The Project Gutenberg eBook of Il Valdarno da Firenze al mare This ebook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this ebook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you will have to check the laws of the country where you are located before using this eBook. Title: Il Valdarno da Firenze al mare Author: Guido Carocci Release date: December 4, 2012 [eBook #41555] Language: Italian Credits: E-text prepared by Carlo Traverso, Barbara Magni, and the Online Distributed Proofreading Team (http://www.pgdp.net) from page images generously made available by Internet Archive (http://archive.org) *** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL VALDARNO DA FIRENZE AL MARE *** E-text prepared by Carlo Traverso, Barbara Magni, and the Online Distributed Proofreading Team (http://www.pgdp.net) from page images generously made available by Internet Archive (http://archive.org) Note: Project Gutenberg also has an HTML version of this file which includes the original 138 illustrations. See 41555-h.htm or 41555-h.zip: (https://www.gutenberg.org/cache/epub/41555/pg41555-images.html) or (https://www.gutenberg.org/files/41555/41555-h.zip) Images of the original pages are available through Internet Archive. See http://archive.org/details/ilvaldarnodafire20carouoft COLLEZIONE DI MONOGRAFIE ILLUSTRATE Serie Iª--ITALIA ARTISTICA 20. IL VALDARNO DA FIRENZE AL MARE * * * * * * Collezione di Monografie illustrate Serie ITALIA ARTISTICA DIRETTA DA CORRADO RICCI. Volumi pubblicati: 1. RAVENNA di CORRADO RICCI. V. Edizione, con 152 illus. 2. FERRARA e POMPOSA di GIUSEPPE AGNELLI. II. Edizione, con 94 illustrazioni. 3. VENEZIA di POMPEO MOLMENTI, con 132 illustrazioni. 4. GIRGENTI di SERAFINO ROCCO; da SEGESTA a SELINUNTE di ENRICO MAUCERI, con 101 illustrazioni. 5. LA REPUBBLICA DI SAN MARINO di CORRADO RICCI, con 94 illustrazioni. 6. URBINO di GIUSEPPE LIPPARINI, con 116 illustrazioni. 7. LA CAMPAGNA ROMANA di UGO FLERES, con 112 illus. 8. LE ISOLE DELLA LAGUNA VENETA di P. MOLMENTI E D. MANTOVANI, con 119 illustrazioni. 9. SIENA d'ART. JAHN RUSCONI, con 140 illustrazioni. 10. IL LAGO DI GARDA di GIUSEPPE SOLITRO, con 128 illus. 11. S. GIMIGNANO e CERTALDO di ROMUALDO PÀNTINI, con 128 illustrazioni. 12. PRATO di ENRICO CORRADINI; MONTEMURLO e CAMPI di G. A. BORGESE, con 122 illustrazioni. 13. GUBBIO di ARDUINO COLASANTI, con 114 illustrazioni. 14. COMACCHIO, ARGENTA E LE BOCCHE DEL PO di ANTONIO BELTRAMELLI, con 134 illustrazioni. 15. PERUGIA di R. A. GALLENGA STUART, con 169 illustraz. 16. PISA di I. B. SUPINO, con 147 illustrazioni. 17. VICENZA di GIUSEPPE PETTINÀ, con 147 illustrazioni. 18. VOLTERRA di CORRADO RICCI, con 166 illustrazioni. 19. PARMA di LAUDEDEO TESTI, con 130 illustrazioni. * * * * * * GUIDO CAROCCI IL VALDARNO DA FIRENZE AL MARE CON 138 ILLUSTRAZIONI BERGAMO ISTITUTO ITALIANO D'ARTI GRAFICHE--EDITORE 1906 TUTTI I DIRITTI RISERVATI Officine Istituto Italiano d'Arti Grafiche--Bergamo INDICE DEL TESTO Acciajuolo, _vedi_ Calcherelli 24 Agostino (S.) di Nicosia 129 Aguglione (Monte) 26 Ambrogiana 55 Andrea (S.) a Brozzi 21 Artimino 46 -- S. Leonardo 46 Avane 82 Badia di S. Savino 136 Badia a Settimo 27 Barbaricina 140 Benedetto (S.) a Settimo 135 Borgonuovo (Abbazia) 107 Brozzi--S. Martino 21 -- S. Andrea 21 -- S. Donnino 21 Brucianese 48 -- S. Maria a Lamole 48 Calcherelli o Acciajuolo 24 Calci 128 -- Pieve 128 -- S. Agostino di Nicosia 129 -- Certosa 129 Calcinaja 38 -- S. Stefano 38 Calcinaja presso Pontedera 119 Capraja 55 Caprona 128 -- S. Giulia 128 Cascina 133 -- Mura 133 -- Pieve di S. Maria 133 -- Madonna dell'Acqua 134 Cascine vecchie 140 Castello 14 Castel del Bosco 100 Castelfranco di sotto 108 -- Mura 110 -- S. Pietro 110 Castelmaggiore 129 Castel Pulci 26 Castelvecchio, _vedi_ Villa Sonnino. Cerreto-Guidi 104 -- Pieve di S. Leonardo 104 Certosa di Calci o di Pisa 129 Cigoli 98 Colombano (S.) a Settimo 34 Corazzano 98 -- S. Giovanni Battista 98 Cortenova 60 -- S. Maria 60 Cotone (castello) 84 Croce (S.) a Foce d'Arno 143 Croce (S.) in Fossabanda 138 Doccia 14 Donnino (S.) a Brozzi 21 Empoli 62 -- S. Andrea 68, 76 -- Pinacoteca 71 -- S. Agostino 76 -- Misericordia o Ss. Annunziata 77 -- Madonna del Pozzo 77 -- Porta Pisana 77 -- Palazzo Martelli 78 -- Rocca 78 -- Fontana 78 Fabbrica di Cigoli 98 Fibbiana 60 Fucecchio 106 -- Abbazia di Borgonuovo 107 -- S. Giov. Battista 107 -- Porta S. Andrea o di Castruccio 108 Gangalandi, _vedi_ Lastra a Signa 36 Giovanni (S.) al Gatano 110 Giuliano (S.) a Settimo 26 Gombo (S. Rossore) 144 Gonfolina 45 -- Masso delle Fate 45 Greve 24 Ippolito (Ss.) e Cassiano a Settimo 135 Jacopo (S.) a Orticaja 138 Lago di Fucecchio 108 Lamporecchio 102 -- Pieve di S. Stefano 102 -- Villa Rospigliosi 103 Larciano 103 Lastra a Signa o a Gangalandi 36 -- S. Maria 37 -- Spedale di S. Antonio 37 Lecceto--Ss. Jacopo e Filippo 40 Limite 59 Loggia (La)--Villa Torrigiani 25 Lorenzo (S.) a Settimo 32 Lucia (S.) alla Sala 21 Malmantile 40 Marcignana 82 Maria (S.) a Castagnolo 34 Maria (S.) del Fortino 97 Maria (S.) a Monte 110 -- S. Giov. Evangelista 111 Maria (S.) a Ripa 80 Maria (S.) in Selva 40 Marina di Pisa 146 Martino (S.) a Bronzi 21 Martino (S.) in Campo 48 Martino (S.) a Gangalandi 38 Martino (S.) alla Palma 25 Michele (S.) degli Scalzi 138 Miniato (S.) al Tedesco 84 -- Cattedrale 88 -- Conservatorio di S. Chiara 96 -- S. Domenico 89 -- S. Francesco 88 -- Ss. Jacopo e Lucia 89 -- Madonna di Loreto 95 -- S. Maria del Fortino 97 -- Palazzo Bonaparte 96 -- -- Borromei 96 -- -- Catanti 96 -- -- Comunale 94 -- -- Del Campana 96 -- -- Formichini 96 -- -- Salvadori 96 -- Rocca 86 Montalbano 58 -- Torre di S. Alluccio 58 -- S. Giusto 59 -- S. Baronto 59 Monte Bicchieri 98 Montecalvoli 112 Monte Cascioli 26 Monte Castello 59 Montecchio 112 Montefalcone 110 Monte Gufoni 52 Montelupo 48 -- S. Giov. Evangelista (Pieve) 51 -- S. Ippolito (Pieve) 51 Monte Morello 16 Monte Orlando 38 -- S. Michele 38 Monterappoli 83 -- S. Lorenzo 83 -- S. Giov. Evangelista (Pieve) 83 Montespertoli 60 Montopoli 99 -- S. Stefano 100 -- Conservatorio di S. Marta 100 Moro (S.) o S. Mauro 22 Orme (torrente) 60 Pagnana 82 Palaja 117 -- S. Andrea 117 -- Vecchia Pieve 117 Palazzo della Torre 41 Peretola 18 -- S. Maria 18 Petraja 14 Petriolo 20 -- S. Biagio 20 Pianezzole o Terrafino 82 Pietro (S.) a Ponti 22 Pineta di S. Rossore 140, 144 Poggio Adorno 110 Poggio alla Malva 48 -- S. Stefano 48 Ponte a Cappiano o delle Calle 108 Pontedera 113 -- Palazzo Pretorio 116 -- Ss. Jacopo e Filippo 116 Ponte a Greve 24 Ponte a Signa 41 Ponte a Stagno 36 Pontorme 61 -- S. Michele 61 Porto Pisano 144 Rifredi 14 Riottoli 82 Romano (S.) 100 Romolo (S.) a Settimo 34 Rossore (S.) 140, 144 -- Pineta 140, 144 -- Casino del Gombo 144 Rotta 100 Sala--S. Lucia 21 Sala Marzana 107 Sanminiatello 48 S. Savino 136 Santa Croce 108 -- S. Lorenzo 108 Scandicci 24 Selve--Chiesa e Villa 42 Sesto 14 Settimo--Badia 27 -- S. Colombano 34 -- S. Giuliano 26 -- S. Lorenzo 32 -- S. Romolo 34 Settimo presso Cascina 135 -- S. Benedetto 135 -- Ss. Ippolito e Cassiano 135 Signa 42, 43 -- Castello 44 -- S. Giov. Battista (Pieve) 44 -- S. Lorenzo 44 -- S. Maria in Castello 45 Spicchio, _vedi_ Villa Rospigliosi. Terrafino, _vedi_ Pianezzole. Torre 60 Torre del Marzocco 144 Uliveto 124 Verruca (monte) 118, 124 -- Badia di S. Michele 119 -- Rocca 118 Vico Pisano 119 -- Mura e torri 123, 124 -- Pieve 124 Villa Antinori 25 Villa di Luciano degli Antinori 48 Villa Rospigliosi detta lo Spicchio 103 Villa Sonnino 98 Villa Torrigiani alla Loggia 25 Vinci 101 -- Anchiano 102 -- S. Croce 102 -- Ss. Annunziata (oratorio) 102 -- Rocca 102 INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI Alvaro d'Evora: Tavola 139 Arno (L') prima di Montelupo 50 Badia a Settimo--Antico ingresso 25 -- Ciborio 29 -- Facciata e campanile 27 -- Reliquiarii 30 -- Tinaja 26 -- Tribuna e altare maggiore 28 Badia di S. Savino--Esterno 134 -- Interno 135 Botticelli: Madonna col Bambino e Santi 53 Botticini Francesco di Giovanni: Angeli 65 -- Quadro in tavola 14 -- (?): Sette angeli che suonano 69 -- (?): L'Annunciazione 67 Calci--Chiesa di S. Giovanni 125 -- Chiostro grande della Certosa 127 -- Prospetto della Certosa 126 -- Veduta del torrente Zambra col ponte vecchio 124 Caprona--Chiesa di S. Giulia 123 Cascina--Chiesa della Madonna dell'Acqua 130 -- Interno della pieve di S. Maria 129 -- Panorama 128 Castelfranco di Sotto--statua di S. Pietro 110 -- Torre delle campane 109 Castello di Calcherelli o dell'Acciajuolo presso il ponte a Greve 19 Castello di Montebicchieri presso S. Miniato 96 Castello di Monte Gufoni in val di Pesa 57 Cerreto-Guidi--Chiesa di S. Leonardo--Fonte battesimale 104 -- -- Nascita di S. Giovanni Battista (particolare del fonte battesimale) 105 -- Panorama dall'oratorio di S. Liberata 103 Chiesa di Lecceto--Interno 39 Chiesa di S. Andrea a Brozzi--Affreschi 15 -- Cristo in croce 16 -- Quadro in tavola di Francesco di Giovanni Botticini 14 -- Trittico della fine del XIV secolo 13 Chiesa di S. Croce a Fossabanda--Tavola di Alvaro d'Evora 139 Chiesa di S. Giusto sul monte Albano 58-59 Chiesa di S. Martino a Gangalandi--Cappella del Battistero 35 -- Tavola del XV secolo 42 -- Tribuna e altare maggiore 36 Chimenti: La Concezione 81 Cigoli--Tabernacolo nella chiesa di S. Giov. Battista 97 Della Robbia: Dossale d'altare 82 -- Dossale d'altare con la Vergine e Santi 70 -- Dossale d'altare con S. Anselmo e Santi 71 -- Madonna col Figlio 72 -- S. Lucia 79 Della Robbia Giov.: Annunciazione 90 -- Fonte battesimale 104 Della Robbia Luca: Ciborio 10 Donatello (Scuola di): Ciborio 29 Empoli--Battistero--Particolare del fonte battesimale 78 -- Pietà 73 -- Cappella della Misericordia in S. Stefano--L'Annunciazione 75 -- Chiesa alla Madonna del Pozzo o di Fuori 76 -- Chiesa di S. Maria a Ripa--Dossale d'altare 82 -- -- La Concezione 81 -- -- La Vergine in gloria 80 -- -- S. Lucia 79 -- Facciata della Collegiata di S. Andrea 62 -- Galleria della Collegiata--Angeli nel dossale d'altare 65 -- -- Dossale d'altare 64 -- -- Dossale d'altare con la Vergine e Santi 70 -- -- Dossale d'altare con S. Anselmo e Santi 71 -- -- Dossale d'altare del XV secolo 63 -- -- L'Annunciazione 67 -- -- Madonna col Figlio 69, 72 -- -- Madonna e Santi 66 -- -- Pila 74 -- -- S. Biagio 68 -- -- Sette angeli che suonano 69 -- Porta Pisana 77 Firenze: Palazzo Vecchio--Espugnazione del castello d'Empoli 61 Fucecchio--Panorama 106 -- Porta di S. Andrea 107 Genova: Raccolta del Palazzo Bianco--Scoltura del 1290 rappresentante il Porto Pisano 146 Ghirlandajo (Scuola del): Tavola 95 Lastra a Signa--Antico spedale di S. Antonio 33 -- Mura del castello 31 -- Porta Fiorentina 32 Lamporecchio--Villa Rospigliosi 102 Malmantile--Chiesa di S. Pietro in Selva--Affresco sopra la porta 38 -- Il castello e il borgo 37 Marina di Pisa--Foce dell'Arno 145 -- Una veduta 143 Masolino da Panicale: Pietà 73 Masso delle Fate o della Golfolina 47 Mino da Fiesole: Madonna col Figlio 69 Monaco Lorenzo: Madonna e Santi 66 Montelupo 51 -- Castello dell'Ambrogiana 56 -- Chiesa di S. Giovanni Evangelista--Madonna col Bambino e Santi 53 Montopoli--La rocca 98 Palaja--Chiesa plebana di S. Martino 116 -- Pieve vecchia di S. Martino vista da tergo 117 Paolino (Fra) da Pistoja (?): L'Annunciazione 101 Peretola--Chiesa di S. Maria--Ciborio di Luca Della Robbia 10 -- Chiostro della chiesa di S. Maria 11 Pesello: Cristo in croce 15 Pieve di S. Ippolito in val di Pesa presso Montelupo 52 -- Ciborio del XV secolo 55 Pieve di S. Martino a Brozzi--Fonte battesimale 12 Pisa: Camposanto vecchio--Porto Pisano 9 Ponte a Greve lungo la via Pisana 19 Ponte a Signa 46 -- Interno del Palazzo della Torre 40 -- Villa delle Selve 41 Pontedera 115 -- Palazzo Pretorio 114 Pontorme presso Empoli--Via Jacopo Carrucci 60 Rosselli Domenico da Rovezzano: Fonte battesimale 112 Rossellino Bernardo: L'Annunciazione 75 Rossello di Jacopo Franchi: Tavole 86 Settimo--Chiesa di S. Benedetto--Paliotto 113 -- Pieve di S. Cassiano 131 -- -- Architrave della porta principale 132 -- -- Architrave di una porta laterale 133 -- Pieve di S. Giuliano--Madonna dei Fiori (bassorilievo quattrocentesco) 24 -- -- Parte tergale 23 Signa--Panorama 43 -- Chiesa di S. Lorenzo--Pergamo 44 -- Pieve di S. Giovanni Battista--Fonte battesimale 45 Sogliani Giov. Ant.: La Vergine in gloria 80 S. Maria a Monte--Fonte battesimale 112 -- Pergamo nella chiesa di S. Giovanni Evangelista 111 S. Martino alla Palma 20 -- Ciborio 21 S. Michele degli Scalzi presso Pisa--Facciata e campanile 136 -- Busto del Redentore 138 -- Particolare della porta 137 S. Miniato, dalla chiesa di S. Pietro alle Fonti 83 -- Cappella del Loretino--Altare 93 -- Cappella del Fortino--Tavola della scuola del Ghirlandajo 95 -- Cattedrale 84 -- -- Frammento dell'antico pulpito 85 -- Chiesa di S. Domenico--Affresco e tavola del XV secolo 87 -- -- Annunciazione 90 -- -- Monumento a Giovanni Chellini 88 -- -- Tavola del XV secolo 89 -- -- Tavole di Rossello di Jacopo Franchi e affresco del XV secolo 86 -- Palazzo Grifoni 94 -- Sala del Consiglio nel Palazzo Comunale 91 S. Moro presso Signa--Bassorilievo robbiano nella chiesa di S. Mauro 17 -- Ciborio robbiano 18 S. Rossore--Gruppo di pini 140 -- Viale di pini 141 S. Stefano a Calcinaja--Affresco nell'atrio 34 Uliveto--Veduta generale 121 -- veduto dalla parte dell'Arno 122 Valdarno Inferiore--Monte della Verruca 118 Vasari: Espugnazione del castello d'Empoli 61 Veduta dell'Arno e del borgo di Brucianese 49 Vico Pisano--Antiche fortificazioni 120 -- Mura e rocca 119 Villa d'Artimino (da una stampa dello Zocchi) 48 Villa dell'Ambrogiana (idem) 57 Villa di Castel Pulci (idem) 22 Vinci--Oratorio della Ss. Annunziata--L'Annunciazione 101 Vinci--Panorami 99-100 [Illustrazione: PISA--CAMPOSANTO VECCHIO--PORTO PISANO. (Fot. Ist. d'Arti Grafiche).] Attraversata e divisa in due parti Firenze, liberato dalla stretta de' forti muraglioni che ne contengono e ne domano gl'impeti furiosi, «il fiumicel che nasce in Falterona» scorre dolcemente fra i greppi fioriti del parco meraviglioso delle Cascine e gli argini che difendono i piani feraci di Legnaja, e con capricciosi ed ampi serpeggiamenti si dirige verso la stretta gola della Golfolina, dove il Valdarno Fiorentino cede il posto e il nome al Valdarno Inferiore. E di qui, proseguendo il suo lento corso, erra in mezzo alle ampie pianure, carezza le pendici estreme de' poggi che ne fiancheggiano e ne chiudono l'ampia valle, per scender nel Tirreno, poco lungi da Pisa, fra la quiete de' boschi e delle praterie del Gombo e la gajezza della spiaggia arenosa, sulla quale una nuova stazione balneare distende oggi il suo vasto ed elegante caseggiato. Lungo questo percorso dell'Arno attraverso il cuore della Toscana, è una successione continua di paesaggi, ora resi solenni dalla solitudine, ora animati e lieti dalla dovizia infinita dei fabbricati. Ville suntuose che ricordano la magnificenza ed il fasto della opulenta corte Medicea e delle potenti famiglie che ebbero parte nelle vicende della nostra storia, vecchi castelli che evocano la memoria delle aspre fazioni e delle contese del medioevo, piccole città, terre popolose, lunghe borgate che, in piccole proporzioni, riassumono e riproducono gli avvenimenti storici e gli splendori artistici di Firenze e degli altri centri maggiori della Toscana, villaggi e casali che accolgono una popolazione vivace ed operosa, rispecchiano le loro masse pittoresche, la gajezza del loro colorito nelle acque limpide e calme dell'Arno, il fiume al quale poeti e letterati dedicarono versi e laudi riboccanti di gentili entusiasmi. In tempi remoti, quando le selve rivestivano i monti della sua valle superiore, l'Arno fu quasi l'unica via aperta alle comunicazioni ed ai commerci fra la spiaggia marina d'Alfea e la potente città di Fiesole, ai piedi della quale si costituiva rapidamente la colonia Romana che di Firenze ebbe nome. E più tardi, quando le solinghe e silvestri campagne vennero attraversate da strade, quando a piè dei forti e paurosi manieri de' potenti signori si formarono _mercatali_, borghi, villaggi, le rive del fiume e la sua valle divennero teatro di guerresche vicende, di fiere lotte delle fazioni, di scorrerie di milizie e d'innumerevoli avvenimenti che precedettero la costituzione dei due potenti stati di Firenze e di Pisa. [Illustrazione: PERETOLA--CHIESA DI S. MARIA--CIBORIO DI LUCA DELLA ROBBIA. (Fot. Alinari).] Firenze e Pisa, vinti e soggiogati i signorotti che tiranneggiavano sui poveri abitanti della campagna, che taglieggiavano i viandanti, affermata la rispettiva loro potenza colla costruzione di gagliarde rocche, si contesero a palmo a palmo l'ampio e fecondo territorio che si distendeva sulle due rive dell'Arno fra l'una e l'altra città. Nè furono soltanto le schiere delle milizie delle due repubbliche perpetuamente rivali che nei piani e sui colli del Valdarno sfogavano in sanguinose battaglie e in audaci scorrerie le ire loro; militi di altre repubbliche toscane, Lucca, Siena, S. Miniato, e gente mercenaria al soldo d'Imperatori, di Papi, di Signori di stati italiani e stranieri vennero pure a portar la strage e la desolazione in questi luoghi che la natura aveva deliziati col più lieto de' suoi sorrisi. Firenze e Pisa munirono il loro territorio di forti castelli, circondarono di mura i borghi aperti, sicchè la via che collegava le due città, non fu che un seguito di luoghi fortificati. Così pure Lucca e Pistoja proclamarono la loro preponderanza sui castelli posti sulla riva destra del fiume, mentre gl'Imperatori di Germania, dall'alto della rocca di S. Miniato, affermavano il loro dominio, confidato alle cure de' Vicarî. Trascorsero que' secoli paurosi, lasciando dovunque le tracce delle aspre lotte; cessarono, col sorgere della signoria Medicea che i gagliardi sentimenti di libertà seppe sopire col fasto e colla mollezza, le ragioni che i popoli tenevano gli uni contro gli altri armati, e il Valdarno vide cadere in rovina le inutili fortezze, rifiorire e fecondare i paesi tenuti già in ansie continue dalle ostilità incessanti, e la pace serena fece apparire ancor più mirabili le bellezze naturali di questa valle stupenda. Da Firenze a Pisa, la differenza di livello del letto dell'Arno non è che di 42 metri sopra un percorso di circa 94 chilometri; quindi il fiume ha debole la corrente, ma ha rapidi e bruschi dislivelli e in tempi normali forma in varie località della pianura degli specchi d'acqua, ampi, profondi, calmi, che acquistano l'aspetto e la vaghezza di altrettanti laghetti. La navigazione fluviale, possibile in certi periodi dell'anno, ebbe un giorno notevolissima importanza e per alcuni paesi posti sulla riva dell'Arno fu vera e propria fonte di prosperità. Dall'alta valle Casentinese scendevano di continuo delle specie di zattere che si dicevano _foderi_ formate di travi e di antenne ingegnosamente collegate insieme. Parte facevano sosta a Firenze ed i legnami venivano ammassati su quella piazza che per questa ragione appunto si diceva Piazza delle Travi; parte si spingevano fino a Pisa e per il breve tratto di mare o pei canali navigabili andavano a Livorno per servire alle costruzioni navali. [Illustrazione: PERETOLA--IL CHIOSTRO DELLA CHIESA DI S. MARIA (SEC. XV). (Fot. Alinari).] [Illustrazione: PIEVE DI S. MARTINO A BROZZI--FONTE BATTESIMALE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Da Livorno, da Pisa e da altri centri più importanti del Valdarno Inferiore risalivano il corso del fiume grosse barche colla carena piana a guisa di chiatte, trasportando terraglie, cristallami, materiali da costruzione ed ogni genere di mercanzie che scaricavano a Firenze e negli altri porticciuoli fluviali, senza contare che spesso accoglievano anche passeggieri, rassegnati ad affrontare la nojosa lunghezza di questa navigazione di carattere primitivo. Allora i mezzi di comunicazione non erano nè frequenti, nè facili, nè a buon mercato e chi aveva tempo da perdere e pochi denari da spendere, trovava che anche questo mezzo di trasporto offerto dai _becolini_, che costituivano una specie di flotta fluviale, non era del tutto disprezzabile. Anzi, a proposito di questo modo di viaggiare, tornano in mente i versi originali di un poeta bizzarro: Gran bella cosa è i viaggiar p'i mondo! Diceva un fiorentino tondo tondo Andato in navicello fino a Signa. L'Arno continuò a servire da comodo veicolo commerciale anche quando sulla strada postale Firenze-Pisa-Livorno passavano frequentemente corriere, diligenze e carri da trasporto, perchè colla barca si spendeva meno; ma la ferrovia, che una delle prime in Italia fu costruita lungo l'ampia vallata, segnò la fine di questa modesta navigazione, della quale non restano oggi che pochi ricordi nei navicelli che di tanto in tanto trasportano dei materiali da un villaggio all'altro, senza spingersi quasi mai fino a Firenze. Un'illustrazione, anche breve, di tutti i luoghi importanti che popolano la valle dell'Arno fra Firenze e il mare, un accenno anche fugace dei ricordi storici onde sono ricchi i paesi e i villaggi disseminati nei vasti piani e sulle pendici dei colli, un'indicazione pur sommaria delle suntuose ville della nobiltà toscana, delle opulente abbazie, delle vecchie chiese, quasi tutte doviziosamente ricche d'artistiche bellezze, varrebbe a fornire il materiale per diversi volumi riboccanti di notizie, densi di documenti e di descrizioni. Poche altre contrade potrebbero difatti al pari del Valdarno Inferiore accumulare tante memorie di avvenimenti svoltisi nel corso di secoli e al tempo stesso esser tanto ricche di stupendi e preziosi edifizi che il sentimento artistico in altri tempi, comune ad ogni casta sociale, abbellì ed allietò con profusione meravigliosa di opere d'arte. Dovremo perciò limitarci ad una rapida escursione nei luoghi attraversati dall'Arno, spingendoci brevemente anche nelle vallate minori, dove passano fiumi e torrenti che recano al maggior fiume toscano il tributo delle loro acque, soffermandoci specialmente dove più notevoli sono i ricordi storici da evocare, le tradizioni e le curiosità caratteristiche da raccogliere, dove maggiori sono le attrattive della natura e dell'arte, che il lettore potrà meglio apprezzare nell'ampio corredo di riproduzioni accurate e nitide che dànno una chiara ed efficace idea delle bellezze molteplici e varie del Valdarno Inferiore. [Illustrazione: CHIESA DI S. ANDREA A BROZZI--TRITTICO DELLA FINE DEL XIV SECOLO.] [Illustrazione: CHIESA DI S. ANDREA A BROZZI--QUADRO IN TAVOLA DI FRANCESCO DI GIOVANNI BOTTICINI. