The Project Gutenberg eBook of Commentario de le piu notabili, & mostruose cose d'Italia, & di altri luoghi di lingua aramea in Italiana tradotto, nelquale si impara, & prendesi estremo piacere This ebook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this ebook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you will have to check the laws of the country where you are located before using this eBook. Title: Commentario de le piu notabili, & mostruose cose d'Italia, & di altri luoghi di lingua aramea in Italiana tradotto, nelquale si impara, & prendesi estremo piacere Author: Ortensio Landi Release date: February 14, 2017 [eBook #54167] Language: Italian Credits: Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive) *** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK COMMENTARIO DE LE PIU NOTABILI, & MOSTRUOSE COSE D'ITALIA, & DI ALTRI LUOGHI DI LINGUA ARAMEA IN ITALIANA TRADOTTO, NELQUALE SI IMPARA, & PRENDESI ESTREMO PIACERE *** Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive) COMMENTA- RIO DE LE PIU NO- tabili, & mostruose cose d'Italia, & altri luoghi, di lingua Aramea in Italiana tradotto, nelquale s'impara, & prendesi estremo piacere. VI SI È POI AGGION- to un breve Catalogo de gli inventori de le cose che si mangiano, & si beveno, nova- mente ritrovato, & da Messer Anonymo di Utopia composto. IN VINETIA AL SEGNO DEL POZZO. M D L. AL MOLTO ILLUSTRE ET CORTESE S. IL CONTE LODOVI co rangono. Imaginando come io vi possa ragioire, & dar qualche spasso, mi sono risoluto nell'animo mio, non poter cio meglio fare, che porgendovi qualche piacevol lettione per laquale vi ralegriate l'animo, spesso percosso da duri colpi di fortuna: legete adunque il presente commentario, che mi e (non so per qual via) venuto alle mani, & la mia buona intentione di farvi sempre cosa grata amate (& sel vi pare) insieme lodate. COMMENTARIO DELLE PIU MOSTRUOSE ET MEMORABILI cose c'habbia L'Italia et altri luoghi. Piu fiate havendo letto nelle antiche storie tante maravigliose cose dalli Italiani virilmente oprate, et essendomi da mio avolo molte volte detto esser l'Italia la piu bella parte, la piu ricca, & la piu civile che ritrovar si possi, nacquemi nel petto un'ardentissimo disio, & vennemi un istrema voglia non sol di vederla, ma di habitarla mentre vivessi: & al mio pensiero fu il cielo sì favorevole & propitio, che di piu osato non havrei di desiderare. Volle adunque mia buona ventura, che nel paese nostro che si chiama il regno de Sperduti, capitasse spinta da contrari venti una nave, che dall'isola di Utopia carca di carote veniva, sopra dellaquale, fra molti, vi era un Fiorentino chiamato Tetigio, ottimo maestro di piantar carote, & perche oltre di questo, egli era faceto, motteggiatore, & piacevole molto, Lo chiesi se voleva rimanersi meco, & essermi guida nel viaggio d'Italia, ch'io li darei honesta, & al suo giuditio convenevole provisione, oltre che l'havrei sempre in luogo di carissimo fratello. Non spiacque l'offerta al Fiorentino, anzi riverentemente mi ringratiò che degno reputato l'havessi del mio servigio, promettendomi ch'egli mi sarebbe ossequente piu che il vento, & obediente piu che la lepre alla campagna, & che tutta l'Italia gli era non meno nota, che si fussero le stanze delli Antipodi, et che haveva notitia di tutte le famiglie illustri, di tutti gli huomini bellicosi & litterati, e delle piu belle & vaghe donne, et che mi avvertirebbe fedelmente secondo la varietà delli costumi Italiani, liquali piu spesso si cambiano che non fa il Cameleonte. Stette la nave delle Carote forsi sei mesi in porto. Il padrone era Raguseo, li ministri parte Genovesi, parte Napolitani, il scrivano era sciotto. Di si longa dimora fu cagione non tanto la contraditione de venti, quanto il mercatantare che fecero, conobbero tantosto che di Nave scesi furono esser la Regione nostra copiosa di rare cose: compraro adunque anzi per dir meglio, contracambiarno; à noi lasciando delle lor Carote, & essi portandosene di quelle cose delle quali l'Italia mancava: per Napoli tolsero di belle prospettive delle quali si diletta quella natione sopra tutte l'altre. Per Roma tolsero le piu belle cortegiane che n'havessimo nel Regno, quasi che le ci mancassero: Per Siena di molte funi, & di molte catene. Per Firenze mille Cantarri di speranza vana. Per Perugia morsi, et briglie. Per Lucca di molte odorifere misture per profumare il loro maraviglioso volto. Per Vinetia non vollero nulla, affermando che bastava portarvi delle Carote lequali trapiantate in quel terreno salso & dolce, crescevano ad estrema bellezza. Vollero per Genova una certa radice della quale chi ne mangia dopo'l pasto à stomaco digiuno, ha gran proprietà di fermare & stare, & stabilire i vacillanti capi. Mentre cotai cose mi riferivano, accendevasi tutta via il desiderio di veder l'Italia, & ogni indugia m'era troppo molesta. Longo sarebbe & non molto necessario, se io volessi raccontare cioche se ne portarno per Milano, qual mi dicevano esser una città grande, populosa, & molto ricca, prima che Francia, Spagna, & Alemagna li succhiassero non solo il latte, ma il sangue. Hora per conchiuderla spogliarno quasi tutto 'l paese di virtuose radici, herbe, & liquori affermando esser l'Italia tutta da vari morbi oppressa & impiagata, et non vedersi in lei parte veruna che sana fusse. Hor quando ad Iddio piacque salimmo su la nave ben corredata, et da ottimi marinai governata, & date le vele à venti per quindici giorni navigammo felicemente, levossi dopoi un vento impetuoso molto, che ne constrinse (nostro mal grado) pigliar porto in una isoletta da man destra poco habitata da huomini, ma piena de conigli, & cervi, daini, lepri, papagalli, tortore, & usignuoli, piena de pretiosi frutti, & soavissimi fiori, copiosa di chiare fontane, dove fummo raccolti con lieto viso & gratiosissimamente ristorati, & certo n'havevamo gran bisogno per la molta angoscia che n'haveva fatto sentir l'ira del mare. Mentre quivi soggiornammo, ne fu detto esser nell'isola un'Eremita dotato di Spirito profetico ilquale non lontano dal nostro albergo habitava, io che fui sempre curioso di cose nove deliberai visitarlo. Gran cosa & degna di stupore mi parve ch'egli appena veduto m'hebbe, che per proprio nome mi salutò et tutto pieno di amorevolezza bacciommi la fronte. Era questo huomo d'aspetto sopra modo venerabile, di statura alto, di habitudine di corpo magro, di favella soavissimo, vestito di tela celeste col capo tondo, & ricciuto: presemi per mano, introdussemi nella sua cella, & postosi sopra di una panca à sedere, in cotal modo incominciò à favellarmi. Sono molti giorni figliuol mio, che bramosamente ti aspetto: io so che tu sei per girtene in Italia, ove molte strane cose vedrai, & scorrerai molti pericoli, ma se tu haverai fede nel Signor Iddio da qualunque sciagura serai liberato. Io vidi già l'Italia quando ella fioriva, & era carica di Trofei, et nel vero parvemi un terrestre paradiso, ma hora intendo che le voglie divise delli infelici Italiani le hanno fatto mutar faccia et cambiar costumi. Troverai molte cose, che sommamente ti aggradiranno, et molte che ti saranno cagione di strema noia, spera pur figliuol mio nel S. che ti farà trar di questa tua longa peregrinatione utilissimo frutto, fa che senza intermissione adori, & preghi l'eterno padre, dal quale procedono tutti i beni, fa che li occhi tuoi non s'invaghischino d'altro spettacolo che della salutifera croce di Giesu Christo, nelquale habbi tutta la fiducia & egli farà la guida tua, non ti fidare nella propria prudentia, ma fidati in quella divina providentia, che regge & governa l'universo; Custodisci il cuore con ogni diligente custodia, imperoche da quello procede la vita nostra. Rimuove da te le labra detrattrici. Fuge le lingue bugiarde, & guardati dall'ira, imperoche egli è scritto nelle sagre lettere, che l'ira alberga nel seno de pazzi. Schiva le conversationi delle malvagie femmine, amara assai piu che asentio, & piu che morte. Attende à conservarti buona & intiera fama, laquale pel testimonio di Salomone è di ogni pretioso unguento piu soave. Tu te n'andrai sano & salvo à quella nobil provincia, laquale dalli Vitelli ha preso il nome: Vedrai quella felice & beata amenita di Campania & pareratti comprendere, che solo in quella parte del mondo la natura triumphi, godi & gioiosa si stia, gusterai una maravigliosa temperatura di cielo, vedrai campi fertilissimi, Colli aprichi, spelonche opache, fronzute selve, infinita copia di biade, viti, mandorle, & olive, molto armento, copioso grege, molti fiumi, & molti chiari fonti. Vedrai Roma nudrice di tutto'l mondo, eletta dal magno Iddio per adunar i sparsi imperii, & mollificare le dure usanze, & aspri costumi de barbari, & per esser finalmente patria comune à tutte le genti: Ricordoti però figliuol mio, che quando sarai nella alma città di Roma che di cosa che tu vega contra l'opinione tua, non te ne scandalizi. Troverai per Italia & ispetialmente nel Regno di Napoli, nel paese di Roma, et per Lombardia infinito numero de Tirannetti li quali sono à sudditi peggio che la peste, rubbandoli & violandoli le donne loro, sovengati, che Iddio fa regnar cotai mostri per li peccati de popoli & prega il S. ne spenga à fatto il seme di queste crudeli Arpie, ma ragionato habbiamo à bastanza, tempo mi pare di ristorare il ventre importuno essattore di quanto se gli deve, piacciati rumpere il digiuno con esso meco, ne ti rincresca di fare un poco di penitentia: io lo ringratiai dicendoli, che troppo singolar beneficio mi faceva degnandomi della sua mensa, per laquale havrei rifiutato quella di Nino, & di Lucullo, ne invidiarei à giove, nettare, o ambrosia, & cosi il buon Romito puose mano ad un tovaglino piu bianco che falda di neve, & ingombrò la picciola tavola de fichi secchi, nocelle, mandorle, & uva passola, & di un pane bruno anzi che nò, ma leggiero, ben fermentato, saporito, & ottimamente stagionato: Vino non ci puose egli ma di un'acqua mi dette bere, dotata diquelle conditioni, che si ricercano ad una buona acqua: superava di chiarezza ogni ben lucido cristallo, non haveva alcuno sapore, non odore, non determinato colore, non finalmente alcuna qualità. Finita la colatione & rese le gratie al S. egli mi diede la sua benedittione, chiedendola io importunamente, & da lui tolto commiato allo albergo feci ritorno. L'oste, che longamente m'haveva aspettato credendosi ch'io fussi digiuno, incominciò à burlarsi di me. Era questo hoste un buon brigante, amico anzi schiavo della gola, per un ortolano, per un beccafico, per un fegatello, egli sarebbe ito nel fuoco, bevitore era piu che Tiberio, piu che Cinciglione, & piu che Novello tricongio: del resto, era faceto, & ben parlante ne haveva punto del sciocco, anzi gli avanzava molto del tristo. Dopo che di me preso si hebbe quel trastullo che li piacque, sgannatosi finalmente che digiuno non fussi, ma in piu modi ben ristorato cosi à parlarmi incominciò. Anchora che il Romito t'habbi sofficientemente ammonito, & consigliato di quanto ti fie bisogno pel viaggio d'Italia, pur per l'amicitia fra noi in questi pochi giorni contratta, non voglio ti parti senza alcuni miei salutevoli ricordi. Io mi persuado d'haver veduto l'Italia piu diligentemente di lui, ne guari è che partito me ne sono, dil che assai & non poco me ne pento, & ne farò dolente fin ch'io vivo. Veramente ti porto grande invidia: imperoche fra un mese (se i venti non ti fanno torto) giugnerai nella ricca Isola di Sicilia, et mangerai di que macheroni i quali hanno preso il nome dal beatificare: soglionsi cuocere insieme con grassi caponi, & caci freschi da ogni lato stillanti buttiro & latte, & poi con liberale, & larga mano vi soprapongono zucchero & canella della piu fina che trovar si possa; oime, che mi viene la saliva in bocca sol à ricordarmene. Quando io ne mangiava mi doleva con Aristoxeno, che Iddio non mi havessi dato il collo di grue perche sentissi nel trangugiarli maggior piacere, mi doleva che il corpo mio non si facesse una gran capanna. Sel ti vien commodo di fare la quaresima in Taranto, tu diventarai piu largo che longo, tanta è la bontà di que pesci, oltre che li cucinano, & con l'aceto, & col vino, con certe herbicine odorifere, & con alcuni saporetti di noci, aglio, & mandole. Ma quanta invidia ti porto ricordandomi, che tu mangerai in Napoli quel pane di puccia bianco nel piu eccellente grado, dirai questo è veramente il pane che gustano gli Agnoli in paradiso: oltre quel di puccia, vi se ne fa d'un'altra sorte detto pane di S. Antemo in forma di diadema, & è tale che chi vi desidera con esso companatico, è ben re di golosi: mangerai vitella di Surrento, laquale si strugge in bocca con maggior diletto che non fa il zucchero, et che maraviglia è se è di si grato sapore, poi che non si cibano gli armenti d'altro che di serpillo, nepitella, rosmarino, spico, maggiorana, citornella, menta, & altre simili herbe, tu sguazzerai con due caci cavallucci freschi, arrostiti non con lento fuoco, ma prestissimo, con sopraveste di zucchero & cinamomo. Io mi strugo sol à pensarvi: vedrai in Napoli la Loggia detta per sopranome de Genovesi, piena di tutte quelle buone cose che per ungere la gola desiderar si possano, mangerai in Napoli di susameli, mostacciuoli, raffioli, pesci, funghi, e castagni di zucchero, schiacciate di mandole, pasta reale, conserve rosate, bianco mangiare: sarannoti appresentati de buoni caponi, fa che tu alizi, Gropizi, & non coseggi, cioe mangia l'ali & il gropone, & lascia star le coscie: se brami coscie, piglia coscie de pollastri, & ali di caponi, & spalle di montone, & questi sono tre buoni bocconi desiderati in ogni luogo, gusterai quelle percoche da far risuscitar i morti: Mannucherai in Siena ottimi marzapani, gratissimi bericoccoli, & saporitissimi ravagiuoli. Se n'andassi in Foligno assaggiareste seme di Popone confetto, piccicata, & altre confetture senza paragone: troverai in Firenze Caci mazolini, oh che dolce vivanda, o che grato sapore ti lasciano in bocca; dirai io non vorrei esser morto per milanta scudi senza haver provato si dilicato cibo; mangerai del pane pepato, berlingozzi à centinaia, zuccherini à migliaia, & berai del trebbiano non inferiore al greco di Somma. Vatene à Pisa dove si fa un biscotto che se di tal sorte se ne facesse per le galee non vorreste far tua vita altrove, poco lontano di Pisa in un luogo detto Val calci mangierai le migliori ricotte, & le piu belle, che mai si vedessero dal Levante al Ponente. In Lucca essendo, oh che buona salciccia, oh che grati marzapanetti ti fieno dati. Se gusti del Tramarino di S. Michele non te ne parti mai, egli ha proprietà uguale all'acqua di Poggio reale. Non mi voglio scordar d'avvertirti, che in Bologna si facciano salcicciotti, i migliori che mai si mangiassero, mangiansi crudi, mangiansi cotti, & à tutte l'hore n'aguzzano l'appetito, fanno parere il vino saporitissimo, anchora che svanito & sciapito molto sia: benedetto che ne fu l'inventore io bacio & adoro quelle virtuose mani: io ne solevo sempre portare nella sacoccia per aguzzar la voglia del mangiare, se per mala ventura svogliato me ritrovava: Che ti dirò della magnifica Citta di Ferrara unica maestra del far salami, & di confettare herbe, frutti, & radici? dove berai l'estate certi vinetti, detti Albanelle non si po bere piu grata bevanda: vi si godeno di buone ceppe, sturioni, & buratelli, & fannosi le migliori torte del mondo, desiderava io venesse la Giobbia, & la Domenica piu sovente del consueto, per empirmi la pancia di torta. Haverai in Modona buona salciccia, et buon Trebbiano: Se ti verrà disio di mangiare perfetta cotognata, vatene à Reggio, alla Mirandola, & à Correggio, ma felice te, se giungi à quel Cacio Piacentino, ilquale ha meritato d'esser lodato dalla dotta penna del conte Giulio da lando, & dal S. Hercole bentivoglio; mi ricordo haver mangiato con esso mentre in Piacenza fui, certe poma dette Calte, & un'uva chiamata Diola, & ritrovarmi consolato, come se mangiato havessi d'uno perfettissimo Fagiano. Usasi ancho in Piacenza una vivanda detta Gnocchi con l'aglio laquale risuscitarebbe l'appetito à un morto. Se avviene che passi per Lodi (Dio buono) che carni vi mangerai, ti leccherai le dita ne mai ti chiamerai satollo, ma vorrei ben esser nella tua pelle quando arriverai à quelle minute pescagioni di Binasco. Goderai in Milano di cervelato del peragallo cibo re de cibi, col quale ti conforto mangiar delle offellette, & bervi dopo della vernaciuola di Cassano, d'Inzago, & d'Avavro: goderai certi verdorini della buona delli arrosti: non ti scordar la luganica sottile, & le tomacelle di Moncia, non le trotte di Como, non li Agoni di Lugano, non le Herbolane, & Fagiani montanari, che da i deserti di Grisoni à Chiavenna capitar sogliono; non anche i maroni Chiavennaschi, non il cacio di Malengo, & della valle del Bitto, non le Truttalle della Mera. haverai in Padova ottimo pane: vino berzamino, Luzzatelli, & ranocchie perfette: non ti debbo dire delli Poponi chiozzotti? delle passere, delle orate, ostreghe, cappe sante, & ceffali Vinitiani? Haverai similmente in Vinetia cavi di latte, ucelletti di Cipri, malvagia garba & dolce, & ottimo pesce in gelatina, che di Schiavonia addur si suole. Io vado per la memoria ricercando à mio potere tutte quelle cose che gustevoli parute mi sono, accioche di cosa veruna non rimanghi defraudato, et il mio giuditio lodi ne le cose appartenenti alla gola. Buoni vini havrai nel Frioli, migliori in Vicenza, dove ancho mangerai perfettissimi capretti, tacerò dirti de Carpioni di Garda? Goderai à Trevigi trippe & gamberi del Sile de quali quanto piu ne mangi, piu ne mangereste: capitando in Brescia voglio da parte mia vadi al S. Gioan Battista Luzago, overo al S. Ludovico barbisono, & dilli che ti dia bere di quella vernaccia, che gia piu fiate mi dettero: hanno i Bresciani oltre la Vernaccia di Celatica, moscatelli superiori alli Bergamaschi, et alli Brianceschi, et mi soviene che il consultissimo conte Camillo mene fece asaggiar di uno che mai non assaggiai il migliore. Vi mangerai una vivanda detta in lor lingua Fiadoni belli da vedere, grati al gusto, odoriferi piu che l'ambra, et piu che il muschio, & morbidi al tatto, confortano il stomaco, danno vigore à sensi, ristorano le forze, sono facili da digerire, ne punto aggravano, io mi maraviglio grandimenti che que tanti terzaruoli lodatori de bacelli, d'orinali, di ricotte, et d'altre fanfalughe non si sieno posti à lodare i Fiadoni bresciani non però mai bastevolmente lodati. Credo che l'altezza del sogetto li habbia sbigotiti, ma che fa il Pocopagni aiutato dalla facunda musa di M. Antonio di lui nipote, ch'egli non ne canti? che sta à guardare il Cazago che non concordi cinquanta rime circa tal materia? Vorrei che'l gentil Dionigi da Castello con il suo dir terso, & nuovo facesse fino alli Indiani nota la Fiadonesca bontà. Ma perche certo sono che non farai ritorno nell'amata patria che Genova non veghi, io ti aviso che vi si fanno torte dette gattafure perche le gatte volentieri le furano et vaghe ne sono, ma chi è si svogliato che non le furasse volentieri? à me piacquero piu che all'orso il mele; ò le pera moscatelle, mangerai delle presenzuole, de buoni fichi, & delle schiacciate fatte di pesche, & de Cotogni, berrai moscatello di Tagia tanto buono, che se in uno tinaccio di detto vino mi affogassi parerebbemi far una felicissima morte, non ti mancheranno Corsi, racesi, & amabili. Non uso quella diligentia ch'io potrei in dirti ciò che al ventre si appartiene, parte perche mi penso che non sarai cosi inetto che non ti sappi procacciare i tuoi bisogni, parte anchora perche ti voglio dare altri consigli: tu sei giovanetto, ne per quel ch'io credo foste mai piu fuori di casa, attendi adunque à me che fedelmente sono per consigliarti, se ti abatti esser di brigata in qualche albergo, & vi sia poco pane, tienlo in mano, se poco vino, beve spesso, se poca carne appiccati all'osso, se hai poco letto, ponti nel mezo. Se l'estate cavalchi con grossa compagnia, metteti avanti, & la vernata rimani indrieto, se ritrovi qualche difficile & pericoloso passo honora il compagno, lascialo andar avanti: & cosi se ti abatti di haver à passar qualche rapido & torbido fiume, dirai come gia disse un savio contadino. Torbo ti trovo, torbo ti lascio, se non sei chiaro io non ti passo, & vatene alla barca, ne volere per sparmiare un carlino porti a rischio di morte & doventare cibo de ingordi pesci: cavalcando per la Calavria porta che mangiare nelle saccoccie, altrimenti ti potrai stare co guanti in mano: guardati di rimescolarti con cortegiane ispetialmente in Napoli, Roma, Vinetia, se non ne voi in premio riportare, gomme, piaghe, doglie, taruoli, panocchie, dentaruole, & pellarelle. Guardati da Lombardo calvo, Toscano losco, Napolitano biondo, Siciliano rosso, Romagnuolo ricciuto, Vinitiano guercio, & marchegiano zoppo. Non albergare con hoste nuovo, ne questionar con esso, ne lo pagare fin che non sei per andartene, imperoche pagato ch'egli è, non è piu tenuto alla custodia delle cose tue, non ti riposare nella fede loro, & guarda che non rubbino la biada à cavalli, ogni cosa contaminano i ribaldoni, & quando credi che le lenzuola sieno di bucato, vi havera dormito qualche leproso & incancherito. Non ti lasciare sovragiungere la vernata in Abruzzo, ò la state in Puglia. Ricordati del proverbio, Chi vuol provar l'inferno l'estate in puglia, & nell'Abruzzo il verno. Guardati dall'aria di Grossetto, di Piombino, di Pisa, di Sinigallia, di Macerata, d'Arimino, di Cervia, & di Pesaro. Fuge come la peste i gabellieri di Firenze, di Bergamo, di Brescia, & di Ferrara, non provaste mai le piu importune & ingorde bestie. Schiva i zaffi Vinitiani degni di mille forche. Non cavalcar la vernata per Lombardia se prima non incanti la Nebbia, & questo sia l'incantesimo. Piglia una tazza piena di Corso, o di moscatello briancesco, & dirai tre fiate, Nebbia nebbia matutina che ti levi la mattina Questa tazza rasa & pina contra te fie medicina. Aloggia per tempo, si di verno, come di state: habbi de cavalli diligentissima cura, & essendo stracchi bagnali i testicoli di vino caldo, non volendo passare qualche ponte, ò vero intrar in barca. accostategli all'orecchio stanco, & congiuralo per l'invidia de cortegiani, per la militar rapacita, per l'ingordigia de molti preti, per la mormoratione fratesca, & per la desperata salute delli avvocati, & incontanente passerà dovunque vorrai: nel pascerlo non ti curare di empirlo la mattina di biada, ma