendosi a cavare di tasca il portamonete) Per ora, io posso....
Ma che!... Ce ne vogliono molti. Ci ho io la persona adatta.
Non c'è che dire, sei sempre la stessa.... (Si mette la mano sulla bocca.)
Ohe, non m'offendete!
Va' là che non t'offendo. Si sa, io faccio il medico e tu fai.... Basta, chi sarebbe questa persona?
E come? Non capite? Sempre lui, il signor Carsanti.
Ah?... Evviva la costanza!
Gli ho già parlato.... Mi aspetta nel caffè all'angolo della via.
Sei una gran donna!
Lo so.... Arrivederci.... Io vado.... Datele un po' di forza.... Ih! che razza di medico siete! (Via affaccendata.)
CLELIA e FONSECA.
(come se si svegliasse) Chi è là?
Son io.
Ah!... (Pausa) Dottore mio, se ti chiedessi una grazia?
Disponi di me, liberamente.
(parla come inebetita) Ebbene, senza perdere tempo, devi cercare Mario e rimettergli una lettera....
Per ricominciare da capo?!
No, non per ricominciare da capo. Tutt'altro! Ma prima di partire, voglio vederlo.
In ogni caso, non partirai certamente oggi....
Sì, oggi.
Se non hai neppure un soldo!
(sorridendo lugubremente) Chi te l'ha detto? (Pausa) Mi farai questo piacere?
Ma egli non verrà.
Verrà! Scriverò una parola che lo farà venire. Acconsenti? Di', di', acconsenti?
(acconsentendo volentieri) E va bene!
Ah! (Si leva, sfinita, va sino alla tavola, e, poi, mentre scrive in fretta poche parole, parla eccitandosi lievemente:) Sarà facile trovarlo a casa.... Qui scrivo l'indirizzo....
Conosco....
È vicinissimo.... Salendo le scale accanto alla chiesa, arriverai in due minuti....
Conosco....
S'intende che consegnerai la lettera nelle sue mani e che nessuno si deve accorgere di nulla. (Gli dà la lettera.)
Sta bene. (Scherzando un po', con tristezza) A un bell'ufficio adibisci il tuo medico....
I medici non debbono fare che del bene, e tu me ne farai.
(ricordando la decisione di Angiolina, s'imbarazza.) Senti... se quando viene Mario, qui c'è qualcuno....
Chi vuoi che ci sia?...
Non so.... Voglio dire che sarà meglio evitare che qualcuno lo veda con te in questa camera di locanda....
Nessuno lo vedrà...
Facciamo così.... Se ricevi, supponiamo, qualche visita —... sia anche quella strega di donn'Angiolina — tu baderai a mettere un panno al balcone affinchè egli aspetti che tu sii sola.... Intanto, io stesso lo avvertirò a voce.... Restiamo intesi?
Restiamo intesi, ma non ce ne sarà bisogno.
(andandosene) Arrivederci presto.
(malcontenta) Presto? (Con fine celia malinconica) Ma... i tuoi clienti stanno tutti benissimo?...
Ho capito!... Ritarderò un poco.
Non mi dai la mano?
Sì....
(stringendogli la mano prolungatamente) Stringi forte, forte....
Sì!... (Preso da un subitaneo timor panico) È strano: mi hai messo un brivido....
Vattene ora.... Corri. (Fonseca esce. Dopo un istante di concentrazione, ella, pallidissima, fragile, lenta, solenne, va fino al baule, e, con le spalle rivolte alla porta, ginocchioni, fruga in esso. Trova una boccettina e mormora:) Eccola! (La guarda con gli occhi fissi e spalancati. La mano che stringe la boccettina è tremante. Ella la contempla con evidente paura. Poi, diventa estatica, invasa dal pensiero della morte e del riposo.)
CLELIA, CARSANTI.
(con voce indistinta, di dentro) Permesso?
(ne ha come un urto alle spalle. Senza alzarsi, in un istante di volontà suprema, beve. Il suo viso esprime la sensazione del disgusto e del dolore. Pare che qualche cosa di gelidamente viscido le passi per le reni. Ella nasconde in tasca la boccettina. Tossisce lievemente. Indi, con voce tranquilla, dice:) Avanti.
(entra.)
(alzandosi e voltandosi) Voi!
Io.
Ah!... comprendo. Come al solito. Angiolina vi ha chiamato e voi venite... a soccorrermi. Ma c'è un equivoco, vedete: questa volta, non ho bisogno di nulla e di nessuno. (Comincia a soffrire nello stomaco, e dissimula.)
Le sventure non vi hanno mutata! Ma la vostra alterigia non mi ha mai fatto indietreggiare. Voi pensate, lo so, che io sono un uomo volgare. Orbene, sia! Sono appunto abituato a combattere con la volgarità dei miei mezzi contro l'alterigia altrui. Eppure, non vengo qui per combattere; vengo soltanto a ricordarvi che siete ancora tanto giovane e tanto bella....
(interrompendo) In altri termini, voi venite, tranquillamente, a ricordarmi che io sono ancora commerciabile. Vi ringrazio, perchè anche voi mi dimostrate così l'urgenza di risolvere un gran problema: l'avvenire di mio figlio....
(osservando le contrazioni del suo volto) Ma voi soffrite....
E io l'ho già risoluto....
(ansioso) Come?
(cava di tasca la boccettina: gliela mostra; si abbandona sulla tavola, piegandovi la testa appesantita.)