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] I. DA FIRENZE A SIGNA. Un'ampia pianura, in epoca remota squallida e palustre, oggi fertilissima, popolata d'innumerevoli paesi, sparsa di leggiadre case di villeggiatura, intersecata in ogni senso da una fitta rete di comode strade, si distende a ponente di Firenze, e in mezzo ad essa mollemente serpeggia l'Arno, mentre tutt'all'intorno le colline ubertose formano una gentile corona che ha per gemme i suntuosi palazzi campestri e le chiese dalle linee pure e gentili. Sulla destra riva del fiume, lungo i due grandi stradali che in senso differente percorrono i piani per ricollegarsi poi a Pistoja, corrono come due borghi interminabili di caseggiati che assumono i nomi diversi dalle antiche località e dalle vecchie chiese attorno alle quali si costituirono i primi centri. [Illustrazione: AFFRESCHI NELLA CHIESA DI S. ANDREA A BROZZI. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Lungo la via Pistojese, dopo Rifredi, divenuto ormai un sobborgo di Firenze e si potrebbe dir quasi il quartiere industriale fiorentino, vengono Castello, presso al quale primeggiano, fra una miriade di ville, le due splendide dimore Medicee ora patrimonio della Corona: Castello e Petraja, poi Sesto, ampio ed industrioso paese, reso celebre dalla vicina manifattura di porcellane di Doccia, fondata nel {016} 1740 dai Ginori, continuatori delle operose tradizioni della vecchia nobiltà fiorentina, e finalmente Calenzano, il pittoresco castello che guarda Prato e la fresca valle del torrente Marina. [Illustrazione: CHIESA DI S. ANDREA A BROZZI--PESELLO: CRISTO IN CROCE. (Fot. Alinari)] Dietro ai colli verdeggianti, a piè dei quali passa questa grande arteria, inalza la sua massa imponente _Monte Morello_, il più elevato fra i poggi che attorniano Firenze. Monte Morello, coperto un giorno di fitte selve, in mezzo alle quali si nascondevano romite chiesette, oggi distrutte o abbandonate, presenta la sua vetta arida e brulla come quella d'un vulcano, verso la quale i vecchi fiorentini rivolgono quotidianamente lo sguardo, quasi a trarne l'oroscopo del tempo. D'estate i riflessi rossastri delle balze riarse sono un indizio di gran caldo; d'inverno, invece, le nevi biancheggianti sull'alta cima denotano stagione rigida e ventosa, e quando le nubi si addensano avvolgendo e nascondendo il cocuzzolo della montagna, il buon fiorentino {018} aspetta rassegnato la pioggia, mormorando fra sè i versi strampalati d'un vecchio dettato: Quando Monte Morello mette il cappello Piglia l'ombrello! [Illustrazione: SAN MORO PRESSO SIGNA. BASSORILIEVO ROBBIANO NELLA CHIESA DI S. MAURO.] Fra la via Pistojese e l'altra via comunemente chiamata Lucchese, che segue più da vicino il corso dell'Arno, è un'immensa estensione di campi e di prati che han preso il posto di quei tristi e paludosi terreni, per sanare i quali, prima la Repubblica poi il governo Granducale profusero denari a piene mani. Sulla via Lucchese non è men fitto il caseggiato ed i borghi si succedono senza interruzione l'uno all'altro. PERETOLA, posto sulla sponda del Canale Macinante, scavato fin da tempo remoto per dar moto ad opifici e a mulini, è il primo di questi borghi nei quali l'industria dei lavori di paglia ha costantemente occupato la maggior parte della popolazione. [Illustrazione: S. MORO PRESSO SIGNA--CHIESA DI S. MAURO--CIBORIO ROBBIANO.] PERETOLA, donde venne a Firenze la famiglia del gran navigatore Amerigo Vespucci, è artisticamente importante per la sua chiesa di S. Maria, doviziosamente ricca di opere d'arte e restituita non sono molti anni alla elegante severità del suo antico aspetto. Sotto il portico esterno, l'affresco che rappresenta S. Antonio abate seduto in cattedra fra S. Jacopo apostolo e S. Egidio, è di Giusto d'Andrea di Giusto, seguace di Benozzo Gozzoli, che lo dipinse nel 1466. Altri affreschi sono in chiesa: lo sfondo di un altare a destra entrando, nel quale sono una storia di S. Leonardo e le Sante Caterina d'Alessandria e Lucia, venne fatto dipingere da Lionardo Buonafè a' primi del XVI secolo, quando era spedalingo a S. Maria Nuova: la lunetta colla figura di S. Zanobi è della fine del XIV secolo. Più interessanti sono le opere di scultura e prima d'ogni altra va ricordato lo stupendo ciborio o tabernacolo nel quale {020} sono magistralmente accozzati lavori di scultura in marmo, in terracotta invetriata e in bronzo. Esso fu fatto fare per la corsìa delle donne nello spedale di Santa Maria Nuova di Firenze tra il 1441 e il 1443 e l'artefice al quale venne commesso dallo spedalingo fu Luca Della Robbia. Basta questo nome soltanto per far rilevare l'importanza artistica di questo ciborio che dalla sua sede originaria venne trasferito nella chiesa di Peretola, allora di patronato di quello spedale. Altre sculture pregevolissime sono il fonte battesimale di Mino da Fiesole ed una pila, a proposito della quale si ha il ricordo del pagamento fattone nel 1446 a Francesco di Simone Ferrucci, cui si può molto ragionevolmente attribuire anche l'elegante ciborio marmoreo che serve ora di custodia per l'olio santo. [Illustrazione: PONTE A GREVE LUNGO LA VIA PISANA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche)] [Illustrazione: CASTELLO DI CALCHERELLI O DELL'ACCIAJUOLO PRESSO IL PONTE A GREVE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] [Illustrazione: S. MARTINO ALLA PALMA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Annesso alla chiesa di Peretola è un chiostro del XV secolo con colonne joniche, sulle quali poggia una tettoja di legname elegantemente scolpita e adorna di policromie originalissime, ciò che costituisce un esempio de' più rari e de' più pittoreschi dei cortili fiorentini de' primi di quel secolo. A PETRIOLO, il borgo che succede a quello di Peretola, la chiesa di S. Biagio ha sulla facciata caratteristici affreschi del XIV secolo, recentemente scoperti e riparati, e nell'interno una tavola della maniera di Fra Bartolommeo, deturpata dai restauri, ed un ciborio di marmo che ricorda il fare di Desiderio da Settignano. Tutte, in generale, le chiese di questa parte della pianura fiorentina sono di origine antichissima e conservano, oltre che parte della loro struttura primitiva, opere d'arte di notevole pregio e ricordi di insigni famiglie che vi ebbero diritti patronali, cappelle e sepolture. [Illustrazione: S. MARTINO ALLA PALMA--CIBORIO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] S. Martino a BROZZI, l'antica pieve della quale tutte queste chiese sono suffraganee, serba tracce della sua antica e severa costruzione del XI secolo e possiede diverse opere di scultura degne di ricordo, come il fonte battesimale di marmo, costituito di frammenti del primitivo fonte del XII secolo, riuniti e completati nel XVI, e due graziosi tabernacoli o ciborî ricchi d'ornati del XVI secolo. Più interessante è il corredo artistico della chiesa di S. Andrea a Brozzi che fu un giorno di patronato dei Mazzinghi. Più specialmente sono degni di ricordo: un affresco raffigurante la Vergine in trono col bambino Gesù ritto sulle ginocchia ed i Santi Sebastiano e Giuliano ai lati, opera di squisita fattura che può attribuirsi a Domenico Ghirlandajo, ed una grandiosa croce dipinta da Giuliano d'Arrego, detto il Pesello. A questi due dipinti meritevoli di figurare in una chiesa di maggiore importanza e degni di un museo, sono da aggiungersi: un'ancona d'altare coll'Annunciazione ed i Santi Eustachio e Antonio abate della maniera di Lorenzo Monaco; una tavola che si attribuisce a Francesco di Giovanni Botticini, colla Vergine, il putto, S. Sebastiano, S. Bartolomeo, S. Jacopo e S. Antonio abate fatta nel 148....; una lunetta coll'Eterno Padre che ricorda la vigoria di Alessio Baldovinetti; un affresco del XVI secolo colla figura di S. Alberto monaco e S. Sigismondo, indicati da una singolare iscrizione, il primo come _devoto della febre quotidiana e terzana_ ed il secondo _de la febre quartana_, allusioni queste alle febbri palustri che in que' tempi infestavano questa bassa pianura. Altre chiese vicine sono S. Lucia alla Sala che possiede due tabernacoletti della maniera di Giuliano da Majano, S. Donnino a Brozzi nella quale si conserva un'interessante ancona giottesca, S. Piero a Ponti che ha sulla porta una lunetta di Giovanni Della Robbia colle figure della Vergine, del bambino e degli apostoli Pietro e Paolo. Ultima fra le chiese di questo vasto piano ricorderemo quella di S. Mauro, volgarmente detta di S. Moro, nella quale sono da ammirarsi altre due di quelle opere robbiane che sono sparse con tanta profusione nelle chiese della Toscana: un bel dossale d'altare della maniera di Giovanni Della Robbia colla Vergine in trono, il bambino Gesù, due santi e due angeli volanti che sostengono una corona; un ciborio di squisita fattura con esuberante ricchezza d'adornamenti che può attribuirsi all'ultima maniera di Andrea Della Robbia. [Illustrazione: LA VILLA DI CASTEL PULCI (DA UNA STAMPA DELLO ZOCCHI). (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] San Moro è posto all'estrema base dei Colli di Signa, poco lungi dal fiume Bisenzio che va a deporre in Arno il tributo delle sue acque limacciose; nobilmente limacciose, sia lecito dire, perchè giungono alla foce dopo aver dato moto e vita ai numerosi opifici dell'industre città di Prato dove lavorano migliaja d'artefici. Sulla riva destra del Bisenzio è Signa, il popoloso paese, del quale parleremo dopo aver con eguale rapidità percorso il territorio situato sull'opposta riva dell'Arno. Sulla sponda sinistra dell'Arno, corre attraverso agli ampi piani e lambisce di tanto in tanto la base delle dolci colline che seguono parallelamente la linea del fiume, la via Pisana, ampia e comoda strada che fin da tempo remoto servì di comunicazione diretta fra Firenze e il mare. Per questa via passarono, per giungere a Firenze, Imperatori, Papi, Principi e Ambasciatori, accolti sul limitare della Porta di S. Frediano dai magistrati della Repubblica, circondati dal loro seguito suntuoso e lungo questa via si svolsero molti di quegli avvenimenti che sono scritti con caratteri di sangue nelle pagine della nostra storia. [Illustrazione: PIEVE DI S. GIULIANO A SETTIMO--LA PARTE TERGALE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] I piani che si stendono da questo lato fino alla confluenza del fiume Greve nell'Arno, sono celebri per la dovizia di ortaggi prosperosi che per tanti secoli servirono di gradito alimento alla popolazione fiorentina e che oggi forniscono i più lontani paesi de' loro lussureggianti prodotti. Difatti fin da' lontani tempi sono celebrati nelle tradizioni gastronomiche i deliziosi _poponi di S. Frediano_ ed i maestosi cavoli di Legnaja che oggi fan bella mostra sui mercati di Pietroburgo, di Berlino e di Londra. La via Pisana può considerarsi per il tratto di parecchi chilometri come un borgo, interrotto soltanto a piccoli tratti, tante sono le abitazioni che la fiancheggiano. Nei piani adiacenti sorgono fra la verzura dei campi vecchie e graziose chiesette che, se lo comportasse l'indole della nostra pubblicazione, meriterebbero tutte di essere illustrate per le loro storiche ricordanze, come per le opere d'arte che conservano. Colle chiese dovremmo pure ricordare le ville di remota costruzione nelle quali si svolse tanta parte della vita fastosa della società fiorentina. Ma procediamo oltre e soffermiamoci appena al _Ponte a Greve_, una singolare costruzione del XIV secolo a tre grandi archi di pietra che nel serraglio portano gli stemmi della Repubblica, mentre un vaghissimo tabernacolo di stile ogivale s'inalza da una delle sue pile e racchiude un bel fresco de' primi del XV secolo. [Illustrazione: MADONNA DEI FIORI--BASSORILIEVO QUATTROCENTESCO NELLA PIEVE DI S. GIULIANO A SETTIMO.] Poco lungi di qui, sulla riva stessa del fiume, che scende dalle alte poggiate del Chianti ricoperte di vigneti che producono in abbondanza i vini universalmente celebrati, è un fiorente villaggio di moderna origine, SCANDICCI, capoluogo di un vasto comune costituitosi coi territori di due delle 72 Leghe nelle quali era ripartito il contado fiorentino: Casellina e Torri. Oltrepassato il ponte, la via Pisana lascia alla sua sinistra un elegante e caratteristico castelletto, tuttora munito di due massicce torri, ornate di merli ghibellini: il castello di Calcherelli, chiamato più modernamente l'_Acciajuolo_, che fu dei Davizzi, la potente famiglia che ebbe in Firenze il severo palagio in Via Porta Rossa, passato dipoi nei Davanzati. Calcherelli, ch'è oggi una casa di fattoria, evoca il ricordo di un truce dramma che vi si svolse negli ultimi anni della libertà fiorentina. Neri di Piero Davizzi per odio contro la moglie che teneva quasi prigioniera in questo cupo maniero avito, le propinò il veleno, e siccome questo non agiva colla desiderata celerità, egli si rivolse a medici e poi ad un ciurmatore perchè gli dassero modo di raggiungere l'intento. Scoperto il delitto, il Davizzi fu condannato il 25 giugno del 1521 alla reclusione perpetua nei sotterranei del Maschio di Volterra; ma egli era nobile e potente, aveva altissime aderenze e poco tempo dopo potè ottenere che la pena gli fosse commutata nell'esilio da tutto il dominio fiorentino, al di là di cento miglia dai confini. Una piccola catena di deliziose colline che divide le valli della Greve, del Vingone e della Pesa si spinge colle sue pendici verso i piani ubertosi e vi s'interseca come le volute e i meandri di una trina e su quei colli, parte ridotti a coltura, parte coperti tuttora da verdi boscaglie, sorgono leggiadri villaggi, quiete chiesette, deliziosi palazzi di villeggiatura. Sopra ad una prominenza che domina il piano di Settimo, è la chiesa di S. Martino alla Palma dipendente un giorno de' Cistercensi di Badia a Settimo. Adornamento maggiore di questa chiesa è un grandioso ciborio marmoreo che serve oggi per conservar l'olio santo. È un delizioso e gentile lavoro di scultura ornamentale del più bel quattrocento fiorentino e porta inciso nella gocciola il nome di Donatello. Che quella firma sia autentica non si potrebbe garantire; ma si può invece affermare senza esitanza che l'opera è degna della fama del sommo maestro fiorentino. [Illustrazione: BADIA A SETTIMO--ANTICO INGRESSO.] Attorno a S. Martino alla Palma sorgono numerose e belle ville signorili, fra le quali vanno specialmente ricordate quella detta _La Loggia_ dei marchesi Torrigiani che conserva quasi intatta una sala nella quale Bernardino Poccetti con tutta la brillante leggiadria del suo colorito ritrasse il trionfo di Psiche, e la villa Antinori di Monte Aguglione che ricorda forse il luogo d'onde provenne quel Baldo, il _Villan d'Aguglione_, uno dei giudici che decretarono l'esilio dell'Alighieri. [Illustrazione: BADIA A SETTIMO--TINAJA.] Sulla vetta di un alto poggetto, un'altra villa, più modesta d'apparenza e dominata da una vecchia torre, ricorda il nome ed il luogo di un'antica rocca dei conti Cadolingi, _Monte Cascioli_. Quel castello, i cui signori davano molestia a' passanti ed al ristretto territorio della Repubblica Fiorentina, dette ragione ad una delle primitive imprese guerresche delle milizie fiorentine, le quali nel 1113, preso d'assalto il molesto fortilizio, ne uccisero i difensori e ne smantellarono le mura. Poco oltre, un grandioso edifizio che nel suo ampio prospetto rappresenta il tipo delle suntuose ville toscane del XVII secolo, apparisce a metà della pendice, in fondo ad un lungo ed ampio viale. È Castel Pulci, fortilizio un giorno di quella famiglia Pulci che dette alle lettere poeti gentili e che, dopo avere avuto in patria potenza grandissima, subì nelle lotte delle fazioni la sorte dei vinti. Il castello fu più tardi trasformato in palazzo, ricco di ogni comodità, dai marchesi Riccardi; oggi è una succursale del manicomio di Firenze. Giù nella pianura, spicca colla sua massa grandiosa e severa la chiesa di S. Giuliano a Settimo, una delle pievi più antiche del territorio fiorentino. Di lei si hanno memorie fin dal secolo VIII, mentre nel campanile si legge tuttora la data 1143. Della primitiva struttura conserva soltanto i fianchi ed il tergo; ogni altra parte fu raffazzonata ne' tempi moderni. Delle opere d'arte che, scampate alla dispersione, adornano ancora questa chiesa, la più interessante è un bassorilievo donatellesco in terracotta colorita che il popolo chiama per antica consuetudine la _Madonna dei fiori_. La Vergine, animata da un soave sentimento di dolcezza, vedesi di mezza figura seduta in atto di ammirare con materna compiacenza il putto leggiadro che le sta in grembo. Attorno al bassorilievo, che ricorda il fare del Rossellino, è un ricco festone scolpito in pietra. Di maggiore importanza per la sua antichità, per la sua storia, per le manifestazioni differenti all'arte che vi son riunite, è la BADIA A SETTIMO. [Illustrazione: BADIA A SETTIMO--FACCIATA E CAMPANILE.] La storia di quest'antica abbazia ha il suo inizio dal 900 e le molte e singolari vicende del suo svolgimento si connettono di continuo colla storia generale della Repubblica Fiorentina. La sua costruzione gigantesca, che associa in un insieme meraviglioso i caratteri di un forte castello medievale toscano, colle tracce dell'architettura francese di tempi remoti e colle forme classiche e gentili del rinascimento fiorentino, la pone in prima linea fra gli edifizi monastici più preziosi della Toscana. In fatto di opere d'arte poi, le spogliazioni continue, alle quali la Badia andò soggetta, sono state insufficienti a toglierle le tracce abbondanti del prezioso corredo di meravigliosi capolavori ond'era adorna. [Illustrazione: BADIA A SETTIMO--TRIBUNA E ALTARE MAGGIORE.] Della Badia a Settimo le notizie più antiche sono del X secolo, giacchè fu nel 908 che i Cadolingi conti di Borgonuovo e signori del vicino castello di Monte Cascioli la edificarono e la dotarono di cospicui beni. Il conte Guglielmo Bulgaro vi chiamò S. Giovanni Gualberto per la riforma dei monaci Benedettini e fu qui che nel 1068, secondo narra la tradizione, S. Pietro Igneo fece la famosa prova di attraversare il fuoco. Ai Benedettini successero nel 1236 i monaci Cistercensi che venuti di Francia riformarono il monastero e ne costrussero alcune parti nuove. Comincia da quest'epoca la grande importanza della Badia a Settimo, perchè i Cistercensi, non solo si occuparono delle pratiche ascetiche, ma dedicarono l'attività loro all'agricoltura e alle industrie e istituirono opifici e mulini sull'Arno e dettero grande impulso alla bonifica delle terre adiacenti. La Repubblica Fiorentina tenne in tale estimazione codesti monaci, che affidò loro l'amministrazione del pubblico erario e quella del domestico andamento della Signoria, la soprintendenza della costruzione delle mura e dei castelli del contado, esentando il monastero dalle gabelle e dalle decime ecclesiastiche. Tenendo poi conto della grande importanza militare del luogo dove la Badia era posta, vi fece costruire attorno solide mura e torri, mandandovi di presidio le sue milizie. Dal canto loro i Cistercensi ebbero cura di abbellire e di adornare la loro splendida sede ricostruendo la chiesa, riordinando il convento e decorandolo con mirabile sfarzo d'infinite opere d'arte. [Illustrazione: BADIA A SETTIMO--CIBORIO--SCUOLA DI DONATELLO.] Tanto