ricordati del Proverbio francese: disinar di fieno, & cenare di Avena: Fa poca stima de signore, che non doni & favorisca, di Prelato che non conviti, & di mercatante che non presti. Non rifiutar di disinare con Abbati, cenar con mercatanti, merendar con comadri, & far colatione con innamorati: Cerca di far Natale con signori. Pasqua nel tuo albergo, & lecito ti sia di far il carnevale in ogni luogo. Guardati da mariuoli & taglia borse de quali n'ha gran copia Napoli, Roma, & Vinetia. Se ti accade albergare nelle case di qualche honorato cittadino, non esser curioso investigatore de fatti altrui: sia cieco, sordo, & mutolo: non biasimar cosa che veghi, loda etiamdio quello che loda non merita: à tavola essendo, et non ritrovando le vivande secondo il tuo talento, non vituperare, ma sovengati di cio che disse Cesare à suoi compagni. A chi non gusta non ne mangi, & tacciasi. Non ti far molto intrinseco con signori liquali sono come il fuoco, se moderatamente te li accosti, ne sei scaldato & illuminato, ma se molto te li avicini, tu ti abrugi, et consumi. Schiva le femine barbute et quelle che portano la braca de mariti, guardati dell'andar in Norsia, Cassia, & Visse, perche Dio li maledisse. Guardati di Calle, Seno, & Moncalino, un ladro, un traditore, e un'assassino: di molte altre cose instruire ti potrei, ma mi confido del tuo nobile ingegno, alquale (se sie bisogno) potra supplire questo buon Fiorentino, ilquale mi par huomo della tavola ritonda, et credo li sappia migliore il cotto che il crudo, & piu li piaccia l'agio, che il disagio. Qui fece fine di cicalare il loquacissimo hoste, & essendosi abonacciato il mare, & da ogni lato apparite le Alcione segno certissimo di futura tranquillita, fatte le debite relationi di gratie (si come tenuti eravamo) à quelle persone, che si humanamente racolti n'havevano, & fornitici di rinfrescamento, salimmo la nave & verso Sicilia indrizzammo il camin nostro: non fummo lontani di dugento miglia, che incominciammo à vedere molte cose, che ne dettero tanto sbigottimento, che anchora ci sudano le tempie; Apparve alla poppa della nave un'huomo marino, & in tal sembiante apparve, che non fu alcuno di noi si ardito, che non se gli aricciassero i capelli, et per gran timore la lingua al palato non se le accostasse, ma longamente non vi dimorò. Vedemmo un branco di Balene poste quasi che in Ghirlanda, le quali ci rapresentarno l'isole Cicladi. Il giorno seguente apparve, & non molto lontano da noi, gran numero de tritoni, Elephanti marini, Vitelli marini, Orche, & Nereide, le quali sono di corpo peloso, & di humana effigie. Si videro quel di medesimo testugini si grandi che del coperchio di ciascuna si sarebbe agevolmente coperto ogni ampio, & gran palagio: nulla vi dico della molta copia de Delfini, liquali da luogo à luogo fra loro con gran lascivia scherzando, con maggior prestezza andavano che non fa strale da cocca uscito: avicinatici finalmente alla Sicilia meno di trecento miglia, Udimmo una notte cantare piu di cento Sirene, lequali in vero si dolcemente cantarno, che io credetti tutti gli chori delli Agnoli esser quivi dal cielo discesi: non le potemmo gia vedere per esser buio, ma se la bellezza loro è tale, quale è la dolcezza della voce, credo che ne in terra, ne in mare, vedere si possa la piu perfetta cosa: Il decimo giorno dopo l'haver udito si grata melodia con prospero vento, & con il ciel sereno, entrammo nel porto di Messina. Hor quivi soggiornammo molti giorni, & con quella diligentia che si puote maggiore, notammo tutte quelle cose che memorabili ci parvero; poi sodisfatto il padrone della nave, et provedutoci de cavalli, ci ponemmo curiosamente à cercare tutta l'isola laquale da Tucidide è chiamata Sicania, da altri Trinacria, et da molti Triquetra per la sua triangolar forma: è di tre promontorij adorna, delli quali l'uno risguarda l'Italia, l'altro mira la Grecia, il terzo vagheggia l'Affrica: montati finalmente à cavallo Tetigio, mio valletto allevato in casa da fanciullo, & io lasciati i Mamertini, ò vero i Messinesi, che li vogliamo dire, si dettemo à cercar l'isola, & primeramente n'andammo à vedere il miraculoso monte di Etna, le cui faville ben cocenti arrivano sovente fiate fin'a Catania, & fino Taurominio: vedemmo il porto di Ulisse, le stanze de Ciclopi, i campi lestrigoni; d'indi ne andammo à visitare la famosa, & nobil Siracosa, & nel bello & chiaro fonte di Aretusa ci lavammo: cercammo dopoi i popoli Agirini, Adranitani, Acestemi, Acrensi, Leontini, Semellitani, Triocarini, & Paropini. Fui per molti giorni in Catania, ne cosa alcuna vi vidi, che del memorabil havesse, fuor che il S. Cola maria caracciolo vescovo di detta città, la cui prudentia mi dava gran stupore, & mostruosa mi pareva in si giovenile età. Non ramemoro tutti i popoli da noi visitati, che troppo tedioso sarei. Abonda questa isola di tutte quelle cose, che al vivere humano necessarie sono, & talmente n'abonda, che ne pò à vil pregio communicare altrui. Di tutte le nationi straniere fu Sicilia la prima, che facesse amicitia, & venesse sotto la fede del po. Ro. Fu parimenti la prima che fusse chiamata sotto nome di provincia ilche risultò à grande honore dell'imperio: questa è quella isola la quale insegnò à Romani quanto fusse dolce cosa il commandare alle nationi peregrine, & di tanta fede & benivolenza co Romani si strinse che mai niuna città si ribelò. Questa fece la scala à conquistare l'Affrica: questa fu detta dal savio Catone Armario & dispensa della Rep. & nudrice della plebe: questa è quella nobil provincia la quale nelle somme difficultà di Roma, vestito nudrito, & armato ha li esserciti Romani: supera ella certamente tutte l'altre di nobiltà, di ricchezza, & di splendore, molte cose però vi trovai che strane (per non dir peggio) mi parvero. Io vi vidi tener le razze d'huomini per venderli come si vendono cavalli, buoi, muli & altri irragionevoli animali, ilche parvemi pessimamente fatto, imperoche quantunque non habbiano il sacro Battesimo, sono però dotati di ragione & possono anch'essi dir SIGNATUM est super nos lumen vultus tui domine: portano in fronte come noi altri l'imagine d'Iddio & per essi, come per noi è morto Giesu Christo (pur che cosi creder possino) si doverebbono adunque trattar con piu rispetto: intesi di piu che i padroni delle razze spesso con le schiave lussuriosamente si rimescolano & que parti che si generano, soggiacciono à quella medesima conditione che soggiacere veggiamo quelli che di padre & di madre schiava nati sono. Strana et mostruosa cosa mi parve il veder condur le donne à prezzo perche pianghino li altrui defunti. Chi le vedesse stracciarsi i capeli, farsi la faccia livida, direbbe che da estremo dolore trafitte fussero, & vi è tal feminella che si trovera haver fatto simil uffitio quattro & cinque fiate in un giorno & piangere sempre piu dirotamente una volta che l'altra, direste che sotto ambedui i cigli riposto vi fusse un copioso fonte di amare lagrime: vidi in Sicilia tanta frugalita & si strema parcita nel vivere che io tenni grandimente bugiardi Platone Strabone, Aristotele, Clearco & Aristophane, liquali tanto lodarno le mense Italiane, & ispetialmente le Siciliane. Mostruosa cosa mi parve veder que Siciliani sempre in briga, sempre azzuffarsi, & esser della morte tanto timidi che come si veggono tratta una gocciuola di sangue tramortiscono & in segno della lor timidità non li basta armarsi il capo le braccia, & il petto, che portano di piu il guarda naso, guarda orecchie & guarda bracchetto & armarsi infino alle streme parti del corpo. Notabil cosa mi parve l'udir in alcune terre la favella lombarda, si schietta et espressa come se stato fussi nel centro di Lombardia: summa gelosia è in questi huomini anchora che il paese caldo sia: & acuti sono sopra tutti. È l'isola piena de ladri, ne spaventar lor possono manare, prigioni, forche, ceppi & catene. & questo è quanto sono per dirvi della natura loro; Settantacinque giorni consumai in visitar questa isola, la dove M. Tullio scrive nelle sue verrine haverla visitata in cinquanta giorni: ritornammo in Messina, & dal longo cavalcar stracchi, facemmo disegno di riposarsi alquanto: quivi trovammo la schiatta di Pharaone Re dell'Egitto[1] qual credetti del tutto estinta già tante centinaia d'anni sono. Ripossati quanto ne faceva mestieri, passammo Scilla & Caridde assai piu spaventevoli di nome che de fatti: lasciammo Reggio sul margine dell'Italia, et entrammo nella Calavria, vedemmo il fiume Sagra dove si fece quella memorabil rotta, et donde ne nacque il proverbio, Veriora his quæ apud sagram contingere: visitammo i Locri fronte dell'Italia ove sempre apparisce l'arco celeste: intrammo in Scillatio hora detto Squillatio et dalli Atheniesi edificato richiamato Scilletio; non intendo voler riferire tutto cioche gli occhi miei videro, ma sol quel che mi parve trasordinario. Dico adunque che mirabil cosa mi parve vedere in quella Provincia gli hospiti in hospitali: di piu: quando questa natione canta par che pianga & quando piange par che canti. Strano mi parve che Iddio ottimo & mass. al cui consiglio non si pò opporre, dia si largamente la manna à questi popoli infami di micidij, ladronecci, & della piu sporca & abominevol lussuria che imaginar si possa, non havendola gia mai data ad altri che al suo popolo diletto: io li ho veduto piangere piu largamente la morte de vermi,[2] che dei stretti parenti: vidi in questi paesi un montone predicare la parola d'Iddio con singolar gratia, & gridare à peccatori con mirabil fervore.[3] D'indi scorremmo la Lucania, & vedemmo il sepolchro di Alessandro epirota, ilquale nel medesimo tempo, che Alessandro (il magno) di costui nipote & cognato andò all'espeditione di levante, fu da Lucani fuorusciti invitato à venirsene in Italia, promettendogli che per opra loro s'insignorirebbe di quella provincia: venne il misero & troppo credulo Alessandro, ilche essendo da Lucani presentito, promisero à fuorusciti libero & franco ritorno nella patria se amazzare lo volevano, ilche fecero senza molto pensarvi, singolar essempio à principi di non dar molta fede à fuor'usciti. Scorsi poi la fertile Puglia, vidi Salappia ove il feroce Anibale si lasciò legare da una vil feminella. Entrai in Siponto, Venosa, Canusio, Theano, et Hargirippa da Diomede edificata: vidi li Aquilani, Caudini, Bebiani, Vescelani, Deculani, & Benevento, gia detto Malevento, ove trenta mila sanniti furono morti. Scorsi l'Abruzzo, ne contener potei le risa veggendo quei huomini piu vaghi del pane unto che non è la capra del sale. Vidi in Puglia del sterco de buoi farsi il fuoco & scaldarsi i forni. Maravigliosa cosa mi parve il fatto della tarantola, ne creduto l'havrei se con i propri occhi veduto non l'havessi; ivi certamente si comprende quanta sia la forza della musica, poi che i morsicati per altra via sanar non si possono. Usano le donne di questo paese di portar le calze larghe come sacchi, & sopra delle calcagna ricadenti et hanno questa sciocca opinione, che chi altrimenti le porta non sia femina d'honore. Sonoci alcuni luoghi dove si menano le fanciulle, che si hanno à maritare in mercato sopra delli Asini rabellite, con le treccie sciolte, & colui che le conduce va avanti gridando chi la vuole. Sa cucire, sa tessere, sa filare, sa cucinare, sa far bucato, chi la vuole? chi la vuole? & spesso aviene, che una povera fanciulla verrà dieci fiate in mercato prima che trovi ricapito. Veduta questa parte non però con molta diligentia, pigliammo il camino ver Napoli città splendidissima, da Calcidensi edificata, & da una sirena ivi sepolta: detta Partenope. Io non so veramente dove veder si possa il piu bel sito, ne il piu accommodato, da una parte tragonsi carra, dall'altra parte trahesi nave; ilche in niuna altra città si vede. È questa natione molto dedita all'otio, & alle delitie, & alle attilature, dilche maravigliandomi, fummi detto che di ciò non mi dessi maraviglia, concio fusse cosa ch'ivi habitasse l'Epicuro il quale con l'accecare li illuminati, & illuminare li accecati si haveva grandissimo credito acquistato.[4] Parvemi strano che l'Epicuro fusse anchor vivo, qual credetti morto già piu di due mila anni. Ho udito canzoni in Napoli di maggior melodia, che non ha la musica Dorica, la Lidia, la Phrigia, & la Beotica. Vidi castello Capouano per arte maga da Capoua à Napoli traportato. Vidi castello dell'uovo da Zoroastre d'un uovo di ocha edificato. Vidi andar per Napoli le Galeotte, senza vele, & senza remi per lasciutto: Mostruoso mi parve vedere molte caraffe, & molte pignatelle[5] bollir senza fuoco, ne facilmente rumpersi, anchora che nel muro percuotessero. Mostruoso mi parve, che in una si amena regione, ove di continovo habita primavera, vi habitasse anchora Genaro:[6] intollerabil giudicai, che passata meza hora di notte, non fusse lecito uscir di casa salvo, che in farsetto, tanta è la copia de ladroncelli. Non ha similmente da tenersi per cosa notabil c'habbi quel regno infinita copia di cavallucci, liquali non mangiano ne fieno, ne biada, ne paglia, ne orgio, non sanno mordere, ne trar de calzi, non portano, ma sono portati. Trovansi parimenti Armeline, delle cui pelli non si foderano vesti, viveno senza mangiare, & senza bere, & del continuo rinchiuse si tengono:[7] ne meno da esser notato giudicai, che i cavalli facciano cascio.[8] Hocci veduto huomini con le branche de Lioni.[9] hocci veduto un Porco,[10] & un falcone[11] nella dottrina di Aristotile molto eccellenti. Hor goduto che havemmo la città, deliberammo godere il contado, & a far l'estate in Pusilipo n'andammo. È Pusilipo un monte di tanta vaghezza, & amenita ornato, che io non credo trovarsi in tutto l'universo monte alcuno, che ragionevolmente comparar se li possa, taccia pur chi loda il monte Idalio, Otri, Menalo, Liceo, Tauro, Citoro, & qualunque altro piu famoso, che mai mi si persuaderà, che tale sia, che à questo pareggiar si possa: o che habitar magnifico, & reale vi si trova, quanti bei giardini da dotta mano coltivati, che grate ombre vi sono, & dolcissimi ridotti: oh che benigno, & chiaro aspetto di cielo. Quante belle prospettive si di terra, come di mare vi si veggono: che dolce spasso era il nostro in cogliere la mattina per tempo vacinij, gelsomini, garoffoli, & viole di piu ragione; Quivi sono mele cotogne grosse come il capo d'un bue, & piu belle di quelle che in Cidonia nascono, donde prima à noi portate furono. Pruna di diverso colore, & nere, bianche, verdi, gialle, rubiconde, & mischiate, vi sono le ordearie, le asinine, le damascene, & le armeniache, lequali sole fra tutti le spetie odorifere sono. Ho gustato su questo gratioso monte persiche tanto saporite, di si pretioso odore, & di tanta bellezza, che se il vecchio Adamo per tal frutto prevaricò; io lo reputo degno di scusa. Ho alle volte creduto ch'egli fusse quel loto di tanta dolcezza, che chi ne gustava: non si ramentava piu della patria, donde ne nacque il proverbio. Egli ha gustato il loto: hocci mangiato di quelle persiche dette galliche, & di quelle che dette furono Asiatiche. Qui trovai tutti que frutti quai sesto Papinio reccò d'Affrica, & di Soria, qui trovai tutti li ingegnosi insiti di Matio, di Getio, di Manlio, & di Claudio. Quivi sono le mele appia da Appio de la famiglia Claudia cosi dette. Sonovi le septiane da un libertino ritrovate di perfetta rotondità, le quiriane, le scantiane, le Epirotiche, le Camerine: sonovi le Crustumine, le Dolobelliane, le Favoniane, & le Tiberiane, ci ho mangiato sorbe, che parevano nate in paradiso, et anchora me ne sento il sapore in bocca. Su questo fertilissimo monte fatto da la natura per produr frutti, & per ragioire le menti afflitte hocci mangiato fichi Rodiotti, Tiburtini, Africani, Egittij, Cipriotti, & di una sorte sopra a tutti gli altri dolce: credo sieno fichi hircani, della cui natura parlando Onesicrito afferma superare tutti gli altri frutti di dolcezza. Che dirò delle castagne assai migliori delle Tarentine, piu belle delle coreliane, & piu saporite delle meterane. Vi sono mora, & ostiensi, & tusculane, non vi mancano ciregi le quali avanti la vettoria di Mitridate, non si videro giamai in Italia, L. Lucullo le recò di Ponto, et in ispatio di poco tempo trapassarno fin'in Britannia, ne creda alcuno che sol d'una sorte ve ne sia, vi trovai le Aproniane rubiconde piu che fiamma, le Actie piu che pece nere, le rotunde Ceciliane, & le macedoniche, non racconterò delli Aranzi da Neratio ritrovati, non delle limoncelle, non de cedri, non delle molte spetie di mortella. Infinite cose pretermetterò accioche il mio commentario piu di me non cresca. Finita la state feci disegno partirmi da Napoli & girmene à Roma benche duro mi paresse lasciando la dolcissima conversatione del S. Mario Galeota, & del S. D. Lonardo cardines, per mezo del quale conobbi la nobile & saggia princessa di Salerno, la generosa Marchesa de la Palude, & la virtuosa contessa di Nola, dal cui lato mai non si parte la discreta Luvigia carolea gloria di Benevento, ma prima che à Roma me n'andassi: io volli veder Venafro famoso per la copia & gran bontà dello olio. Vidi Capova gia si potente, & hora quasi che destrutta. Fui in Caiazzo, in Teano, in Aliffe, & in S. Agnolo, dove faceva sua residentia la contessa d'Aliffe la quale senza haver altra notitia de fatti nostri mossa sol da un regal spirito, & sospinta da una natural cortesia ci fece nelle proprie case albergare. Io non ho lingua, io non ho parole bastanti ad isprimere li honesti trattamenti, i gratiosi modi, & la rara leggiadria di questa eccellentissima Signora[12] degna madre della divina Violante, & della dolcissima Giulia Garlona: ne fu poi pel viaggio da persone di somma fede, affermato, esser fra l'altre virtu di tanta pudicitia che si sarebbe potuta pareggiare con Sulpitia figliuola di Patercolo & moglie di Fulvio Flacco, la quale eletta fu fra cento castissime matrone per consagrare il simulacro di Venere: ò donna rara, ò gloria eterna del sangue Piccolomini & degna di maggior felicità che non hebbe mai Lampido Lacedemonia overo Berenice. Partitomi dal territorio di Aliffe, indrizzai il camino verso Roma, soggiornai tre giorni in Gaieta, & tutta quella Riviera attentissimamente contemplai & mi risolsi à credere che la piu bella & amena parte del mondo fusse tutto quel tratto da Napoli à Gaieta: ne fu da paesani mostrato il luogo dove M. T. fu per commandamento del crudele & scelerato M. Antonio di vita privato: certamente contenere non potei allhora le lagrime giudicando però divinamente fatto che il piu diserto & florido oratore che mai per alcun tempo nascesse, nella piu florida parte del mondo terminasse anchora i giorni suoi. Vidi il monte di Circe, & tutte le stanze dove la scelerata maga habitava, & vi trovai un pezzo della sua conocchia, due pentole, una guastada, molti lambicchi rotti, alcuni Pentacoli, infinite Ampolle & Albarelli spezzati: d'indi senza far dimora venni alle habitationi de volschi quai Virgilio chiama veruti perche combattevano cò spedi, & albergai nelle case che già furono di Camilla lor famosa reina: n'andammo poi à vedere i popoli sanniti liquali furono già tanto potenti che dettero delle mazzate à Romani & li vituperarono spogliandoli delle arme, poscia che rotti li hebbero: con i Romani per ispatio de quarant'anni animosamente contrastettero, & sostennero alcuna volta dui eserciti consolari: furono finalmente constretti di cedere alla virtu Romana. Entrammo poi in Alba, dalle cui ruine, crebbe già Roma, vedemmo il luogo dove combatterno li Oratij & li Curiatij. Scorremmo il paese che già fu de Latini, de Sabini, de Ferentani, de Falischi, et de Privernati. Entrammo finalmente nell'alma città di Roma dove la principal nostra cura fu di vedere il gran pastore del christiano grege, lo vedemmo piu di una fiata, ma lecito non ci fu di fargli la debita riverentia perche non havevamo chi ci introducesse nel cospetto di sua santita: vedemmo il concistoro & molto n'increbbe che in si gran collegio de cardinali sol vi fusse uno cortese:[13] sol uno pio & non piu & uno agnolo solamente fra tante Gerarchie con esso loro habitava: vidi un canuto Gambero sedere a concistoro, vidi un Cardinale che haveva tre volti & uno che haveva tre denti: & uno ne conobbi ilquale per quella parte mandava fuori il pane patito per la quale intromesso l'haveva: trovai in Roma beccari liquali non scorticarno mai ne vitella ne vaccina. Trovai colonne per se stesse mobili & molti orsi di figura humana: dura & mostruosa cosa mi parve, che in Roma santa si comportassero tante meretrici, & in tanta stima fussero, & a tante facultà pervenessero, che paiano reine (mercè dell'humana incontinentia & intemperantia) laquale lascia sovente mendicar i virtuosi: lascia miseramente languire i poveri infermi nelli spedali, et arricchisce le concubine, nodrica le carogne con offesa d'Iddio, con infamia del nome christiano, et spesso con grave danno de propi corpi: che non vidi in Roma di strano? Vidi huomini col capo di ferro,[14] altri col capo di zucca & huomini vidi di Pietra, far versi & dialogi degni da esser piu di una fiata letti. Partiti di Roma, n'andammo a visitare i Piceni, hora detti Marchegiani, li quali già furono in molto maggior numero che di presente non sono, trecento cinquanta mila, atti à maneggiar arme si dettero già nella fede de Romani, si conobbero allhora li Ausimati, Veregrani, Cingulani, Cuprensi, Falariensi, Pausulani, Plinitensi, Ricinensi, Septempedani, Tolentinati, & li Triacensi con molti altri popoli quai pretermetto per schivar la satieta à qualunque legerà questo nostro Commentario: ma che vidi io nella marca di memorabile? vidi bere il vin cotto, mangiar il pan crudo, & la carne dirupata. Conobbi una natione robusta, & della fatica impatiente, come hanno un pezzo di presciutto, & un casciotto, non si possono condur à lavorare con mille argani. Conobbi nella Rocca contrada una santissima donna governatrice d'un devotissimo monistero: era costei dotata di spirito profetico, et miracolosamente nella scrittura instrutta, di cui era sollecita imitatrice Clara vigera dalla rovere. Ma che si scriverà da me particolarmente d'Ancona? ricetto singolare de schiavoni, ricapito de giudei, albergo de Turchi, stanza de morlacchi, & nido de Greci, ove sono molti ricchi mercatanti, & di qualunque cosa si fa gran traffico, ne mai vi si vede contar un soldo. E' bagnata Ancona dall'onde del mare, & di rado vi si vede pesce fuor che alla Pasqua quando ci fa men bisogno: dirò di più che i giorni santi, ivi si trova infinito numero di meretrici, & per