(afferra la boccettina, la guarda, e, inorridito, esclama:) Avvelenata! (Confuso, convulso, corre alla porta, gridando:) Ehi! qualcuno! qualcuno! Albergatore! Soccorso!... Soccorso!...
ALBERGATORE, CLELIA, CARSANTI.
(dal corridoio, senza mostrarsi) Che è questo chiasso?
Un medico! Presto: un medico!
(comparendo nel corridoio) Ma, insomma, che è accaduto?
Si è avvelenata... Non c'è tempo da perdere!... Custodite questa camera!... Non fate entrare nessuno!... Andrò io stesso!...
(trattenendolo con prudenza diffidente) Perdonate, signore, voi non vi muoverete di qua. Andrò io, andrò io... Provvederò io.... (Via.)
Ma sbrigatevi, per pietà, sbrigatevi.... (Torna subito a lei) Volete che v'adagi sul letto? (Sta per darle aiuto.)
(supplichevole, ma pur rivelando l'antico ribrezzo, come alla fine del primo atto, gli dice:) No, non mi toccate!... Ci vado da me. (Faticosamente, si accosta al letto, e vi si distende quasi di traverso, presa da vertigine.)
(rabbrividendo, mormora amaramente:) Sempre la stessa... sino all'ultimo!
(agitando le braccia) Questa culla... questa culla... Toglietemi dinanzi questa culla vuota....
CLELIA, MARIO, FONSECA, CARSANTI.
Non si può entrare, vi dico!
(di dentro) Siete matti!
Basta, signore! Indietro!
(ancora di dentro) Ma io sono il medico! Lasciatemi passare!
(prima di comparire) Clelia!
(scotendosi) Ah!... è lui! (Vorrebbe gridare per chiamarlo, e non può.)
(si slanciano nella camera, correndo verso il letto.)
(si ritrae in disparte, sinistramente.)
(aggrappandosi a Mario con uno sforzo disperato) Mario! Mario!
(la soccorre, le tasta i polsi, la fronte, lo stomaco.)
(Carsanti e Mario si scambiano un'occhiata di odio.)
(soffocando) Ho un fuoco... un fuoco qui dentro... (Si tocca la gola.) Avrei dovuto scegliere un'altra morte...
(raccapricciato) È terribile!
(cercando attorno urgentemente) Con che si è avvelenata?
(affrettandosi a consegnargli la boccettina del veleno) Ecco.
(la guarda e la odora appena) Perdio!... Nicotina!... Non arriveremo in tempo! (Esce a precipizio.)
(resta lontano dal letto, guardando sottocchi.)
(le convulsioni interiori e gli stringimenti della gola le spezzano la voce e le parole. Il torpore aumenta. Ella fa degli sforzi per udire e parlare.) L'hai visto l'angioletto... nostro?
Sì, l'ho visto.
Com'è bello!... Non dubiti più, ora?...
No.
(ha preso il cappello, e, rasentando il muro, camminando piano piano, come un'ombra, sta per dileguarsi.)
(chiamandolo sommessamente con un accento amicale) Carsanti, qua.
(le si avvicina un poco.)
Carsanti, in questo momento così grave, dite: sono mai stata veramente.... la vostra amante?
(con un tono di vergogna, di dolore e di rispetto) Mai!
(abbozzando un lugubre sorriso di trionfo) Grazie. (Pausa. — Poi, quasi affettuosamente) Addio, Carsanti.
(in uno strano misto di commozione e di avvilimento, sentendo di essere un estraneo, si allontanerà, mentre Mario e Clelia si scambieranno le ultime parole. Ma, giunto all'uscio e, apertolo, si fermerà come trattenuto da una forza magnetica e resterà presso lo stipite, fissandoli di sbieco.)
(rompe in singhiozzi) Ah! non morire... non morire, Clelia mia....
«Tua» hai detto?... Non è vero... Non m'hai voluta... (Parla in una specie di dormiveglia angoscioso, stentatamente, come se avesse la lingua paralizzata. Le sue parole sono interrotte da lievi singhiozzi spasmodici.) E io me ne parto come avevo promesso.... Egli, quando sarà grande,... non dovrà arrossire di... sua... madre... Soffoco.... (Le si offusca la vista, poi il bulbo degli occhi le biancheggia nelle orbite. — Lunga pausa) E tu sarai onesto, felice... con lei.... Sposala.... Dille... che... (le manca la voce)... che le raccomando... nostro... (Dopo un breve rantolo, s'irrigidisce, fra le braccia di Mario, morta.)
(la contempla atterrito, senza parlare.)
FONSECA, MARIO, CARSANTI.
(di dentro) Largo! Largo! (Entra con in mano qualche bottiglia e si precipita verso il letto.)
(Lo seguono e si affollano subito nel corridoio e sulla soglia qualche facchino, l'albergatore, due guardie e alcuni curiosi, urtandosi tra loro, mormorando, cianciando.)
(disperatamente, a Fonseca) Inutile!...
(come uno spettro, si avanza un poco per vederla.)
(simultaneamente, in fretta, va a chiudere l'uscio con violenza.)
FINE DEL DRAMMA.
[1] | L'attore potrà dire: «dal vostro ex re, che dall'altro mondo può fare anche dei miracoli, la promozione ecc. ecc.» Quando fu scritto questo dramma, viveva ancora Francesco II. |
*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK UNA DONNA ***