splendore venne improvvisamente a cessare, allorquando questa, come le più ricche abbazie d'Italia, venne costituita in commenda e data a sfruttare a cardinali ed a prelati benaffetti della corte Romana. Eugenio IV concesse la Badia a Settimo al cardinale Domenico Capranica e dopo di lui ne furon commendatari tre altri celebri cardinali, fra i quali Ascanio Sforza. Così decadde affatto il monastero e quando nel 1782 vennero soppressi i Cistercensi, tutto il suo patrimonio era già stato disperso. La Badia a Settimo ha la forma di un castello rettangolare cinto da solide mura, munite di ballatojo merlato e di torri. Una di queste torri difendeva l'accesso principale ed ha al disopra della porta una grande figura sedente del Salvatore, modellata a stucco da un artefice del XIV secolo. Nell'interno, attorno ad un gran chiostro jonico che si attribuisce a Filippo di Brunellesco, si distendono gli ampi e grandiosi edifici monastici, uno de' quali conserva tuttora il suo caratteristico aspetto. È un ampio locale a tre navate coperte da vôlte che si svolgono sopra esili colonne adorne di capitelli nei quali si direbbero affratellati i tipi dell'arte francese e italiana. In origine se fu refettorio, o biblioteca, è difficile precisare; oggi è una modesta tinaja, dove il suolo rialzato di oltre un metro e mezzo nasconde parte delle svelte colonne. La chiesa monastica è da un lato. Grandiosa, a tre navate, decorata all'esterno di ornamenti di laterizio di carattere ogivale, ha nella sua parte interna subìto infinite alterazioni, delle quali una sola può essere accettata come un benefizio per l'arte. [Illustrazione: BADIA A SETTIMO--RELIQUIARIO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche)] [Illustrazione: BADIA A SETTIMO--RELIQUIARIO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] È la tribuna maggiore di elegantissimo stile del rinascimento, con squisite decorazioni architettoniche e con un vaghissimo fregio di terracotta invetriata dei Della Robbia. Il nome di Filippo di Brunellesco si presenta immediatamente alla mente dell'osservatore di questa cappella che ha una strettissima analogia colla bellissima sagrestia di S. Felicita di Firenze. Sotto la chiesa è l'ampia cripta del XI secolo a grandi vôlte, sostenuta da colonne; ma ridotta sciaguratamente ad un serbatojo di acque che vi s'infiltrano continuamente, essendo l'attuale piano della Badia inferiore al livello ordinario delle magre del vicino Arno. [Illustrazione: LASTRA A SIGNA--MURA DEL CASTELLO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Degne della bellezza generale del fabbricato sono alcune sue parti originarie, come il piccolo refettorio, il quartiere dell'abate, l'esterna chiesa già parrocchiale {032} di S. Lorenzo, oggi ridotta a stanza mortuaria, il campanile. Questo campanile di forma originalissima, che muove da un basamento circolare per diventar poi esagono, ricordando la struttura di alcuni campanili pisani, è stato attribuito a Nicola, a Giovanni Pisano, a frate Guglielmo; e le congetture più strane si sono per qualche tempo basate sulla interpretazione di una iscrizione latina abbreviata, nella quale le fantasie degli eruditi credevano di trovare il nome dell'architetto o del presunto fondatore, il conte Guglielmo Bulgaro. Invece, sciolte le abbreviazioni, l'iscrizione dice semplicemente: _Gloria sia a te o Signore._ [Illustrazione: LASTRA A SIGNA--PORTA FIORENTINA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Delle opere d'arte quivi raccolte, trasportate poi altrove in gran numero, del prezioso archivio, fonte di preziosi documenti, che ebbe sorti anche più disgraziate, sarebbe lungo il parlare. Basterà accennare invece a quegli oggetti che, avanzi di un patrimonio artistico di un pregio incalcolabile, costituiscono sempre un ricco corredo della chiesa, ridotta oggi a semplice parrocchia. [Illustrazione: LASTRA A SIGNA--ANTICO SPEDALE DI S. ANTONIO.] In fatto di pitture poche ne rimangono, dopo che due belle tavole ghirlandajesche vennero trasferite per sottrarle ai danni dell'umidità nel cenacolo di S. Apollonia. In chiesa sono degne di nota: una tavola colla Vergine, il bambino e due angeli, che sorreggono una cortina, attribuita a Fra Bartolommeo, ed un'altra che raffigura il martirio di S. Lorenzo, opera firmata di Domenico Buti, colla data 1574. Di antichi e pregevoli affreschi sussistono alcuni avanzi nell'antico refettorio piccolo, mentre nella cappella di S. Quintino veggonsi le pareti e la vôlta adorne di freschi dipinti da Giovanni da S. Giovanni nel 1629. Preziosa opera di scultura del più bel risorgimento fiorentino è il ciborio di marmo di fattura squisita, attribuito da taluno a Donatello, ma che ricorda piuttosto il fare di Antonio Rossellino. Fra i molti reliquiarî che fin dal tempo dei Cistercensi vennero raccolti in un grande armadio, diversi, per eleganza di forme e per squisitezza di fattura, ricordano l'epoca più felice dell'oreficeria fiorentina. Il più importante è quello a forma di tabernacolo con figure e ornati lavorati a bulino ed a rapporto, che reca la data 1479; di notevolissimo pregio è pure un altro tabernacolo di stile ogivale con pilastri laterali, statuette e delicati ornamenti colla identica data ed il nome del monaco Niccolò di Bernardo Broli che lo fece eseguire. Un altro è a forma di candelabro sormontato da un vago tempietto; a forma pure di tempietto cuspidato con ricco piede è un quarto, e l'ultimo finalmente è costituito da un ciottolo, sul quale è assicurata la figuretta di S. Stefano. Anche questi reliquiarî appartengono all'arte fiorentina del XV secolo. [Illustrazione: S. STEFANO A CALCINAJA--AFFRESCO NELL'ATRIO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Sono questi i resti ed i ricordi di un patrimonio che dovette essere di una ricchezza degna dello splendore di questo storico e singolare monumento, che certo deve annoverarsi fra i più interessanti edifici monastici d'Italia. Lasciando la Badia e proseguendo a percorrere la pianura verso Signa, altri luoghi si incontrano che per ricordi storici e per pregi d'arte meriterebbero un più diffuso ricordo. A S. Colombano a Settimo è la casa che fu culla della famiglia di Benozzo Gozzoli; al Ponte a Stagno è un tabernacolo dipinto da Neri di Bicci; a S. Maria a Castagnolo una delicata Vergine col bambino modellata da Andrea Della Robbia ed un'ancona dei primi del XV secolo. A mezzogiorno s'inalza poi l'alto poggio di S. Romolo, che ha nome dall'antica chiesa di S. Romolo a Settimo, attorno alla quale ebbero fin da tempi remoti ampi possessi e turrite dimore molte celebri famiglie fiorentine, come i Della Bella, i Barbadori, i Rinucci, gli Albizzi ecc. [Illustrazione: CHIESA DI S. MARTINO A GANGALANDI--CAPPELLA DEL BATTISTERO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Giù nel piano, dove si biforcano la vecchia e la nuova via Pisana, è il castello della LASTRA A SIGNA o A GANGALANDI.--Il più antico nome di questo castello è quello di Lastra a Gangalandi, perchè di Gangalandi s'intitolava il comune che aveva per centro e sede la chiesa di S. Martino a Gangalandi. Modesto borgo posto nel luogo dove la via Pisana staccandosi dal piano del fiume si dirigeva verso il poggio di Malmantile, la Lastra venne dalla Repubblica Fiorentina cinta di mura e difesa da torri, quando le milizie pisane, guidate dall'ardito condottiero inglese Giovanni Aguto, cominciarono a scorrazzare nel 1377 per il contado fiorentino. Un più solido e regolare sistema di fortificazioni ebbe la Lastra nella prima metà del secolo successivo sotto la direzione di Filippo di Brunellesco, l'architetto di S. Maria del Fiore, il quale sapeva egualmente dedicare l'ingegno suo alle manifestazioni più geniali dell'arte, come alle opere di architettura militare destinate a proteggere le terre della Repubblica. [Illustrazione: CHIESA DI S. MARTINO A GANGALANDI--TRIBUNA E ALTARE MAGGIORE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Le fortificazioni del Brunellesco sono quelle stesse che tuttora recingono il quieto e silenzioso castello e che per la struttura loro ricordano quelle di Vico Pisano, una delle migliori opere di architettura militare compiute sotto la direzione di quel sommo artista. Le mura, munite di ballatoi sostenuti da triple mensole e da archetti, mancano ora in gran parte del coronamento merlato, come pure sono scapitozzate le torri delle tre porte che dànno accesso al castello. [Illustrazione: MALMANTILE--IL CASTELLO E IL BORGO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] La Lastra, ben costruita, come tutti i paesi del contado fiorentino, conserva alcuni edifici che presentano un certo interesse artistico. La chiesa di S. Maria serba tracce della sua originaria struttura, possiede un'antica tavola della Madonna ed ha all'esterno un ricordo della famiglia Seganti che la riedificò nel 1404; il vecchio Palazzo Pretorio ha la facciata incrostata di stemmi dei varî Podestà che vi risiedettero ed una originale finestra del XVI secolo fatta fare nel 1565 dal Podestà Marsilio Ficini. Dinanzi al Pretorio è un tabernacolo o maestà adorno di un affresco della maniera di Fra Bartolommeo. Più interessante è l'edifizio che fu un giorno lo Spedale di S. Antonio, eretto nel 1411 dai Consoli dell'Arte della Seta di Firenze per testamento di Francesco di Leccio di S. Miniato. La facciata, che conserva intatto il suo aspetto primitivo, è oltremodo caratteristica. Le mura sono adorne di decorazioni policrome alla pari delle volte del portico a pilastri di pietra che ne costituisce la parte terrena. Sotto il portico corrispondono il dormitorio dello spedale e l'antico oratorio, sulla porta del quale è un affresco della maniera di Bicci di Lorenzo rappresentante la Madonna col bambino Gesù e due angeli adoranti, mentre l'interno della chiesetta, ridotta oggi a magazzino, conserva le tracce della sua primitiva ed elegante struttura. Fuori del castello è un popoloso sobborgo che fiancheggia la vecchia via Pisana, dalla quale muovono le strade che guidano a diverse vicine località. Una delle più prossime è il leggiadro villaggio di Calcinaja, dove sorge la chiesa di S. Stefano di antichissima origine, ma rifatta nel XVII secolo. All'esterno della chiesa, corrispondente in un andito è l'avanzo di un importante affresco attribuito a Buffalmacco, rappresentante la Madonna col bambino Gesù e S. Giovanni Battista. [Illustrazione: MALMANTILE--CHIESA DI S. PIETRO IN SELVA--AFFRESCO SOPRA LA PORTA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] A cavaliere del castello della Lastra è il Poggio di _Monte Orlando_, dove fu già una potente rocca dei Cadolingi che i Fiorentini distrussero nel 1107. L'antica chiesa del castello, S. Michele, oggi annessa ad un convento di Francescani, conserva alcuni resti della sua primitiva costruzione. Ma nei dintorni della Lastra, l'edifizio più importante è la CHIESA DI S. MARTINO A GANGALANDI, presso la quale ebbero la loro sede la Lega e la Comunità di Gangalandi. L'edifizio assai vasto, trasformato più volte dai restauri e dalle aggiunte, è ricco di memorie storiche e di opere d'arte. All'esterno è dipinto a fresco un S. Cristofano del XIV secolo; nell'interno la parte più importante è la cappella del battesimo tutta decorata di caratteristici affreschi eseguiti attorno al 1430 da Bicci di Lorenzo, come risulta dai documenti posseduti dalla chiesa: cotesti affreschi, che erano stati imbiancati, vennero rimessi in luce nel 1891. Il fonte battesimale di marmo, adorno negli specchi di graziosi bassorilievi, fu scolpito nel 1423. Di opere di pittura esistono nella chiesa due tavolette cuspidate di scuola gaddiana, un tabernacoletto fiorentino del 400 e due tavole d'altare, una della maniera di Ridolfo del Ghirlandajo, l'altra della maniera del Bronzino. Il lastrone nel quale è scolpita la figura giacente di un gentiluomo è quello che copriva la tomba di Messer Agnolo Pandolfini, letterato celebre ed autore del _Governo della famiglia_, morto di 86 anni nel 1446. [Illustrazione: INTERNO DELLA CHIESA DI LECCETO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] La tribuna dell'altar maggiore ha un bel prospetto di pietra con eleganti decorazioni ed è adorna degli stemmi della famiglia Alberti, circostanza importantissima questa, perchè forse lascia supporre che il disegno possa essere opera di Leon Battista Alberti, letterato, umanista, architetto, che dal 1466 in poi fu per varî anni rettore di questa chiesa. Nella callotta dell'abside è un affresco della maniera di Matteo Rosselli. [Illustrazione: PONTE A SIGNA--INTERNO DEL PALAZZO DELLA TORRE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] La strada Pisana, nel suo antico percorso, serpeggia pei colli a mezzogiorno della Lastra e giunge al _Castello di Malmantile_, luogo che ebbe una singolare importanza nelle storie fiorentine per le molte opere di difesa fattevi erigere in più tempi e con gran dispendio dalla Repubblica. Oggi il castello è quasi deserto e le sue pittoresche mura turrite vanno lentamente cadendo in rovina. In compenso è popolatissimo il vecchio borgo che conduce alla CHIESA DI SAN PIETRO IN SELVA, la parrocchiale antichissima di questo luogo. All'esterno della chiesa sono degli interessanti affreschi, parte della scuola de' Gaddi, parte della maniera di Andrea del Sarto. Nell'interno è una delle solite grandi croci dipinte della scuola di Giotto e sopra ad un altare vedesi una tavola colla Madonna, il putto e molti cherubini, opera che ricorda il fare di Cosimo Rosselli (XV secolo). Presso Malmantile è la chiesa di S. Jacopo e Filippo a LECCETO, dov'è oggi la villeggiatura del Seminario fiorentino, che occupa il luogo di un piccolo convento eretto nel 1480 per i Domenicani di S. Marco dalla famiglia Strozzi. La bella architettura dell'interno ricorda la maniera di Michelozzo e sull'altare è una interessante ancona costituita da una tavola originariamente giottesca e da due laterali della scuola del Lippi. Lasciando la strada vecchia Pisana che da Malmantile va a Montelupo, per collegarsi colla strada più moderna, torniamo a questa e seguitiamone il percorso. [Illustrazione: PONTE A SIGNA--VILLA DELLE SELVE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Al _Ponte a Signa_, oggi popolosa borgata posta alla testa dell'antico ponte medievale che traversa l'Arno collegandosi colla parte bassa del paese di Signa, merita d'essere osservato il _Palazzo della Torre_, oggi casa modesta di pigionali, un giorno signorile dimora dei Pandolfini che vi ospitarono per qualche ora Carlo VIII Imperatore quando, recandosi a Firenze, dovette piegare l'orgogliosa tracotanza dinanzi alle fiere parole del Gonfaloniere Pier Capponi. Il Palazzo della Torre, in alcune sue parti interne soprattutto, conserva il caratteristico tipo originale. Al disopra del borgo del _Ponte_, in mezzo alla rigogliosa vegetazione di una collina deliziosa, sorgono la chiesa e la villa delle _Selve_. La prima, eretta dai Carmelitani nel XIV secolo, si presenta ora sotto la veste sfarzosa del secolo XVII, mentre della sua antichità non serba che il bel lastrone sepolcrale del Beato Paganini scolpito nel 1383. La prossima villa delle Selve ha il tipo elegante delle signorili dimore campestri della nobiltà fiorentina e fu così ridotta dai Salviati negli ultimi del XVI secolo. [Illustrazione: CHIESA DI S. MARTINO A GANGALANDI--TAVOLA DEL XV SECOLO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] II DA SIGNA A EMPOLI. SIGNA.--L'origine di quest'antico castello, oggi paese popoloso ed animato, è incerta, com'è restata nel mistero l'etimologia del nome col quale esso è distinto fin da tempi remoti. In antico esso ebbe fra i paesi toscani importanza non comune per ragioni militari ed al tempo stesso per cause di commercio. Situato nel luogo dove fin dal secolo XII esisteva l'unico ponte che fra Firenze e Pisa attraversasse il fiume Arno, nel punto dove facevano capo numerose ed importanti strade, il castello di Signa, piantato sul colle che dominava la confluenza del Bisenzio nell'Arno, fu considerato come un baluardo di guardia e di difesa del territorio fiorentino ed al tempo stesso come sede di uno dei più cospicui mercati di Toscana, perchè qui facevano sosta le merci che per mezzo del fiume o delle vie meglio praticabili venivano dirette a Firenze. [Illustrazione: SIGNA--PANORAMA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche.)] Quel ponte, che fu la prima origine dello sviluppo di questo castello, abbattuto dalle piene, sarebbe stato rifatto nel 1252 per opera soprattutto dell'influenza esercitata da un famoso pellegrino ed ospitaliero di Pescia, il Beato Allucio, al quale premeva soprattutto di salvaguardare la vita dei numerosi pellegrini, che allora vagavano per l'Italia, dai pericoli ai quali erano esposti dovendo traversar l'Arno in tempo di piena su chiatte sdrucite o su trasandati passatoi di legname. E il ponte medievale di Signa, per quanto più volte modificato e allargato, è appunto quello stesso che collega tuttora i capoluoghi dei due comuni di Lastra e di Signa. Signa, fatta forte dai Fiorentini, più che altro perchè potesse opporsi alle invasioni dei Pisani, sofferse per opera di questi le più disastrose vicende e Castruccio Castracane, condottiero delle milizie di quella Repubblica, sdegnato per la resistenza trovata nei difensori del castello, ne smantellò nel 1325 le mura, abbandonò gli abitanti agli orrori del saccheggio e ruppe perfino il ponte sull'Arno. [Illustrazione: SIGNA--CHIESA DI S. LORENZO--PERGAMO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Cessato il triste periodo delle lotte, Signa accrebbe notevolmente la sua importanza commerciale e divenne il centro più cospicuo di una fiorente industria tutta toscana: la lavorazione della paglia da cappelli. Anzi il Proposto Lastri, nel suo giocoso poema sul _Cappello di paglia_, la chiamò: _L'industre Signa, onor del Tosco regno_. Del vecchio castello, che occupava il piano superiore della collina a piè della quale si distende oggi la parte più moderna e più popolosa del paese, non restano che una caratteristica porta castellana e varî tratti di mura. La vecchia Pieve di S. Lorenzo che, secondo l'antico costume, era fuori delle mura del castello affinchè ne' tempi guerreschi il fonte battesimale restasse libero agli abitanti della campagna, è oggi un semplice oratorio. Però se essa ha perduto i titoli ufficiali, conserva in molta parte la sua severa struttura e nell'interno un pregevole pergamo dell'XI secolo ed i resti di molti e notevoli affreschi che ne adornavano le pareti. L'attuale Pieve di Signa è dedicata a S. Giovanni Battista e fin da tempo lontano fu di patronato del Capitolo della Cattedrale fiorentina, del quale si vede sulla facciata lo stemma elegantissimo di terracotta invetriata. L'interno, originariamente a tre navate, ha subìto infinite trasformazioni, nelle quali sono stati però preservati gli oggetti d'arte che l'adornavano. Di questi, due specialmente meritano di essere ricordati: il bel fonte battesimale del 1480 ed un elegante ciborio che ricorda la maniera dei Da Majano. Popolarmente la Pieve di Signa è nota col nome della _Beata_, perchè custodisce le spoglie di una beata Giovanna da Signa, alla quale venne in questa stessa chiesa dedicata una cappella che Bicci di Lorenzo decorò di affreschi. Ma ora gli affreschi sono nascosti da telai, mentre altri che adornavano varie parti dell'edifizio sono scomparsi sotto lo scialbo. La chiesa di S. Maria in Castello che esisteva nel X secolo è affatto rimodernata e conserva appena una tavoletta ed un affresco del XIV secolo. [Illustrazione: SIGNA--PIEVE DI S. GIOVANNI BATTISTA--FONTE BATTESIMALE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] A Signa, la valle dell'Arno si trasforma completamente di carattere. Non più il fiume errante in mezzo all'ampia pianura limitata da poggi lontani; i poggi convergono invece verso il fiume, lo stringono fra le balze e i dirupi e sembra quasi che vogliano sbarrargli la via. Il punto più angusto di questo tratto della valle è la gola della Golfolina o Gonfolina, dove un masso gigantesco detto delle _Fate_, sporge verso il fiume, spingendosi quasi attraverso alla strada tagliata alla base del monte. La località è orrida e pittoresca al tempo stesso e quel masso che fin da tempo remoto si trova designato come la Pietra Golfolina, è stato oggetto delle più fantastiche supposizioni de' vecchi scrittori. Molti di essi, a cominciare dal Villani, han detto che il monte che chiudeva la valle formando ne' piani sotto a Firenze come un gran lago, venne artificialmente tagliato per dar esito alle acque ed il volgo designò anche il santo che per opera miracolosa ruppe le aspre rupi e regalò all'agricoltura ampi terreni già lacustri. La scienza però ha facilmente dimostrato come fossero invece da accogliersi le ragioni di altri scrittori i quali affermavano che il taglio della Golfolina fosse naturale risultato delle corrosioni