altro tempo ve n'è piu caristia di quel che forsi vorrebbe l'intemperanza nostra. Grata mi fu in questo luogo la conversatione di M. Giovanni Gondi, & di M. Francesco Gabriele, huomini di nobilissimo ingegno, e di gratissime maniere: cercai diligentemente gli Umbri gente antichissima, et da Greci detti Umbri, perche rimasero sani & salvi dopo l'universal inondatione. furono già da Toscani crudelmente perseguitati, et trecento castella arsero loro: di questa natione favellando un gentile & nobil poeta disse. ET SUBERE LEVIOR UMBER. Condussimi finalmente à Sinigallia da Galli edificata, ove era Vescovo il buon padre Marco Vigerio della rovere, huomo di bontà, et di dottrina singolarmente ornato, dalquale commodamente albergati, in molta consolatione molti giorni presso di lui ci ritenne; erano del continuo i nostri ragionamenti dell'amore et timore, che à Dio si deve, del dispregio delle cose mondane, della divina misericordia, de i frutti della pace, della tranquillità della conscientia in Giesu Christo, & delli effetti dell'oratione. Capitammo poi a Pesaro, ove si ritrovava la S.D. Leonora Gonzaga duchessa d'Urbino, laquale havendo presentito di nostra venuta albergar ne volle nel ducal Palagio in molti modi scuoprendone la Magnificentia, & splendore del suo gentilissimo animo. Faceva il medesimo la diletta nuora Vittoria Farnese honor del sesso feminile. Hor havendo visitata la Marca, & l'Umbria, deliberai passarmene in Toscana senza haver alcun riguardo à dilungar il viaggio, à tragiettar monti, ò à varcar fiumi, & a Siena giunsi della cui vista ero stato longamente desideroso, siede la nobil Siena in un fruttifero monte, ricca di grasso piano, & de ameni colli. Sonovi le donne piu savie de gli huomini, & sonovi le donne in guerra forti[15], non è per tanto da maravigliarsi ne da reputar menzogna le cose che si leggono di Arpalice, di Semiramis, di Pantasilea, di Camilla, di Valasca, di Maria da pozzuolo, & di madama da Forli. Ecci in Siena l'aria tanto sottile, che ogni anno ne escono de Gangheri infiniti, de quali alcuni ne ritornano, & alcuni perpetuamente ne rimangono pazzi; uno ne conobbi io ilquale si credeva d'havere il capo di cera, et per tanto anchora ch'egli asidrasse di freddo ricusava vedere il Sole, & accostarsi al fuoco. Un'altro ne conobbi, che si dava ad intendere d'havere il capo di vetro, & le gambe di ferro: mi fu mostro: che si riputava di esser un'olla, & passando davanti à qualche Pentolaio, era sforzato (suo mal grado) di entrar nella bottega, & con le braccia inarcate riporsi fra l'olle; & vi era fatica à poternelo rimuovere, vidi chi si credeva d'havere un braccio di naso et andando per la strada gridava, scostative, non mi vi appressate tanto: molti impaciscono credendo di esser fatti Re, Imperadori, Duchi, Conti & Marchesi: vi era uno fra molti ilquale era di questa credenza ch'egli havesse in corpo gran quantità di rane, & se alcuno diceva di non udirle cantare fieramente si adirava, vidi in Siena intronati ch'erano molto svegliati[16]: storditi bene assentiti, crudeli assai pietosi: piccolhuomini ch'erano grand'huomini, Saraceni tenuti buon christiani: Venturi che presenti erano[17]: Salvi li quali erano in pericol posti: Amadei, & pur si conoscevano per peccatori: Qui solamente trovai huomini & donne belli & gai. Sono i Sanesi sopra tutti i Toscani (& siami detto con buona pace & gratia) hospitali, affabili, liberali, & gratiosi, amadori di virtu, & bellicosi molto: Fu il mio albergo nelle case di messer Gioanni Lateringo, et honestamente trattato fui. Non mi curai di gir à Perugia, intendendo che mesta, & lagrimosa si stava per li molti cittadini fatti fuorusciti, & per essere stati condotti in triumpho dal S. Pietro Luvigi confaloniero della Romana chiesa: attristavansi di vedersi far dentro le mura una fortezza non solita d'esservi: Pare à molti popoli che queste Cittadelle (che cosi hoggidi si chiamano) facciano i Signori di quelle licentiosi, insolenti, & meno circunspetti in offendere i sudditi, fidandosi di ricoverarsi in quelle, se alcuno tumulto popularesco contro d'essi si levasse: Dolevasi d'esser posta sotto la dura sferza di Monsignore della Barba, terror de popoli sfrenati, & licentiosi[18]. Possono far ampia fede i Perugini quanto sia pericolosa cosa il contradire alla volonta del Vice re del cielo: Dopo Siena diligentemente veduta, à Firenze ne venni, citta con gran maestria edificata, & bella sopra tutte le città di Europa. Crebbe ella già per le rovine di Fiesole, abonda di amenissime ville, de magnifici palagi, de sacri tempij, & de sottili artificij, ma che vi vidi io de memorabile? che questa è la mia principale intentione di osservare, acciò che i miei cittadini habbino quella maggiore cognitione, che possibile lor sia delle cose Italiane, senza solcar tanti mari, & passar per tanti boschi, dove appena vanno secure le squadre armate: Io vi vidi Caponi[19] humanamente favellare: Dei del tutto humani & mortali; Palle dissimili alle nostre con lequali soliti siamo di trastularci: Alemani, che mai non videro l'Alemagna: Carne secca molto fresca. Martelli, che non percossero mai chiodo, ne Ancude. Medici, che non medicarno mai. Pazzi, che mai non si puotero per alcuna industria guarir dalla pazzia, ne maraviglia parer ne deve, poi che già congiurarno di amazzar i Medici: vi trovai Salviati[20], non buoni da mangiar come sono i nostri. Da Firenze partitomi, à Lucca ne venni. La quale gode, & per beneficio di Cesare, & per lor vigilantia, una quieta & dolce libertà per mezo della quale fassi tuttavia ricca, & nella mercatura acquista credito, & reputation grande. Io vidi in Lucca gigli tutto l'anno fiorire[21], senza temere ne vento, ne pruvina, ne tempesta, ne gelata: ma lasciamo star i gigli, non è cosa stupenda, che in tanto paese da me ricercato non habbi mai ritrovato Suocera, che ami Nuora, fuor che in Lucca? ne alcun'huomo nobile, honesto, giusto, & di buon viso[22], eccetto, che in Lucca? non è cosa stupenda, che quivi solamente trovato habbia huomini da Dio dati? Ho in Lucca parimenti ritrovato Turchi, Malpigli, Orsucci non selvaggi ma humanissimi. Ho veduto spade, che non feriscono, ne di punta, ne di taglio: Ho veduto sbarre, che non sbarrano, ne strade, ne finestre, ne porte; Poggi, che alto non poggiano, ma stannosi al basso: Prosperi, poco felici; Calandrini[23] senza piuma, & che non cantano, ne stanno in gabbia. Strano mi parve veder il lor volto Santo con il calice sotto i piedi, quasi che lo dispregi, & per nulla lo reputi, Se io fussi lor Vescovo, prohibirei tal culto, finche raunato un picciolo Concilio d'huomini nelle sante scritture esperti con l'auttorità Pontificale fusse determinato, se si dovesse in cotal riverentia perseverare. Non parlo piu di Lucca, dove alloggiai con li nobilissimi Ludovico, & Vincenti, non meno di buon'animo, che di buon viso ornati, ma altrove mi transferisco, & dove mi transferirò io? se non mi transferisco à Bologna per altro nome detta Felsina? ne mi curerò per sodisfare al mio desiderio, di gir hor avanti, hor indrieto; non lasciai parte alcuna dell'Italia, che à mio potere io non vedessi (quantunque per esser brieve, di ogni cosa io non faccia piena mentione). Venuto adunque in Bologna madre de studi, parvemi certamente di vedere una città degna di regal residentia. Fu ella già per ispatio di cent'anni posseduta da Bentivogli. Papa Giulio poi con le arme Francesi, & con oprare, che i Vinitiani si stessero neutrali, ne li scacciò da si caro possesso: in quel medesimo tempo trasse ancho Perugia dalle mani dell'incestuoso Gioan Paulo Bagliono: ma vegniamo alle mostruosità co propi occhi vedute: mi venne davanti alli occhi un'huomo che haveva la bocca di ferro[24], & da quella bocca, uscivano parole savie, & concetti divini. Vidi un Manzuolo pesar piu di qualunque grosso bue, ne però altro era che un Manzuolo. Vidi una Torre edificata dalli Asinelli essendo in guerra co gli orsi, ma questo non fu lor sufficiente riparo, imperoche non havendo esercito da porre in campagna (si come haver conviensi à chi vole prevalersi delle fortezze) furono sforzati abbandonarla, et partiti da Bologna, andarno ad habitar in Piasenza; ma fu si grande l'odio, fu si crudele la rabbia delli orsi, che anch'essi si partirono con ostinata deliberatione di fargli perpetua guerra, & essendogli vietato l'entrar nella città perche non si turbasse la Pubblica quiete, & il comune riposo: fermarno le lor stanze lontano forsi otto miglia, ilqual luogo infino al di d'hoggi chiamasi Caorso: cioe casa delli orsi: Trovai in Bologna della schiatta del re Marsilio[25], che già dette molto travaglio al reame di Francia: Stravagante cosa mi parve, che quei dalle Arme non facessero arme: & quei della Malvagia non vendessero malvagia: Vidi una manarona, la quale non spiccava colli da busti, ma sol spezzava i cuori de pazzi, & sensuali huomini, se fusser ben suti piu che'l diaspro duri: Vidi una rovina[26] causata non da incendio, non da vecchiaia, non per soffiamento de venti, ne per opra di torrente; con laquale molti vani huomini non si curarebbono di rovinare: molte altre cose vidi quai con silentio trapasso: non tacerò però d'haver veduto in Bologna la morte, condotta all'hospedale[27], ilche mi dette tanta allegrezza, che io non poteva capir nella pelle, et giudicai i Bolognesi sopra a tutti gli huomini valorosi, havendo condotto l'inimica morte à tal stato. Partitomi da Bologna corsi à Ravenna città per i passati tempi molto potente, di gran traffico, altiera per l'esarcato, ch'ivi habitava, dotata de molti privilegij: Concorreva in que tempi piu antichi la chiesa Ravignana con la Romana. ma sopra tutto godeva d'un cielo serenissimo, et di un'aria molto sana, & per la bontà dell'aria, fu eletta per stanza de gladiatori acciò ch'ivi confermassero le membra, & aumentassero le forze, & che ciò sia vero confermasi per il testimonio di Vitruvio, ilquale insegnando come debbano esser le Paludi sane, da l'essempio delle paludi Ravignane, d'Altino, & di Aquilegia, ma ben mi accorsi che niuna cosa è stabile sotto il cielo, vi trovai l'aria poco men che pestilente, poche ricchezze, niuno traffico di mercatura, ne molto habitata: Andai finalmente à Modona vidi la potta di Modona, ma non trovai chi veramente mi sapesse dire l'historia, ivi trovai columbi trasformati in huomini[28], & huomini vidi col capo di bù. Vidi nel contado un castello di vetro, per lo quale stretti parenti erano in aspra contentione: pensate quel che haverebbono fatto s'egli fusse stato d'oro, ò d'argento. Mentre sono in Modona mi venne rifferito, come dui soldati huomini di molte prove, dovevano combattere in Coreggio: Io veramente penava à credere, che li Italiani fussero cosi folli, che si amazzassero, & tanto più ch'io intesi esser la lor querela di niun momento: ito adunque à Coreggio, castello piu pomposo, che ricco, piu ocioso, che laborioso, trovai il steccato apparecchiato, & gli altri provedimenti, che far si sogliono: allhora determinata vennero i combattenti in camisa con le braccia ignude, col capo scoperto, con due spade piu che rasoi taglienti, & se incominciarno à ferire con tanta rabbia, & furore, che parevano dui Cingiali: come io vidi spicciar il sangue con si larga vena de corpi loro, io hebbi à venir meno di dolore, & di sdegno, & dal crudel steccato partitomi, incominciai à considerar fra me stesso la miseria, & infelicità humana: discorreva nell'animo mio, come tutti gli animali vivessero nella propria spetie tanto amichevolmente, & con tanta unione, i Lioni non far guerra à Lioni: gli orsi vivere fra loro pacificamente, i serpenti non esser mordaci contro gli altri serpenti; ne le marine bestie esser dannose, salvo che contra quelle che della medesima spetie non sono, & dall'huomo nascere sempre all'huomo, danno, rovina, & spesse fiate totale esterminio, non so pensare donde nasca tanta rabbia, et donde ne venga tanta superbia: fragili piu che il vetro, & ignudi nasciamo, & dal pianto, & dall'esser strettamente colle fascie legati, diamo principio alla miserabil & dolente nostra vita. Noi poi delli animali brutti infelici, nulla sappiamo fare, se prima non l'apprendiamo, non sappiamo favellare, non caminare, non cibarsi, sol piangere sappiamo. ambitiosi poi, avari, lussuriosi, superstitiosi. Niuno animale ha conseguito dalla natura vita piu debole et caduca dell'huomo, e poi tanto altieri siamo, tanto arroganti, et orgogliosi, che per ogni festuca, per ogni fuscello, che ci si avolga fra piedi biastemiamo, & il cielo, & il fattore del cielo, & ci azuffiamo come cani arabbiati, l'un l'altro di vita, d'honore, et di robba avidamente spogliando, ma perche comporta Cesare imperador christiano, perche sofferisce il santissimo pastore cotai duelli? non sono questi abattimenti cose da huomini, ma da fiere, non si ragiona già di duelli altrove che in Italia? Deh perche la carita christiana non s'interpone alle volte à mitigare gli animi alterati, & a pacificar l'ire de stolti? Hai quanti solfanelli, quanta esca da maligni si porge perche l'anima col corpo infelicemente si perda. Hai mostruosa Italia, vituperio del guasto mondo. Quanti n'ho veduti in Italia infami, et scelerati, che havevano ardire di voler ne steccati sostenere, che huomini da bene fossero, quanto ti fora piu utile, & honorevole di ricuperare gli antichi tuoi honori, et la vecchia tua reputatione, non debbo dirvi per cosa mostruosa di haverci ritrovato un Corso[29], ilquale in vece di uccidere, & di assassinare altrui, defendeva vedove & pupilli, distendeva bellissime prose, & concordava dolcissime rime. Finito il singolar conflitto con morte de tuttedue; Ciascuno de spettatori, se n'ando per i fatti suoi: io mi ritrassi nel mio albergo, & come piacque al Re del cielo la seguente notte fui sovragiunto da una febre, assai piu spiacevole di quello, che havrei voluto, & che sarebbe stato di bisogno à si debol complessione. Riseppero i Signori di detto luogo l'indispositione mia, & humanamente mi visitarno & liberamente mi presentarno. Chi potrebbe mai narrare le cortesie usatemi dalla S. Veronica da Gambara, dalla S. Lucretia da Este Donne rare, & di honor amiche? Chi saprebbe mai ridire la ineffabil Carità che mi mostrò la Reverenda & illustre S. Barbara da Correggio? il cui essempio fu imitato dalla S. Virginia, & dalla sorella che Angel beato mi pareva veggendola, & udendola: risanato finalmente (la Iddio merce) & ringratiati que valorosi, & cortesi Signori delle tante amorevolezze, diedimi à cercare curiosamente, se alcuna strana cosa veder potessi in quelle amene contrade, & vennemi fatto: Imperoche io vidi poco lontano un generoso Picco[30] uccello si picciolo, haver ardimento di contrastar con una fiera Aquila: & che maraviglia è poi, che è consacrato à marte Iddio della guerra? Presi poi il camino verso Reggio di Lepido, dove trovai un Lauro si bello, & si odorifero[31], che di piu non si potrebbe desiderare: l'odore delle Frondi, non che altro: ricreava mirabilmente chiunque per fiutar vi si accostava, pensate che doveva far il tronco, & qual soavità dovevano porger le Bacche: Trovai in questa giocondissima Città la famosa stirpe del famosissimo Ruggiero[32]: Vi trovai Fosse non precipitose, ne lorde, ne profonde, ma di ottimo albergo, et vi conobbi una Tortorina piena di buona gratia, & tutta amabile, & chi non haverebbe già volentieri beccato? Uscito di Reggio, mi abattei in un cavagliere di gentilesco aspetto, & de Sembianti cortesi[33], col quale accompagnatomi buona pezza di strada, di varie cose ragionammo, egli mi dimandò di mia conditione, & da qual pensiero mosso, preso mi havessi si lungo & faticoso viaggio. Io li risposi, che da mera curiosità spinto, giva cercando di veder cose strane, pregandolo m'insegnasse per cortesia s'egli sapeva dove trovar ne potessi: egli mi disse, che securamente andassi ovunque io volessi, che non mi mancherebbono delle novità, & tante che mi verrebbono à noia, lasciata poi la compagnia del cavagliere. Io, longo il Crostolo cavalcai, & quel di medesimo capitai assai per tempo ad un castello del cortesissimo S. Rodolfo Gonzaga, detto Puvino: Eravi la S. Isabella da Gazuolo piena di dolcezza, & di religione, oh che raro esempio di virtù & di nobiltà, mi parve questa divina donna: non pretermisero ambidui amatissimi consorti, cosa veruna per honorarci: Venni poi a Parma et albergai nelle case dell'Agnolo Gabriele, ilquale per divina commissione tagliava ferro per armar essercito contro Turchi[34], & un picciolo Lione destramente, & con sollicitudine l'aiutava: Trovai la razza del caval Baiardo in huomini tramutata, e vi era una Baiarda laquale innamorava ognuno, che la vedeva[35]. Vidi Cornazzani senza Corna (che si vedessero)[36] & conobbi in Parma una donna, che ricusava di dormire col marito se à guisa di meretrice prima pagata non era: mi fu raccontato che essendo questa gentil madonna in una festevol compagnia mandò fuori del petto un profondo sospiro, & essendo adimandata perche sospirasse: rispose dolersi di non haver di se stessa compiacciuto ad un forte, & nobil cavagliero, ilquale con grande instanza la richiese d'amore. Di Parma facendo dipartenza, presi il camino verso Genova, passai il Tarro ben'adirato, et poco vi mancò che Tetigio mio non vi si affogasse, egli vi lascio però le bolge, il mantello, & il Capello: È Genova capo della Liguria, & chiunque la vede, ò da presso, ò da lontano, la giudica reina del mare. Quivi mostruoso mi parve veder montagne senza legna. Mar senza pesce. Donne senza amore, & molti mercatanti senza fede: vidi huomini marini, & molti Grilli di humana forma, et alcuni scacciatori de vicini detti Paravicini[37]. Quivi sono molte cose degne di memoria; ma li molti travagli, & assidui discorsi, me le hanno fatto scordare. Dopo l'haver sentito molta consolatione del soggiornare, ch'io feci in Genova, essendo un giorno il cielo ben chiaro ne minacciando per molti giorni tempesta; mi fu mostrata la Corsica già detta Cirne. Incontanente mi venne disio di vederla, & salito il giorno seguente sopra d'un Bregantino ben'armato in Corsica mi condussi. È l'isola aspra molto, si come ancho sono li habitatori, & assai montuosa. Sono li huomini vendicativi fuor di misura, & per cosa certa mi fu detto essersi ritrovato Corso ilquale haveva fatto vendetta di cosa avenuta già quatro cento anni, & che in qualunque luogo ritrovano femine Corse menar vita impudica, senza alcuna remissione le amazzano. Produce questa Isola Cani ferocissimi, vini ottimi, & huomini bellicosi. Veggendo facilissimo pasaggio di Corsica in Sardegna non volli far ritorno, che ancho questa famosa Isola non visitassi; ma far non vi potei troppo longa dimora per l'aria, che vi è pestilente molto: non vi stemmo guari, che à tutti stremamente duolse il capo, si che levar non potevamo gli occhi al cielo; oh che aria crudele, & micidiale è questa. Se Platone ilquale per domar la ferocità della carne, cercò luogo infermo, & malsano, dove collocasse l'Academia sua havesse havuto notitia de l'aria Sardesca, non sarebbe giamai ito altrove, & se qua venuti fussero ad habitare Ephodoro Re delli Archadi, Egimio, Epimenide, Pistoreo, & Cinira Re de Cipri, non havrebbono si longamente vissuti, come già con nostra gran maraviglia vissero: Quivi sono moltissime herbe velenose, quivi gustammo il mele amaro. Quivi conoscemo quella herba la quale fa morire ridendo, onde ne nacque il proverbio. Riso Sardesco. Ritornati à Genova con consiglio di penetrar alle piu interne parti di Lombardia, giunti che fummo à Serravalle ci convenne (nostro mal grado) fermare il passo, essendovi adunati dui esserciti, l'uno per il Re di Francia ilquale si sforzava di passar in Piemonte, & l'altro era di Cesare per vietarli il passo. Quel di Francia era tutto composto de Italiani, & parevano nel vederli i Mirmidoni di Achille: l'altro era misto de Spagnoli, Albanesi, Italiani & era guida della Cavalleria un Principe fiamengo huomo di alto valore: vennero alle mani, ne molto vi stettero, che gli occhi miei videro quel che mai m'havrei creduto di vedere: lasciaronsi bruttamente rumpere li Italiani et davansi à gara in preda alli nemici, correvano i banderali à presentare le bandiere come se troppo le agravassero ò le cuocessero le mani. Furono veduti molti nasconderle nelle Fosse & nelle Frate. Finita la zuffa raccolsero l'imperiali forsi sei mila prigioni & ottanta insegna parandoseli davanti come se stati fussero tanti montoni & facendoli caminar piu che di trotto furono condotti non senza profitto del vincitore nella citta di Milano, non avenne però questa confitta (per quanto li nimici istessi mi dissero) per diffetto di chi li guidava, ma per mancamento della militare disciplina la quale hoggidi nelli Italiani sopra ogni altra cosa si ricerca, & si desidera: Io non dubito pero che se l'astuto, & gentil conte della Mirandola congiunto si fusse con l'ardito Strozza, & con il valoroso duca di somma adoperandovisi il maturo consiglio del nobilissimo conte di Pitigliano: & del prudente Emilio Cavriana che li imperiali di tal vittoria lieti non sarebbono, ma piu tosto dolenti & lagrimosi: io hebbi veramente à dar allhora del capo nel muro, quando io vidi tanta viltà d'animo, tanto disordine & si poca isperienza del guerreggiare, et à Tetigio rivolto ilquale ne stava con gran dispiacere & per vergogna & timore che di lui non prendessi giambo, teneva il viso basso, son questi dico quelli Italiani li quali sotto la scorta di Giulio Cesare in piu fatti d'arme fecero uccisione di undici volte cento & nonantadue mila huomini, & à Pirati tolsero virilmente combattendo ottocento quarantasei navi? sono questi quelli Italiani, che furono cagione di far triumphare Pompeio di Mitridate, di Tigrane, di Asia, di Ponto, di Armenia, di Paphlagonia, di Capadocia, di Cilitia, di Siria, di Scithia, di Giudea & di Creta? sono questi quelli Italiani che soggiogarno l'Affrica, la Francia, la Spagna, la Brittannia, domarno i Cimbri, batterno Attila ne campi di Tolosa accompagnato da quatro Re cioe dal Re delli Eruli, delli Alani, delli Gepidi, & de Turcilinghi: son questi quelli Italiani liquali, in un fatto d'arme, uccisero ducento mila Francesi? sono finalmente quelli che di tutto'l mondo s'impatronirno? Hai quanto (per quel ch'io vego) degenerati sono. Hai quanto dissimili mi paiono dalli antichi padri loro, liquali & singolar virtu di cuore, & disciplina militare ugualmente mostrarno havere & di questo non favello piu oltre, ma seguito il mio viaggio alla volta di Piacenza, voleva girmene per il piano, ma detto mi venne che se ito fussi per le