prodotte dalle acque nelle pietre arenarie che costituivano una potente barriera attraverso alla valle. La stretta della Golfolina è formata dai poggi di Malmantile e di Artimino, alla base dei quali si cavano in gran quantità pietre che servono specialmente ai bisogni dell'edilizia fiorentina, dando vita ad una fiorente e profittevole industria. Sul poggio, a piè del quale scorre l'Ombrone Pistojese, che porta all'Arno il tributo cospicuo delle acque dell'Apennino, sorgono il castello e la villa d'Artimino. Il castello, che oggi serba solo il ricordo delle sue antiche fortificazioni, era fino dal 1000 uno dei fortilizi a difesa del territorio della Repubblica Pistojese. Presso alle sue mura sorse fino dal X secolo la Pieve di S. Leonardo, edifizio che conserva in parte la struttura di quel tempo lontano e che possiede qualche opera d'arte d'un certo interesse. [Illustrazione: PONTE A SIGNA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] La villa d'Artimino, oggi di proprietà dei conti Passerini-Bartolommei, fu una delle più splendide e più gradite residenze dei sovrani Medicei. Si racconta che il Granduca Ferdinando I, cacciando nel vasto parco che si distendeva dalle pendici del Monte Albano fino all'Arno, si soffermasse su di un'altura, dalla quale egli, compreso di profondo entusiasmo, potè profonder lo sguardo attraverso ad un ampissimo panorama e seguire i capricciosi serpeggiamenti dell'Arno da Firenze fino a Empoli. Parve a lui che nessun'altra località potesse prestarsi per crearvi un delizioso soggiorno ed al suo architetto favorito, Bernardo Buontalenti, che faceva parte della festosa brigata di cacciatori, comandò di costruirvi con ogni maggior sollecitudine un palazzo campestre. E la villa d'Artimino sorse difatti nel 1594 in quel luogo dov'era un giorno il vecchio castello. [Illustrazione: IL MASSO DELLE FATE O DELLA GOLFOLINA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] L'edifizio fu degno della signorile opulenza della corte Granducale. Un ampio rettangolo con due torri ai lati, un'elegante loggia nella facciata, attorno un prato sorretto da gagliardi bastioni, di fianco tutti i fabbricati per il servizio, per la paggeria, per il materiale occorrente alle cacce e delle ampie scuderie. Nell'interno vasti e severi saloni decorati di pietrami, colle pareti rivestite di cuoi e di stoffe e corredati di tutte quelle comodità e di quelli ornamenti che si addicevano ad una corte divenuta famosa per il suo gusto artistico, per la sua magnificenza ed il suo sfarzo. Leopoldo I, un principe dalle grandi vedute, un umanista che concepiva ed attuava le più ardite riforme, che rifuggiva dal fasto tradizionale dei suoi antecessori, non sentì per Artimino le attrattive entusiastiche di Ferdinando I e se ne sbarazzò senza rimpianto, concedendola ai marchesi Bartolommei. Dalla Golfolina fino a Montelupo la valle dell'Arno continua ad essere angusta e serrata dai poggi, che con ripido declivio scendono fino al fiume, formando di tanto in tanto delle pittoresche e leggiadre vallicelle popolate di villaggi, di chiese, di ville. [Illustrazione: LA VILLA D'ARTIMINO (DA UNA STAMPA DI G. ZOCCHI DEL XVIII SEC.).] Fra le località più interessanti di questo tratto della valle, alcune meritano uno speciale ricordo. Poggio alla Malva, ridente villaggio quasi arrampicato sulle pendici di un verdeggiante poggetto ed abitato da una popolazione di cavatori di pietra, ha nella sua chiesa di S. Stefano una bella tavola del XV secolo. Di faccia, sull'opposta riva dell'Arno, nelle cui acque tranquille si specchiano i suoi bruni fabbricati medievali, è il borgo di Brucianese, uno dei vecchi porticciuoli fluviali, dal quale trasse origine la famiglia fiorentina dei Pandolfini. Su di un colle vicino è la sua vecchia chiesetta, S. Maria a Lamole, nella quale due belle tavole, una di scuola botticellesca e l'altra della maniera di Filippino Lippi, subirono la mutilazione delle parti estreme per essere adattate dentro i barocchi pietrami di due altari. Sulla destra dell'Arno è la vecchia Badia di S. Martino in Campo, di faccia, sull'opposta riva, la deliziosa villa di Luciano degli Antinori, un giorno fortilizio degli Strozzi. Nel piano poi, lungo la via Pisana si distende il lungo borgo di Sanminiatello, nel quale le case si alternano colle fornaci che producono in gran copia orci, vasi e terraglie d'uso comune. Sanminiatello costituisce come un sobborgo del vecchio ed interessante castello di MONTELUPO.--Un modesto gruppo di case, che, secondo gli storici, si diceva in antico Malborghetto, esisteva nel luogo dove i Fiorentini, per tener testa ai Pistojesi ed ai Conti di Capraja loro alleati, eressero nel 1204 un forte e ben munito castello che custodisse il passo dell'Arno e l'accesso nella valle della Pesa. Colla costruzione di questo castello, piantato sulla vetta di uno scosceso poggetto, proprio dinanzi al vecchio fortilizio di Capraja, nacque anche il dettato fiorentino: Per distrugger questa _capra_ non ci vuole che un _lupo_. [Illustrazione: VEDUTA DELL'ARNO E DEL BORGO DI BRUCIANESE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Montelupo non ha grande importanza nella storia della nostra regione, perchè domati gli orgogliosi Conti di Capraja e caduta la loro residenza in possesso dei Fiorentini, si ridusse ad un modesto luogo d'osservazione affidato alle cure di un castellano e di pochi soldati che dovevano soprattutto guardare il ponte che attraversava il fiume Pesa. Però più che per le vicende storiche, Montelupo acquistò importanza per la copia di fabbriche e di fornaci dalle quali uscivano terraglie e maioliche formate col limo dell'Arno. Erano in generale oggetti d'uso comune, caratteristici per forma, ma rozzi di fattura; però vi fu un lungo periodo di anni nel quale il gusto ed il sentimento artistico influirono anche su questa industria paesana, la quale diffuse dovunque piatti con figure dipinte, grossolane immagini sacre e specialmente una quantità di piccoli vasi da vino e da acqua chiamati boccali, divenuti così comuni, che per denotare cose universalmente note si soleva dire che erano scritte anche sui boccali di Montelupo. [Illustrazione: L'ARNO PRIMA DI MONTELUPO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] La storia della ceramica di Montelupo meriterebbe una diffusa illustrazione che nel caso nostro sarebbe superflua ed inopportuna: basterà rilevare che allo sviluppo artistico di questa produzione locale influirono specialmente gli artefici che, chiamati qui da Faenza fino dal XV secolo, seppero imprimerle il gusto e la leggiadrìa proprî di quell'arte fiorentissima nella loro città. Montelupo ha saputo serbare fino a' nostri tempi una certa supremazia in tal sorta di lavori, e se negli ultimi tempi il sentimento artistico cedette completamente il posto ai generi d'uso comune, oggi quel sentimento torna ad allietare i prodotti delle sue vecchie fornaci. Edifizi d'importanza speciale non esistono in questo pittoresco luogo. Il Palazzo Pretorio, oggi del Comune, non serba che gli stemmi di alcuni Podestà che vi risiedettero, il vecchio castello e la chiesa che vi stava dentro non son più che un ammasso di rovine, e nulla d'interessante si riscontra nemmeno nella casa dove la tradizione afferma avesse i natali Baccio da Montelupo, valente scultore della prima metà del XVI secolo. [Illustrazione: MONTELUPO. (Fot. Alinari).] La Pieve di S. Giovanni Evangelista, riedificata nel XVIII secolo, non ha altro d'importante che alcune opere d'arte che vi furono trasportate dalla cappella della rocca e dalla vetusta Pieve di S. Ippolito, che sorge a qualche distanza dal castello. Di queste opere le più importanti sono due antiche tavole: una che rappresenta l'incoronazione della Vergine in mezzo ad angeli e a cherubini, opera della prima metà del XV secolo; l'altra nella quale sono raffigurati la Vergine ed il bambino fra i Santi Lorenzo, Giovanni Battista, Agostino e Rocco, dipinto pregevolissimo per composizione, per disegno e per colorito, che può ritenersi uscito dalle mani di Sandro Botticelli. La vecchia Pieve di S. Ippolito, posta a breve distanza da Montelupo, a destra della Pesa, è un edifizio dell'XI secolo, colle mura a filaretto di pietra e le finestrelle a feritoja. Nell'interno, in gran parte trasformato, non rimane che un grandioso ciborio di marmo colla raffigurazione dell'Annunciazione e una grande dovizia di leggiadri adornamenti che ricordano la maniera di Mino. [Illustrazione: PIEVE DI S. IPPOLITO IN VAL DI PESA PRESSO MONTELUPO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Sant'Ippolito è posta lungo la via che guida in Val di Pesa, una vallata fertile ed ubertosa, sparsa di castelli e di località importantissime per ricordi storici, ricca di palagi campestri e di chiese che accolgono larga dovizia di opere d'arte. Ma Val di Pesa per queste ragioni ha dato argomento ad interessanti studi illustrativi, nè consentirebbe il cenno fugace che potremmo qui dedicarle. Ad ogni modo, trattandosi di località non troppo lontana dalla valle dell'Arno, non sappiamo resistere al desiderio di additare uno dei luoghi, che nei rispetti dell'arte, come in quelli della storia, offre una speciale attrattiva; vogliamo dire il castello di Monte Gufoni, la forte residenza degli Acciajuoli, dimora di Messer Niccolò Gran Siniscalco del Regno di Napoli, quando deliberò la costruzione della celebre Certosa del Galluzzo, la villa mirabilmente splendida e suntuosa di quella potente famiglia, ridotta oggi ad un modesto asilo di numerose famiglie. Lo abbiamo fatto anche per offrire ai nostri lettori la riproduzione di una bella stampa dello Zocchi, dalla quale si può avere un'idea della grandiosità e delle bellezze della villa e del superbo parco che un giorno l'allietava. [Illustrazione: MONTELUPO--CHIESA DI S. GIOVANNI EVANGELISTA. BOTTICELLI: MADONNA COL BAMBINO E SANTI. (Fot. Alinari).] Ed ora, chiusa questa breve divagazione, ritorniamo senz'altro sulle rive dell'Arno. Dice un vecchio dettato fiorentino: Da Montelupo si vede Capraja, Dio fa le persone e poi le appaja. CAPRAJA sorge dirimpetto a Montelupo sopra ad un poggetto scosceso che colle sue balze franose va lentamente precipitando nell'Arno che ne corrode la base. Di origine remota, fu il castello, feudo di un ramo dei Conti Alberti di Mangona che si chiamò dei Conti di Capraja, famiglia che ebbe grande autorità ed importanza, tanto che varî individui da essa derivanti, chiamati in Sardegna, furono Giudici o governatori della Gallura e di Arborea. Ma a parte i diritti dei suoi conti, su Capraja dominarono soprattutto i Pistojesi i quali nelle fiere lotte delle fazioni, tennero costantemente ben munito quel forte castello che poteva considerarsi come una vedetta, come una minaccia permanente a danno dei luoghi dell'opposta riva del fiume facenti parte del contado fiorentino. Ciò che dette ragione ai Fiorentini di edificare proprio di fronte a Capraja, per paralizzarne l'azione, il forte castello di Montelupo. [Illustrazione: CIBORIO DEL XV SECOLO. NELLA PIEVE DI S. IPPOLITO PRESSO MONTELUPO.] A Capraja, se ne togli il pittoresco aspetto della sua giacitura, nulla attrae l'attenzione del visitatore. Nella sua pieve nessun oggetto d'importanza, della sua rocca restano appena poche tracce insignificanti; e dei suoi fabbricati parte sulla piaggia del monte, parte arrampicati sulla ripida pendice o sorgenti sul piano, nessuno presenta un interesse architettonico. Qualche fornace che sorge sulla riva dell'Arno, coi suoi prodotti d'uso comune e con artistiche riproduzioni, fa oggi la concorrenza a Montelupo, quasi ad evocare il ricordo delle vecchie gare che spingevano l'un contro l'altro gli abitanti dei due castelli, mentre ora non si tratta che di pacifiche concorrenze industriali. Al di là di Montelupo, oltrepassato il fiume Pesa, sorge l'Ambrogiana, grandioso edifizio dominato da torri che sorgono su ciascuno dei suoi quattro angoli. Fu in origine un palazzo di campagna della famiglia Ambrogi, donde le venne il nomignolo di Ambrogiana; poi fu degli Ardinghelli e successivamente passò fra i domini della corte Medicea. Non fu mai un vero e proprio luogo di villeggiatura della suntuosa famiglia toscana, ma una semplice stazione, un luogo dove facevano sosta i Granduchi e i Principi, allorchè nelle loro pesanti e sfarzose carrozze viaggiavano fra Firenze, Pisa e Livorno. Nelle ampie sale terrene sedevano a mensa o riposavano i regali personaggi quando, per romper la monotonia della lunga gita o per sfuggire alle burrasche od alla sferza del sole, trovavano qui un comodo asilo, mentre le vaste scuderie accoglievano le grandiose carrozze e il gallonato personale di servizio. [Illustrazione: MONTELUPO--CASTELLO DELL'AMBROGIANA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Ma l'Ambrogiana non ebbe ne' tempi moderni il vanto di ricordare il fasto dei secoli passati, perchè, abbandonata dagli ospiti illustri, servì prima di carcere femminile, poi fu destinata modernamente ad accogliere, come manicomio penale, una falange di degenerati e di furfanti. [Illustrazione: VILLA DELL'AMBROGIANA (DA UNA STAMPA DELLO ZOCCHI). (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] [Illustrazione: CASTELLO DI MONTE GUFONI IN VAL DI PESA (DA UNA STAMPA DELLO ZOCCHI). (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Oltrepassati i due poggi di Montelupo e di Capraja, la valle dell'Arno si allarga {058} nuovamente per formare la vasta pianura empolese, ai lati della quale fanno ala le dolci e fiorenti colline e le alte poggiate. Sulla destra, il Montalbano inalza la sua vetta maestosa che domina il Valdarno e la pianura pistojese. Su quella vetta un delizioso casino offre un comodo rifugio e serve di luogo d'osservazione per godere il panorama infinito che da ogni lato attorno ad esso si distende. Di lassù l'occhio si posa su Firenze mollemente assisa fra la deliziosa corona dei suoi colli, si spinge fino alle vette eccelse e nevose dell'Apennino, dopo esser passato sui caseggiati delle città di Prato e di Pistoja; dall'opposto lato la visuale va fino ai monti di Volterra ed al lontano Monte Amiata, per giungere, seguendo il corso dell'Arno, fino al mare, che nei lieti tramonti estivi scintilla come un'aurea lastra, come una linea di fuoco. [Illustrazione: CHIESA DI S. GIUSTO SUL MONTE ALBANO.] Sulle cime del Montalbano spiccano colle loro masse brune la torre di Sant'Allucio che la tradizione addita come rifugio solingo di quel romito errabondo, le rovine maestose della chiesa di S. Giusto, un edifizio del X secolo, che fu per pochi secoli asilo di solitari monaci e la vecchia badia benedettina di San Baronto, dove su prati verdeggianti si festeggia annualmente, coi canti, colle danze campestri e coi giocondi ritrovi, la venuta del maggio fiorito e ricreante. Dalle balze di Montalbano si stacca la lunga linea di basse colline, che popolate di paesi, di villaggi e di case fanno argine dal lato di tramontana alla pianura solcata dall'Arno. [Illustrazione: CHIESA DI S. GIUSTO SUL MONTE ALBANO.] Sulla quieta riva del fiume è Limite, un villaggio popoloso che per la sua felice giacitura, per la prosperità del commercio ha modernamente tolto al vecchio castello di Capraja il diritto d'esser sede dell'antico comune. Limite possiede una specialità degna di nota. Posto sulla sponda di un fiume che non è quasi mai navigabile, esso ha un cantiere navale, antico e riputatissimo, che vara annualmente dei piccoli bastimenti costruiti con tutte le regole e con tutte le forme prescritte dalla scienza marinaresca! Sulla sinistra sponda dell'Arno altre colline, che formano l'estreme pendici di un contrafforte che divide le due valli della Pesa e dell'Elsa, inalzano il loro pittoresco profilo. Più alta di tutte le altre è quella di Monte Castello, dove una villa signorile occupa il luogo di una rocca fortissima che da otto secoli appartiene alla celebre famiglia fiorentina de' Frescobaldi. Giù nel piano poi, fra Montelupo ed Empoli, si succedono lungo la via Pisana borghi e casali popolosi. [Illustrazione: PONTORME PRESSO EMPOLI--VIA JACOPO CARRUCCI. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Primo: la Torre che prende nome dalla torre di un vecchio e ben difeso mulino sull'Arno, poi Fibbiana che ha nella sua chiesa una statua di S. Rocco di Giovanni Della Robbia, quindi Cortenova dove la chiesa di S. Maria conserva una Annunciazione dipinta a fresco dai Gaddi e finalmente Pontorme. Il torrente Orme che scende dai poggi di Montespertoli ed il ponte turrito che un giorno lo attraversava, dettero il nome e lo stemma al castello ed al comune, riuniti più tardi a quello di Empoli. [Illustrazione: FIRENZE--PALAZZO VECCHIO--ESPUGNAZIONE DEL CASTELLO D'EMPOLI (AFFRESCO DEL VASARI). (Fot. Alinari).] Il castello di Pontorme, ai ricordi della sua storia interessante fin dai tempi della dominazione feudale e soprattutto nelle vicende delle lotte fra le repubbliche toscane, unisce il vanto di essere stato culla di un geniale artista del XVI secolo, Jacopo Carrucci, che dal nome del loco natìo volle chiamarsi il Pontormo. A lui appartengono due tavole rappresentanti S. Giovanni Evangelista e S. Michele Arcangelo che adornano un altare della chiesa principale del vecchio castello, S. Michele Arcangelo, chiesa che conserva pure un dipinto ritenuto del Cardi da Cigoli, un altro del Macchietti e un caratteristico fonte battesimale del XIV secolo collo stemma del Comune. Pontorme, che non possiede più nè il suo ponte turrito, nè le sue torri, nè le mura, distrutte da una piena dell'Orme, è oggi un popoloso e industrioso sobborgo della vicina terra di Empoli. [Illustrazione: EMPOLI--FACCIATA DELLA COLLEGIATA DI S. ANDREA. (Fot. Alinari).] EMPOLI. Vi fu un tempo nel quale Empoli fu il centro commerciale più importante di tutto il contado fiorentino. Posta nel mezzo della Toscana, dove convergono gli stradali che la valle dell'Arno mettono in comunicazione colle contrade più popolose e più ricche della nostra regione, circondata da campagne feracissime e da luoghi popolosi, la terra d'Empoli fu come una grande stazione, un immenso deposito di tutti i prodotti del suolo, di tutte le merci che servivano ai bisogni di una gran parte della città e dei paesi di Toscana. Forse da questa sua qualità di _emporio_ di commercio, fiorentissimo fino dall'epoca lontana de' feudi imperiali ne' quali era qui un notissimo _mercatale_, deve rintracciarsi l'origine del nome di Empoli. [Illustrazione: EMPOLI--GALLERIA DELLA COLLEGIATA--DOSSALE D'ALTARE DEL XV SECOLO. (Fot. Alinari.)] La sua storia sarebbe lunga e difficile a riassumersi, perchè si connette agli avvenimenti più importanti della storia generale della regione nostra. [Illustrazione: EMPOLI--GALLERIA DELLA COLLEGIATA--DOSSALE D'ALTARE. (Fot. Alinari).] Certo fu qui un vico e forse di un certo interesse, anche ne' tempi Romani, a giudicarlo dai molti frammenti di marmoree decorazioni scavati nel suolo rialzato dalle alluvioni dell'Arno ed impiegati anche nella costruzione della facciata della pieve, una delle più antiche e più famose di Toscana. E fu dinanzi a questa pieve {065} quel mercatale ricordato fin da' tempi in cui, protetti dall'autorità imperiale, dominavano sui luoghi vicini i Conti Guidi, i Conti Cadolingi ed i Conti di Capraja, mentre attorno ad essa, lungo la grande strada Pisana, si formava un popoloso borgo che fu il primo nucleo del nascente castello. [Illustrazione: EMPOLI--GALLERIA DELLA COLLEGIATA--ANGELI DIPINTI DAL BOTTICINI, NEL DOSSALE D'ALTARE. (Fot. Alinari).] Liberata con pertinaci ed ardite intromissioni, colla forza delle armi e coi trattati, questa plaga del Valdarno dalla prepotenza audace dei signorotti, la Repubblica di Firenze dedicò ogni sua cura a dar largo sviluppo a questo luogo che doveva esser per lei e per il suo commercio centro di prosperità e di forza, e dopo averlo munito di mura gagliarde, di torrioni e di fossati, dette forma e regolarità all'interno fabbricato, traendo dall'esempio delle antiche colonie Romane quel tipo regolare, adottato successivamente nella costruzione di tutti i castelli del contado fiorentino. Lotte, assedî, scorrerie, invasioni, saccheggi non mancano di essere registrati nella storia del castello di Empoli, il quale, come fu oggetto di grandi premure per parte dei Fiorentini, così fu costantemente mèta delle ambizioni e dei desiderî delle altre repubbliche rivali e di quella di Pisa in ispecie. [Illustrazione: EMPOLI--GALLERIA DELLA COLLEGIATA--LORENZO MONACO: MADONNA E SANTI. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] De' molti avvenimenti che alla storia empolese si riferiscono, due specialmente meritano d'esser rammentati: il celebre consiglio che i Ghibellini vittoriosi a Montaperti tennero qui nel 1260 e nel quale sarebbe stata inesorabilmente deliberata la totale distruzione di Firenze, se Farinata degli Uberti con nobile e fiera arditezza non avesse difesa la patria _a viso aperto_; l'altro la espugnazione del castello per parte delle truppe mercenarie che muovevano ai danni di Firenze, avvenuta il 29 maggio del 1530, più che per valore di nemici o per impotenza degli assediati, per debolezza e forse per tradimento di due degeneri cittadini di Firenze. La caduta d'Empoli, che il Guicciardini chiamò il granajo della Repubblica di Firenze, fu il colpo più fatale per la minacciata città, la quale, stretta da ogni parte, impotente a rifornirsi di vettovaglie, dovette cedere e rinunziare per sempre alla sua gloriosa libertà. [Illustrazione: EMPOLI--GALLERIA DELLA COLLEGIATA--ANNUNCIAZIONE, ATTRIBUITA AL BOTTICINI. (Fot. Alinari).] Empoli non è oggi meno importante di quel che fosse in antico per il suo movimento commerciale, per numero di abitanti, per le industrie che vi prosperano, e si potrebbe annoverare fra le città considerevoli della Toscana, se qualche decreto degli antichi sovrani le avesse concesso questo titolo in luogo di quello precedentemente assegnatole di _terra nobile_. [Illustrazione: EMPOLI--GALLERIA DELLA COLLEGIATA--S. BIAGIO. (Fot. Alinari).] Ben fabbricata, ricca di chiese e di palazzi che sorgono sulle vaste e decorose piazze e lungo le vie ampie e dritte, Empoli va di continuo allargando il suo caseggiato, tanto dalla parte della ferrovia, quanto da quella dell'Arno, dove sono sorti nuovi ed eleganti quartieri, resi più gai da vaghi giardini e da ombrosi viali. [Illustrazione: BOTTICINI (?): SETTE ANGELI CHE SUONANO. (Fot. Alinari).] [Illustrazione: EMPOLI--GALLERIA DELLA COLLEGIATA. MINO DA FIESOLE: LA MADONNA COL FIGLIO. (Fot. Alinari).] Degli edifizi empolesi il più importante è la chiesa collegiata di S. Andrea che gli storici fanno risalire al V secolo e che nel corso degli anni subì innumerevoli trasformazioni, suggerite dallo svolgersi del gusto e del sentimento artistico. La parte più antica dell'edificio è la sezione inferiore della facciata, incrostata di marmi bianchi e neri disposti in forma identica a quella di altre chiese di Firenze e del suo {070} territorio, come S. Salvatore del Vescovo, S. Miniato al Monte, la Badia Fiesolana. Una iscrizione incisa nel fregio superiore, determina l'epoca della costruzione, l'anno 1093. L'interno, che doveva essere d'aspetto grandioso e solenne, diviso in tre navate coperte da tettoje a cavalletti, fu ridotto nel secolo XVIII allo stato presente dall'architetto Ruggeri, il quale volle pur completare la facciata deturpandola con una goffa imitazione delle parti originarie. Della primitiva struttura del tempio non restano che poche tracce. Ciò che sussiste e che dà al monumentale edifizio un'altissima importanza è la ricchezza non comune delle opere d'arte che adornano la chiesa e che costituiscono il ricco corredo di una Pinacoteca, modernamente raccolta ed ordinata nell'ampia cappella di S. Sebastiano ed in altri locali attigui. [Illustrazione: EMPOLI--GALLERIA DELLA COLLEGIATA--DELLA ROBBIA: DOSSALE D'ALTARE CON LA VERGINE E SANTI. (Fot. Alinari).] Tanta dovizia ci costringe, data l'indole di questa illustrazione, ad un fugace e semplice accenno delle opere più rilevanti. [Illustrazione: EMPOLI--GALLERIA DELLA COLLEGIATA--DELLA ROBBIA: DOSSALE D'ALTARE CON S. ANSELMO E SANTI. (Fot. Alinari).] [Illustrazione: EMPOLI--GALLERIA DELLA COLLEGIATA--DELLA ROBBIA: MADONNA COL FIGLIO. (Fot. Alinari).] Principale adornamento della Galleria Empolese, costituita fin dal 1859, è il dossale d'altare che accoglie nella nicchia centrale la vaghissima statua di S. Sebastiano, squisitamente scolpita da Antonio Rossellino e che è posta in mezzo a due tavole con angeli dipinti da Francesco di Giovanni Botticini. Delicatissime sono le storiette del gradino, mentre le decorazioni ornamentali in legno, di una eleganza e di un gusto delicato, sono opera del legnajuolo fiorentino Cecco Bravo. Un altro dossale è pure di grande interesse: lo scolpì lo stesso intagliatore valentissimo e le due tavole nelle quali sono effigiati S. Andrea Apostolo e S. Giovanni Battista sono dello stesso Botticini, uno dei più fedeli e valenti discepoli del Verrocchio. Di quest'opera egli ebbe commissione nel 1484; ma la morte lo colpì prima d'averla compiuta, talchè il lavoro dovette esser finito dal figlio di lui Raffaello, pur esso artefice di alto ingegno. Lorenzo Monaco degli Angeli è rappresentato in {074} questa raccolta dall'ancona nella quale si vede la Vergine col bambino Gesù seduta fra i santi Pietro, Giovanni Battista, Domenico e Antonio Abate, e fors'anche nel trittico proveniente dalla Pieve di Monterappoli e in due altri laterali di trittico. Oggetto di vive discussioni fra i critici è stata la tavola raffigurante l'Annunciazione, nella quale a taluni sembra veder la mano di Filippino Lippi, ad altri quella dello stesso Botticini; al quale si attribuisce pure una tavoletta con varî angeli danzanti deturpata da barbarici restauri. Altre opere di pittura si additano come cose di Bicci di Lorenzo, di Pier Francesco fiorentino, di Lorenzo di Credi, di Fra Bartolommeo. Varî dipinti sono fra le opere certe di due pittori, diremo così locali, l'Empoli ed il Cigoli. Copiosa è poi la raccolta di tavole della maniera giottesca, tantochè si potrebbe dire che la piccola Pinacoteca di Empoli, nei dipinti che la costituiscono, riassume rapidamente lo svolgimento dell'arte fiorentina dal XIV al XVII secolo. [Illustrazione: EMPOLI. BATTISTERO. MASOLINO DA PANICALE: PIETÀ. (Fot. Alinari).] [Illustrazione: EMPOLI--GALLERIA DELLA COLLEGIATA--PILA. (Fot. Alinari).] Notevoli sono pure diversi lavori di scultura e di plastica. Una Madonna col bambino, gentile lavoro di schiacciato rilievo, è, non senza ragione, attribuita a Mino: di terrecotte invetriate, oltre al gruppo della Vergine col bambino Gesù che stava già all'esterno del Palazzo Pretorio e che fu perciò vandalicamente deturpato, è da attribuirsi ad Andrea Della Robbia anche un tondo colla mezza figura dell'Eterno Padre. Dei tre dossali d'altare con altorilievi in terracotta colorita, senza invetriate, provenienti dalla chiesa di S. Maria a Ripa, due presentano qualità che li farebbero ragionevolmente attribuire alla maniera di Giovanni Della Robbia. Generalmente però, si davano come lavori di Giovanni Gonnelli detto il Cieco da Gambassi, mentre per uno solo vi sarebbero caratteri approssimativi per giustificare cotesta attribuzione. Del resto è abbastanza noto che in altri tempi, come si davano per cose di Luca Della Robbia tutti i lavori di terracotta invetriata, così si battezzavano col nome del Cieco da Gambassi tutte le terrecotte colorite e mancanti d'invetriato; naturalmente, più tardi, la critica ha pensato a metter le cose a posto. [Illustrazione: EMPOLI--CAPPELLA DELLA MISERICORDIA IN S. STEFANO--BERNARDO ROSSELLINO: L'ANNUNCIAZIONE. (Fot. Alinari).] La chiesa di S. Andrea, per quanto spogliata a profitto della Pinacoteca, non è restata del tutto priva di opere d'arte; una tavoletta fa pensare a Cimabue; vi sono dei frammenti di affreschi giotteschi, un dipinto del Ligozzi, una piletta della maniera di Donato Benti, un caratteristico leggìo di bronzo, mentre nella cappella del Battistero l'attenzione del visitatore è attratta dall'affresco murale che la critica giudica unanimemente come opera di Masolino da Panicale, da due statue di legno colorite del XV secolo e dall'elegante e originale fonte battesimale che si vuole della scuola di Michelozzo. [Illustrazione: EMPOLI--CHIESA ALLA MADONNA DEL POZZO O DI FUORI. (Fot. Alinari).] La chiesa di S. Andrea a Empoli ha un bel campanile di stile ogivale del XV secolo, quel campanile dal quale, seguendo uno strano e ridicolo uso, si faceva annualmente «volare» sulla sottostante piazza--abbandonandolo lungo una corda tesa, in declivio--un povero somaro nobilitato dall'appendice di due ali dorate. Dopo la Collegiata, l'altra chiesa più importante di Empoli è quella di S. Agostino, già di S. Stefano, che serba tracce della sua struttura del XIV secolo. In essa pure sono degne di nota alcune opere d'arte: la tavoletta di S. Niccolò da Tolentino del Bicci, una lunetta colla Vergine, il bambino e due angioli di Masolino, e, pregevoli soprattutto come esempi geniali d'arte decorativa, gli ornamenti di legname intagliato e dorato di due altari del XVII secolo. [Illustrazione: EMPOLI--PORTA PISANA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] La Cappella dell'Annunziata, oggi sede dell'Arciconfraternita della Misericordia, ha sull'altare le due figure in marmo di tutto rilievo dell'Annunciazione, scolpite da Bernardo Rossellino. Più moderna è la chiesa della Madonna del Pozzo o di fuori, ridotta alla forma presente nel 1621 dal _Fracassa_, architetto empolese, il quale seppe darle un aspetto gajo, armonioso e correttissimo di forme. Porta Pisana, celebre pei ricordi dell'assedio, trasformata da Cosimo I de' Medici per ragioni di difesa, il palazzo Martelli dove vuolsi che si adunasse il celebre consiglio dei Ghibellini dopo Montaperti e che ha la facciata adorna di affreschi della fine del XVI secolo, i resti della Rocca, incorporati nella fabbrica dello Spedale, la grandiosa fontana scolpita dal Giovannozzi, sono le altre cose che attraggono l'attenzione di chi visita questa terra che ai ricordi gloriosi della sua storia accoppia le eleganti e gaje manifestazioni della vita moderna. [Illustrazione: EMPOLI--BATTISTERO--PARTICOLARE DEL FONTE BATTESIMALE. (Fot. Alinari).] III. DA EMPOLI A PONTEDERA. Empoli giace in mezzo ad uno dei tratti più ampi ed aperti del Valdarno Inferiore. Appoggiata da un lato all'argine dell'Arno, ha tutt'all'intorno un estesissimo raggio di pianura. Le colline che corrono parallele al corso del maggior fiume toscano par che in questo punto si siano tratte indietro per costituire come un contr'argine o, meglio ancora, un immenso anfiteatro. All'estremità di questo anfiteatro s'inalzano come tante vedette, Montalbano e il Monte Pisano da un lato, Monte Castello e il poggio di San Miniato dall'altro. [Illustrazione: EMPOLI--CHIESA DI S. MARIA A RIPA--DELLA ROBBIA: S. LUCIA. (Fot. Alinari).] Sulla linea delle basse colline, ogni prominenza è occupata da un grosso paese, da un castello, da un villaggio. Sulla destra del fiume, Vinci, Vitolini, Lamporecchio, Larciano, Cerretoguidi, Petrojo, Fucecchio, S. Maria a Monte, Montecalvoli, Montecchio; sulla sinistra, Samontana, il Cotone, Monterappoli, la Bastia, San Miniato, Cigoli, Montopoli, Marti. A tramontana par che la linea di colline si sia abbassata per permetter la vista de' poggi leggiadri della Valdinievole, sui quali si adagiano Monte Vettolini, Monsummano alto, Montecatini, Massa, Cozzile, Colle, Stignano, Buggiano, Uzzano. E dietro a questa doppia barriera di colli, inalzano le maestose e frastagliate vette gli Apennini Pistojesi, i monti di Lucca e lontano lontano i picchi delle Alpi Apuane biancheggianti, ora per i marmi che spuntano da' fianchi squarciati dalle mine, or per le nevi che vi si addensano sfidando la potenza del sole estivo. Nei piani feraci per i rigogliosi vigneti e per gli orti fecondi, sono di tanto in tanto densi aggruppamenti di case dai quali spiccano le vette aguzze dei campanili delle chiese di antica origine, deturpate tutte, più o meno, dalla meschina manìa di modernità, ma quasi tutte rallegrate dal fascino di qualche prodotto del genio artistico, prodigiosamente sfuggito all'avidità ed all'incuria. [Illustrazione: EMPOLI--CHIESA DI S. MARIA A RIPA--LA VERGINE IN GLORIA, DI GIOV. ANT. SOGLIANI. (Fot. Alinari).] _S. Maria a Ripa_, un antico convento francescano sorto per la munificenza degli Adimari di Firenze presso al luogo dove fu il borgo di Empoli Vecchio, ebbe un giorno ricchezza straordinaria di opere di plastica soprattutto; e alla soppressione delle corporazioni religiose, molte di esse andarono ad accrescere la nascente pinacoteca della Collegiata d'Empoli. Però altre ne rimasero che valgono a conservare tuttora alla graziosa chiesa una importanza artistica non comune. Basta ricordare la statua di S. Lucia, una delle figure più realistiche, più animate che siano state immaginate da Giovanni Della Robbia, un bassorilievo robbiano attribuito al Cieco da Gambassi, una tavola della maniera di Fra Bartolommeo rappresentante l'Assunzione ed i Santi Marco e Bartolommeo e diverse vetrate dipinte del XV secolo. Nell'annessa compagnia, è una bella Concezione copiata da un quadro del Vasari con lo stesso soggetto, del Chimenti detto l'Empoli. [Illustrazione: EMPOLI--CHIESA DI S. MARIA A RIPA--LA CONCEZIONE, DEL CHIMENTI. (Fot. Alinari).] Altre opere d'arte si osservano in diverse chiese vicine: ad _Avane_ una Madonna col bambino della maniera di Andrea del Sarto, a _Riottoli_ un ciborio dei Della Robbia, a _Pagnana_ una tavoletta di Agnolo Gaddi, a _Marcignana_ una croce giottesca ed una grandiosa ghirlanda robbiana. [Illustrazione: EMPOLI--CHIESA DI S. MARIA A RIPA--DELLA ROBBIA: DOSSALE D'ALTARE. (Fot. Alinari).] Seguendo per un piccolo tratto il corso del fiume Elsa, che dai monti senesi reca all'Arno l'abbondante tributo delle sue acque limpidissime, troviamo la chiesa di _Pianezzole_ o del _Terrafino_, la quale possiede un pergamo che riproduce esattamente nelle sue forme architettoniche e decorative quello che Benedetto da Majano fece in S. Croce di Firenze per i Mellini, salvo che vi mancano i bassorilievi negli specchi. Ascendiamo il declivio di un poggetto che sporge fra le valli dell'Elsa e dell'Arno, e ci troveremo a Monterappoli, modesto ma pittoresco villaggio che fu un giorno capoluogo di un comune assorbito più tardi dal maggior comune di Empoli. A Monterappoli sono due chiese: S. Lorenzo e la Pieve di S. Giovanni Evangelista. La prima non ha d'importante che un affresco botticellesco rappresentante S. Sebastiano; la seconda invece conserva all'esterno le forme eleganti e le originali e caratteristiche decorazioni di una chiesa di carattere lombardo. Facciata, fianchi, abside sono a cortina di mattone con leggiadre ornamentazioni e nell'architrave della porta sussiste un'iscrizione che ricorda il nome dell'artefice che ideò e costruì il pregevole edifizio, un Bonserio lombardo, il quale dev'essere stato uno dei tanti maestri comacini chiamati ad esercitare l'arte loro in Toscana. [Illustrazione: S. MINIATO--DALLA CHIESA DI S. PIETRO ALLE FONTI. (Fot. Alinari).] Presso Monterappoli, sul cocuzzolo di una bassa collina, un vecchio e caratteristico castello prospetta la sua fronte merlata verso la valle dell'Arno. È il castello del _Cotone_ posseduto in antico dalla potente famiglia fiorentina degli Spini, poi dagli Scarlatti, celebrato dal Redi nel suo _Ditirambo_ per la squisitezza dei vini prodotti da que' prosperosi _grappoli_ dai quali il vicino Monterappoli trasse il nome e lo stemma. SAN MINIATO. All'estremità occidentale del piano empolese, sopra il vertice ondulato di un poggio che a guisa di sprone si protende verso la valle dell'Arno, distende la lunga linea dei suoi edifizi la città di San Miniato, alternativamente chiamata _al Tedesco_ e _al Fiorentino_, capoluogo di un vasto circondario della provincia di Firenze. La lunga e irregolare distesa delle sue case biancheggianti, interrotta di tanto in tanto dalla massa grandiosa di chiese e di palagi, coronata di torri e di campanili, segue le sinuosità del monte ed a chi la guarda da lontano dà l'idea che San Miniato sia una ampia e popolosa città. Invece, San Miniato, se possiede una storia e tradizioni gloriose da fare invidia a centri molto più importanti, non può considerarsi che come un lunghissimo borgo che di tanto in tanto si allarga per costituire delle piazze e che si dirama in piccole e brevi strade minori. [Illustrazione: S. MINIATO--CATTEDRALE. (Fot. Alinari).] San Miniato non ha che 3500 abitanti o giù di lì, ma, in compenso, offre l'aspetto e l'importanza di una piccola capitale, di un centro di movimento e di affari tutt'altro che insignificante, essendo sede di numerosi uffici pubblici. Ma queste sue qualità, diremo così, officiali, sono di gran lunga superate dalle attrattive che San Miniato offre per la sua meravigliosa situazione, per la vaghezza dei giardini che l'allietano, per la ricchezza infinita di edifizi e di opere d'arte che la rendono una delle più simpatiche e delle più leggiadre fra le città secondarie della Toscana. [Illustrazione: S. MINIATO--CATTEDRALE--FRAMMENTO DELL'ANTICO PULPITO. (Fot. Alinari).] L'origine sua si perde nel mistero de' tempi lontani, e le vicende della sua storia molteplici e fortunose mal si riassumerebbero in questa modesta illustrazione. Forse fu qui un villaggio o _vico_ romano al quale si sostituì nel basso medioevo un castello posseduto da nobili Longobardi. Certo è che fin dal secolo IX, dopo una non breve permanenza fattavi da Ottone I Imperatore, San Miniato, che dal titolare d'un'antica chiesetta ebbe nome, divenne la residenza d'un rappresentante o Vicario degl'Imperatori di Germania che in Toscana ne tutelava l'autorità e gl'interessi. Gli abitanti però male si assoggettarono al dominio della signoria straniera e per due volte, nel XII e nel XIII secolo, devastarono e abbandonarono la loro terra, andando a popolare due sottostanti borghi della pianura: Vico Wallauri che si chiamò poi San Genesio e Santa Gonda. Ma irrequieti, desiderosi di libertà e d'indipendenza, si rivolsero anche contro chi li aveva ospitati, e, distrutto San Genesio, annientato il borgo di Santa Gonda, tornarono al loro dolce colle, contendendo i diritti degl'Imperatori e de' loro Vicarî. Riuscirono così ad acquistarsi una certa autonomia, perchè gl'Imperatori, pur di non perdere quella specie di vedetta che nel cuore della Toscana rappresentava tuttora quell'autorità feudale che sfuggiva loro dalle mani, cercarono di cattivarsi l'animo dei Sanminiatesi e permisero loro di costituirsi in libero comune, il quale, proprio sotto gli occhi del Vicario Imperiale, giunse fino a far parte della lega guelfa. Federigo Barbarossa e poi Federico II dimorarono lungamente nella loro rocca, esercitarono di lassù l'autorità loro, tentarono di raccogliere e di animare le forze del partito ghibellino; ma la marea guelfa incalzava senza tregua e nello stesso castello di San Miniato s'accendevano di continuo le contese più violente fra i partigiani delle due opposte fazioni. Il potere imperiale scomparve travolto dall'irruenza di parte guelfa ed i Fiorentini, profittando delle discordie intestine che agitavano senza tregua l'ultimo propugnacolo dell'autorità degl'Imperatori, strinsero d'assedio il castello, lo espugnarono e nel 1369 lo aggregarono senz'altro al territorio della loro potente Repubblica. [Illustrazione: S. MINIATO--CHIESA DI S. DOMENICO--TAVOLE DI ROSSELLO DI JACOPO FRANCHI E AFFRESCO DEL XV SECOLO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Il castello di S. Miniato ebbe in origine modesta estensione e le sue solide mura racchiudevano appena il cocuzzolo del poggio sul quale sorgeva la rocca imperiale. Di questa rocca, che fu gettata al suolo ed abbandonata, altro non resta oggi che l'alta e smantellata torre, che, simbolo di una potenza e di una grandezza tramontate, domina una gran parte del Valdarno e le vicine valli dell'Elsa e dell'Evola. Su quel prato deserto e silenzioso dove crescono e prosperano i fiori, a formare uno strano contrasto collo squallore di quel cupo rudere, fu la residenza degli orgogliosi Imperatori tedeschi, fu la dimora dei loro Vicarî e fra quelle mura, oggi rase al suolo, si svolsero truci e misteriosi drammi. Di uno, specialmente, è giunto fino a noi il ricordo, tramandato dagli storici: la fine infelicissima di Pier della Vigna, il celebre ministro di Federigo II, che caduto in disgrazia del suo signore, fu qui tratto in catene nel marzo del 1249 e barbaramente acciecato, sicchè in un impeto di disperazione si uccise fracassandosi il cranio contro le pareti del carcere. [Illustrazione: S. MINIATO--CHIESA DI S. DOMENICO--AFFRESCO E TAVOLA DEL XV SECOLO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Accanto alla torre eccelsa, dall'alto della quale lo sguardo può errar liberamente attraverso a mezza Toscana, sono stati incisi a ricordo del caso pietoso i versi di Dante: «Io son colui che tenni ambo le chiavi del cuor di Federigo e che le volsi, serrando e disserrando, sì soavi che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi». [Illustrazione: S. MINIATO--CHIESA DI S. DOMENICO. MONUMENTO A GIOVANNI CHELLINI. (Fot. Alinari).] Poco al disotto della rovina della Rocca, è la Cattedrale dedicata a S. Maria e a S. Genesio per rievocare il ricordo della chiesa di Vico Wallauri e quasi ad espiazione dell'ingratitudine che i Sanminiatesi addimostrarono per quel borgo ospitale. La facciata della chiesa, a cortina di mattoni, serba le tracce delle trasformazioni e degli ampliamenti succedutisi dal XII al XVII secolo. Degli ornamenti di terracotta stampata, delle scodelle di majolica infisse nella cortina sono i resti della primitiva facciata. Nell'interno la chiesa