montagne che non molto lontano di Piacenza havrei veduto tante belle minere, che in tutto'l resto d'Italia non vi sono le piu belle, ne forse in tanta copia, vi trovammo christallo assai piu lucido et vago di quello che in india o in cipri nasce, & di maggior grandezza di quello, che dedico L. Augusta: gran travaglio per certo sentimmo nel cavalcar que monti, & piu di una fiata dell'impresa mi trovai pentito, giunsi una sera non però molto tardi in un grosso villaggio et volendo passar piu oltre, per dubbio di non albergar male, mi si parò davanti il Signor di detto luogo con un saio di veluto spelato piu che non è la mula del vescovo di Sarezana, con barba bigia, con dui occhi da imbriaco & pieno di maniere contadinesche, il quale, ne sforzò di alloggiar con esso lui, noi credevamo di star molto agiatamente per esser egli il signore: hor per la prima ci menò in una casa dove malvolentieri vi sarebbono state le bisce & le ranocchie: venuta l'hora di cenare, ci dette un pane negro, amuffito & che putiva del agro, un vino che pareva vi fusse mescolato succo di cipolla: un'insalata amara piu che la coloquintida, con olio che putiva fieramente di lana, dopo l'insalata ci puose avanti un pezo di carne di pecora vecchia (vecchia dico) piu che la vecchiaia: io ci hebbi à lasciar dui migliori denti che io m'habbia in bocca: veggendo il civil hospite che non mangiavamo piu carne, comandò al suo garzone che facesse cuocere dell'uova & arrecasse del cacio, furono l'uova di tal forte, ch'io ho ferma opinione che dentro vi fussero i pulcini, il cacio era duro et fuor di modo salato, rasimigliavasi al sardesco, ma quel che mi confortò à fatto si fu l'haver una tovaglia piu unta che il calderone d'alto pascio, piu negra che un carbon spento, piu ruvida che una stamegna nuova: venuta l'hora del dormire, venne il garzone con una lucerna in mano & n'invita con gentil modo ad andar à dormire: Fui sforzato allhora di ridere anchora che io fussi pieno di sdegno, considerando i belli inchini & gratiosi gesti di detto garzone il quale era zoppo et gobbo, haveva un palmo di naso, ornato di due guidereschi, gli occhi li colavano del continuo, la bocca era storta et sempre bavosa. Fu il letto proportionato all'altre cose, posamo sopra d'un saccone pieno de frondi d'albero con un sol lenzuolo atto à grattar la rogna & aspro come un cilitio, con una schiavinaccia da Galeotto: credo che qualche sforzato fugito di galea ve la portasse, mai si chiuse occhio quella notte & sallo Iddio se n'haveva bisogno il letto di Phormione & quel di Ulisse presso di Omero, non furono mai si privi di morbidezza: ma niuna cosa piu mi premeva che il vedere che i nostri cavalli non havessero altro da mangiare che un poco di strame si grosso che à gran fatica con una manara si sarebbe tagliato. Venuta la mattina ben per tempo ci levammo & ringratiato il gentil hospite l'incominciato camino seguitammo, veggendo i cavalli sfianchiti & talmente lassi, che à gran fatica mutavano il passo, trovata un'hosteria lontano forse otto miglia quivi mi fermai per ristorar i passati danni: era l'hoste ben fornito di qualunque cosa all'humano vivere opportuna, ristoraronsi ancho i cavalli ampiamente. Il di seguente gionsi in Piacenza: fui per schivare Cremona essendomi detto ch'altro non vi udirei che biastemar Dio, maledir la celeste corte, giurare & spergiurare & mille brighe finalmente al giorno farsi: ma l'honorata fama de Signori stanga & de Signori Trecchi lor cari parenti, mi ci fece andare & per molti giorni con gran solazo dimorare. Entrai in Piacenza, a prima giunta si fattamente mi dispiacque, che io credetti per antifrasi esser detta Piacenza perche la non piacesse: non stetti però guari ch'io mi avidi che l'era veramente degna d'esser bramata per ducal stanza esser dotata di qualunque cosa che desiderar si debba in ogni buona citta. Hai quante cose vi videro gli occhi miei strane, & fuori di ogni natural ordine. Fummi mostrato per cosa mostruosa una madre mortal nemica de figliuoli, & fummi mostrato un'huomo di statura picciolo anzi che no, & delle gambe, & delle mani ugualmente impotente, ilquale senza abbassar lancia, senza impugnar spada, senza sfoderar pugnale, ò scroccar archibuso s'era novellamente fatto Signore di questa Città. Era costui Gonfaloniero[38], & cosi storpiato se haveva sottoposti non so quanti Gonfalonieri, tra quali uno ve n'era Capitano di non picciolo valore, della cui opera servito s'era, & l'imperadore, et il Re de Franchi. Ha questo paese gran copia de Baroni illustri & tutti li fa quest'homiciuolo star al segno, & li fa ballar sopra d'un piede, & per farli savi gli ha incominciato à darli del Sale, ilche non erano usi à ricevere, & perche li giovava di star nella lor sciocchezza arabbiano, & non vorrebbono ne Sale, ne Salina[39]. Mi parve mostruosa cosa il veder in questa città due cognate si di animo concordevoli, che niente piu concordante trovar si puo. Sono in questa città, huomini c'hanno la bocca di Barile, altri che hanno la coscia d'oca, vi sono Malvicini, vi sono de Pelavicini, Sforzeschi[40], ò sforzatori, che li vogliamo dire. Vidi alcuni huomini col capo pelati[41], io credetti fussero di que popoli da Omero detti Miconij, liquali naturalmente sono tutti calvi: Vidi huomini, che havevano quattro occhi: Parvemi questa natione armigera molto, & che il cielo à ciò assai l'inchini, poi che non solamente gli huomini di portar arme si dilettano, ma anco gli animali: Vidi Asinelli, Papaveri, Papaverelli, Formighini, & Volpini[42] cingersi spada al fianco: & disfidar Marte à singolar battaglia. Qui trovai tanti Scocesi, che tanti non ne ha tutta la Scotia: & poco lontano da Piacenza habitare i Sarmati popoli ferocissimi.[43] Quivi fontane sono senza acqua. Quivi sono huomini di Bracciaforti piu che altrove. Quivi sono publichi barattieri, & non si castigano, anzi in istima sono. Quivi habitano huomini, che per la bocca gittano fuoco. Fu l'albergo mio mentre stetti in Piacenza nelle case della S. Isabella Sforza donna di tal qualità ornata, che ad esser Reina solo il reame le manca: tutte l'altre conditioni vi sono si abondantemente, che se ne potrebbono ornar dieci Reine. Lascio finalmente Piacenza & prendo il camino per Milano: Credeva io di vederlo in quella maniera edificato, che già co suoi dotti versi lo descrisse Ausonio Gallo: cio è circondato di tre mura, e questa città molto grande, posta in un ricco piano, la cui grassezza, & bassezza istimo sia potissima cagione, che vi si ritrovino tanti gottosi, & si malamente vi s'invecchi. Armava per altri tempi cento mila cavaglieri, & chiamavasi La seconda Roma, chi hora lo vedesse havendolo prima veduto, direbbe, quello per certo non è Milano, egli non è d'esso, non vi è stata Città in Europa già molti anni sono, tanto flagellata, & si duramente percossa, & meritamente tuttavia è estenuata, essendovi longamente state le usure publiche. Quivi s'è ritrovato donna à guisa di Lupa affamata divorare i fanciulli, un Fratello giacersi carnalmente con tre sorelle, & tre fratelli godere una sorella; il figlio la madre, il Cio la nipote, il Cognato la cognata. Quivi si sono ritrovati huomini si crudeli, che da niuna ingiuria mossi, sol per esser l'un guelfo, & l'altro ghibellino, vivi gli hanno arrostiti, & mangiatoli del fegato, e dentro'l corpo posto del fieno, et del orzo, & adoperato i corpi humani per mangiatoia de cavalli. Quivi sonosi trovati huomini, che hanno amazati nella propria chiesa i religiosi mentre cantavano li divini ufficij, & Iddio lodavano, ne una sola volta questo è accaduto: s'è trovato uno, di furore tanto accecato, che non si vergognava di dir impudentemente ch'egli volessi far un lago del sangue ghibellino. Non si sono vergognati in questa citta huomini per nobiltà di sangue riguardevoli molto di starsi al bosco, & assassinare indiferentemente chiunque li capitava alle mani: mi fu detto per cosa certa, che ritrovandosi un gentilhuomo alquanto sospetto per haver seguito le bandiere Francese, esser ricorso a l'aiuto di un Cavagliere qual pareva fusse in buona gratia del nuovo Principe sforcesco, egli li promise la sua iniqua fede che lo salvarebbe dall'ira, e dalla rabbia de suoi nimici, poi segretamente commise a chi lo doveva condurre che lo ammazzassero, ne hebbe rossore di chiedere la parte sua delle spoglie in premio della usata lealtà: & quai cose piu di queste mostruose ne vedere, ne udire si possono? non è bugia ciò che vi ho raccontato il fratello carnale del perfido, & traditore, me l'ha raccontato. S'è ritrovato una Femina detta Fiorina la quale di quatro mesi ci ha dato parto perfetto & maturo. Quivi sono huomini, che cacano strazzi.[44] Qui si veggono huomini del continuo Tosi, Crespi, Calvi, Selvatici convertiti in Draghi, Capre, Cavalli, & Corvi. Quivi sono Taverne, che danno splendidamente mangiar, e bere senza danari, o pegni.[45] Quivi è la schiatta di Caino col spirito però di Abel. Sono in Milano parimenti non solo huomini, & donne sante, ma ancho ci sono delle Pietre sante: & ecci una setta da una gran Femina retta, la qual si sforza di ridur i suoi seguaci alla battismale purità, & innocentia, & del tutto mortificarli, & per quanto m'è stato rifferito da persone degne di fede, per far prova della mortificatione fa coricare in un medesimo letto, un giovane di prima barba, & una giovane, & tra di loro vi pone il crocifisso, certo per mio consiglio meglio farebbe ella, se vi ponesse un gran fascio di spine ò di ortiche. E' in Milano una sorte de Medici,[46] che non sa medicare salvo che col fuoco, & col pugnale, anchora che per il resto d'Italia habbia conosciuto de molti signori titolati, non ho pero trovato Conti si belli, & si gioiosi come in Milano.[47] Hor mentre contemplo diligentemente questa città mi stupisco come si facilmente doventi preda di chi la vuole, essendovi oltre il castello principale, che si giudica da dotti architetti inespugnabile, molti altri castelli, castelletti, & castellacci.[48] Non mi voglio scordare d'haver veduto in Milano un frate Eremitano del monastero di S. Marco, ilquale haveva insegnato predicare ad un storno, io l'udi piu di una fiata, et hebbi à smascellare delle risa, veggendo il sforzo ch'egli faceva per dir ò Milano peccadore, un'altro frate dell'incoronata à concorrentia sua haveva di modo operato, che una Pica (ò Gaza, che la vogliamo chiamare) lo aiutava a dire l'ufficio. Debbo tacere d'haver anche veduto un corvo il quale vide la madonna far una torta, & merendar con una sua comadre et venuto il padrone, il semplice Corvo incomincio a dir, Madonna ha fatto torta, madonna ha fatto torta: il padrone chiede la donna dove sia la torta, la donna con viso turbato, & piena di mal talento li risponde che non vi è torta alcuna, & che di lui si maraviglia come piu tosto voglia credere ad un'animalaccio, che à lei, acquetasi il buon marito, et fatto ciò che haveva da fare, tornossi fuori, La donna iraconda (si come sogliono esser quasi tutte) appena fu il marito scostatosi un tratto di pietra, ch'ella se n'andò alla gabbia, & spelò il capo al loquace corvo: non istette molto, che venne un frate à chieder del pane, & cavandosi il capuccio, & essendo nuovamente raso, credette il Corbo li fusse stato pelato il capo per haver parlato di torta, & à lui rivolto, molte fiate repplicò, tu hai parlato di torta, tu hai parlato di torta, & pareva si rallegrasse, che il buon frate fusse caduto nella medesima sciagura, ch'egli cadde. Non debbo dir un altro caso pur in Milano ne miei giorni avenuto, non cosi faceto, ma pieno di stupore. Eravi un prete il quale havevasi per suo trastullo nodrito un Fanello, adduttoli dalla Marca dove sono i migliori, che si ritrovino, & stando un giorno tutto spaventato col becco fra le piume, sopragiunse il prete, et si li disse, che fai bestia? alzò allhora il capo il Fanello, & disse quel versetto di David pieno di mistero. COGITO DIES ANTIQUOS ET ANNOS AETERNOS IN MENTE HABEO. Mentre giva per la città considerando le cose mostruose: entrai à caso nell'hospedale de pazzi consagrato à S. Vincenti, & mi maravigliai ch'egli non fusse molto piu capace essendovi tanta copia de pazzi. Regeva la città uno, che dava l'osso à gli altri, & per se teneva la carne.[49] Non mi mancò in Milano chi mi si mostrasse cortese, & affabile: molti honorati cavaglieri conobbi, & molte valorose donne, tra quali di molto notabil essempio mi parve la S. Contessa Catherina visconte Landesa. Oh quanta virtu, oh quanta bontà hò ritrovato in essa. Da un fianco d'huomo vidi uscir un fanciullo, si come avenne anchora à Budda prencipe di Gimnosophisti. Da Milano, andai à vedere i monti di Brianza: Era già Brianza per quanto ritrovo scritto nelli annali di Chrisermo scrittore antichissimo, città guernita di buone mura, & di profonde fosse, edificata da Spartani, & Vrianza detta da questo verbo Vrio, che vuol dir in lingua greca scatorisco: imperoche di ogni bene alla vita humana utile, vi sorge, et scatorisce abondevolmente. Era piena d'huomini bellicosi, & guerreggiava sovente con la Republica di Milano, piu tosto vincitrice, che vinta rimanendo. Hor mentre vado visitando hor questa terra, hor quell'altra considerando l'instabilità delle cose humane, & la voracità del tempo, ilquale riduce il tutto à nulla, giunsi à Perego luogo eminente, & ameno, stracco, & assetato, & non potendo tollerar la sete, n'andammo al pozzo[50] per bere: Miracolosa cosa, & per alcun secolo non mai udita: credendo noi ber dell'acqua, detteci sorsi di dieci sorti di vino, & che vino? Certo, che il Surrentino, il Gavriano, il Faustiano, il Signino, il Massico, et il Cecubo, sarebbono reputati vini da lavar tigna, in comparatione de questi, certa cosa è che se Cesare dittatore nella cena ch'egli fece nel primo triumpho, & nel triumpho di Spagna, & nel suo terzo consolato: quando mostro la ineffabil liberalità dando si largamente à convitanti, Falerno, Chio, Lesbio, & Mamertino, s'egli havesse havuto dico de cotesti vini, che il cortese Pozzo ne dette, non si sarebbe punto curato di questi altri, tanto da bevitori istimati, non si vidde tal miracolo ne pozzi di Giacob, ne ancho nella pietra da Mose nel deserto percossa. Da monti Brianceschi passai à Como, dove era un valent'huomo, ilqual scrivendo le storie, amazzava i vivi, & dava vita à morti: trovai Cicalini & Cicaline, che d'altro si pascevano, che di rugiada, ne sopra gli alberi cantando stavano come fanno le nostre Cicale. Conobbi alcuni trasformati in Pobbie, & in Peri[51], non paia adunque maraviglia ò bugia si reputi, se Dafne in Lauro, ò Narciso in Fior leggiamo rivolti. Quivi, & non in altra parte ho veduto visi d'huomini, & chi nelle risse sia di menar pace studioso[52], qui mostruoso parve il vedere una matregna amar il figliastro, non di lascivo amore, ma di savio, & honesto. Sono li huomini comaschi generalmente cortesi, et affabili, & le donne piene di bonta & honesta, quantunque non sia mancato un Scimonito scrittore, ilquale scrivendo de varij costumi Italiani tassato habbi le donne comasche d'impudicitia, benche detto habbi esser stato error d'intelletto, & non di volontà. Da Como n'andai in Val Caspia, ove trovai due sorelle cugine de le quali l'una haveva partorito un Serpente, et l'altra un'animale non dissimile all'Elephanto, vi era anchora infinita copia de Ermaphroditi gia detti Androgini: mi furono mostrati dui huomini li quali havevano generato figliuoli l'uno di ottanta nove anni, di tre anni avanzando Massinissa, & l'altro di ottanta, il che si legge anchora di Catone. Quivi le rane sono mute come anche in Seripho, & mute anchora sono le Cicale: i Galli parimenti come in Niba città posta in Tessalonica di Macedonia non mandano fuori la voce. Io vi ritrovai huomini di smisurata fortezza, & di lor vidi notabilissime prove, forse maggiori di quelle che si raccontano di L. Sicinio Dentato, Di M. Sergio vincitore non sol delli huomini: ma della Fortuna, di Trittano, di Iunio valente, et di Rusticello detto per sopranome Hercole. È nella detta valle una terra detta Libissa da Greci edificata, nella quale sia pur il cielo quanto si vuole nubiloso sempre da qualche hora si vede il Sole, ilquale è ancho privilegio à Rhodi, & Siracosa (sel vero narra M. Tulio nelle sue verrine) conceduto. Quivi mi dissero i paesani non esser mai cascato dal ciel saetta, nellaqual cosa non ha da invidiar ne la Scithia, ne l'Egitto. Due volte l'anno vi si fa la vendemia, ne mai vi si lascia riposar il terreno. Erano già in questa valle infinite castella, ma per quanto appare nelli lor annali furono destrutti altri da Sorci, altri dalle rane, & dalle Talpe insieme congiurati, ne furono anchora dissipati dalli Conigli, & dalle locuste. Non hanno gli huomini di questo paese (per quanto mi racontò maestro Grillo phisico senza paragone) non hanno dico medolla nell'ossa, et in segno di ciò non patono sete, ne dal corpo lor esce sudore. Molti si ritrovano, che mai non furono veduti ridere, & molti similmente, che mai non piansero, hò veduto una vacca, che haveva partorito à un parto sei vitelli, si come anchora avenne al tempo di Tolomeo (il piu giovane). Veggonsi nella detta Valle ucelli di varie forme, non usi à vedersi in altri luoghi: presemi già gran maraviglia di vedere Merli di candido colore, havendo letto presso de scrittori antichi non trovarsene, salvo che circa Cillene di Arcadia. Io ci ho anche veduto uccelli del tutto simili alle Meleagride di Beotia, solo in questo differenti, che nel mangiar non vi si sente quel maligno sapore, che in quelle sentiamo, le Grue, & le cicogne vi fanno perpetua stanza, ne se ne partono furtivamente, si come fanno nelle altre contrade, à tal che niuno mai si accorge se elle vengono, o se elle se ne vanno ma sol che venute, ò che ite se ne sono, vi è gran copia de tordi, coturnici, rondini, palumbe, & tortore. Da questa valle trapassai à Lugano, et à Locarno, ove quel di medesimo una gatta partori un topo, & furon veduti volar per l'aria molti travi affogati: apparvero tre lune il di seguente: ilche mi fecero sbigottire, et temere che qualche sinistro accidente non sopravenisse: partitomi adunque venni alle tre pievi, dellequali era novamente ritornato S. il Marchese di Meregnano huomo nell'arte militare esperto, & vigilante, pieno di ardire, & di consiglio. Vidi Chiavenna, & Piuri, & chil crederebbe, che fra questi sassi io havessi trovato infinita humanità, et piacevolezza, da quelli spetialmente, che hanno il nome dal pestar l'ossa: n'andammo poi per certe balze, che non vi sarebbono ite le capre scalze, et arrivai ad una terra detta Micronia, nella quale trovai vecchi di cento otto anni, di nonantaotto molti: alcuni altri di cent'anni: mi parve certamente di vedere un Gorgia Siciliano, un Marco perpenna, un Valerio Corvino, & un Metello pontefice, ne men vivaci vi sono le femine, poscia che ne trovai di nonantasette anni, di nonantanove, di centosette, di cento quindici; infinite di cento anni, & l'hostessa nostra era di cento quattro, ne li mancava pur un dente, non era per catarro ad alcuno molesta, vedeva acutissimamente, andava senza sostegno, & caminava piu ratto, che le giovani non fanno; reggendo la famiglia, che picciola non era, con grande auttorità. Veramente, che veggendo queste vecchie mi ramentai di Livia, di Statilia, di Terentia, di Clodia, et di Luceia mima: non si vive d'altro, che di casio fresco, orzo, cicoria, borragine, & frutti: hanno l'aria serenissima: vicino à questo luogo evvi un gran Villaggio, dove sono le femine tanto lussuriose, che correno dietro alli huomini con la camisa in spalla: et se per aventura passa per il lor paese huomo alcuno che mostri esser di buon nerbo, è sforzato far qualche prova sono piene di Gelosia: amazzansi fra loro, come cagne arabbiate, & ve ne sono state, che per gelosia hanno amazzato i mariti: sono sanguinolente, vindicative, et animose: si dilettano d'incanti, non per altra causa che per farsi amare, sono de visi belle, hanno petti piu belli delle Romane: visi piu dilicati delle Modonese, di schena non sono inferiori delle Tedesche, di bellezza di fianchi, non cedeno alle Fiamenghe, di bella mano, non si lasciano vincere dalle Senese, fanno li inchini come se francese fussero, & non men di loro fanno trattenere, chi li visita, & vezeggia, di politezza superano le Vinitiane, di creanza avanzano le Napolitane di sufficientia nel maneggiare le cose domestiche, non darebbono luogo alle Bresciane, usano di far certe statove di cera con magiche osservationi per rivocare gli amanti disviati dal loro amore, & non potendoli rivocare li amazzano o con ferro, o con veleno, ha questo luogo huomini piu pazzi di Corebo, figliuolo di Migdone, ilquale (se il vero narrano Luciano et Eustachio) si sforzava annoverare l'onde del mare. Sonosi trovate donne di tanto animo, che à mezza notte senza compagnia sono ite alle forche, et tratto hanno il groppo della lingua allo impiccato per farsi amare. Fannosi temere dai mariti, portano arme, & è obligato il marito come piu tosto egli ha menato la sposa à casa, provedersi di coadiutore, ilche non facendo, la donna lo po rifiutare. Parvemi in questo luogo veder risuscitare Proculina, Lectoria, Aufilena, telesina, Hippia, Helena, Clitennestra, Agripina, Livia, Messalina, & quante libidinose donne hebbe mai il mondo. Da questa diabolica terra partiti in spatio di due giorni venemmo nella Val Telina, altri chiamano questi popoli Vultureni, & altri vogliono sieno Rheti: ho ancho letto che sieno delle reliquie dell'esercito di Pompeio: et nel vero vi sono huomini bravi, di buona fede, cortesi, & amici de forestieri. Hor qui bevei vino dolcissimo, & insieme piccante, ilquale non nuotando nel stomaco, secondo la proprieta de vini dolci, ma cercando tutti i meati del corpo, miracolosamente conforta chiunque ne beve. Quivi sono vini stomatici, odoriferi, claretti, tondi, raspanti, & mordenti. Essendo in Tilio al presente detto Teio, d'onde ne hebbe già il nome la valle, e ritrovandomi nelle case del cortesissimo, et humanissimo S. Azzo di besta, bevei di un vino detto il vino delle sgonfiate, credo fermamente ch'egli sia il miglior, che al mondo si beva. S'è piu fiate veduto tal isperienza, esser l'infermo abbandonato da medici, & per morto da cari parenti pianto, et solo col vino delle sgonfiate essersi risanato, & preso tal vigore, che pareva si fussero raddoppiate loro le forze: per cotal vino credo havesse ardire Asclepiade di dir che il vino fusse di potentia uguale à Iddio, & cosi quando Esiodo commanda, che per venti giorni avanti il nascimento della Canicola, & per venti dopo si beva