è stata modernamente rifatta. Delle opere d'arte il corredo è piuttosto scarso. Più interessanti d'ogni altra cosa sono tre parti degli specchi del vecchio pergamo, scolpiti di bassorilievo colla rappresentazione dell'Annunciazione ed uno stemma; interessanti per antichità loro e perchè sono illustrati da iscrizioni che ne riassumono la storia. Le sculture sono di Giroldo di Jacopo da Como, scultore lombardo che lavorò al Duomo di Milano, alla Certosa di Pavia, al Duomo di Lucca, a Massa Marittima, alla Badia di Montepiano ed in altre località della Toscana; furono eseguite nel 1274 a tempo del Podestà Ugo de' Cancellieri da Pistoja. Una tavola dipinta nel 1463 da Neri di Bicci, il fonte battesimale di marmo che potrebbe attribuirsi a Pagno Portigiani discepolo di Donatello, che si sa aver lavorato a San Miniato, ed una piletta del XV secolo, completano il patrimonio artistico del Duomo. Il campanile di mattoni era una delle salde e gagliarde torri del vecchio castello, del quale facevano parte i palazzi vicini, oggi del Vescovado e della Sottoprefettura. Più importante della Cattedrale è la chiesa di S. Francesco che maestosa s'inalza dalle balze del monte, sostenuta da sproni e da arcate di proporzioni gigantesche. Cominciata a costruire nel 1343 sul luogo di un antico oratorio, la chiesa di S. Francesco restò compiuta nel 1480 e della costruzione sua originaria serba tuttora in gran parte i caratteri. Non così sono giunti fino a noi i molti oggetti d'arte e le decorazioni che, a similitudine di tutte le altre chiese francescane, dovevano adornarla. Unico resto delle sue dovizie artistiche sono de' frammenti di un bellissimo affresco gaddiano (che decorava un giorno la sala del Capitolo), oggi quasi nascosti in uno stambugio al disotto del campanile. [Illustrazione: S. MINIATO--CHIESA DI S. DOMENICO--TAVOLA DEL XV SECOLO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Ma quello fra gli edifizi religiosi di San Miniato che presenta grande importanza artistica, non tanto per i pregi architettonici, quanto per la ricchezza infinita delle opere d'arte che vi sono raccolte, è la chiesa dei Domenicani intitolata ai Ss. Jacopo e Lucia. Pur essa, alla pari di quella di S. Francesco, sorge dalla balza del monte, sostenuta da immensi piloni. In origine era a tre navate, oggi è ad una sola ed ampia nave con cinque cappelle di carattere ogivale. Essa fu cominciata a costruire nel 1330 dai frati Domenicani di Firenze e le più illustri e potenti famiglie di San Miniato la corredarono di cappelle, ricche di pregevolissimi affreschi che nei tempi della decadenza artistica scomparvero sotto il bianco. [Illustrazione: S. MINIATO--CHIESA DI S. DOMENICO--GIOV. DELLA ROBBIA: ANNUNCIAZIONE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Recentemente però, importanti restauri sono stati eseguiti a questa chiesa, restituendo all'aspetto originario le tre cappelle di prospetto e rimettendo in luce non pochi affreschi interessantissimi. Quelli della cappella degli Armaleoni, che rappresentano storie della Madonna, sono della scuola dei Gaddi ed appartengono forse a Niccolò di Piero Gerini. In fondo alla chiesa poi, dov'erano in origine due cappelle, sono venuti in luce altri interessanti affreschi che possono attribuirsi a qualche scolaro dell'Angelico che li eseguì sotto la guida o l'ispirazione del maestro. Per dovizia {093} di opere d'arte la chiesa dei Domenicani può considerarsi come il museo cittadino. Tolte dalla sagrestia e dalle altre parti del convento e disposte convenientemente nella chiesa, esse sono ora oggetto della giustificata ammirazione del visitatore. Vi sono tavole e frammenti di ancone di scuola giottesca, altre de' primi del XV secolo attribuite a Rossello di Jacopo Franchi, diverse della maniera di Fra Giovanni Angelico. Ma l'opera più interessante è la tavola che è stata posta a decorazione della cappella degli Armaleoni, nella quale le figure della Vergine in trono col bambino Gesù e dei santi Sebastiano, Rocco, Giovanni Battista e Martino vescovo mostrano tutta la leggiadrìa dell'arte fiorentina del 400. [Illustrazione: S. MINIATO--SALA DEL CONSIGLIO NEL PALAZZO COMUNALE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] [Illustrazione: S. MINIATO--CAPPELLA DEL LORETINO--ALTARE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Interessante è pure la tavola del XV secolo che adorna la vicina cappella, un giorno dei Samminiati. In questa stessa cappella è il monumento funebre di Giovanni Chellini, celebre medico fiorentino morto nel 1468. È un'opera incompleta, perchè il frontespizio è un'aggiunta posteriore, il medaglione colla Vergine e il bambino è un calco di stucco ed il fondo del vano è deturpato da goffe e volgari decorazioni moderne che dovrebbero esser tolte. Tradizionalmente, il cenotafio si attribuisce a Donatello e al discepolo suo Pagno Portigiani che lavorarono insieme a San Miniato; ma l'attribuzione regge difficilmente alla critica, perchè, alla morte del Chellini, Donatello era decrepito ed il Portigiani pure era già molto vecchio. [Illustrazione: S. MINIATO--PALAZZO GRIFONI. (Fot. Alinari).] Altra opera di pregio singolare è un tondo di terracotta invetriata rappresentante l'Annunciazione, leggiadrissimo lavoro di Andrea o, meglio, di Giovanni Della Robbia, proveniente dalla soppressa chiesa monastica di S. Martino. Al disotto del piano della chiesa è l'ampia cappella di S. Urbano, tutta decorata di buoni affreschi del XVI secolo. Grandiosi palazzi di buona architettura sorgono sulle piazze e lungo le strade pittoresche di questa quieta e caratteristica città. Il Palazzo Comunale, fondato nel XIV secolo per uso di residenza de' magistrati cittadini, non ha esternamente interesse di sorta; ma nell'interno conserva intatto il salone o l'Udienza del Consiglio, salone che pochi anni addietro venne convenientemente ristaurato. In una delle sue pareti è un affresco della maniera dei Gaddi dipinto nel 1393 a tempo di un vicario di casa Guicciardini e rappresenta la Vergine in trono, circondata dalle Virtù Teologali. Tutte le altre pareti e le vôlte sono adorne di stemmi e d'imprese dei Vicarî della Repubblica Fiorentina. [Illustrazione: S. MINIATO--CAPPELLA DI FORTINO--TAVOLA DELLA SCUOLA DEL GHIRLANDAJO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Al pianterreno, sotto la sala del Consiglio, è l'Oratorio della Madonna di Loreto detto del Loretino, che serviva alle cerimonie religiose pubbliche e private della magistratura cittadina. La cappella è di forma graziosa e ricca di adornamenti che un recente incendio espose ai più gravi rischi. Le pareti sono adorne di affreschi assai deteriorati della prima metà del XV secolo e l'altare di legname è di squisitissimo e delicato lavoro del XVI secolo. Framezzo alle leggiadre decorazioni intagliate e dorate è un gradino con piccole storie che sanno della maniera di Ridolfo del Ghirlandajo o del Sogliani. Il bel cancello di ferro battuto che chiude la cappella porta il nome dell'artefice, Lello di Siena. [Illustrazione: CASTELLO DI MONTEBICCHIERI PRESSO S. MINIATO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Dei palazzi privati, il più vasto e il più artisticamente pregevole è quello Grifoni, oggi Catanti, di severa architettura toscana del XVI secolo. Giuliano di Baccio d'Agnolo ne fece il disegno per Messer Ugolino Grifoni monsignore d'Altopascio e il Vasari dice che «fu cosa magnifica». Pur troppo il lungo abbandono ha ridotto oggi la facciata in condizioni deplorevoli. Artisticamente importanti sono anche il palazzo Formichini, già Morali, del XVI secolo, quello Salvadori, già Franchini, Del Campana, già Roffia, e quelli che furono un giorno dei Borromei e dei Buonaparte, celebri famiglie sanminiatesi, posti sulla piazza del Tribunale. Subito fuori della città, dal lato di ponente, è il R. Conservatorio di S. Chiara, dove fu un monastero eretto nel secolo XIV dalla famiglia Portigiani. Sull'altar maggiore della chiesa è una bella tavola dell'Empoli rappresentante la Concezione. Di eleganti forme ogivali è l'attigua sagrestia, un giorno chiesa dedicata a S. Maria Maddalena, fondata nel 1352 dai Bonincontri; sull'altare è una delle migliori tavole di Lodovico Cardi da Cigoli raffigurante Gesù Cristo che appare alla Maddalena sotto le spoglie di un ortolano. [Illustrazione: CIGOLI--TABERNACOLO NELLA CHIESA DI S. GIOV. BATTISTA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Proseguendo la via, si trova la piccola chiesa di S. Maria del Fortino, leggiadra costruzione del XIV secolo che era già annessa ad uno spedaletto, oggi distrutto. Sull'altare esiste l'antica tavola danneggiata assai dall'umidità e dall'incuria. Nel centro della tavola, in una specie di tabernacolo sostenuto da angeli volanti, è la Vergine col bambino Gesù; in basso stanno S. Sebastiano, S. Bartolommeo, S. Cosimo, S. Damiano e S. Caterina d'Alessandria; è opera assai importante di scuola del Ghirlandajo. Nei dintorni di San Miniato, fra le valli dell'Arno, dell'Elsa, dell'Evola e dell'Era, sorgono villaggi, castelli e casali che fecero parte del territorio della piccola repubblica costituitasi dopo la decadenza del dominio imperiale e molti di essi offrono tuttora un interesse speciale per i resti di antiche rocche, per edifizi di carattere medioevale, per le chiese di bella costruzione e non sprovviste di qualche pregevole opera d'arte. [Illustrazione: MONTOPOLI--LA ROCCA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Fra i castelli, quello che conserva maggiormente l'originario carattere, colla vecchia cinta di mura e le torri di difesa, è _Monte Bicchieri_, che per lungo corso di secoli appartenne ai Compagni, la cospicua famiglia fiorentina dalla quale nacque Dino, il celebre storico. Fra le chiese va ricordata la Pieve di S. Giovanni Battista a Corazzano, severa costruzione di laterizio del XI secolo, nella quale sono da ammirarsi un singolare affresco colla Vergine, opera del XV secolo, ed un'interessante tavola della maniera di Alessio Baldovinetti. De' castelli sanminiatesi uno dei più importanti è CIGOLI, in antico Ceuli, noto più specialmente sotto il nome di Fabbrica di Cigoli. Nel luogo della rocca è oggi la splendida villa Sonnino, che porta appunto il nome di Castelvecchio. L'ampia Pieve di S. Giovanni Battista, che nonostante le infinite trasformazioni, serba ancora tracce della sua ricostruzione del XIII secolo, perchè l'origine sua data dall'VIII secolo, ebbe annesso un convento di frati Umiliati che fu soppresso prima del XV secolo. Opera fatta eseguire dagli Umiliati è lo stupendo tabernacolo di pietra che racchiude un'antichissima immagine della Madonna. Squisiti lavori ornamentali che evocano la maniera del fiorentino Neri di Fioravanti ne adornano le singole parti, indegnamente ricoperte da una moderna quanto vandalica verniciatura. Nell'imbotte di questo tabernacolo, che venne eretto nel 1381 da sette frati Umiliati, sono i resti d'interessanti affreschi della maniera di Agnolo Gaddi. [Illustrazione: VINCI. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Seguitando la linea dei colli, che con leggiadra ondulazione seguono paralleli il corso dell'Arno, si trova MONTOPOLI, graziosa e ridente terra che si distende ai piedi di una piccola collinetta sulla quale s'inalza la torre dell'orologio, avanzo della potente rocca che fin dal tempo remoto, in cui dominavano questi luoghi i Vescovi di Lucca, stette a guardia e difesa de' popoli vicini. La Repubblica Fiorentina accrebbe straordinariamente le fortificazioni di Montopoli che rappresentava come un punto avanzato all'estremità del suo territorio e per mezzo di un arco arditissimo che passa al disopra del Borgo Vecchio, collegò la rocca alle nuove mura castellane. Un incendio desolò il paese, arse la rocca, fece cader parte delle mura ed oggi del grandioso fortilizio non rimangono che la torre isolata e l'arco pittoresco. La Pieve di S. Stefano a Montopoli nei fianchi e nell'abside presenta le forme ed i caratteri delle chiese in laterizio del XIII secolo. Nella chiesa del R. Conservatorio di S. Marta è la tavola della Resurrezione, una delle opere più felici di Lodovico Cardi da Cigoli. [Illustrazione: VINCI--PANORAMA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Da Montopoli è a breve distanza il lungo e popoloso borgo di _S. Romano_ che si specchia nell'Arno e che possiede una chiesa francescana di origine antica, ma modernamente sopraccaricata di decorazioni. Proseguendo la via Pisana, traversato il torrente Chiecinella che segna il confine fra le provincie di Pisa e di Firenze, si trovano prima _Castel del Bosco_, dove nessuna traccia rimane del gagliardo fortilizio pisano presso il quale avvennero sanguinosi conflitti, e poi il paese della _Rotta_, centro di una fiorente fabbricazione di laterizi, che col proprio nome perpetua il ricordo di una terribile alluvione nella quale l'Arno, abbattuti gli argini, invase la pianura fino a Pontedera. Ma, giunti a questo punto, occorre retrocedere fino a Empoli e, varcato il comodo ponte moderno che attraversa l'Arno, compiere una rapidissima visita ad alcuni de' più importanti luoghi che sorgono fra le pendici del Monte Albano e dei poggi delle Cerbaje e la riva destra del fiume. [Illustrazione: VINCI--ORATORIO DELLA SS. ANNUNZIATA--FRA PAOLINO DA PISTOJA (?): L'ANNUNCIAZIONE. (Fot. Alinari).] VINCI merita uno speciale ricordo, perchè all'incanto della sua giacitura, alle memorie storiche de' tempi lontani, può unire anzitutto il vanto di aver dato i natali ed il nome ad un genio meraviglioso, a quel sommo Leonardo che, nell'arte come nelle scienze, raggiunse l'apogeo della gloria. La famiglia di Ser Piero da Vinci, notajo fiorentino che fu padre di Leonardo, ebbe nel castello e nei dintorni diversi possessi dei quali è notizia negli antichi catasti; ma se non può stabilirsi in modo assoluto il luogo dove quel genio venne alla luce, è pure da accogliersi come più probabile la supposizione che nella sua infanzia egli abitasse nella località chiamata Anchiano, dov'erano una casa e due poderi appartenenti fin da tempo remoto alla sua famiglia. La chiesa di S. Croce a Vinci non ha importanza di sorta; in compenso merita di essere visitato il leggiadro oratorio della SS. Annunziata dov'è una tavola che è stata soggetto di molti e contradditorî giudizi intorno alla sua attribuzione: l'Annunciazione che oggi si è concordi ad assegnare a Fra Paolino da Pistoja. La vecchia e cadente rocca di Vinci, forte maniero, un giorno dei signori d'Anchiano consorti degli Adimari, divenne dipoi fortilizio della Repubblica Fiorentina che ne accrebbe l'importanza. Oggi non è che una maestosa mole in isfacelo, che serve di malsicuro e meschino asilo a povere famiglie di braccianti. [Illustrazione: LAMPORECCHIO--VILLA ROSPIGLIOSI. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] LAMPORECCHIO, ampio e popoloso villaggio che sorge in una valle alle pendici del Montalbano, vicino ai resti di alcune torri di vedetta inalzate dai Pistojesi, non ha grande importanza artistica; viceversa è famoso nelle tradizioni gastronomiche popolari per la bontà di certi piccoli cialdoni, chiamati _brigidini_, che i suoi abitanti vanno a cuocere a tutte le fiere della nostra regione, formando la delizia de' ragazzi. La Pieve di S. Stefano, che ora si ricostruisce di nuovo in forma molto più vasta e ricca, possiede un grandioso e complicatissimo altare in terracotta invetriata de' tempi di Andrea e Giovanni Della Robbia. Rappresenta la Visitazione di S. Elisabetta, i Santi Rocco e Sebastiano ed è straordinariamente ricco di decorazioni ornamentali. [Illustrazione: CERRETO-GUIDI--PANORAMA DALL'ORATORIO DI S. LIBERATA. (Fot. Alinari).] Però ciò che contribuisce a dare un carattere di splendore a Lamporecchio è la Villa Rospigliosi che sorge a cavaliere del paese, circondata da un vasto e delizioso parco e da numerosissimi e comodi annessi. Papa Clemente IX della famiglia pistojese de' Rospigliosi la fece edificare col disegno del celebre Bernini; ma il gigantesco e dispendioso progetto dell'insigne artista non ebbe compimento che in parte, donde venne alla villa il nomignolo che porta tuttora di _Spicchio_. Ad ogni modo, è uno spicchio imponentissimo, nel quale la famiglia dei Principi Rospigliosi serba tuttora tutti i doviziosi arredamenti che erano degni d'una residenza pontificia. Prima di abbandonare le pendici del Montalbano e riprendere la strada lungo il corso dell'Arno, osserviamo un altro pittoresco e storico castello, LARCIANO, che sulla vetta di un alto poggetto presenta fra i vecchi caseggiati le masse brune della sua antica Pieve e della fortissima rocca che per il corso di varî secoli fu residenza dei Capitani pistojesi, preposti alla guardia ed al governo di un amplissimo territorio. [Illustrazione: CERRETO-GUIDI--CHIESA DI S. LEONARDO--GIOV. DELLA ROBBIA: FONTE BATTESIMALE. (Fot. Alinari).] Soffermiamoci ora un istante a CERRETO-GUIDI, dove ci attraggono storiche ricordanze e diverse opere d'arte che non debbono sfuggire all'intelligente visitatore di questi luoghi. Feudo in tempi remoti della celebre e potente famiglia dei Conti Guidi, Cerreto ebbe in antico un forte castello sulle cui rovine sorse una suntuosa villa medicea, la villa nella quale si svolse la notte del 16 luglio 1576 una delle più terribili tragedie registrata nella storia dei primi Granduchi di Toscana: l'uccisione, per opera di Paolo Giordano Orsini conte di Bracciano, dell'infedele ed infelicissima Isabella, figlia secondogenita di Cosimo I de' Medici. Presso la villa, che chiude, dentro le sue solide mura, il ricordo dell'esecrando delitto, sorge la Pieve di S. Leonardo, nella quale la vista di superbe opere d'arte ritempra e risolleva lo spirito rattristato dall'evocazione di quell'orrendo delitto. Di questi oggetti, quello che specialmente attrae l'ammirazione del visitatore è il fonte battesimale di forma esagona, nel quale Giovanni Della Robbia maestrevolmente ritrasse di bassorilievo episodi della vita di S. Giovanni Battista, circondandoli di ornamenti di una finezza e di una grazia squisita. [Illustrazione: CERRETO-GUIDI--CHIESA DI S. LEONARDO--NASCITA DI S. GIOV. BATTISTA. PARTICOLARE DEL FONTE BATTESIMALE.] Una tavola che rappresenta la Vergine col putto, fra S. Leonardo e S. Paolo Apostolo e che ricorda la maniera di Filippino Lippi, e un'altra colle figure di S. Girolamo e di S. Michele, ispirate al fare del Franciabigio, un'altra tavola col Crocifisso fra i Santi Sebastiano e Rocco della maniera del Poccetti, il quadro della Madonna del Rosario che può attribuirsi al Cigoli, un Crocifisso che si dice opera di Giambologna, costituiscono il corredo artistico di quest'antica Pieve. Abbandonato Cerreto-Guidi, il cui abitato cinge come un anello il poggetto sul quale sorgono la villa medicea e la Pieve, torniamo sulla riva dell'Arno ed in una rapida corsa passiamo attraverso ai popolosi paesi che, a breve distanza l'uno dall'altro, trovansi fra la linea delle basse colline che la valle dell'Arno dividono dal padule di Fucecchio e l'argine del fiume. [Illustrazione: FUCECCHIO--PANORAMA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] FUCECCHIO è il primo e il più importante di questi luoghi: importante per dovizia di antichi ricordi storici, per pregio di fabbriche e di opere d'arte ed anche per essere divenuto modernamente un frequente e cospicuo emporio di commercio e di attività. In origine fu un piccolo borgo, che si disse appunto Borgonuovo, fabbricato, insieme ad una cospicua abbazia, dai Cadolingi, i quali adottarono più comunemente il titolo di Conti di Borgonuovo, perchè tennero come loro preferito soggiorno il castello da essi edificato da un lato della collinetta sulla quale la terra di Fucecchio si distende. Di quella rocca, che la Repubblica Fiorentina conquistò ed afforzò, sussistono ancora le gagliarde mura e diverse torri che attorniano un'ampia casa di fattoria oggi dei Principi Corsini. L'Abbazia di Borgonuovo, intitolata a S. Salvatore, sorgeva sul poggetto chiamato di Sala Marzana e sussiste tuttora, sebbene trasformata, la sua vetusta chiesa che della vecchia struttura conserva oggi solo poche parti. Passata dai Benedettini ai Vallombrosani, poi alle monache, subì alterazioni infinite e la dispersione del suo artistico tesoro. Oggi non vi si osservano che dei dipinti del Vasari, di Francesco Mati, di Alessandro Allori e del Pignoni. [Illustrazione: FUCECCHIO--PORTA DI S. ANDREA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] L'Arcipretura di S. Giovanni Battista venne riedificata nel XVIII secolo nella località stessa dell'antica Pieve divenuta troppo angusta. Al modesto interesse del fabbricato offrono un compenso diversi oggetti d'arte che tuttora vi si conservano: dei dipinti cioè ritenuti di Cosimo Rosselli, di Lorenzo di Credi, di Filippino Lippi, del Sogliani, di Fra Paolino da Pistoja, del Pontormo, di Alessandro del Barbiere, del Biliverti. Fucecchio, che fu costantemente fedele a parte guelfa, che accolse nelle sue mura ospitali e li protesse, i fuorusciti fiorentini banditi dopo Montaperti, fu teatro più di una volta di guerreschi episodi, nei quali difese così gagliardamente la propria libertà che i nemici, attaccandolo, uscirono scornati e sconfortati. Anche Castruccio Castracane, che nel 1323 tentò la presa di Fucecchio, si trovò di fronte a tale resistenza che dovette abbandonare l'iniziata impresa. Dell'assedio posto a Fucecchio da Castruccio rimane ricordo nella porta di S. Andrea, che il popolo chiama appunto di Castruccio, perchè contro di quella più specialmente si rivolse la inutile furia delle milizie guidate da quell'ardito capitano. Palazzi antichi e di belle forme architettoniche, piazze e strade eleganti, il vantaggio di una felice giacitura, i benefizi del movimento commerciale, fanno ora di Fucecchio uno dei centri più notevoli del Valdarno Inferiore. Da Fucecchio trasse nome fin da tempo antico un vasto lago, divenuto poi palude, che si distende nei bassi piani chiusi fra i colli del Valdarno e le pendici dei poggi della Valdinievole. Cotesto lago fu fin da tempo remoto occasione di cure speciali per parte degli ufficiali della Repubblica Fiorentina, i quali dovevano provvedere a che le acque cresciute per le alluvioni non allagassero i luoghi circostanti e impedire che per cagione della bassura del lago esso fosse invaso dalle piene dell'Arno; quindi più e più volte si ricorse ai più valenti artisti perchè dirigessero la costruzione di gagliarde opere idrauliche atte a contenere il lago ed a favorire il defluvio delle acque. Di queste opere di architettura idraulica la più importante è il _Ponte a Cappiano_, detto anche delle _Calle_ per cagione delle cateratte e delle altre opere di difesa che in questo luogo furono eseguite. Storicamente, il Ponte a Cappiano è interessante perchè fin dal medioevo ebbe a propria difesa un castello fortissimo presso al quale più volte vennero a sanguinose contese le milizie delle Repubbliche di Firenze, Pisa e Lucca. Nella costruzione del ponte e delle altre difese dello sbocco del lago, ebbero parte grandissima Antonio e Francesco da Sangallo, entrambi architetti del magistrato della parte guelfa. Il primo fu mandato nel 1508 a provvedere ad opere che valessero a contenere il lago ed a far sì che da esso non sfuggisse in troppa quantità il pesce che procurava una cospicua rendita allo stato. Francesco nel 1530 ricostruì il ponte, il quale, sebbene abbia subìto moderne e deplorevoli deturpazioni, è sempre importante anche dal lato architettonico. È tutta una solida costruzione a cortina di mattoni con un portico che protegge la strada e che si sporge dal corpo centrale del fabbricato, chiuso alle due estremità dalle massicce torri di difesa sovrastanti alle porte che dànno accesso al ponte. [Illustrazione: CASTELFRANCO DI SOTTO--TORRE DELLE CAMPANE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Ritornando a Fucecchio e continuando la via che parallelamente all'Arno si dirige verso Pisa, si trova SANTA CROCE, terra ampia, popolosa, ricca per commerci ed industrie, fra le quali primeggia quella della concia dei pellami. Come Fucecchio, il borgo di S. Croce fu sotto la dipendenza dei Conti Cadolingi; poi l'ebbero i Pisani che nel 1287 lo cinsero di mura. La chiesa di S. Lorenzo è ampia e ricca d'adornamenti; ma architettonicamente non ha importanza speciale; d'opere d'arte non serba che una statuetta di S. Giovannino dei Della Robbia e dei libri corali adorni di miniature del XV secolo. A breve distanza da S. Croce sorge sulla riva dell'Arno CASTELFRANCO DI SOTTO, oggi terra elegante, ben fabbricata, ricca di decorosi edifizi, un giorno castello forte e ben munito, al quale dava importanza speciale la sua situazione, presso la confluenza del canale dell'Usciana coll'Arno che formava un gagliardo punto di difesa. Possesso antico dei Cadolingi, fu costituito in castello, franco dalle imposizioni, nel XIII secolo, chiamandovi ad abitarlo le popolazioni di alcune vicine parrocchie. Preso nel 1260 ai Lucchesi dai Ghibellini guidati dal Conte Guido Novello, parzialmente distrutto nel 1333 dalla terribile inondazione dell'Arno, cadde nel 1339 sotto il dominio dei Fiorentini, i quali lo rassettarono e lo ricostruirono alla foggia delle loro terre del Valdarno Superiore; di forma rettangolare, cioè, con quattro porte turrite, alle quali facevano capo due strade che s'incrociavano nel centro, dov'era una piazza fiancheggiata dalla Pieve e dal Palazzo Pretorio divenuto poi sede del Comune. Le mura e le porte, per quanto rovinate, sussistono tuttora in gran parte. La chiesa di S. Pietro di remota origine nulla conserva della sua struttura originaria. Anche il suo corredo di opere d'arte è ben modesto: una tavola di Alessandro Allori, una del Passignano, un messale con miniature del XV secolo e, più importante di tutte le altre opere, una statua di marmo di S. Pietro, caratteristica scultura pisana del XIV secolo, oggi esiliata nel modesto cortile della canonica. [Illustrazione: CASTELFRANCO DI SOTTO--STATUA DI S. PIETRO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Poc'oltre Castelfranco si trova sull'Arno il canale dell'Usciana, che raccoglie le acque della Valdinievole e del Padule di Fucecchio e che scorre ai piedi delle colline sulle quali sorgono le ville di Montefalcone e di Poggio Adorno, in tempi remoti castelli dei Cadolingi, poi palazzi di campagna della famiglia fiorentina degli Albizzi. [Illustrazione: S. MARIA A MONTE--PERGAMO NELLA CHIESA DI S. GIOVANNI EVANGELISTA.] S. MARIA A MONTE, un grosso paese che occupa il vertice d'una fertile collinetta che s'inalza sulla destra del canale dell'Usciana, fu uno dei più importanti castelli del Valdarno Inferiore. Sorvoliamo sulle sue vicende storiche, le quali non sono che la ripetizione di quelle di tutti gli altri luoghi che per essere situati al confine di territorî di diverse repubbliche rivali, furono oggetto continuo di aspre contese, di avide voglie e teatro di lotte fiere e sanguinose. Feudo de' Vescovi di Lucca, cadde diverse volte sotto il dominio ora de' Lucchesi, ora de' Fiorentini, ora de' Pisani, fino a che per forza preponderante la Repubblica di Firenze non lo incorporò nel suo territorio. Della sua rocca, che occupava la sommità della collina attorno alla quale gira come una ghirlanda il caseggiato, non restano che poche tracce, come pochi resti avanzano delle mura e delle torri, una delle quali serve oggi di campanile alla chiesa collegiata di S. Giovanni Evangelista. Questa, di remotissima origine, conserva all'esterno resti della sua originaria struttura; ma in essa più che altro importa osservare due oggetti che ne adornano l'interno, reso insignificante dalle moderne trasformazioni: il pergamo ed il fonte battesimale. Il pergamo di marmo, sostenuto da esili colonnette che posano sul dorso di due leoni accovacciati, è adorno di figure e di ornati lavorati d'intarsio e può ritenersi come opera compiuta nel XIII secolo da quei maestri comacini che lavorarono in molte chiese del territorio lucchese. Il fonte battesimale di forma ottagona ha scolpito negli specchi altrettanti bassorilievi che rappresentano il battesimo di Cristo e le Virtù cardinali e teologali. Fu fatto nel 1463 ed il nome del suo autore, Domenico Rosselli da Rovezzano, ricordato in una lunga ed ampollosa iscrizione nella quale le virtù dell'artista sono agguagliate a quelle di Fidia. Sostanzialmente però non si tratta che di un'opera poco più che discreta. Al di là di S. Maria a Monte, sulla vetta di un'altra collina è _Montecalvoli_, ridente borgata che fu un giorno castello de' Lucchesi. Fra questo castello e la bella villa di Montecchio, un giorno Grancia dei Certosini, è un ponte moderno che attraversa l'Arno e che guida direttamente a Pontedera. [Illustrazione: S. MARIA A MONTE--FONTE BATTESIMALE DI DOMENICO ROSSELLI DA ROVEZZANO.] IV. DA PONTEDERA AL MARE. PONTEDERA. Comunemente la chiamano città, perchè, come Empoli, avrebbe tutte le condizioni per esserlo: ma le manca quello che chiameremo la dichiarazione ufficiale, talchè le rimane la vecchia qualifica, de' tempi del Granducato, di _terra nobile_. Città o no, Pontedera è un centro industriale e commerciale che nel Valdarno Inferiore occupa, senza dubbio il primo posto. Situata in mezzo alla pianura, presso la confluenza del fiume Era nell'Arno, essa è ben fabbricata, ha belle strade, ampie piazze, eleganti e comodi palazzi moderni ed ogni anno estende rapidamente il suo caseggiato, collegandosi coi numerosissimi e vasti stabilimenti industriali che le dànno prosperità e animazione. Pontedera è povera di monumenti d'interesse artistico: ma in compenso è doviziosamente provvista di tuttociò che serve ai bisogni della sua vita e del suo movimento e che le dà carattere di un vero emporio di moderna attività industriale. [Illustrazione: PALIOTTO DELLA CHIESA DI S. BENEDETTO A SETTIMO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Le memorie storiche di Pontedera si riassumono nelle alternative delle lotte costanti che per il corso di varî secoli si svolsero fra Fiorentini e Pisani. A' primi del XIII secolo, presso un umile borgo, i Pisani inalzarono un gagliardo castello sulle rive dell'Era e fortificarono pure il fosso Arnaccio che era come una diramazione dell'Arno e che poteva costituire un comodo mezzo di accesso nel loro territorio. Nel 1256 Pontedera, sebbene gagliardamente difesa, fu espugnata dai Fiorentini ed il castello venne disfatto; nel 1290 i Pisani poterono riprenderla, ma la dovettero ricedere tre anni dopo e, d'allora in poi, lo sventurato paese si trovò di continuo a mutar padrone e soggetto a sopportare tutti i danni di quelle asprissime guerre; le fiere e crudeli vendette fecero scempio di questo luogo e de' suoi abitanti, talchè questi per disperazione si videro costretti ad esulare. Alla metà del XV secolo il paese era rimasto quasi deserto, al punto che nel 1454 la Signoria di Firenze vi mandò a ripopolarlo duecento famiglie fatte venire da diversi luoghi della Garfagnana e della Lunigiana. L'ultima triste vicenda guerresca ebbe a subire Pontedera nel 1554, perchè, avendo dato asilo a Piero Strozzi che colle sue milizie francesi e senesi combatteva contro l'esercito austro-ispano-mediceo guidato dal {116} Marchese di Marignano, fu da costui punito colla totale distruzione delle sue mura, le quali non vennero mai più riedificate. [Illustrazione: PONTEDERA--PALAZZO PRETORIO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] [Illustrazione: PONTEDERA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Due soli fra gli edifizi di carattere pubblico presentano in Pontedera un certo interesse artistico: il Palazzo Pretorio, elegante costruzione de' primi del XVII secolo, munita di un originale e grazioso campanile e che accoglie sotto la sua loggia iscrizioni e stemmi che illustrano la storia locale; e la vecchia chiesa dei Ss. Jacopo e Filippo, eretta nel XIII secolo, ma completamente rifatta e decorata nello stesso secolo XVII. D'opere d'arte non v'è grande abbondanza: una tavola della maniera del Sogliani, nella quale sono effigiati la Vergine col bambino e i santi Jacopo e Filippo, una statua in legno del XV secolo rappresentante S. Lucia e alcuni dipinti del XVII secolo di secondario interesse. A Pontedera fu iniziata, oltre mezzo secolo addietro, la costruzione di una nuova e grandiosa chiesa di stile classico; ma, compiuta alla meglio la decorazione interna, si lasciò in tronco il resto e chi sa quando si troverà il modo di portare a termine la fabbrica. [Illustrazione: PALAJA--CHIESA PLEBANA DI S. MARTINO. (Fot. Alinari).] A Pontedera ha il suo sbocco l'ampia valle del fiume Era che nasce ne' monti di Volterra, una valle pittoresca, popolata di grossi e interessanti paesi, piena di ricordi delle aspre lotte che anche qui si svolsero violente fra Fiorentini e Pisani dal XIII al XV secolo. Ed anche in questa valle frequentatissima, specialmente per il concorso che richiamano annualmente le celebri terme di Casciana, l'artista e lo studioso avrebbero modo di trovare il più vivo godimento, tanti sono gli edifizi che ricchi d'opere d'arte sorgono framezzo agli opulenti vigneti che ricoprono le deliziose colline. Come una semplice parentesi aperta in mezzo all'escursione del Valdarno, vogliamo però ricordare uno de' luoghi più attraenti di quella valle: il vecchio paese di Palaja, per aver modo di additare due chiese monumentali che rappresentano tipi singolari dell'architettura del XIII e del XIV secolo: la vecchia Pieve che fu modernamente restaurata del tutto e la Pieve di S. Andrea, nella quale, oltre al gentile aspetto esterno, sono da ammirare i resti di un bell'altare della maniera di Giovanni Della Robbia. [Illustrazione: PALAJA--PIEVE VECCHIA DI S. MARTINO VISTA DA TERGO. (Fot. Alinari).] Da Pontedera in poi, la valle dell'Arno si apre per costituire come un immenso triangolo di pianura che ha per base la costa del Tirreno e per lati la linea lontana delle colline pisane e gli sproni dell'aspro monte Pisano al quale l'Arno si accosta così da lambirne le balze dirupate. Dal lato di mezzogiorno, le colline popolate di paesi e di villaggi segnano una linea quasi uniforme, lontana lontana e dietro ad essa sorgono maestosi il monte di Volterra e le alte vette de' poggi della Maremma. Dai piedi de' colli fino alla riva dell'Arno ed al mare si distende la pianura immensa, paludosa e squallida in parte, e verso l'Arno invece, fertile pei campi sterminati, in mezzo ai quali, caratteristica speciale di questa località, s'inalzano frequenti, a gruppi o isolati, esili e bruni cipressi. La destra riva dell'Arno presenta un insieme più pittoresco, più solenne, più imponente. [Illustrazione: VALDARNO INFERIORE--MONTE DELLA VERRUCA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Il monte della Verruca, che si stacca come uno sprone della catena de' monti pisani, presenta la sua massa bruna per le selve che lo rivestono e sembra sfidare l'urto delle acque agitate dell'Arno e l'ira delle procelle. Sulla cima di quell'aspro picco, posati come il nido dell'aquila sopra un cumulo di massi scoscesi, sorgono imponenti i resti della rocca della Verruca, un fortilizio rettangolare con quattro bastioni sugli angoli che oggi non racchiude più che ruderi informi, frammisti a sterpi e a roveti, ingigantiti in quella solitudine raramente turbata dai rumori mondani. La rocca della Verruca era fin dal X secolo di dominio imperiale e fu concessa nel 996 alla Badia di Sesto nel Lucchese; ma nel XIII secolo la Repubblica Pisana, riconosciuta l'utilità di creare su quel picco una specie di vedetta che, dominando le valli e i monti d'intorno, potesse vegliare alla guardia dello stato e tener d'occhio i movimenti delle vicine repubbliche, eresse colà un gagliardo fortilizio. Nelle aspre guerre coi Fiorentini, questi spinsero nel 1431 le loro milizie fin su quella vetta, affinchè smantellassero quelle fortificazioni, che essi più tardi, nel 1503, per l'identico scopo ricostruirono e resero più potenti. Oggi, come abbiamo detto, sulla cima quasi inaccessibile della Verruca non son che laceri avanzi: quelli della fortezza e, vicino ad essi, i resti dell'antichissima ed ampia Badia di S. Michele che, per pochi secoli dopo il mille, fu asilo romito di rari monaci Benedettini. [Illustrazione: VICO PISANO--MURA E ROCCA.] Se aspra e selvaggia è la parte superiore di questo sprone del Monte Pisano, sono in compenso floridissime e ridenti le pendici che da oriente e da ponente scendono con dolce declivio verso i piani adiacenti. Alle quercie, ai lecci, alle piante che vegetano spontanee nei boschi, sottentrano vere selve abbondanti di ulivi che costituiscono la ricchezza di questa parte del territorio pisano. Celebri sono infatti i prodotti che in gran copia escono dagli uliveti di Buti, di Vico Pisano e di Calci, i capoluoghi dei tre comuni che attorniano il monte della Verruca. [Illustrazione: VICO PISANO--ANTICHE FORTIFICAZIONI.] VICO PISANO, al quale si giunge rapidamente da Pontedera, dopo aver traversato il lungo borgo di Calcinaja, è uno dei luoghi più interessanti della regione toscana, non tanto per la giacitura sua felicissima, quanto per i grandiosi avanzi delle sue fortificazioni, degne di essere additate come uno degli esempi più completi e più perfetti dell'architettura militare del XIV e XV secolo. Del XIV secolo era la vecchia rocca pisana sulla punta superiore del colle, ma poi nel secolo seguente fu, insieme al castello, munita di nuove mura e di una quantità di torri e di bastioni collegati fra loro per mezzo di un comodo ballatojo. Le fortificazioni di Vico Pisano sono un documento parlante, un monumento della competenza profonda che in simil genere di costruzioni possedeva uno de' più grandi artisti del rinascimento, Filippo di Brunellesco, al quale la Repubblica Fiorentina affidò l'incarico di assicurarle, con ogni mezzo che fosse a sua conoscenza, il possesso del castello conquistato. Oltre alle {122} {124} mura, alla rocca, alle torri, alle porte, Vico Pisano possiede un palazzetto pretorio che ricorda la struttura originaria del XIV secolo ed un'ampia e bella Pieve di carattere simile a quello di molte importanti chiese del territorio pisano, sorte nel XI e XII secolo. [Illustrazione: ULIVETO--VEDUTA GENERALE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] [Illustrazione: ULIVETO--VEDUTO DALLA PARTE DELL'ARNO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] [Illustrazione: CAPRONA--CHIESA DI S. GIULIA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Il colle sul quale sorge il castello di Vico, s'inalza dall'ampia pianura che, fino alla metà del secolo scorso, era occupata in gran parte dal lago di Bientina, un lago che avendo carattere palustre, rendeva malsana un'ampia plaga di campagna adiacente. Mercè le opere grandiose eseguite dal governo toscano, oggi il lago si è ridotto ad un modesto ed innocuo deposito di acque, che un ampio canale trasporta direttamente al mare, passando di sotto all'alveo dell'Arno, ed i terreni palustri fecondano le messi rigogliose ed i prosperi vigneti. [Illustrazione: CALCI--VEDUTA DEL TORRENTE ZAMBRA COL PONTE VECCHIO. (Fot. Alinari).] La base meridionale del poggio della Verruca si spinge quasi a picco fino al fiume, lasciando appena adito alla strada che ne collega i paesi situati sulla riva destra. A piè delle balze, formate di gigantesche rupi, dalle quali si cava quella qualità di pietra arenaria chiamata _verrucano_, è il villaggio d'Uliveto, al quale han dato modernamente importanza le terme cui convengono annualmente numerosi bagnanti a fruire dei benefizi di abbondanti acque minerali e termali che sgorgano dalle viscere del monte. [Illustrazione: CALCI--CHIESA DI S. GIOVANNI. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] [Illustrazione: PROSPETTO DELLA CERTOSA DI CALCI. (Fot. Alinari).] [Illustrazione: CHIOSTRO GRANDE DELLA CERTOSA DI CALCI. (Fot. Alinari).] [Illustrazione: CASCINA--PANORAMA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] _Caprona_, un antico castello appartenuto un giorno a certi conti d'origine longobarda, dove i Pisani eressero più tardi un gagliardo fortilizio, successivamente distrutto dai Fiorentini, possiede i resti di una antica e interessante pieve di carattere lombardo, S. Giulia. In origine la pieve era a tre navate: forse rovinò, talchè nel XIII secolo, utilizzando i materiali della primitiva e conservando alcune parti di essa, si ricostruì la chiesa attuale che presenta non poco interesse. Da Caprona comincia la Valle di Calci, in antico chiamata Valle Buja, più tardi, in omaggio alle sue naturali bellezze, ribattezzata col nome di _Valle Graziosa_. E più che graziosa, è veramente stupenda questa valle, che dalle pendici del Monte Pisano scende e si apre di prospetto a Pisa ed al mare, presentando il gajo spettacolo dei suoi inargentati oliveti, in mezzo ai quali spiccano ville eleganti e innumerevoli abitazioni. Il torrente Zambra scorre nel centro della valle e colle sue acque alimenta numerosi mulini che costituirono un giorno la più fiorente industria di questi luoghi. CALCI, il centro più importante della valle, il capoluogo del comune, è un ridente villaggio che circonda una grandiosa e severa pieve di origine anteriore al 1000, riordinata nel XII secolo. La costruzione a tre navate ha il solito tipo comune alle chiese pisane di quel tempo; ma più della fabbrica della chiesa, suscita il massimo interesse il grandioso fonte battesimale marmoreo, nelle cui facce sono scolpite in altorilievo figure e parti architettoniche e decorative da un artefice del XIII secolo. Calci fu da tempo remoto sotto la dipendenza degli Arcivescovi di Pisa che ebbero il loro palagio nel superiore villaggio di Castelmaggiore e più e più volte ebbe a soffrire saccheggi e distruzioni per opera delle fazioni che dividevano le famiglie pisane e soprattutto delle milizie straniere che di tanto in tanto venivano a desolare le nostre terre. Nella Valle di Calci esistono diversi importanti edifizi religiosi. Sotto il picco della Verruca è S. Agostino di _Nicosia_, un giorno convento dei Canonici Lateranensi, oggi dei Francescani, che conserva nella sua chiesa parte della struttura del XIV secolo. [Illustrazione: CASCINA--INTERNO DELLA PIEVE DI S. MARIA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Più importante però è la CERTOSA DI CALCI, comunemente chiamata la Certosa di Pisa. L'origine di essa data dal 1366, anno in cui, col lascito di un ricco negoziante d'origine armena e con molte altre offerte di cospicue famiglie, fra le quali i Gambacorti, si pose mano alla costruzione della parte primitiva dell'edifizio. Poco dopo, colle cospicue rendite venute in possesso de' monaci e colle offerte continue dei devoti, si aggiunse il vastissimo chiostro, che, attorniato da numerose casette destinate a dimora dei monaci romiti, costituisce la parte principale, più artisticamente pregevole e più caratteristica del vecchio monastero. Ma se si toglie questa parte che appare più leggiadra e più singolare per l'effetto che producono i bianchi marmi dei lunghi colonnati che si staccano dal fondo degli uliveti circostanti, il resto si allontana totalmente dal carattere severo proprio delle antiche Certose. Le aggiunte e le trasformazioni fatte all'edifizio nel XVII e nel XVIII secolo, se valsero a renderlo quasi pari in grandezza alla Certosa di Pavia, gli tolsero ogni traccia di quell'aspetto umile e devoto che conviene all'indole di questi edifizi. [Illustrazione: CASCINA--CHIESA DELLA MADONNA DELL'ACQUA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Il suo prospetto grandissimo, esuberante di decorazioni marmoree di un gusto esageratamente barocco, l'ampio scalone a più rampe che dà accesso alla chiesa, le sale interne sfarzosamente decorate, gli ampi corridoi, le scale comodissime, le logge e le terrazze ampie, più che l'aspetto di un edifizio monastico presentano quello di un palazzo signorile, per non dire di una reggia. Fu l'architetto milanese Carlo Zola che ridusse in tal guisa la vecchia Certosa, mentre artisti chiamati dai monaci da ogni parte d'Italia profondevano a dovizia gli ornamenti e le decorazioni nella chiesa e nel monastero. Dell'arte pura e corretta de' tempi più felici, ben poche tracce sussistono, fra le quali è da annoverarsi il coro dei conversi, adorno di leggiadre tarsie, distrutto parzialmente da un incendio sviluppatosi pochi anni indietro. [Illustrazione: PIEVE DI S. CASSIANO A SETTIMO. (Fot. Alinari).] La chiesa conserva nella volta la sua struttura organica; ma le pareti ha tutte ricoperte di affreschi macchinosi e di uno stile che colla semplicità primitiva forma il contrasto più stridente. Dipinti di notevole pregio sono quelli di Baldassarre Franceschini di Volterra, di Francesco Vanni, di Bernardino Poccetti, di Onorio Marinari, di Agostino Veracini. La maggior parte delle decorazioni murali devesi a Stefano Cassiani discepolo del Poccetti, ad Antonio Rossi e Francesco Caroli bolognesi e ad altri artefici che i Certosini chiamarono da Milano. [Illustrazione: CHIESA DI S. CASSIANO A SETTIMO--ARCHITRAVE DELLA PORTA PRINCIPALE. (Fot. Alinari).] In complesso dunque, se ne togli il bellissimo chiostro che rispecchia tutta l'eleganza dello stile toscano del XV secolo, ogni altra parte dell'immenso edifizio non presenta che l'accozzo di manifestazioni dell'arte decadente, di un'arte suntuosa, ma priva dell'alito del genio. Restano a celebrare la fama della Certosa la sua grandiosità e gl'incanti della sua splendida giacitura, in questa valle deliziosa, di prospetto al mare, in mezzo alle onde del quale, nelle serene giornate, spunta la massa azzurrognola dell'isola di Gorgona che Papa Gregorio XI concesse nel 1374, insieme al romito monastero, che ne occupava la sommità, ai Certosini di Pisa. [Illustrazione: CHIESA DI S. CASSIANO A SETTIMO--ARCHITRAVE DI UNA PORTA LATERALE. (Fot. Alinari).] Ripassando l'Arno e proseguendo oltre Pontedera il cammino verso Pisa, dobbiamo soffermarci a CASCINA, popoloso paese, già forte castello che sorge nel centro di uno dei comuni più densi di popolazione. Cascina presenta da lungi l'aspetto di una corona civica, perchè conserva in gran parte la cerchia delle sue mura di mattone, dalle quali s'inalzano a intervalli regolari le torri di difesa. In origine era un borgo aperto, esposto di continuo ai danni delle guerre e delle scorrerie. I Lucchesi lo danneggiarono nel 1295, le milizie della Lega Guelfa lo posero a sacco nel 1328; due volte nel 1341 e nel 1362 lo presero i Fiorentini, i quali, il 28 luglio 1364, riportarono in questo luogo sui Pisani una celebre vittoria che valse a far aggiungere fra i Santi protettori di Firenze S. Vittorio ed a far celebrare annualmente in cotesto giorno feste e palii. I Pisani si decisero allora a fortificare convenientemente il borgo di Cascina e nel 1385 lo circondarono di mura. Ciò non valse però ad assicurare il loro dominio su questo luogo, perchè nel 1499 i Fiorentini l'assalirono, lo presero e lo incorporarono nel loro territorio. Degli edifizi di Cascina il più importante è la Pieve di S. Maria, la quale, a differenza delle altre pievi, anzichè fuori delle mura, si trova nell'interno del castello. È a tre navate divise da colonne di cipollino e di granito con variati capitelli ed esternamente è tutta rivestita di marmi bianchi e neri, foggiati secondo i caratteri comuni a tutte le chiese del territorio pisano, sorte intorno al 1000. Nessun'opera di notevole importanza si conserva in questa chiesa. A Cascina ebbero una chiesa ed un ospizio dedicato a S. Giovanni i Cavalieri Gerosolimitani: ma, soppresso quell'ordine, l'edifizio fu venduto a privati che ridussero la chiesa a magazzino. È deplorevole che da anni ed anni nessuno sia riuscito a riparare a questa ingiustificabile noncuranza e che si lascino rapidamente deperire i pregevolissimi affreschi che Martino di Bartolommeo da Siena vi dipinse nel 1396. [Illustrazione: ESTERNO DELLA BADIA DI S. SAVINO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Attorno a Cascina, lungo le vie che solcano in ogni senso il piano popolatissimo, sorgono numerose chiese di antichissima origine e che conservano non poche tracce del loro aspetto primitivo, come Marcianella, S. Lorenzo alle Corti, S. Jacopo e Maria a Zambra, S. Giorgio ecc. Appena fuori di Cascina è la chiesa della Madonna dell'Acqua, elegante tempio a forma di croce greca, che fu ricostruito nel XVIII secolo col disegno del celebre architetto P. Ximenes. [Illustrazione: INTERNO DELLA BADIA DI S. SAVINO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Ma, nel comune di Cascina meritano più che altro la nostra attenzione la chiesa della Madonna del Piano, ora S. Benedetto a Settimo, e la Pieve di S. Ippolito e Cassiano a Settimo. La prima, completamente ricostruita in epoca moderna, è interessante solo per le opere d'arte che vi si conservano, fra le quali va ricordato anzitutto un paliotto di marmo mischio, sul quale sono stati fissati bassorilievi, statuette, ornati che in origine dovevano far parte di un dossale d'altare, stupenda opera di scuola pisana de' primi del XIV secolo; va pure ricordata una tavola rappresentante S. Filippo Benizi, che i frati Serviti, ai quali fin da tempo remoto apparteneva la chiesa, avrebbero commesso ad Andrea del Sarto. Più importante dal lato architettonico è l'altra chiesa di S. Cassiano, che conserva intatto il carattere solenne e al tempo stesso elegante e suntuoso delle vecchie pievi pisane, che avevano la forma comune alle basiliche latine. Internamente è a tre navi, divise da archi che si svolgono sopra a colonne ed a pilastri, mentre nella parte esterna è tutta rivestita di marmi disposti con singolare armonia, ed ha le porte decorate di architravi nei quali maestro Biduino da Pisa scolpì con ingenua semplicità la risurrezione di Lazzaro, l'ingresso di Gesù in Gerusalemme ed una caccia di draghi. Nella chiesa, unica opera meritevole di speciale ricordo, è un bassorilievo della maniera di Andrea Della Robbia rappresentante S. Giovanni che battezza Gesù Cristo. [Illustrazione: S. MICHELE DEGLI SCALZI PRESSO PISA--FACCIATA E CAMPANILE. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Un altro insigne monumento sorge poco lungi di qui in mezzo alla pianura; è la celebre Badia di San Savino che s'inalza imponente sopra ad un'altura artificiale. Nel 780 si ha ricordo che essa venne fondata da tre nobili fratelli pisani; ma, danneggiata dalle inondazioni dell'Arno, fu rifatta in luogo più adattato e convenientemente sollevata dal livello della pianura nel XII secolo. Prima dei Benedettini, poi dei Camaldolesi nel 1175, fu ricchissima di beni di suolo, di opifici, di mulini e questa sua ricchezza le fece subire la sorte comune alla maggior parte delle opulenti abbazie: quella di esser ridotta a commenda e destinata a saziare l'avidità di cardinali e di prelati benaffetti che in ogni modo ne sfruttarono le rendite. Papa Eugenio IV nel 1439 la restituì ai monaci; ma nel 1563 venne soppressa dal Granduca che ne concesse il pingue patrimonio all'Ordine militare di S. Stefano. Vista da lungi, la badia ha l'aspetto di un fortilizio, chiuso da un rettangolo di mura che racchiudono un terrapieno sul quale sorge la ben proporzionata chiesa di stile lombardo del XIII secolo. Dall'abside, s'inalza maestoso il campanile a forma di grandiosa e massiccia torre, traforata da ogni lato da numerose finestre. Senza cessare di servire ad uso monastico, la Badia di S. Savino venne adattata anche ad uso militare, perchè, data la sua posizione, poteva dominare facilmente i piani e le vie adiacenti e, prima i Pisani nel XIV secolo, poi i Fiorentini in epoca successiva, vi aggiunsero importanti opere di difesa. [Illustrazione: S. MICHELE DEGLI SCALZI--PARTICOLARE DELLA PORTA.] Siamo giunti così al Piano di Pisa, una delle località della Toscana più dense di popolazione, più fitte di abitazioni che si aggruppano in borghi, in villaggi, in casali, l'uno coll'altro collegati in guisa da costituire quasi un insieme colla città. Qui però ai ricordi e ai documenti della storia e dell'arte passata si sostituisce interamente lo spettacolo di una modernità piena di vita e di movimento. Campagne che, coltivate con grande amore, forniscono in grande abbondanza i più deliziosi prodotti della terra; opifici, dove migliaja di operai sono impiegati a tessere manifatture, tele, a trar la seta e ad esercitare industrie molteplici e fiorentissime. Tutto questo movimento rumoroso, gajo, attraente, fa capo alla città di Pisa, dalla quale si partono, come tanti raggi che si prolungano poi nell'ampia distesa della pianura, borgate interminabili. Attorno alla città, che ebbe un giorno tanta potenza sulla terra e sul mare, che fu centro splendidissimo dell'arte, tornano a rivedersi le belle chiese nelle quali domina sempre costante, diremo anzi sempre uniforme, quel carattere che di qui si espanse poi a Lucca, a Pistoja ed in altre parti della Toscana, ed in specie poi in quelle dove il sentimento ghibellino, prevalente nella politica, sembrava associarsi anche, alle manifestazioni dell'arte. [Illustrazione: S. MICHELE DEGLI SCALZI--BUSTO DEL REDENTORE.] Bisognerebbe ricordar molte delle chiese di remota origine che attorno a Pisa conservano tuttora in tutto o in parte l'originalità della loro forma e delle loro decorazioni; ma l'argomento e la frequenza degli esempi ci porterebbero tropp'oltre i nostri confini. Da questa ghirlanda artistica, che forma degno complemento alla monumentale imponenza della città, non cogliamo che pochi fiori, limitandoci ad additare come tipi interessanti e caratteristici e di epoche differenti dell'architettura pisana: la chiesa di S. Michele degli Scalzi, di un insieme armonioso, singolare specialmente per le belle sculture bizantineggianti del 1204 che ne adornano la porta, la chiesa di S. Jacopo a Orticaja, severa costruzione in pietra del XIII secolo, e quella di S. Croce in Fossabanda, nella quale si uniscono tracce dell'architettura del XIV e XVI secolo ed opere d'arte di notevole pregio, fra le quali emerge la bella tavola del portoghese Alvaro Pirez d'Evora. Al di là de' lunghi sobborghi, Pisa spicca sul puro orizzonte del vicino mare con tutta la pompa della sua artistica bellezza, irta di cupole, di campanili, di torri, di palazzi maestosi che parlano tuttora della magnificenza e degli splendori di un passato glorioso. [Illustrazione: CHIESA DI S. CROCE A FOSSABANDA--TAVOLA DI ALVARO D'EVORA.] Traversata la città, l'Arno distende il suo letto in mezzo alla pianura che insensibilmente discende fino al mare e le sue acque lentamente lentamente lambiscono le ripe erbose della tenuta reale di S. Rossore e l'argine sul quale passa la strada che conduce alla Marina di Pisa. Alla sua sinistra lascia il popoloso borgo e la vecchia chiesa trasformata di S. Giovanni al Gatano, un giorno detta dei Gaetani dal nome della cospicua famiglia, che ne fu patrona, mentre dal lato destro passa dinanzi al villaggio di Barbaricina, al quale han dato modernamente una celebrità universale le diverse e riputate scuderie di cavalli da corsa che vi sono state impiantate, e poi alle Cascine Vecchie ed alla parte meridionale di tutta l'ampia tenuta reale conosciuta sotto il nome di San Rossore. [Illustrazione: REALE TENUTA DI S. ROSSORE--GRUPPO DI PINI. (Fot. Alinari).] Questo nome è di antichissima origine e derivò dal titolo di un vetusto monastero di Benedettini fondato nel 1084 e dedicato a San Rossore o San Lussorio come si diceva allora. Da Pisa al mare la distanza è di oltre nove chilometri, mentre ne' tempi più remoti risulta dalla testimonianza degli storici che essa era appena di due miglia e mezzo; così il breve tratto del fiume, più ristretto, più profondo, era, più di quel che sia oggi, propizio alla navigazione, tanto che le galere della Repubblica e più tardi {143} quelle dell'Ordine di S. Stefano, potevano venir comodamente fin nell'interno della città, dov'era un ampio e ben munito arsenale. [Illustrazione: REALE TENUTA DI S. ROSSORE--VIALE DI PINI. (Fot. Alinari).] I detriti dei due grandi fiumi, l'Arno ed il Serchio, che hanno le foci a breve distanza fra loro, la mobilità del fondo arenoso del mare, sono le cause del progressivo e continuo accrescersi della spiaggia, la quale d'anno in anno allontana sempre più il mare dalla città che fu un giorno una delle più grandi potenze marittime d'Italia. [Illustrazione: UNA VEDUTA DI MARINA DI PISA. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Per farsi un'idea di questo notevolissimo guadagno fatto dalla terra sul mare, basterà ricordare la tradizione secondo la quale San Pietro, venendo d'Antiochia, approdò colla sua nave nel luogo dove, a ricordo dell'avvenimento, venne inalzata la stupenda basilica di S. Piero a Grado; e rammentare ancora come il monastero benedettino di San Rossore ed altro convento intitolato di S. Croce a Foce d'Arno fossero sulla riva del mare; mentre oggi tutte queste località sono distanti appena quattro chilometri da Pisa. Il mare formava allora attorno alla bocca dell'Arno una vasta e profonda insenatura, ad una estremità della quale era il Porto Pisano, così celebre nei vecchi ricordi della storia del medioevo. Oggetto di lunghe e controverse discussioni è stata la designazione esatta della località dove Porto Pisano era posto; ma ogni dubbiezza è venuta a mancare, allorquando dal carattere delle costruzioni, dalla loro disposizione e dai tradizionali ricordi si è potuto dimostrare come la torre del Marzocco ed i resti d'altre torri che sorgono appena fuori di Livorno dal lato di tramontana, altro non fossero che le gagliarde fortificazioni inalzate a difesa del porto che era sicuro asilo delle galere della potente Repubblica, che di là mossero più volte a combattere quelle della rivale Genova. Del carattere di queste fortificazioni servono a dare un'idea abbastanza chiara le riproduzioni che possiamo offrire di Porto Pisano, tratte dagli affreschi del Camposanto di Pisa e da un antico marmo che si conserva nel Museo di Genova. La pianura fra Pisa ed il mare è oggi occupata da un lato da campi ubertosi, dall'altro dalle boscaglie, dalle praterie e dai lunghi e pittoreschi viali di San Rossore, un delizioso luogo di caccia, dove la selvaggina indisturbata popola e rallegra le fitte selve e le tranquille rive dei laghetti e dei canali. La tenuta di San Rossore, che fu in origine una delle tante bandite della casa granducale toscana, acquistò fama ed importanza nel periodo in cui Firenze fu capitale d'Italia. Vittorio Emanuele la tenne come suo ordinario e gradito soggiorno e, lontano dagli splendori della reggia, cercò fra que' boschi annosi e le praterie infinite le quiete gioje della vita borghese. Spogliato d'ogni pompa e d'ogni apparenza regale, egli trovava in mezzo alle bellezze campestri di San Rossore le soddisfazioni più semplici e più gaje, lieto di vivere della vita stessa de' quieti e modesti abitatori di quei luoghi. Fu allora che vennero eretti in varie parti della tenuta edifizi dalle forme gaje ed eleganti, leggiadri riposi di caccia e quel vaghissimo casino del Gombo, allietato dalla solenne maestà del mar Tirreno e dalla gioconda bellezza dell'ampio parco. San Rossore offre infatti le attrattive più gentili, più originali, più caratteristiche, giacchè la rigogliosa vegetazione delle piante tropicali, la presenza di mandre di dromedari e di cammelli gli dan la parvenza di una fertile plaga della costa africana. Lungo la spiaggia, una fitta e ampia pineta che si distende sulle due rive dell'Arno e si collega da un lato con quella di Viareggio e dall'altro si spinge verso Livorno, offre l'asilo più gradito nelle calde giornate estive e sparge in mezzo all'aere purissimo gli acri e salutari profumi delle resine. Alla foce del fiume, le due rive opposte presentano un singolare contrasto che parrebbe il riassunto, la sintesi delle bellezze naturali infinite dei luoghi che l'Arno attraversa nel suo lungo percorso. Da un lato i boschi folti e quasi impraticabili, le praterie popolate di greggi, i viali interminabili, silenziosi e deserti, i casini campestri circondati dalla lussureggiante vegetazione, dai fiori rigogliosi e da una quiete alta e profonda che simboleggia la natura nella sua calma più completa. [Illustrazione: MARINA DI PISA--FOCE DELL'ARNO. (Fot. I. I. d'Arti Grafiche).] Dall'altra sponda, è rappresentata in tutta la sua gajezza, in tutto il suo splendore l'eleganza e la giocondità della vita moderna. Dove non erano che uno squallido e melanconico fortino per la guardia della costa e poche casupole di boscajoli, abbandonate in mezzo alla fitta pineta e sulle arene continuamente percosse dal mare, è ora una delle più belle, delle più ridenti, delle più sfarzose stazioni balneari. La costa renosa formicola di stabilimenti balneari, di padiglioni, di baracche che accolgono nuvoli di bagnanti, che offrono un allegro e piacevole asilo ad una colonia {146} numerosa: viali lunghissimi, ai quali fanno capo una quantità di strade, passano in mezzo a palazzi sfarzosi, a leggiadre palazzine, a pettegoli villini..... Marina di Pisa è oggi un paese, quasi una cittadina, gaja ed animata, che in pochi anni ha prodigiosamente prosperato in quel lembo del litorale toscano e che simboleggia il lusso, l'allegria, il benessere e l'animazione. Fra la quiete solenne di San Rossore e la festiva giocondità di Marina, l'Arno passa muto e silenzioso; striscia come un serpe fra le alte erbe e fra i cespugli delle sue rive, si allarga formando isolotti e canali che servono d'asilo alla selvaggina ed ai pesci insidiati dall'umana voracità, si dibatte contro le onde incalzanti del mare, tanto che si direbbe un gigante moribondo che oppone gli ultimi suoi sforzi al fato inesorabile che lo condanna. Ma l'Arno è ormai scomparso: il Tirreno l'ha travolto ed inghiottito nei suoi vortici misteriosi. [Illustrazione: GENOVA--RACCOLTA DEL PALAZZO BIANCO. SCOLTURA DEL 1290 RAPPRESENTANTE IL PORTO PISANO.] *** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL VALDARNO DA FIRENZE AL MARE *** Updated editions will replace the previous one—the old editions will be renamed. 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It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life. Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg™ and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state’s laws. The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation’s website and official page at www.gutenberg.org/contact Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine-readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS. The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit www.gutenberg.org/donate. While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate. 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