liberalmente: senza mescolarvi gocciola d'acqua: vuole un Fidele interprete che si toglia del vino delle sgonfiate, ne il Re Mezentio per havere del vino dato havrebbe à suoi amici si pronto soccorso, se creduto havesse, che dato li fusse altro vino, non si gustano in questo felice paese, salvo che vini sani, & di tutta perfettione; non vi trovai vino, che induchi rabbia alli huomini, si come in Archadia, non vino, che faccia abortire le femine si come in Achaia, ispetialmente circa Carinia, non trovai vino che induchi sterilità si come in Trezenio: non vino, che ti privi del sonno, si come trovasi presso li popoli Thasii: non si cambiano, non si corrumpeno nel nascere della nocevole canicola: non acade mitigare l'asprezza loro col gesso, come far si suole in Affrica, ne accade eccitarli con l'argilla, ò col marmore, ò con il Sale come fa la Grecia: ne solamente vi sono i vini perfettissimi, ma le canove anchora dove li ripongono, sono fatte con le debite conditioni, rimote da ogni cosa fetente, & da luoghi dove sieno piantati alberi de fichi, con le fenestre volte verso Aquilone, & con i vasi l'uno dall'altro con debita proportione distanti. Trovansi vini di quaranta, di sessanta, et di ottant'anni. Ho spesse fiate veduto spezzar le botti, & rimaner il vino avilupato in grossissima gomma dalla quale forata con un trivellino, se ne fa uscir il vino, io ho preso di detta gomma, e fattala seccare & ogni, & qualunque volta mi abbatteva à vino che non mi aggradasse, raschiava con un coltello detta gomma nell'acqua, et facevasi un vino grato al stomaco, utile à nervi, & giocondo al palato: provai in questa valle la gratiosa hospitalità delli unitissimi fratelli Crotti, di Ponto, &, isperimentai l'humanità del sottilissimo giurisconsulto il S. Nicolo Quadro, del S. Giovanmaria guicciardo, & del S. Marco antonio inquisitor dell'heretica pravità. Che dirò dell'ineffabil cortesia ch'io trovai nel cavagliere di Tirano, & nel amato suo genero da Bormo? dui lumi, anzi due chiare lampadi di quella felicissima valle: ma prima di questi, isperimentai l'humanità grande, di M. Paulo Malacria, di M. Nicolo Marliano, & dell'astuto & sagace Frigero. Partiti di val Telina presi il viaggio verso la valle Camonica, laquale hebbe il nome dalla copia delle camozze: ho quanti gozzuti, quanti storditi, intronati, & del senso comune al tutto mancanti vi ritrovai. Hor mentre qui fui, questo fortuoso caso avenne: Eravi un ricco huomo il quale haveva uno ismisurato gozzo, et tanta noia li dava ch'egli per levarselo haverebbe volentieri pagato la metà de suoi beni, hora un suo aversario col quale piativa alla civile, veggendosi perder la lite, condotto da istrema disperatione deliberò amazzarlo (che che se ne gli dovesse avenire) et inguatatosi nele costui case, delequali era molto prattico, andossene chetamente al letto, & dattogli al buio del pugnale nella gola, ratto se ne fuggio, credendo d'haverlo morto, la piaga fu di tal sorte, ch'ella liberò il buon huomo da quel difforme, & soverchio peso, senza fargli sentir veruno danno. In quello medemo tempo, una vacca partori un'agnello, la qual cosa puose il Bifolco di cui era la vacca, in grande agonia, havendo fatto piu d'uno disegno sopra dell'aspettato vitello. Io che mi ricordai d'haver letto in Egesippo, che avanti la destruttione di Gierusalemme simil parto già si generasse temendo dell'ira celeste, che non si sfogasse mentre ero nella Valle, affrettai la partenza, et me ne venni à Brescia capo & metropoli de Cenomani. Hor nel viaggio incontrai una volpe con due code, & un cane con dui capi: ma diciamo di Brescia, che non vi viddi io di maraviglioso? Vidi andar i Cavriuoli, & le Cavriuole per la Città, per i Boschi, & per larghe campagne[53] senza temere ne cani, ne lupi, ne alcuno ingordo, et rapace cacciatore. Tra molti Cavriuoli uno ve n'era giovanetto, grasso, di pel rosso, tutto piacevole, & ottimo musico. Vennemi ancho veduto per la città passeggiando una gentile, & gratiosa Cavriola incoronata di camamilla[54]. Vidi molti Gambari di vario colore, negri, bianchi, & bigi, & vidi una altiera, & ricca Gamberessa[55], che haveva di molte uova, et diligentemente le custodiva, & per ogni via cercava moltiplicarle: non caminavano cotesti Gambari all'indrieto, & piu volentieri stavano all'asciuto, che al molle. Ho veduto in Brescia le stelle à mezo giorno[56], non meno chiare di quelle, che la notte appaiono. Vidi una picciola Liona miracolosamente danzare, & con l'ago mirabilmente lavorare, bella, & affabile: non vi era chi la vedesse, che incontanente non se ne innamorasse. Beato quel Lione, à cui tocchera di abracciare si vaga Lionella. Hor se in Piacenza trovai i mal vicini, quivi trovai i buon vicini, ma che si dirà delle Rose, che tutto l'anno fiorite si veggono?[57] vadansi a nascondere que scrittori, che celebrarno tanto le Melitensi, et le Milanese, Queste Bresciane sono piu belle, & piu odorifere. Fu il mio albergo col capitano della città. Il S. M. Antonio da Mula, oh che virtuosa anima, che perfetto giudicio, & che sagace intelletto: egli mi fu uno essempio di virtù: ne poteva non virtuosamente operare contemplando le sue honorate attioni: Una sola cosa in lui vidi, che mi dispiaceva, et facevami molesta si honorata stanza: egli amava molto un Porcello[58], ne piu longi dilui vedeva, lo vagheggiava, & lo teneva alla sua mensa, era in quel medesimo tempo Podestà della città il S. Gioanni Lipomani fratello del vescovo di Verona, ilquale con la sua buona gratia, & con la singolar humanità faceva falso parere il proprio cognome[59]. Si come in Napoli Genaro vi fa perpetua stanza, cosi Maggio fa perpetua stanza in Brescia[60]. Vidi palazzi, & sale mobili, & discorrenti hor qua, hor la. Ricordammi mentre pensava al partir di Brescia, dove stetti piu di quatro mesi acarezzato da molti, ispetialmente dal S. Dionigi Maggio, dal S. Annibale Martinengo, & dal S. Pompilio Luzago cavaglier senza rimprocchio: ma forse piu dal S. Lodovico Barbisono: ricordammi dico, di non haver veduto ne Bergamo, ne Crema, per tanto io vi andai incontanente, ne mi mancò la compagnia del gentilissimo S. Dionigi da castello. Vidi in Bergamo Tassi vigilantissimi[61]. Zanchi, che adoperar sol sapevano la mano dritta: & qui vidi huomini allegri, tra quali uno Alessandro ci conobbi, dal cui candido petto uscivano rime piene di dolcezza. Vidi in Crema huomini in lupi convertiti, non sia adunque per l'avenir chi mi dica esser ciò cosa favolosa, oltre che vi è il testimonio di Evante scrittore presso de Greci non sprezzato, & di Demarco Parrasio, ilquale in un sagrificio fatto à Giove Liceo si voltò in Lupo. Fu ancho Licaone da Giove in lupo convertito. Quivi si trasformò per divino miracolo un bel Cespo di Artemisia[62], in una bella, & leggiadra Fanciulla, & ne ritenne il nome. In Crema habitano i S. Agnoli, inditio chiaro, & illustre della felicità cremasca. Hor intendendo, che in Trento il giorno di S. Lucia celebrar si doveva il tanto desiderato Consilio pel cui mezo si sperava dovesse riunirsi il diviso christianesimo, & riformar la vita de mali chierici, & non sol de chierici, ma de principi christiani usurpatori delli altrui beni. Vengomi il primo giorno à Salò da Tesalonicensi edificato. Quivi fui gratiosamente ricevuto da M. Cecilio conforto giovane di gran speranza, poi à Boiago me n'andai, qual edificarno i popoli Boi, ivi m'imbarcai, & felicemente navigando giunsi à Riva di Trento, cosi detta, non perche stia alla riva del lago, ma perche vi fu fatto già un Rio di sangue in un gran fatto d'arme. Era allhora di questa terra governatore il conte SIGISMONDO d'Arco huomo per le sue rare, & divine qualità degno di esser Re del piu florido & possente Regno, che trovar si possa. Deh perche non acconsente il cielo ch'io vegga tanta bontà essaltata al par de meriti suoi? perche non mi concede Iddio, si come caldamente ne lo prego, di poterlo veder il piu felice, & consolato cavagliere c'hoggidi terra calchi, ò il sol riscaldi? egli non scordatosi della sua naturale, & solita cortesia, ne ricevette ad albergo nella rocca, ne per honorarci pretermise cosa veruna, aiutava la sua magnanima voglia l'amorevole natura del Carrettone, del Grotta, del Bruvino, e del Barone, & del phisico de Grandi, L'antevigilia di S. Lucia giunsi in Trento, & all'albergo delle due spade smontai. Evvi un'hoste di buon'aria, affabile, & acconciamente discreto, & s'egli non temesse la moglie, sarebbe miglior compagno ch'egli non è. Il di seguente con alcuni altri gentilhuomini, n'andammo à far la riverentia al principe Madruccio, ilquale buona pezza con dolcissimi ragionamenti, con larghissime offerte, & con manierose accoglienze, ci tratenne; La onde tutti in questa opinione cademo, ch'egli fusse degno d'un Papato, ò d'un imperio. La mattina di S. Lucia ci appresentamo al tempio di S. Vigilio, Udemo l'oratione di Monsignore Cornelio vescovo di Betonto, piena di sottil artificio, sparsa de Retorici colori, come se tempestata fusse da tanti rubini, & diamanti: egli vi haveva consumato dentro tutti i pretiosi unguenti di Aristotile, di Isocrate, di M. Tullio, & tutti i savi precetti di Armogene: Che maraviglia è adunque s'egli ci puote insegnare, dilettare, & commovere, ispetialmente essendo dotato di una voce simile à quella del Cigno? È veramente questo valent'huomo la gloria di Piacenza, l'honore del ordine Seraphico, & il splendor dell'episcopal collegio. Si aspettarno i Lutherani, ò protestanti, che li vogliamo chiamare longamente; ne mai apparvero, ne si sapeva la cagione, credevano molti si rimanesser per essergli stato promesso il concilio altrove, che in Trento. Feci disegno partirmi di Trento dopo alcuni giorni, per molti rispetti, quai non accade raccontare: & cosi mi aviai alla volta di Mantoa. Volle mia ventura, che io mi rincontrassi nel magnifico M. Bartholomeo pestalossa giurisperito molto savio & aveduto, con esso lui à sue persuasioni, andai ad alloggiare ad un gran monisterio della Ciartosa, dove era priore un Venerabil Padre, qual haveva conosciuto alla ciartosa della palude, stato della Illustrissima S. Maria Cardona, Signora rara, et magnanima. Fummo raccolti come dui Agnoli dal cielo discesi, & ne dettero una cena Papale, da carne in fuori, poche cose si potevano desiderare, erano le vivande si ben condite, & stagionate, Come se Apitio fusse stato il cuoco, e Platina il guattero. Dopo mangiar si ragionò del stato de religiosi Ciartosini, & della lor perfettione, quasi conchiudendo, che alcuno salvare non si potesse, se di loro non si faceva, essortandomi ad esser della lor squadra, io che non haveva la lingua in pegno al giudeo, à tutto risposi, & soggiunsi che se mai mi venisse voglia di farmi frate, io mi sarei fatto nel paese nostro, dove havevamo una religione, la quale haveva i Monisteri edificati alla Ciartosina, l'habito de canonici regolari, Le facultà de Monaci di monte Cassino, l'auttorità de frati di S. Dominico, & il credito, che già solevano havere i zocolanti, ma che io non vedeva (lor dissi) qual cosa m'havesse à muovere à rendermi ciartosino, conciosia fusse che non ci vedessi quella perfettione qual mi dicevano, ne vi conosceva sembianza alcuna della primitiva chiesa, voi habitate li dico agiatamente, à tal che molti principi vi portano invidia; Siete vestiti, & per difendervi dall'asprezza del freddo, & dall'ingiuria del caldo, bevete de migliori vini, che appariscano in terra, mangiate un pane che par fatto in paradiso, et quantunque (che si sappia) non gustiate carne, mancanvi però i saporiti intingoli, & i gratiosi manicaretti? mancanvi le torte de piu ragioni? le salse eccitative del morto appetito? i sapori de piu colori? le frittate de piu sorti? L'uova cotte in varie foggie i butiri freschi? i dolci olij? di ogni qualità pesce, latticinij, frutta, & confetture? voi non siete angariati di alcuna gravezza; i principi vi honorano, et i popoli per santi vi adorano; non vi mancano (informandovi) ne medici, ne medicine, ne servidori, che diligentemente vi attendano: vivete senza pensiero, non vi molesta l'importunita della moglie, non vi affanna la disubidienza de figliuoli, non vi attrista la contumacia de perfidi servidori, non vi spaventa la tirannia de mali principi; non vi tribolano i puntigli d'honore, & controversie de duelli: Forse che andate come facevano li Apostoli, scalzi, & mezo ignudi, sostenendo fame, patendo sete, pieni di sbigottimento, sempre temendo la crudeltà de nemici di Christo? Tutta la fatica vostra consiste in cantare ad alta voce un chirieeleison, & mormorar Salmi poco intesi: et io vi dico che la pietà Christiana, & quella perfettione, che tanto essaltate, altro richiede, ella vuole carità verso il prossimo, & carità non simulata, ma sincera, ella vuole un'ardente fede verso Iddio: voi non ministrate i sacramenti della chiesa à popoli, non manifestate la santissima parola d'Iddio, & poi mi dite, che la vita vostra contiene in se perfettione christiana? vi vantate di portar il cilicio, e di levar à mattutino, le quai cose non sono di gran momento poi che consisteno sol nel asuefarsi: Io non vidi mai ciartosino visitar spedali, confortar incarcerati, ne andar ad udir il sacrosanto Vangelo: vi gloriate della solitudine sopra modo: hor quivi prego à legere, & considerar se tal era la solitudine delli antichi solitarij, essi non habitavano già si vicini alle città, ma penetravano molto a dentro ne i deserti della Thebaida, dell'Egitto, e della Cilicia. De santi Monaci favellando il padre Gioan chrisostomo, dice ch'essi havevano occupato le sommità de monti: Habitava Illarione un Tugurio simile piu tosto ad un'horrido sepolchro, che ad una monacal cella, legete il P. Basilio, legete il santissimo Geronimo: il buon Gioan Cassiano, il divoto Gioanni Climaco, & vedrete come vivevano gli antichi monaci, certo vi vergognereste di tal nome, essendo la vita vostra tanto da quella distinta et separata: à tutte le mie parole fu molto saviamente risposto, & venuta l'hora del dormire: havendo fatto pensiero di partirmi a buon hotta, chiesi licentia dal Reverendo priore, dimandai perdono se forse ecceduto havea nel parlar la christiana modestia, et fatto troppo del Satirico. La matina per tempo entrai in Mantoa qual trovai molto piu bella, & vaga da vedere, di quel che mi credeva: Hor quivi, & non in altra parte appresi a conoscere donne valenti.[63] Vidi in Mantoa huomini col capo di lupo: vidi agnelli di tanto consiglio & prudentia dotati, quanta esser si puote, et erano adoperati per ambasciatori nelle cose di somma importanza:[64] Habitarno già in questa città de molti Passerini, liquali crebbero in tanta forza, che poco vi mancò non se insignorissero di tutto'l dominio Mantoano, & l'havrebbono fatto, se da piu potenti non fusser stati impediti. Quivi si veggono molti boschetti vaghi, et ameni, ne quali non habita alcuna dannosa fiera, ma sol conigli, & qualche altro picciolo animaluccio. Quivi sono huomini di tanta felicità, che dovunque vanno sempre per essi, si arriva bene.[65] Vi sono putelli di cinquanta anni, et ve ne sono di quelli, che altro non fanno che tridar pali. Vengomi poi à Ferrara, ove trovai molti contrarij, non a me però, anzi benigni: trovai Fiaschi, & Fiasche di miglior tenuta, che altrove non si veggono: Vidi alcune trotte le piu belle, & le piu grandi, che mai si pescassero in alcun fiume, ò lago, quelle di garda non son si belle: chi ne pigliasse de simili, sarebbe il piu felice pescatore che mai nascesse, non havrebbe da invidiarne Dictis gran pescatore, & nodritor di Perseo, ne Ermindo, ne Scilla (il Sicionio) credo che ogn'uno si darebbe al pescare se sperasse di far tal preda, ma elle non si pigliano con le Reti, non con le nasse, non con l'hamo non con pasta artificiosa, ma con altre arti c'hora non le dico. Vidi piu sagrati in Ferrara, che in Roma santa. Hocci ritrovato delle male spine,[66] le quali, senza ricevere offesa, anzi con qualche diletto si potevano di notte maneggiare & abbracciare: vi conobbi una malatesta piena però di buoni & giocondi pensieri. Vidi una mamma, ch'era mamma sin quando era nelle fascie. Hai quante cose videro gli occhi miei in questa citta, fuori del commun'uso: Quei da le frutta non vendano frutta: Quei dell'olio non vendono olio: i Cestaruoli non portano il cesto: I Bevilacqua amano il vino, & fuggono l'acqua: Vidi un'huomo di Recalco[67] cavalcar una mula vecchia, & magra piu che l'Asina di Balam: Conobbi ancho una Cuoca,[68] di si fatte qualità, che non vi è huomo per insensato ch'egli sia, che volentiere non se la vedesse in cucina. Poche città ho ritrovato, ove sieno tante stravaganze, quante sono in Ferrara, & infinite n'haveva notato; ma il timore di non essere à lettori troppo fastidioso, me n'ha fatto tralasciare la maggior parte, ma prima però ch'io esca dalle mura di Ferrara, dirò come vi hò veduto il paradiso,[69] ilquale non ha in se molta bellezza, non amenità, non consolatione alcuna, & qual maraviglia sarebbe se l'amor del paradiso non ritirasse i Ferraresi dalle malvagie opere? & che ciò sia vero, che bello non sia, gli Agnoli non vi fanno la lor stanza, ma si hanno edificato una contrada la piu gioiosa, che veder si possa: In paradiso non habita S. Gioan battista, ma se n'è piu tosto ito ad habitar in terra nuova. S. Anna piu tosto s'è contentata di starsi all'hospedale,[70] che in questo paradiso. S. Georgio è ito fuori della terra, la Reina del cielo con la gloriosa Caterina, non vi habitano, di maniera ch'egli rimane quasi che dishabitato, voglio però confessar il vero, ne voglio defraudare città alcuna delle sue debite lodi, che in Ferrara, & non in altro luogo, ho veduto huomini, & donne pie:[71] et hocci veduto un'Agnolo degnarsi di far l'hosteria à mortali: Fu il mio albergo col S. Hercole Riminaldo, ilquale mi da speranza di doventar simile d'ardire à quel famoso Ercole di cui son piene tutte le carte de scrittori: fu però gran parte della mia conversatione col S. Ferrante trotto, & col S. Giulio zerbinato, liquali mi parvero di tal valore, che fortunatissimo giudicherei quel principe, che de simili n'havesse almeno due paia. Da Ferrara piglio la strada ver Padova, et giunto à Rovigo, mi ricordai del Celio Rodigino mio honorato precettore, per tenerezza fui sforzato piagnere si gran perdita: giunto poi in Padova, ricordammi subitamente delle grandezze sue, del numeroso popolo che l'haveva, delli infiniti cavaglieri, & de i singolari privilegi da Romani lor conceduti: mai certo vi fu città, che de simili ne havesse, hora la trovai quasi desolata, & me ne venne gran pietà: Vado alle scuole de legisti, sto ad udir ciò che dicono di bello, appartenente al viver civile, & alla unione de cittadini, & non odo salvo che contradittioni, l'uno impugnar l'altro, & oscurar il vero à piu potere: eravi tal legista, che per insegnare à litigare, era con gran stipendio pagato, & ciascuna lettione li valeva piu di 60 scudi: vado alle scuole de philosophi, penso udir favellar di giustitia, di prudentia, di modestia, di fortezza, di castità, et altre simili cose, penso veder huomini gravi, & ornati, non di barba, & di pallio come erano i philosophi della grecia, ma de bellissimi costumi, penso veder molti Socrati, molti pithagori, et molti Platoni, et ingannato mi ritrovo, non odo favellare salvo che di materia,[72] della quale parevami, che n'havessero pieno il capo: di forma, non so se di Cacio, o da informar stivali, di privatione, non so parimenti se intendessero de danari, ò di senno. Entro nella scuola de Metaphisici, nella qual pensai udir ragionare della divina maestà, delle celesti Gierarchie, della perpetua felicità de beati: ma ecco che per molti giorni io non odo parlare d'altro che di ente et uno. Vomene ad udir chi trasordinariamente leggeva i libri dell'anima, & penso ch'egli m'habbi ad insegnar qual cosa adoperar mi debba per salvar l'anima, che Satanasso non ne faccia rapina, come guardar la mi debba da peccati, che gloria, che triumpho, se le aspetti dopo morte. & ecco che non intendo altro che opinioni, che è composta di fuoco, che è composta d'acqua che è di color purpureo, Tutta nel tutto, & tutta in qualunque parte del corpo, che è seguace della complessione corporale, che la non si cava dalla potentia della materia, ma che ella se ne viene di fuori, & non dice donde, & che la si separa come l'incorruttibile dal corruttibile: Vennermi a fastidio questi tanti scaldabanchi, queste rabule, questi loquaci corbi, ne potei sofferir di piu udirli, per il che, io mi diedi tutto all'investigatione delle cose notabili, Dirò adunque come in Padova, & non in altra parte: hò trovato huomini, & donne dotte:[73] non è adunque da maravigliarsi ciò che si legge della dottrina di Probavaleria: di Eudoxia: di Nicostrata, di Telesilla, & di Aspasia, ho parimente veduto huomini, & donne con i capi di vacca: hocci veduto huomini in galline convertiti: Vi hò conosciuto un Sperone formato da Iddio, non per isperonar giumenti, ma per speronar la gioventu Padovana alla virtu, & alle buone lettere: Io ci conobbi uno, che Frigendo melica era divenuto non men dotto, che riccho già si divenisse in Piacenza un'altro per seccar melica: vi conobbi un gentilhuomo ilquale vedeva le cose future, & non vedeva le presenti[74]. Fu il mio albergo col gentilissimo S. Pio delli Obizzi, per il cui mezzo, conobbi l'affabile, & gratiosa M. Lucretia reloggia. Fastidito di star in Padova per la brenta già detta Meduaco, mi condussi alla maravigliosa & possente Vinegia: Chi potrebbe ridir il piacer ch'io hebbi in quella barca? Vi erano alcuni scolari Forlani, c'havevano il capo sopra della berretta, piu furiosi di Athamante, & di Oreste; Vi erano frati di color bigio, bianco, & nero, Donne da partito, Barri & Giudei: I Scolari favellavano alla scoperta, senza rossore, de carnali congiungimenti; i Frati se ne mostravano alquanto schifi, & sorridevano facendo il bocchino della sposa. Le buone femine girando gli occhi qua & la, cercavano di adescare i mal accorti: Eravi un Giudeo, ilqual veniva allhora di Damasco pieno di arte maga, faceva apparir gli huomini cavalli, Asini, Cani, & gatte. Fece apparir un Lione, et poi mostrandogli un gallo lo fece incontanente sparire: egli faceva arrestar gli uccelli nel mezo del lor volo: faceva venir i pesci a riva: Sapeva la virtu di tutte l'herbe, haveva notitia di tutte le lingue: Sapeva costui di arte Maga piu assai di Cetieo, di Dardano, di Democrito, di Zoroaste, & di Gobria: suscitò costui un giorno pioggia, si come anchora fece Arnupho egittio per abeverare l'esercito di M. Antonio. Vi era ancho un Romagnuolo con una cetra, & si dolcemente la sonava, che pareva un Iopa: un Philamono, un'Apolle, un Terpandro, & un Dorceo: Giunsi finalmente nella miraculosa Città di Vinegia, della cui edificatione, & aumento ne fu potissima cagione la rovina di Padova, d'Altino, d'Oderzo, e di Moncelese già detto Acello, & di Aquileia colonia de Romani, & capo dell'oriente. È opinione, che questi popoli venessero in Italia con que Francesi liquali regnando Tarquinio Prisco dettero il nome alla Gallia cisalpina: fa mentione Cesare di questi Veneti ne suoi commentarij: Livio è di opinione, che sieno venuti dalla Paphlagonia gente d'Asia, dopo l'incendio di Troia, è una natione molto civile, dedita alli studi delle buone lettere, dedita alli acquisti terrestri, et alli esercitij maritimi: Sono in questo mare pesci piu saporiti, che in qualunque altro luogo, benche minori: stimasi esser di ciò la cagione perche molti fiumi concorreno in questo Adriatico mare, per la qual ragione anchora i pesci di Galipoli stimansi avanzare di sapore, li altri scorrendovi dentro ventidue gran fiumi ispetialmente il Dannubio, & il Tanai: Gode Vinetia un'aria felicissima, imperoche la salsedine del mare, Calda essendo, & meno humida, genera una temperatura molto opportuna alli humani corpi. Il flusso anchora & reflusso purga l'aria, & se vi è cosa veruna di corrotto, la porta nel mare. Quivi fermato essendomi, con intentione di starvi molti giorni, incominciai à considerar attentamente gli ordini, & li costumi loro, & fra molte cose grandimenti mi maravigliai intendendo da certi vecchioni pieni di Reverentia, che mai questi Signori vollero armare i popoli loro, & non piu tosto della propria militia servirsi: che della straniera, nella quale sovente si sono trovati inganni, amutinamenti, & tradigioni. Mi maravigliai intendendo, che nelle guerre, non dessero alli lor capitani, le commissioni libere. Mostruoso mi parve il vederci, Nani, grandi, Magni, piccioli: troni, terrestri, & non celesti: Trivisani, Pisani, & Soriani, che non videro mai ne Trevisi, ne Pisa, ne Soria: Notabil mi parve di veder molti Salomoni: ci trovai Barbari latinissimi & humanissimi: Cicogne, di piu breve collo, ma di miglior tenuta, che non sono l'altre: molti Garzoni, che passavano sessant'anni: Tanti Marcelli, che tanti non ne vide Roma: non vide ne anche mai tanti Lioni la Numidia, quanti n'ha Vinetia, i Barbi stanno in terra, & non nelle acque. Sonci Balbi nel favellar ben espediti: Qui non sono le mule sterili, ma feconde, come anche sono in Cappadocia, & i delphini si veggono tramutati in huomini: i mori et le more non sono nere, ma candidissime: Sonci de molti lombardi, che non vider mai lombardia: Sonci piu savi che non hebbe mai la gratia, quelli furono sette, & questi sono piu di duodici. Il mio albergo fu nella casa del S. Benedetto agnello, dove molto volentieri me n'andai, & volentieri ci stetti per essermi stato affermato da piu di dua, ch'egli era il padre de virtuosi, & di perfetto cuore l'hospitalità esercitava, ne dal suo volere discorda punto la sua honoratissima consorte. Trovai in Vinetia un Siciliano ilquale, scriveva in un specchio d'acciaio, et quello che nel specchio scriveva, ve lo faceva per reflesso, legere nella luna: Faceva un sapone col quale si lavava la faccia, e poi con un stecco si radeva sottilmente, & per molti giorni rimanevali la faccia odorifera piu che ambra. Faceva apparire una mensa carica di ottime vivande, et poi come fumo faceva ogni cosa sparire. Poneva un pezzo di Carta non nata, ove erano scritte alcune parole ad una serratura, & incontanente se li apriva ogni ben serrata porta: Cavava ogni grosso chiodo con i denti, Convertiva in oro il rame, il ferro, il piombo, & finalmente ogni metallo col spargervi sopra una certa polvere non piu veduta. Alla presentia mia, et di tre altri fece parlar una testa di morto. Mentre sono in Vinetia mi vien detto, che ci habitava il terrore de scelerati principi, & il flagello de viciosi preti Pietro Aretino, lo visitai piu d'una fiata, & parvemi vedere un'opra di natura piu che perfetta, parvemi di udir una lingua possente à farsi amare, & temere, & farsi tributarij sin alli estremi Morini, & li disgiunti Britani: conobbi ancho in Vinetia l'oracolo di marte, dal qual correvano tutti gli huomini martiali per farsi decidere le controversie dell'honore[75]: Stato che io fui in Vinetia molti mesi, mi venne desiderio di gir pel mondo, gran dolcezza sentendo sol in pensar ad alcune cose vedute, duolsemi assai di dovermi partire di questa inclita città per molti rispetti, ispetialmente dovendo rimanere privo di godere la dolce conversatione della virtuosa M. Giulia Ferreta: & di M. Francesca Ruvissa, laquale mi parve la Sibilla cumana, tanta sapientia & bontà in lei scopersi. Egli è vero, & negar nol posso, che molte cose in Italia mi piacquero stremamente, ma molto piu furono quelle, che mi spiacquero, non hò scritto tutto ciò che veduto hò di mostruoso, ne ho raccontato tutti i luoghi dove io fui: Hò pretermesso scrivere come in Asti trovai huomini, & donne, che rane Cacavano,[76] & le piu male balie, che veder si possano: hò pretermesso dire di quelli c'hanno nella Mirandola i piedi d'oca, & portano del continuo le panze rase: ho pretermesso d'haver veduto in Bologna una Medusa non dannosa come fu quella anticha, ma gioveuole. Ho tralasciato d'haver veduto in Piuri Lumache senza Corna, non con l'habitatione alle spalle, ne lente, & tarde, ne suoi movimenti: Ho tralasciato d'haver veduto in Como, & in Chiavenna salici fecundi, & non sterili: Se Homero n'havesse veduti non l'havrebbe mai chiamato perdifrutto. Ho lasciato d'haver conosciuto in Milano Cagnuoli,[77] che favellavano come se huomini suti fussero, & molti pagani christiani: non hò detto d'haver veduto in Ferrara Arriani; contro de quali non si faceva alcuna inquisitione, si come facevasi contra de lutherani, nella qual città conobbi il bend'Iddio, non per avanti conosciuto: non vi ho detto d'una Gattina, laquale in Mantoa non pigliava sorci, anzi li temeva, li fuggiva, et n'havea schifo, & haveva con le sue losenghe si fattamente innamorato di se, un'abbate, che per transtullarsi con essa, non si curava punto di fama, ne d'infamia, & spesso scordavasi il Breviario, et il Diurno: non paia adunque favola, che Cratis pastor Sibaritano amasse già una Capra, poi che un'Abbate, & di sangue illustris. si è invaghito di una gatta, non vi paia maraviglia se Aristone Ephesio, amò un'Asina, se Fulvio una cavalla, se Ortensio una Murena, & Ciparisso una cerva. Diro hora di molte altre straniezze per le quali, l'Italia mi venne in odio, & feci disegno partirmi: Io rimasi d'habitar in Bologna, veggendo starsi fuori delle Porte la misericordia:[78] non volli star in Anchona, veggendo che la Reina del cielo n'era uscita, & itasene à Loreto per non star nell'Anchona, mi spaventai dell'habitar in Siena per timore di non impazzire: già mi sentiva il capo formicolare, & se aspettava la venuta di M. Agosto, per certo io dava la volta, ne so s'io fussi piu ritornato, divenivo indubitatamente piu pazzo di Xenophanto, piu di Mamacuto, piu di Cippio, e piu di qualunque Psillo dell'austro vano combattitore. Non mi piacque il star in Firenze, parendomi mal consiglio lo pormi nelle man de medici sano, & di buona voglia essendo. Mi spaventai di star in Lucca, udendo, che ogni dui mesi, quando si crea la nuova signoria, sia costretta giurare di oservar non so qual statuto contro forestieri: Non hebbi cuore di fermarmi in Piacenza havendo udito dir, che non sia buono, ne star sotto signor novello, ne albergar con hoste, che novellamente hosteria faccia. Doveva io star in Milano, vegendo, che la pace, le gratie: & gli Agnoli[79] non osavano di starci, ma habitavano fuori delle mura? Doveva posarmi in Genova dove la consolatione stassi in disparte fuori dell'habitato, et ogni giorno si vorrebbe mutar stato: non è si volubile Vertunno, ne si spesso mutasi il vento, come si muta il capo d'un Genovese. Spiacquemi di stare in Brescia, dove a colpi di spada ci conviene guadagnar la strada di sopra. Non hebbi cuore di stare in Bergamo per le molte sottigliezze, che nel vivere, & nel mercantare si usano. Spiacquemi il veder in Italia tanti Marchesi senza marchesato, Conti senza contado, Cavaglieri, che non hanno ne cavalli, ne speroni, ne stivali. Spiacquemi vedere, che in Italia le Signore havessero ardire di scambiare alle lor damigelle il nome del Battesimo, & in luogo di Catherina, Lucia, Margherita, Agata, Agnesa, & Appollonia, per fargli sino ne i nomi belle, & lussuriose, le chiamano Cinthia, Flavia, Fulvia, Flaminia, Camena, Sulpitia, & Virginia. Quanto mi sono io di cuor maravigliato della lor prosuntione, parevami certamente fusse risvegliata l'heresia de Pepuzziani; presso de quali (si come riferisce il P. S. Agostino), erano solite le femine di battezare, & far l'uficio di sacerdote: Parevami di esser in Caria, dove le femine barbute fanno l'officio qual presso di noi far sogliono i frati. Brutta cosa mi parve vedere li Italiani à si buona derata venuti, che alla guerra vadino invitati, non da tre scudi, come era il consueto, ma spesso tratti per tre Giulij. Brutta cosa mi parve, che ogni sciagurato si voglia fasciare le reni di raso, & di veluto, ne stimarsi in Italia chi humilmente si veste. Mi spiacque l'udir, che ogni Buffalaio, & ogni bifolco giurasse a fe de gentilhuomo, & ogni vil putanella a fe di gentildonna, & il veder pompeggiar sopra le facultà, ne in habito esser differenti le donne honeste dalle dishoneste, i nobili dalli ignobili, & ogni di mutarsi foggia di vestire, & cambiarsi le monete con gran danno de poveri, che peggio è tosarli senza riportarne pena: ogn'uno sa che in Mantoa ci sono i tosa beci, & non si puniscono.[80] Spiacquemi il veder per forza por le fanciulle nei monasteri, et per ogni lieve cagione condursi gli huomini in steccato, vedersi tanti poveri impiagati per le strade mendicare: tante sette de Frati, & de Suore: tanti Epicurei, tanti Sardanapali. Spiacquemi il veder le donne farsi la bionda; et i capelli neri, con lor mal augurio fargli simili alle fiamme, fargli di piu ricci, rappresentando i serpenti che le circunderanno le tempie, quando saranno dal gran giudice alli eterni supplicij destinate. Spiacquemi di veder l'Italia divisa in tanti Signori. Spiacquemi vedere una Signora in Lombardia gloriosa sovra modo, di haver animo di Reina, & non si avedeva, che putiva di spelorchia, et viveva da mendica. Non poteva sofferire di vedere nella lunigiana trenta marchesi ad un tratto sopra d'un fico per sfamarsi. Oh come mi venne a noia il vedere in Arco, et in Lodrone due mila conti, & un sol contado, molto stretto, & povero. Pensate poi, che mi dovea parere vegendo i Marchesi di Ceva, e i conti di Piacenza, & i cavaglieri di Bologna. Spiacquemi vedere in lombardia una Signora ch'era pazza, & voleva esser tenuta savia: era vecchia, et voleva esser tenuta giovane, era brutta, & sforzavasi di apparir bella. Se io volessi racontar tutte le cose c'ho vedute degne di biasimo, non ne verrei a capo in tre mila giorni. Risoluto adunque di partirmi, chiamo Tetigio, & si li dico il mio pensiero, li manifesto la mia deliberatione, pregandolo mi risolvi se egli vuol rimanere in Italia, ò pur andarsene nel mio paese: egli mi rispose, che molto volentieri nel mio paese se n'anderebbe, cosi risolti: li dico: Tetigio: Intendo di volermene andar per il mondo à veder cose rare, tu ti rimarrai in Italia, & voglio che tutta l'Italia scorri con la diligentia maggiore, che ti sia possibile, & rechi nel paese nostro le cose ch'io ti dirò, eccoti tre mila fiorini d'oro: se piu te ne sia bisogno: vattene da parte mia al banco de Priuli: voglio per la prima cosa, che di Sicilia mi adduchi due belle mule senza vitio (se possibil è di ritrovar mule senza vitio) tre schiavi, due schiave, ma guarda sieno ben sani, & nelle membra non habbiano veruno diffetto, non li toglier domestici, ma selvaggi. Portami della seta di messina almeno cinquanta lire, & della Manna di Calavria: cinquanta braccia di Dobleto da Catanzarro; della Sargia, che si fa in Castro villere, & trenta lire della seta di Mont'alto laquale è piu forte della Messinesa: vorrei venti braccia della bambagina di Nardo, delli Coriandoli della costa di Malphi, del Zafferano di Abruzzo: qualche insito delle olive di bitonto: portami da Napoli dell'opre, che fanno que setaivoli, ispetialmente strenghe, capelli, & borse fatte con l'aco, recami del Sivetto, del sapone di Cervo, & de fiori di aranci, dui corsieri della razza del Re, ò di quella del P. di Salerno: portami da Roma tre dozene di belle corone per le nostre donne: torrai in Firenze due pezze di brocato riccio sopra riccio, et due di tela d'argento, con dieci lire di quel filo tanto sottile: portami di que fiaschettini lavorati con la seta, che fanno le monache Fiorentine, & di quelle coseline, che fanno i prigioni nelle stinche. Fammi havere ventisei braccia di panno monachino, altretanto di perso: venti braccia di rascia, sei berrette fiorentine per la state. Portami da Fabriano trenta risme di carta. Da colle dieci dozine di palle. Da Urbino cinquanta piatti di terra figurati. Da Bologna dieci fiaschi di vetro coperti di cuoio lavorato, & cinquanta pallotte di quelle del Melone, & trenta braccia di velo. Da Faenza, una credenza de piatti, & di scodelle di terra bianca. Portami sei pezze di raso Luchese. Torrami in Ferrara due pezze di veluto intagliato, & in Ancona tre pezze di ciambelotto, tre similmente di Mocaiaro, due di zarzecano, dieci di Bedena, sei feltri: sei Tapeti, cinquanta Cordovani di vario colore: in Genova due pezze di veluto di tre peli: Di Sardignia addurammi un paio di cavalli per far l'amore. Di Corsica voglio due paia di cani per guardia de nostri giardini. compra in Cremona trenta braccia di Sargia: torrai in Brescia due dozine di Forbici lavorati alla zimina, & due di cortelli, quatro paia di Alari, o Cavedoni, che li vogliamo chiamare: torrai alla Scarperia tre dozine di que ferretti da stuccio: In Modona venti rotelle: venti Maschere: giunto in Reggio fornisceti di staffe, di speroni, & di quelle opre fatte di corno, cioe calzatoi, di scriminali, corone, anella, pettini. Se i speroni Rezzani non ti piacciano, pigliali in Viterbo. Da Crema portami due pezze di tela sottile: compra in Mantova dodici paia di calce di seta fatte con l'aco, & altri lavori d'oro, & di seta. Di Milano sei corsaletti, sei celade: venti migliaia d'aghi, cento paia di sonagli: venti sei braccia di stametto: & altre tanto di Sargia pannata. Da Tortona sette vasi di Tiriaca: et dieci capelli di paglia finissima: Da Seravalle, dieci buone lamme. Di Padova, trenta braccia di quella Sargia cotonata: due Dozine di berette leggerissime: venti paia di guanti, & per far razza di quelle Galline Padovane. Da Vinetia venti specchi: cinquanta bicchieri di Christallo, & venti tazze: trenta braccia di scarlatto: una pezza di veluto cremisino: sei cassette di cipresso: dieci ventaruole di seta di vario colore: dodici pettini d'avorio, venticinque braccia di damasco: qualche vasetto di polvere di Cipri, & per profumar camere. Dato che hebbi questo ordine inviai Tetigio alle facende & io mi posi in viaggio per gir come feci errando. Credei (misero me) di starmi fuor di casa quattro, ò cinque anni, & mi convenne starmi dieci, et per estrema fortuna gir di mare, in mare vagando, & di regione in regione peregrinando, pareva che Eolo, & Nettuno havesser congiurati ne miei danni: mai havemmo vento che ci fusse benigno & propitio: piu di sei giorni quasi continova pioggia notte & giorno ci bagnò il capo: pareva che le Pleiade et le hiade fussero adirate con esso noi, non ci bastò l'esser sopra di una nave che di securanza avanzava quella Argo, sopra della quale Iasone, Tiphi, Castore, & Polluce andarno in Colcos per toglier il vello aureo, avanzava la nave nostra di velocita Pistri, Centauro, Chimera, tritone, & Gias, che tutte furono perfettissime navi & dalli antichi scrittori celebrate. Non ci bastò l'haver nocchieri esperti piu che ophelte, piu che Mnesteo, piu che Servio, piu che Carapo, piu che Amicla, et piu di Peloro: che scorrer ci bisognò al dispetto nostro infiniti pericoli maggiori: egli è vero, che dopo molte angoscie sostenute con assai intrepida fronte: mi trovai lieto et contento d'haver si longamente errato: parendomi di poter giustamente vantarmi, d'haver veduti piu diversi luoghi, & piu maniere di costumi, che mai non vide ne Hercole, ne il travagliato Ulisse. ho veduto li phrigij, quai afferma Herodoto esser antichissimi, ne stette molto à veder gli Archadi, quai scrive Apollonio nella sua Argonautica esser piu antichi della luna. Ho veduto Parnaso, d'onde n'uscivano gia gli oracoli di Apollo, & acciò non mi reputi alcuno bugiardo, darolli i contrasegni, egli è in Phocida, & è ornato di due belle cime: hò veduto la selva Grinea, dove erano l'ombre di quanti famosi Poeti furono mai al mondo: vi ci trovai d'alcuni moderni Poeti l'ombre assai meste, & lagrimose, intendendo, che delli lor poemi se ne facevano scartoccini da speciali, & da porvi dentro le sardelle: ho veduto Colcos, & il fronzuto Idalio: fui per molti giorni in Egira, ove si adorava l'amore, sotto un medesimo tetto con la fortuna istessa: passai per Arcadia, ove si adora Aristeo, Dio del mele, vidi in Tebe adorar l'Iddio Bacco, quasi che allhor io mi credei d'esser traportato in Polonia ò in Alemagna: ho veduto presso delli Elei, il tempio di Plutone, che si teneva perpetuamente chiuso: ho veduto in Lampsaco, adorar il Dio Priapo, alquale l'asino si sacrifica per grand'honore: vidi in non so qual luogo, mutarsi un'huomo, hor in toro, hor in serpente, & molti ne vidi mutarsi in cervi, benche tal metamorphosi spesso si vega in ogni luogo: mi son ritrovato dove la bella Alcione si mutò in uccello, Calisto in Orsa Lyca in scoglio, Myrrha in albero: Corone in cornacchia: Talo in perdice, Tereo in upupa: & Tiresia in femina: fui costretto (misero me) di mangiar per molti giorni un pane tale, qual fu il pane, rifiutato da Philoxeno perche non si facesse notte a mezo giorno dalla negrezza istrema, che in se haveva: et i prohemi delle cene nostre: erano radici amarissime: ben sospirava io allhora il pane Padovano & i lumbi Vinitiani ma gran ventura fu la mia, poi che si mal albergo fu incontanente dalla fortuna remunerato, col farmi vedere gli orti di Alcinoo, liquali erano si de vari frutti ornati, che appena l'uno era maturo, che l'altro vi nasceva. Vidi non molto lontano, gli orti delle Esperide dove sono gli alberi d'oro, et vidi il vigilante Dracone che li fa la guardia perche furati non sieno. Vidi anchora gli orti di Adonide, & quei nell'aria sospesi, che con tanto piacere in Assiria, & da paesani, & da passaggieri si contemplano non so ben dire, se fusser fatti da Cirro, ò da Semiramis: se nel venir in Italia vicino la Sicilia io udi cantar le Sirene, hora le vidi, & insieme i stormenti ne quali cantano: hanno il corpo di femina fino all'umbilico, il rimanente è pesce; le ho anche udito chiamarsi per i propri nomi, una di quelle, che videro, chiamavasi Aglaosa, Telcippoa un'altra; ve n'era una detta Pisna et una ve udi per nome Iliga. La dolcezza del canto mi fece adormentare, & di tal sorte, che io vidi li ministri del sonno, cioè Morpheo, Phabetore, & Phanto, liquali mi parevano rasimigliarsi à certi miei amici, che si lievano all'Alba de visconti, quando il Sole ci agiugne à meza gamba: non debbo anchora narrarvi delle molte battaglie, che pel viaggio vidi farsi da molti animali: la onde m'accorsi delle mortali nemistà, che fra gli animali irragionevoli sono: vidi combattere eserciti di cornacchie, & di nottole, di Nibbij, & de corbi, di aquile, & de trochili di murene, & de congri, de delphini, & di balene, de cervi, & de serpenti, de cameli, & de cavalli, di pecchie & de rondinelle, & de formiche, & de sorici, & di salamandre, & de testugini, di elephanti, & de dragoni, & di lacerte, & de lumache. Standomi un giorno fra gli altri alla ripa del mare, aspettando si bonaciasse il tempo, per ritornar (se possibil fusse) nella smarrita strada: vidi non in sogno, ma chiaramente la Dea Thetis accompagnata da molte Halcioni: dal cui lato manco v'era la dea Venere guidata da piu cigni, & da molte columbe: dal lato dritto v'era Giunone, con una gran torma de pavoni. Vidi poi Minerva con gran squadra di civette, che li andavano avanti con riverentia, non molto lontano da lei, eravi Apollo con grata compagnia de corvi, & de candidi cigni. Non si stette guari, che mi apparve Giove con la sua Aquila in compagnia. dopo questa bella veduta, abonacciossi il mare: si che n'andai commodamente à veder la torre Pharia, le Piramidi del Nilo, andai dove era il tempio di Diana ephesia: il sepolcro di Mausolo: il simulacro anchora di Giove olimpio: & dove era già il Colosso del Sole di settanta piedi presso de rodiotti con gran religione tenuto: ho veduto la casa di Cirro Re de Medi, nella quale erano le pietre legate con l'oro: hò veduto il tempio che à Giunone fece la reina Dido, et quel che fece Giarba re de Getuli à Giove: un'altra nobil casa vidi non molto distante, copiosissima di pretiose colonne, & de ingegnose statove di cedro fatte: non debbo dirvi della casa del Sole, della quale ben si potrebbe dire, materiam superabat opus. Ho veduto un teatro di trecento sessanta colonne, la cui Scena, parte era di marmo, & parte di ben polito vetro: le colonne inferiori erano di quarant'otto piedi, & fra le colonne vi annoverai piu di trecento statove di bronzo, maestrevolmente fatte, & era capace di settanta mila huomini: rassimigliavasi al Theatro di M. Emilio scauro figliastro di Silla (per quanto mi sovviene della descrittione) Hò veduto que quattro obelischi fatti si artificiosamente dalli re di Egitto. hò veduto l'obelisco fatto da Ramise re di Egitto di quaranta cubiti, che fu opra di venti mila huomini (sel vero mi fu rifferito.) Ho veduto il Laberintho fatto da Dedalo, & un'altro similmente nell'Egitto, con le colonne di marmore pario nell'intrare, & le piu interne erano di marmore Sienito. Hò veduto i vestigij di quella camera fatta da Alessandro Macedone, dove stavano cento letti agiatamente, con le colonne d'oro, che sostenevano la sommità del luogo, ch'era pur d'oro, nella quale stavano mille Persiani, mille saetattori Macedonici, & cinquecento huomini con i scuti d'argento: & nel mezo v'era un seggio d'oro, dove sedeva il sopradetto Alessandro, con i suoi portatori di Sarisse: Compresi allhora chiaramente, che dalle difficultà grandi, solite erano di nascerci molte consolationi & infinite dolcezze: se tollerato non havessi patientemente, & senza perdermi di cuore quelle tante fatiche che io tollerai, come sarei io stato contemplatore di si memorabili cose? Hora essendo io da venti qua, & la traportato: vidi una gran città piena di Ermaphroditi: vidi li Arimaspi c'hanno un sol occhio: vidi li Arimphei giusti sopra tutti i mortali, liquali stanno nelle selve, & pasconsi di Bacche: ho veduto ancho un paese dove le femine sette figli ad un tratto sogliono partorire, ne questo di rado accade, ma sovente volte: ho veduto alcuni popoli, liquali usano di combatter co gli occhi chiusi, & altri che maledicono, & biastemiano il sole, quando si lieva, & quando tramonta, ne per nome alcuno fra loro si chiamano, & altri popoli non lontano scorsi, liquali hanno dui estati, dui verni, & quatro solstitij: hanno le mogli communi, & communi sono anchora le facultà fra di loro: vidi in questo mio travaglioso viaggio, li Agriophagi, che si pascono di carne de Lioni, & di Panthere, & li vagabondi Arthabati, & li Astomi. perciò detti cosi, perche sono senza bocca, & di corpo molto pelosi: vivendo sol di odore per lo naso ricevuto: hò scorso per gran fortuna li Ethiopi hesperij, senza legge, & senza alcuno instituto viventi: vendono i Padri li figliuoli per haver del formento da mercatanti: ho scorso li Axoni, ho veduto presso delli Armenij, le nevi rosse, perche adunque tanto si maraviglia Tullio di quel philosopho, che disse la neve esser negra. ho considerato attentamente le usanze delli Assirij, nel propor li infermi nelle vie publiche, acciò che da passagieri ricevino consiglio, ho considerato li stravaganti costumi delli Abideni e delli popoli atrij, tanto nemici de furti, delli asbiti, delli adrimarchidi, delli besalti, & delli boristenidi da perpetuo freddo tormentati: ho veduto li horridi Battriani, & li magnifici & splendidi Persiani. ho ben considerato li corruttissimi costumi de Babilonici, li rozzi Boetij, i religiosi Bithini, li sani Bragmani, gli inhumani Berbici, li schifosi Budini, che de pidocchi si pascono: son stato fra li Casiri & hebbi fatica à campare dalle lor mani, imperoche si pascano de corpi humani. Son stato fra que popoli detti Ophiophagi perche de serpenti si nodricano. Son stato fra li Choromandi huomini senza voce, ma di horribil stridore, di corpo peloso, et de denti canini: ho veduto femine partorir di cinque anni, ne vivere piu di otto; ho veduto li Cauci, popoli settentrionali, che habitano case simili alle navi, & sono gran mangiadori de pesci: ho veduto li Chelenophagi di Carmania che viveno sol di carne di testugine: debbo tacere i Caspij, i cureti, i Calcidensi, e la Caldea adoratrice del fuoco, et allo'ncontro i Galleci che non adorano cosa veruna. ho veduto li sporchi Chij, dalli quali nacque il proverbio CHILUS OMNIA PERCACAT. Ho veduto li seditiosi Cercirci, li fraudulenti Cercopi, et li Crestoni, presso de quali, ciascuno hà piu mogli: se fussero di tanta spesa à mariti quanto sono le femine Italiane pur troppo n'haverebbono di una. Hò veduto li Mitrati Cisti, li timidi, & effeminati Ciziceni, & li severi Derbici, che ogni minimo delitto di dura morte puniscono: hò veduto li Essedoni, liquali cantano ne funerali de lor padri. Ho veduto li Esseni, astenenti di vino, di carne, & de feminili congressi, senza haver fra di loro alcuna cosa di proprio: hò veduto li Epizefirij presso de quali è pena capitale, per la salute del corpo à ber vino. Ho veduto li superstitiosi Ephesii: & li Fanesii nell'oceano settentrionale, c'hanno gli orecchi si grandi, che ne cuoprono tutto'l corpo. Ho veduto li depinti Geloni, bevitori del sangue di cavallo, mescolato col latte: Ho conversato molti giorni, col rigido Geta, col vagabondo Garamanto, col nudo & selvaggio Gamphasando: con il Gimnosophista dell'otio, & della pigritia capital nemico: con l'hiperboreo settentrionale, indefesso cacciatore: con l'Eptacometa habitatore delli alberi, ò delle alte torri: con l'hircano, che fa mangiar i suoi defunti da cani: con l'Omolotta del bue amico, con l'inhumano Henioco, con l'Alizone di Scithia gran mangiatore d'aglio, di cipolle, di lente & di miglio. Ho veduto il ferino hibero, il dilicato Ionico, il fortunato Lothofago, il Leuco, saettatore eccellente: il bellicoso Lacedemonio, il Lepreo, nemico d'adulterij, il brieve Lacone, il giusto & hospital Lacano, l'invidioso Lusitano, il lidio Taverniero & giuocatore di palla, il lussurioso Lesbio, il libico cacciator di elephanti: ho conversato con i Laciadi, con i Lirci, con i Massageti, con i Marsi domatori de serpenti, con i Mandi che viveno di locuste, con i Menismini che viveno sol di latte di cinocephali, con i Miconij vaghi dell'altrui mense, con i Mosini che in publico mangiano, con i Masilli governatori de lor cavalli, non con freno, ma con la sol verga, con i Molossi cacciatori, con i Nasameni dottissimi nel saettare, con i Magneti strenui domatori de cavalli, con i Mardi habitatori di spelonche; con il Macedonico che non soffre che alcun si cinga se almeno uno de suoi nemici ucciso non habbia; con il religioso Myso, con il Medo ottimo cavalcatore, con il crudel Mosyneco, col soggetto Messenio, con il tonduto Maco, con il Miniato Machylo, con il falso Megarese, con il Melancleno, di veste nera ornato: con il Mendesio adoratore di capre, col veloce Monomero. Ho veduto ancho il sfrenato Numida: ho veduto il Norico ricco di ferro. Ho veduto l'indomabil Nervio, l'inhospital Britanno del quale parlando Oratio scrisse. Visam Britannos hospitibus feros. Ho cercato li Nabathei nell'accumular ricchezze giorno & notte intenti: ho ricercato li Pelusioti, liquali nell'invecchiar della luna si tondeno il capo, & guardansi come dalla peste di mangiar cipolle. Ho ricercato le contrade de Cilici Pirrati, ho circondato tutta la regione de Phenici che già tanta lode hebbe dal ritrovar le stelle, & le lettere, con le arti belliche & navali. Ho veduto li Cubitali pigmei: & li vivacissimi Pandori popoli dell'India, alli quali in gioventu i capelli son candidi, & in vecchiezza si fanno neri, sono stato presso delli unguentati & bevitori Parthi, liquali pasconsi di cicale. Ho veduto li Agresti Paramesidi: vidi in questa mia longa peregrinatione li Phaseliti popoli di Pamphilia, liquali sacrificano alli Dei di certi pesciolini salati. Ho veduto li Pariani nell'helesponto, liquali adorano l'amore per lor Iddio. Ho veduto li Pedalij, liquali ne lor sacrificij altro a Dio non dimandano, salvo che giustitia: ho veduto il feroce & lauto Pannone: ho veduto li Phigalei vicini alli Messenij tanto vaghi del vino, che habitano nelle taverne & allogano le case à forestieri: Ho veduto i Poltroni Rhegini, li industriosi Seri: & quelli Sciti, c'hanno le case volubili sopra di carri poste: ho veduto li Sauromati che si spesso cambiano stanza, habitano fra l'histro & il Boristene: pratticai con li Suani, indomiti & cavatori dell'oro. Se volessi dir quanti satiri m'habbia veduto sarei troppo prolisso: non mi stendero molto in dirvi c'habbia veduto li ricchissimi Sabei, ò li Sorboti che sono grandi otto cubiti non vi dirò d'haver veduto li Sciopedi liquali dall'estremo calore si diffendeno con l'ombra de piedi: ho veduto i Soriti, liquali viveno di pesce cotto al sole: ho veduto l'efferato Svevo: ho veduto il leggier Siro & alla novita di sua natura inchinato: ho veduto li Sogdij vicini à Bactriani, liquali si lietamente corrono alla morte: ho veduto quelle donne quai chiama Erodoto Selenetide che partoriscono uova, & di quelle n'escono huomini di gran statura: Ho veduto i Sarabaiti sacerdoti dell'egitto vestiti di pelli del porci, & de buoi, & habitano ne forami delle pietre. ho veduto i Scriptovini gelati per le perpetue nevi, i Spartani nemici dell'oro: & dell'argento, & amicissimi del ferro, della qual materia sono anche li danari loro: ho veduto li popoli Siginni, con i lor piccioli & pelosi cavalli: ho veduto li Samij, & il gimnasio che dedicarno all'amore & mi sono ritrovato presente alli sacrificij quai chiamano Eleutheri: ho veduto li amorevoli Sotiani & le horride spelonche de Trogloditi: ho veduto l'isola Taprobana & sonomi ammirato della lor vivacita poi che il campar cent'anni è si poca vita stimato. Sono stato molti giorni con i Thraci, & mi sono riso della lor fragil memoria, non sapendo annoverare oltre quatro: sono stato presso delli Tentirithi, tanto da Cocodrilli temuti: Sono stato con i Tapyri tanto altrui liberali delle lor mogli: Son stato presso delli giusti Tybareni: son stato presso delli Thrausi, dove le femine sono sopra modo innamorate de lor mariti. Son stato presso delli inquieti Spagnuoli: de furibundi Galli, & de animosi Tedeschi. Son stato presso delli Elusii, & delli Oxiomi di volto humanissimi, del rimanente poi simili alle fiere: Se volessi scrivere quanto ho veduto, farei piu alto volume che non fece Livio Patavino: stracco adunque di gir piu vagando: deliberai inviarmi ver casa, dove giunto, fui lietamente da parenti & da amici acarezzato; dil che sempre ne sia lodato Iddio, ilquale vive & regna sin ne secoli de secoli. Amen. NICOLO MORRA ALLI LETTORI. Godi Lettore il presente Commentario, nato dal costantissimo cervello di M. O. L. detto per la sua natural mansuetudine il Tranq. rincrescemi che tu non lo possi godere, come il suo archetipo stava, impero che'l rispetto n'ha fatto mozzar una buona parte, il sospetto un'altra, et il dispetto ha fatto squarciar piu di tre fogli: Se ci fusse cosa veruna che ti paresse Favola; sovengati della nave delle carotte nel cominciamento. Io ti so ben dir come quello che familiarissimo li sono, che non senza gran sudore ci hà dato questo parto, & gli è stato mestieri di volger sossopra di molte & molte carte: Se in qualche cosa ti parerà mordace, & furioso, & maldicente: habbili compassione, perche egli era allhora in croce quando queste cose scriveva, & era pieno di desperatione: havrebbe egli voluto poter rovinare tutto il mondo, & certo s'egli fusse stato di vetro lo havrebbe piu d'una volta spezzato. egli non si è curato di favellare ò di scrivere toscanamente come hoggidi molti si sforzano di fare, ma piu tosto hà voluto scriver nella lingua nellaqual nacque, oltre che fu sempre fin da fanciullo piu studioso d'imitare la lealtà toscana, che la lor dolcissima favella, de gli errori che sono nel stampare occorsi, perdona al stampatore, perdona alla rozza & villa mano che lo scrisse da prima, & anche perdona volentieri alla negligentia del correttore; ilquale haveva allhora il capo pieno de grilli. Sta sano, & giudica candidamente, pigliando questa picciola lettione per un passatempo. Di Vinetia alli XXIIII di Settembre. CATALOGO DELLI INVENTORI DELLE COSE CHE SI MANGIANO, ET DELLE BEVANDE CHE HOGGIDI SI USANO. COMPOSTO DA M. Anonymo, cittadino di Utopia. CON PRIVILEGIO DELL'ILLU- STRIS. SENATO VENETO. AL VIRTUOSO, ET NOBILE S. il S. Gioan battista Luzago. Non potendovi mandar le novelle, che s'erano alli di passati ritrovate sotto titolo di quel frate Cippolla, c'ha meritato d'esser lodato da messer Gioan Boccaccio, vi mando il presente Catalogo, sotto vostro nome publicato, & questo non hò già io fatto per dargli un protettore contra di quelli, che sono piu pronti al calunniare, che all'imitare, ne anche l'ho fatto per essercitar la vostra liberalità di sua natura assai pronta à giovar chi n'ha bisogno; ma l'ho fatto sol perche vi ho sempre conosciuto avido lettore di quelle cose dove io pongo la mano: godete adunque questa picciola lettione, & quando l'havrete ben goduta, fatene partecipi il generoso cavaglier Pompilio, & il molto Reverendo signor Silvio; & qui facendo fine, à tutti tre di buon cuor mi raccomando: Di Vinegia alli X di Settembre. CATHALOGO DELL'INVEN- TORI DELLE COSE, CHE SI mangiano, & delle bevande, ch'hog- gidi s'usano. Vivevano gli antichi nostri nella prima età, detta l'età dell'oro, (vivevano dico) di giande: & delle frondi se ne coronavano le tempie: Cerere poi, donna d'immortal fama & di eterno honore degna, ritrovò il formento: & insegnocci à far il pane: Si visse longo tempo in Italia di polte, si come in Grecia di polenta si viveva, & cosi fu incognita la polenta in Italia, come anchora la polte in Grecia: Ennio nobil poeta, descrivendo una gran fame dice, che i padri toglievano di bocca à figliuoli l'offa, ne fa alcuna mentione di pane: habbiamo per certo grande obligatione à Cerere, & non minore à Carmilia, laquale vi aggiunse il fermento, perche facesse i corpi piu robusti, & ci porgesse piu salutevole nodrimento: Facevasi già il pane à quella foggia, c'hora si fanno i Caci cavalli: poi si ridusse in forma di schiacciata, se è egli finalmente dato figura spherica. Papinio egittio insegnò à mescolarvi l'aniso, & il burro, per farlo piu delitioso: longamente si stette senza pistori: & era solamente opera di femine il far pane, & i pistori erano detti dal pestare. Hor volendo seguitare il mio Cathalogo, parmi d'avisare il lettore della presente operetta, chel non si maravigli punto se non hò serbato quell'ordine ch'egli forse havrebbe voluto: Io l'ho descritto di mano in mano con quell'ordine, che ancho presso de vari scrittori mi è accaduto di ritrovarle: non ho tessuto il presente Cathalogo dalli scritti di un sol autore, ma forse di cinquecento; ne mai havrei creduto, che di si picciola impresa non ne fussi riusciuto con minor sudore, & travaglio di quel c'ho sostenuto. Hora perche l'opera fusse non sol curiosa, ma anche insieme utile, non mi son contentato di dir semplicemente gli inventori delle cose, che vi hò voluto aggiungere l'utilità della cosa ritrovata, non diffusamente, ma sono ito ristretto, quanto piu hò potuto, & dal pesce con favor celeste incominciarò questa mia non inutile fatica. Hirtia figlia di Sesostre Re dell'Egitto, la qual predisse al padre la futura monarchia, fu la prima che mangiasse le Corniolette & le Tinche: Una Lombarda le empi di aglio, & poi di soavi herbuccie. Labissa di Boemia, divinatrice: fu la prima che mangiasse seguzzole, ceppe, & Scolopendre: ma non le mangiò già si delitiosamente cucinate, come hoggidi s'usa di fare. Lementione: fu il primo che mangiasse Bottrici, & lasche, delle quali molto n'abonda il lago di Perosa già detto Trasimeno, dove Romani per temerità di Varro ne hebbero quella memorabil rotta. Agomoncelo prefetto di Alessandro magno: fu il primo che cuocesse, & in tavola ponesse il Schenale, et la Murena insalata: era costui di tanta richezza & di tanto splendore, che si poneva sotto le scarpe i chiodi d'oro. Cleopatra l'ultima reina dell'Egitto: fu la prima, che ponesse in tavola il Dragon marino, & il pesce Milvio: Apparecchiò costei una cena ad Antonio, nella quale spese à conto di nostra moneta ducento cinquanta mila corone d'oro: dal che si mosse Sidonio à chiamar le sontuose vivande: Cleopatricas dapes. L. Neratio scelerato (se altri ve ne fu à suoi tempi) fu il primo, che ponesse in uso di mangiar scazzoni, pesce argentino, & quell'altro pesce, detto da lombardi sputa pane: fa di costui mentione Aulo Gelio: nelle sue notti attiche. Cleope Re dell'Egitto, fu il primo che mangiasse Grancelli, Arcelle, & il pesce Porco: fu costui ricchissimo, & per il smoderato spendere, ispetialmente in far Piramidi si ridusse a tal termine, che puose la figliola in guadagno, per acquistargli il vivere, & la dote. G. Curione, tribuno della plebe, del quale si legge presso di Valerio, che debito facesse seicento sestertij, fu il primo, che facesse marinar il pesce, & si mangiasse il strenzo, & l'agone, la lumaca acquatica, visse longo tempo solitario, & fu capital nemico delle donne. Anchise menocchio: fu il primo, che mangiasse il Cephalo, & che sapesse discernere, che il marino fusse migliore di quello c'habita ne fiumi: è un pesce di sua natura sordido: Vedesi per tanto, nell'alto mare spesso sommergersi, & diligentemente lavarsi: pochi pesci si trovano di maggior numero: & questo avviene per il rispetto, che si porta all'uova loro. Ruffo castricio: fu il primo, che n'insegnasse à mangiar le conchilie, delle quali molto n'abonda Lucrino, il mar rosso: & Bibaga Isola dell'india amenissima. Menade troiano: fu il primo, che mangiasse il Congro, non inferiore di sapore all'anguilla; ma di carne assai piu soda, di figura però simile all'anguilla: Plinio lo puone fra i pesci sassatili: & acciò che meglio io sia inteso, dico che è quel pesce che Nicandro chiama grillo. Archigenio Euboico: fu il primo che mangiasse quel pesce detto Coracino peculiar molto nel Nilo: è un pesce, che frequentemente move gli occhi: ne fa mentione Martiale: dicendo, Princeps niliacis raperis coracine macellis: Pellæ prior est gloria nulla gule. Menandro Trotenio: fu il primo, che portasse alla cucina il pesce chiamato Cordilla: del quale parlando Martiale disse: Ne nigram raptus in culinam, Cordillas madida tegas papyro. Mascronico da torsi: fu il primo, che cucinasse il pesce Corvo: il quale si pasce d'alga, partorisse due volte l'anno, & ha questa proprietà, che nel mare è di color fulvo; & ne stagni, è di color negro, cuocesi nell'aceto, aggiuntovi molto sale. Nello Brentio: fu il primo, che mangiasse Gamberi: ritrovasene in phenicia che habitano i liti, & sono di tanta velocità, che non si possono aggiungere: cuocesi col pepe, & con poca acqua, & molto sale. Mutio marello: fu il primo, che n'insegnasse mangiare di quel pesce detto per nome Cestreo: ilquale ha questa proprietà, che esso solo non mangia dell'altro pesce; onde ne nasce, chel non si possa pigliar con l'esca, nascondesi nel fango, & di quel si pasce, credendosi come s'ha nascosto il capo d'esser tutto nascosto: il Congro è molto vago di mangiarlo, si come la Murena è vaga di mangiare il Congro, & acciò che meglio sia cognosciuto, dicovi che è quel pesce che Theodoro gaza chiamò in latina lingua Mugile. Caridemo pannicio: fu il primo, che mangiasse quel pesce, che si chiama Ciprino: stassi ne fiumi, & hà in luogo di lingua il palato molto carnoso: ma non trovo in qual maniera sel cucinasse. Belluzzo indiano: fu il primo mangiatore di quel pesce detto Cantaro ilquale è della sua femina si geloso amadore, che per lei combatte fin'alla morte, & è cagione quest'amore, ch'egli divenga spesse volte preda de pescatori. Carminio Tolosano: fu il primo, che mangiasse quel pesce detto da volgari Canna: & dal dotto Theodoro è chiamato Hiatula: è di carne molto molle, & per questo lo cucinava con l'aglio, & col zenzero, cuocendolo nel vino per indurirlo. Tiridate Armeno: fu il primo, che mangiasse il pesce detto Ceto, e questo pesce di strema grossezza nel mar Atlantico: n'ho veduto et mangiato di quello che era seicento piedi di longhezza. & trecento di larghezza: & lo vidi entrar nel fiume dell'Arabia, adunque non senza ragione (poi che sono si grandi) disse Statio Armigeri Tritones eunt, scopulosaque cete: & un'altro scrisse, & Imannia Cete. Telephane: fu il primo, che mangiasse il barbo, il quale fu detto barbo, per haver egli la barba nel labro inferiore: Chiamasi per altro nome mulo: la onde si mosse M. Tullio à chiamare alcuni barbatoli, Muli. Tericle da corone, fu il primo che mangiasse di quel pesciolino detto Boca, ilquale manda fuori la voce simile à un mugito, adunque diremo non esser vero il proverbio: è piu muto, che non è il pesce. Vatinio malleno: fu il primo che mangiasse il carpione, & non lo mangiava mai caldo, ma freddo: è di pretiosissimo sapore nel lago di Garda, dannosi ad intendere i gardesani, che altrove non se ne trovino, ma io so che s'ingannano, imperoche n'hò mangiato in schiavonia, & in Francia de si buoni, quanto sieno li loro. Harmonida: fu il primo, che mangiasse di quel pesce, che noi chiamiamo citharedo, ilquale fu cosi chiamato perche dalla coda infin'al capo, hà certe linee à guisa di musical stormento: trovassene gran copia nel mar rosso. Calonio trombetta fu il primo, che mangiasse l'acipensaro, ilquale hà questa proprietà chel se ne va contra l'acqua con le scaglie alla bocca rivolte: fu egli già in grandissima reputatione, & spesse fiate per la sua rarità fu desiderato nelle sontuose mense di Claudio, di Tiberio, di Vitellio, di Galieno imperadore, & di Eliogabalo: ch'egli fusse raro lo dimostra M. Tullio ne libri di Fato: et non men chiaro lo dimostra Plauto: di questo nobile, & saporito pesce, ne favella Martiale, cosi dicendo. Ad Palatinas accipensera mittite mensas. Ambrosias ornent munera rara dapes: mi maraviglio di Plinio, che dica al suo tempo esser stato tenuto fra li pesci ignobili. Stasicrato Romano: huomo infinitamente goloso, fu il primo che mangiasse l'asola: che per altro nome si chiama Crissa: ma le piu lodate sono quelle, che si trovano nel tebro. Phereclo da sessara, fu il primo, che cucinasse il pesce attilo, ilquale s'ingrassa per la pigritia, trovassi molto nel pò; & alle volte se n'è pescato mille pesi: & è stato di mestieri trarnelo con i buoi. Perillo: fu il primo che mangiasse l'orata: & Sergio fu il primo che n'habbi instituito i vivai, donde anche ne prese il nome, & chiamossi gergio orata: è simile al color dell'oro, & è il piu timido pesce che si ritrovi: nascondesi nel reflesso del mare sotto le radici degli alberi littorali: spaventato poi dall'agitatione delle frondi. si lascia prendere: usa il coito col fregar del ventre & concepisce l'uova: Le migliori, che si mangino (al mio giudicio) sono quelle del lago Lucrino: Parlonne Martiale, & disse: Non omnis laudem prætiumque aurata meretur. Nicearco: fu il primo, che mangiasse l'anguilla, & cosi chiamasi per la sembianza, che ha con l'angue. Solo l'anguilla morta non nuota fra tutti i pesci: Vivono per spatio d'otto anni, & possono durar senza star nell'acqua per ispatio di sei giorni: Vogliono l'acqua limpida, & che fluisca & refluisca: la state non soffrono mutatione di luogo: la vernata si: sene trovano, & io l'hò vedute nel fiume Gange, di trenta piedi: Aristotele dice nella sua storia non esser ne maschio, ne femina: Sono frequenti (si come Plinio mi dice) nel Benaco: pur le migliori sono quelle del Timavo. Il primo che mangiasse la Mustella pesce simile all'anguilla: fu Basilio corcirense. Del mangiar le Arenghe fu l'inventore Meleagene: è un pesce, che di sola acqua si nodrisce: di lui ne trovo memoria presso di Columella, & di Martiale. Del mangiar l'Aphia fu l'inventore Arcesilao: è un pesce minuto, generasi d'acqua, & di pioggia: Ecci il proverbio tra quelli che Diogeniano raccolse: Aphia in ignem: non appena veduto hà il fuoco che è cotto: Usasi tal proverbio quando vogliamo significar una cosa che subitamente muoia, & si consumi. Il primo che mangiasse le Mene fu Demetrio Albanese: questo pesce è picciolo, la vernata è candido, & l'estate nero. Del mangiare il Gobbio: fu inventore Damone Atheniese: è pesce di eccellente sapore, ma di pochissimo nodrimento: vene sono di due sorti, bianchi, & neri, ma il bianco è migliore: quanto fusse pel passato in reputatione, cel mostra Giovenale, dicendo. Ne cupias mulum cum sit tibi Gobio tantum, & Martiale scrisse: Principium cœnæ Gobius esse solet: gode molto dell'Arena, & del starsi in compagnia; si che non immeritamente è posto fra i pesci gregali. Il primo che mangiasse l'oligine fu Termilio provenzale, è fra i pesci molli. Del mangiare il pesce Garo: fu inventore Zenodoto da Smirna: Scrive Plinio, che il fele di cotesto pesce, & fresco, & invecchiato, col vino è utilissimo alle sorde orecchie. Sinesio Cirenense: fu il primo che mangiasse la Lampreda, & di tal nome fu chiamata, per esser avezza à leccar le pietre. Erodoto Cipriotto: fu l'inventore di mangiar le Testugini, che viveno nell'acqua dolce: i Latini le chiamano Lutarias testudines: et i Greci le chiamano emidas. Il primo che mangiasse il Lacerto, fu Orlio Normano, è pesce attissimo da salare, se ne veggono de grandi nella Arabia, ma maggiori sono quelli dell'india. Labieno dorico: fu l'inventore di mangiare il Lupo pesce: dalla voracità sua, & dal nuotar solitariamente cosi detto: quel de fiumi è miglior del marino: i piu eccellenti si pigliano nel tevere, fra dui ponti, hà mortal nemistà col mugile, i migliori hanno la carne molle: & candida come neve. Polibio di Megara fu il primo inventore di mangiar il Pectunculo: è un pesce senza squame: Gelio annovera fra li eletti et preciosi cibi, il Pectunculo di Sio. Pur per quanto hò io gustato, sono migliori quelli di Metelino: Oratio da la palma à quei di Taranto dicendo: Pectinibus patulis iactat se molle Tarentum. Il primo che mangiasse Testugini fu Archelao da Smirna, giova questo cibo molto alli Tisichi, lienosi, et à quelli che patono il mal caduco: & bisogna mangiarne assai ò niente. Diogene fabro di Egina: fu il primo, che portasse in tavola quel pesce detto da latini pediculus: è veramente (come si dice) il parasito del Delphino, seguitando l'esca & la preda di quello, & volentieri ne lo fa partecipe, & di qui nasce che sempre si ritrovano grassi. Iasone Salamino fu l'inventore di mangiare la passera: è un pesce piano, & dall'uccello prese tal nome: è ottimo cibo, & à golosi grato. Archelao da Lisbonara, fu il primo mangiatore del Rombo: è anch'esso piano, ne molto dissimile dalla passera: & fu già in maggior delitie c'hora non è: i piu lodati erano quei di Ravenna, et davasi il secondo luogo alli adriatici: ne parla Giovenale nella quarta Satyra: cosi dicendo: Incidit Adriatici spatium admirabile Rhombi. Il primo che mangiasse le lumache terrestri, fu Cheroso da Melara, Festo Pompeio dal limo, limoci le chiama, Fulvio Hirpino fu il primo che ne facesse i vivai, & le ingrassava col farro, & con la sapa. Glauco petricono: fu il primo che mangiasse la rana: vi sono delle terrestri, & delle acquatice: le terrestri, chiamansi da latini Rubetæ: le acquatili usano il coito di notte, invitando il maschio la femina à uscir dell'acqua sul lito: nell'isola Seripho, sono tutte mutte, ne possono con il lor gridar significarci la futura pioggia (come fanno le nostre) Theofrasto attribuisce tal accidente, alla smoderata frigidità delle acque dove habitano. Optato Heliptio prefetto dell'armata sotto Claudio principe, fu il primo che mangiasse il Scaro: Lo portò dal mar Carpathio, & lo disseminò tra il Seno d'hostia, & di Campania: hebbe già pel passato grande honore nelle mense: Eliano lo chiama salacissimo, & fuor di modo lussurioso: chi ne vuol far preda, pone la femina nel lito, & egli per amore che le porta, doventa facilmente prigione: Scrive Opiano, che solo rumina l'herbe, & nuotando si pasce: Scrive Suetonio, che i fegatelli, & le viscera de Scari, erano nel piatto di Vitellio fra le prime delitie, dove similmente erano mescolati cervelli de Fagiani, & de pavoni, con lingue de phenicopteri, è un'ucello che ha le penne rosse, la cui lingua stremamente lodano Apitio, & il goloso Martia. Phrinonda Tebano: fu il primo che mangiasse il Scombro: è di questa proprietà, che nell'acque egli hà il color sulphureo: & fuor delle acque, lo ha simile alli altri pesci: ecci un'Isola in Spagna, laquale si chiama scombraria, dalla moltitudine di questo pesce: ne confini di Cartagine, per il testimonio di Plinio vi si trovano i migliori. Anasarco Cipriotto: fu il primo, che mangiasse il Salmone: è questo si perfetto nell'Aquitania, che è preferito il fluviatile al maritimo: Se ne trovano de buoni nel Reno, & così nel Rodano. Democrate Troiano fu il primo che ritrovasse la Salpa, laquale cuocer non si pò, s'ella non è percossa molto bene dalla ferula. Alcimenone Atheniese: fu il primo, che mangiasse il pesce Sola: è un pesce piano & largo, & numerasi fra i piu dilicati cibi: sana la milza se egli vi sia sopra posto. Dimanta Corfuotto: fu il primo, che mangiasse le spongie, & è da sapere, che ve ne sono di tre sorti, spesse, rare, & aspere: tutte nascono però à torno à sassi, ò vicino alle riviere, & si pascono di lotto: le piu molli l'ho ritrovate circa la Licia: in l'Elesponto si trovano le aspere, & le spesse habitano circa il promontorio di Malea: le piu triste sono quelle che si chiamano aplisie. Aristodemo di Argo nobile architetto: fu il primo che mangiasse strombi: sono di schiatta de conchilij, et hanno un Re qual sogliono seguitare dovunque egli va, è di buono augurio à chi li piglia, & à chi lo vede: Hò letto, che apresso de Bizantij si proponea una Dracma attica a chi ne pescava. Thrasea stoico severissimo fu il primo, che mangiasse la Squatina: è della sorte de pesci piani: ha la cote rigida, è numerato fra i Cartilaginosi: vogliono alcuni scrittori li quali prima di me trattarno cotal materia (benche piu parcamente) che costui anchora fusse l'inventore del sparolo: è un pesce picciolo, & vile, ne parla Martiale, dicendo: Res tibi cum Rhombo est, at mihi cum sparulo. Il Temalo da Latini detto Thymallus, fu prima mangiato da Cassandro Epirota, La maggior grandezza è d'un cubito, è mezano tra il lupo, & il cephalo: sel si accosta al naso, egli spira l'odore di quell'herba donde ne prese il nome: habita nel Tesino, & nell'Adige: è bello da vedere, & soave da mangiare: di lui favellando un nobilissimo scrittore disse: quod mella fragrant, hoc tu corpore tuo spiras. Quirino Capovano: fu l'inventore delle Trisse, c'hoggidi à Roma si chiamano laccie: & à Napoli alose, le migliori sono quelle del tevere: Scriveno alcuni non indegni d'esser posti fra i primi scrittori, che nell'egitto attorno il stagno di Moroa, si pigliano con melodie, & canzoni flebili. Sisipho di Achaia ladron solenne: fu l'inventore di mangiare il Tonno: solito è questo pesce navigar la primavera nel ponto Euxino. Scrive Strabone, che in ispagna sono di strema grandezza, & che si pascono di giande: il capo & la pancia soleva mangiar freschi, & il rimanente conservava nel sale: ingrassansi mirabilmente, ne campano piu di dui anni. Theseo bizantino, che fu mediocre poeta, fu l'inventore di mangiar tricchie, quai chiamano alcuni Sarde: Di questi parlandone Plinio scrive: Intrantium Pontum soli Trichiæ, non remeant. Titto Valgio Romano: fu inventore di mangiare il pesce rondine, il pesce tordo, il pesce calamaro, le trotte, & le Agulie, & i lucci, il fele de quali, giova alla vista, & forse, che fu detto luccio, perche giova alla luce. Emilio lepido: fu l'inventore di mangiar le agole, le boggie, & i cavedoni. Asmondo bertono, fu il primo che mangiasse la gobetta, il dentale, & il sturione. Callimaco da Granopoli: fu il primo che cuocesse il pesce, sulla craticola, bagnandolo d'olio d'aceto, et di sale, hor con la salvia, & hor col ramarino. Philone Dalmatino fu il primo, che ponesse, et mangiasse il pesce in gelatina, mescolandovi per dentro delle frondi dell'alloro, et per tal inventione ricco divenne. Phormione Affricano, perfido ladrone, fu l'inventore d'insalar il pesce, al medesimo si attribuisce, che primo insalasse l'oche, & l'altre carni, ma certo non ne sono, & però taccio. Gasperia comasca femina virtuosa & pudica (si come à nostra età sogliono esser quasi tutte le donne comasche) fu la prima che empisse alcuni pesci di herbe, di marasche, di uva passola, di aglio, & altre cosarelle. Hippodamia Rauraca, fu la prima, che cuocesse il pesce hor nel vino, hor nell'aceto, & che vi accompagnasse il petrosello, le noci, & la Sapa. Sabino Galla fu il primo facitore de pasticce cosi di venagione, come anche di carne domestica: Il figliuolo poi che di lui nacque, & fu cuoco del Re Clodoveo: fu il primo che facesse pasticci di cotogne, di pera, di marasche, & d'altre cose. Gasparone da velitri musico perfetto, fu il primo che mangiasse piccioni di sotto panca, conservasse la carne, & gli uccelli, ispetialmente le quaglie, & le starne nell'aceto. Clemente da Chiavari, fu il primo facitore de migliacci, & fu il primo che mangiasse franguellini, lucarini, & la squassa coda. Menippo da Sessa legnaiuolo, fu quel che ritrovò il mangiar brasuole, & soppressate, il mangiar splecco, & le trippe di capretto con cacio, petrosello, & spetie dolci. Montino da Cesenna picicaiuolo, fu il primo, che mangiasse polpette nel schidone, entroponendovi lardo, spetie, salvia, & aglio. Flavio montello scarpolino, fu il primo che introducesse nelle tavole il cuocere la carne ne tegami, con prune, marasche, pera, & altre cose atte ad eccitar lo appetito a un morto. Phoco albanese soldato valoroso, fu l'inventore di mangiare la frigilla, che in alcuni luoghi d'Italia, chiamasi il frinco, da latini fu detta Frigilla per il freddo, nelquale è solita di cantare: habita l'estate ne loghi caldi: & la vernata ne freddi: del medesimo stimasi l'inventione della Folega: habita questo ucello vicino a laghi & dal colore ch'essa ha fulica fu chiamata: è alquanto maggiore d'una columba: è presaga della tempesta: è di tanta importanza questo ucello, che ha meritato che di lui favelli Vergilio nel. I. libro della Georgica. Il primo mangiator del capone fu Melanthio soriano: s'ingrassano col mele mescolato con la farina di miglio. Il primo che mangiasse l'ucello detto la Cassita fu Corebo di Marsiglia: fa il nido nelle biade, in quel tempo apunto che si apparecchia di far la messone. Albidio Siracusano fu il primo che habbi mangiato il gallo, ilche davanti non si fece per la gran riverenza, essendo messaggiero della futura luce, gratissimo a Latona, per esser stato a suoi servitij, quando ella partori, fu di piu carissimo servidore di Marte, & in questo ucello fu per ira tramutato, non essendo stato vigilante a far la guardia mentre teneva Venere fra le sue braccia: la favola è nota, ne fa (per quanto credo) mestieri che in questo luogo piu diffusamente ve la spiani. Scrive Lucretio che i lioni n'hanno gran paura: a me non s'appartiene a dirne altro, salvo chi sia stato l'inventore di porli in tavola cotti: chi ne vuol saper distesamente, legga il terzo libro di Varrone, nel nono capo. Palemone Alessandrino, fu il primo che mangiasse la Galerita, cosi detta dal galero, che l'ha in capo. Scrive Plinio, che se ella si mangia arrostita sanarsi incontanente il difetto del Colon dove si causa il dolor colico. Formiano Messanese, fu il primo che cuocesse et mangiasse galline. Scrive Alberto magno essersi ritrovato in Macedonia una Gallina laqual fece diciotto uova, & di ciascuno ne nacquero dui pulcini. Scrive Plinio che le galline di villa hanno in se religione & molta. L. Tigellino Epirota fu il primo che mangiasse la merla: suol questo ucello di negro diventar di color rufo: canta la state, & la vernata balbutisse, & circa il solstitio divien in tutto muta: partorisce due volte l'anno, & ama stremamente il tordo. Licinio florido fu il primo che mangiasse perdici, lequai sono sopra modo lussuriose: sono consacrate a Giove, & a Latona: le perdici della Paphlagonia hanno dui cori (se il vero dice Theophrasto) & s'impregnano sol in udir la voce del maschio. Novellio Cresta fu il primo, che habbi mangiato palumbe: elle viveno trenta anni, & infermando si purgano con l'alloro: fanno i lor nidi ne gli alberi & nelle sepi. Ortensio Romano nobilissimo oratore fu il primo che amazzasse il Pavone, solito di vivere sino a vinti cinque anni. È uno essempio d'invidia, & di vanagloria. Il Pavone di Samo è reputato il piu dilicato. ama le columbe. Essendo Alessandro in India, vidde il Pavone, & rimase tutto attonito di tanta bellezza: per il che comandò che niuno havesse ardire d'amazzarlo. Agamontino Persiano fu il primo che mangiasse fagiani: liquali presero il nome da phasi fiume di Colchi. sogliono morire da pidocchi mangiati se non si spolverizano ottimamente. Spondillo calabro fu il primo mangiatore de tordi, liquali fanno il lor nido nelle sommità de gli alberi. sono loquacissimi & grandemente sordi: di modo, che ne ha fatto luogo al proverbio, piu sordo che non è il tordo. sel si arrostisse con le bacche di mortella, giova a la dissenteria mirabilmente. Quirino Sabinello fu il primo che habbi mangiato Tortore, lequali sono molto amiche de Papagalli, & amiche di castità. Al medesimo si attribuisce l'haver prima d'ogni altro mangiato francolini, & pavoni di India, dellaqual cosa n'andò longamente altiero. Taigeto rodiotto medico eccellente fu il primo che mangiasse la Lodola, da greci detta corydalus, vogliono Plinio & Svetonio ch'ella desse il nome a la legione detta Alauda, della quale fa mentione il mio M. Tullio scrivendo ad Attico. Ve ne sono di due sorti, l'una ha la cresta, & l'altra n'è senza, & è di minor corpo. Apidano Cretense fu il primo che mangiasse l'ucello detto Apiastra: perche si mangia l'api molto ingordamente. Pelusio Normano fu il primo mangiatore di quello ucello detto da latini Ardea: & parmi cosi detto quasi ardua, per l'altissimo volo ch'egli fa. Fa di questo ucello mentione Vergilio dicendo, Notasque paludes deserit, atque altam supra volat Ardea nubem: prenuntia ne le arene stando la futura pioggia, & cosi fa quando troppo alto vola. Cattheo da Pisa architetto espertissimo fu inventore di mangiar l'attagena, ucello Asiatico, & annoverato da golosi fra i piu dilicati cibi. Sono piu saporiti quelli che nascono in Ionia. Ha questa notabil proprieta, come è fatto prigione diventa subito mutolo. Alessandro Etholo poeta fu il primo che mangiasse l'oca, la cui natura è di calidissimo stomaco, & percio la veggiamo vaga di herbe fredde, & dalle acque irrigate: & anchora che di pascer herbe & varie frondi vaga sia, non tocca pero mai l'alloro. Lodossi gia il cuor dell'oca fra i lodatissimi cibi. Scipione, o Metello, overo Sessio, che fra questi tre batte la cosa, fu il primo che ingrassasse i fegati con il latte, & con il vin cotto, & che se li mangiasse. Pelione Thesalo: fu il primo, che mangiasse que uccelli detti Alectoridi: sono di becco longo, pigliansi nelle sepi degli orti, & delle vigne: n'è cagione il troppo amore che portano all'huomo. Callibretto di Smirna: fu il primo, che mangiasse l'anitra: egli è ben vero chel non soleva mangiare salvo che il petto, e quella parte che noi chiamiamo la cervice: infermando, soglionsi purgare le anitre con un'herba detta siderite: le pontiche, si pascono di veleno. Theramene mitileneo, fu il primo che mangiasse Cicogne: Scrive Cornelio nipote al tempo di Augusto esser stato in maggior pregio le cicogne, che le gru: ma che poi al tempo di Vespesiano mutossi appetito & cangiossi voglia: non hanno lingua, & sono da Thessalli nodrite contra i serpenti: Scrive Eliano, che per beneficio delli dei in alcune isole sono in huomini tramutate: solevasi scolpir l'imagine sua ne regali scettri, per manifestare la pietà, & lindustria di che natura le ornò: Sogliono nodrire i parenti quando sono invecchiati, ne più per lor stessi si possono procacciar il vitto: havendo da combattere contro de serpenti, soglionsi fortificar con l'origano. Gavro perizone da Sio: fu il primo che mangiasse coturnici: non durò longo tempo la gratia loro, nelle nostre mense, poi che ci fummo aveduti, che elle si pascevano di velenoso seme, & che solo fra gli ucelli era soggetta al mal caduco: fanno il lor nido nelle biade, ò vero ne luoghi graminosi. Lucio neratio da Metelino fu il primo, che asaggiasse del columbo: è consecrato à Venere, ne usa il coito, sel non manda prima avanti il bacio: Serba fede nel matrimonio: infermando, purgasi con un'herba detta helsine: Ama grandimente i Pavoni, et odia l'aquile, & li Sparvieri: Al medesimo inventore si attribuisce d'haver prima de gli altri mangiato il beccafico. Diomede Pescennio: fu il primo, che mangiasse starne fresche, Taine, Erbolane, Cedroni, Mulacchie, Fatapij, Passere, Barattoli, Germani, Farciglioni, Avelie, & Capitorzi, fu molto virtuoso in tutte le virtu. Nello farullo: fu il primo c'habbi mangiato il botaccio, il Sassello, la merla aquaiuola, il pettirosso, il piombino, il pescadore, la rovesta, la scaverciaccia, la Calandra, il monacho, il Calenzuolo ucello dalla natura indorato. Sisigabo: fu il primo che mangiasse la Spaiardola, il riatolo, il codirosso, & il codilungo non sol arrostiti, ma anche nel tegame. Tiro da Forlimpopoli: fu il primo che mangiasse l'Oca marina: fu anche il primo c'habbi arrostito la gru nel schidone, et credesi esser stato il piu tristo huomo che mai terra premesse. Petronio galeso: fu il primo huomo che mangiasse mai Ghiri: Sonvi però alcuni, che attribuiscono cotesta inventione a Q. Scauro: dormeno i Ghiri tutta la vernata, & l'estate ringioveniscono: inducesi presso di Martiale à favellare in cotesto modo: Tota mihi dormitur hiems, & pinguior illo tempore sum quo me nil, nisi somnus alit. Phereciano di Thessaglia: è stato il primo, c'habbi posto i capretti intieri su le tavole, arrostiti, & di aglio, & di petrosello pieni. Camillo da Venaffro: è stato il primo, che facesse mai insalata delle interiora de polli: Al medesimo si attribuisse d'haver prima d'ogni altro mangiato le coradelle minucciate con cipolle per dentro et buone spetie. Cucculo da Granopoli: stimasi esser stato il primo, che mangiasse mai pasticci, ò vero paste: fannosi à questo modo, si minuccia la carne, & vi si pongono per dentro delle spetie: del grasso di vitella, et altre coseline non ingrate al palato come pruna, marasche, et uva passa. Ebuso Pirolo da monte ilcino: fu il primo che mangiasse funghi, et freschi, et insalati, con il sapore, & perche non li nocessero freschi essendo, li cuoceva per dentro delle pera selvatiche: Trovansi di piu spetie funghi, & Galeno li chiama tutti pernitiosi: de Funghi parlando, Dioscoride scrisse. FUNGORUM ALII GENERE, ALII COPIA, LAEDUNT. Hippomenio da Tholosa: fu il primo che mangiasse quella vivanda detta in alcuni luoghi caritea, laqual si usa la state piu che la vernata, entranci ova, carne minuta, aceto, cacio, petrosello, et spetie dolci, uva passerina, & marasche secche. Soriano comasco: fu il primo che frigesse il pane nel butiro, benche alcuni affermino esser stato un'Abrucese, & in testimonio di ciò adducono, che insino al di d'hoggi si dica Abrucese pan unto. Del far primo ravizze con l'agliata dassi l'honore à coradina da pozzolo luogo ameno di Lombardia. Di cuocere le porchette da latte piene d'aglio, serpillo, & lardo pesto: fu inventore Melibeo da Tolosa ladro & tristo quanto esser si possa. Il primo che mangiasse luppoli, pastinache fritte, cocumeri, zucche nostrane, & indiane: fu Melibea da Belinzona: una sua figlia poi ritrovò di cuocerli per dentro dell'uova sbattute, & poseli nome zucche maritate, & fino al di d'hoggi cosi si chiamano in Lombardia. Alla medesima si attribuisce l'inventione della peverada qual usano i contadini la vernata ispetialmente nelle montagne Trentine. Oldrico svizzaro: fu il primo, che mangiasse in minestra Orgio, & Avena pesta, era costui bellicoso à maraviglia. Clemente d'Augusta: fu il primo che mangiasse la mosa fatta d'uova, di latte, & di botiro, con spetie di sopra: al medesimo si attribuisce l'haver prima mangiato il stoc fis. Balaustio panormita: fu il primo, che mangiasse capre, & selvatiche, & domestice: le salvatiche sono migliori: non perseverarno le capre di venire alle nostre mense longo tempo per non esser mai senza febre: spirano per gli orecchi, & non per le narigie, come fanno altri animali. l'urina loro calda, sana gli orecchi: n'hò veduto in Affrica grandi come cavalli. Mintio carbonaro di Tolosa, fu il primo mangiatore de cervi, de quali, sol i maschi hanno le corna (per l'opinione però di alcuni scrittori) non dimeno leggo presso di Euripide queste parole: ti darò una cerva cornuta per mano delli Achei, qual sacrificherai per tua figliola, leggo anche presso de poeti, che la cerva ispugnata da Hercole, haveva le corna: un Claudio da Granopoli fu il primo che ne facesse pasticci all'usanza francesca. Prometheo fu il primo che mangiasse carne di bù: v'era già una lege che vietava sotto grave pena, ch'egli non si uccidesse, per esser ministro di Cerere, & compagno dell'huomo nell'esercitio dell'agricoltura: dal cadavero bovino, ne nascono l'api madri del mele. Laberio Egittio: fu il primo che mangiasse il porco, la cui carne preferisce Galeno à tutte l'altre: Se l'è castrato piu tosto s'ingrassa: Non possono vivere nell'Arabia, è consagrato à Cerere, & nelle leghe di amicitia, si soleva amazare il porco. Taborro Egittio: fu il primo che mangiasse il Cingiale, & Plinio dice che P. Servilio Rullo fu il primo che lo ponesse intiero su le mense Romane: il che non penso però che discordi: li cinghiali dell'India hanno i denti longhi un cubito: in Creta, & in Affrica, non se ne ritrovano: quando l'è amalato si medica se stesso con l'edera. Cremide Egittio: fu il primo che mangiasse dell'humil pecorella: le buone pecore, deveno esser di gran corpo, di lana molle, & densa, di ventre peloso, & di humil gamba: le migliori pecore, & le migliori lane, sono (per il parer di Plinio) le italiane: hanno il secondo luogo le Milesie, & di gran reputatione sono le pugliese, le tarentine, le canusine, & in Asia le laodicene. Marino rhetico: soldato tremebundo, fu l'inventore di mangiar le Camoccie, & di cucinarle dilicatamente: Vede questo animale tanto di notte, quanto fa di giorno, ne mai si li veggono gli occhi lippi: un suo nipote, fu poi l'inventore di mangiare le Damme, animal timidissimo, delle quali favella Martiale à cotesto modo: Dente timetur Aper, defendunt cornua Cervum. Imbelles Damæ quid nisi præda sumus? Del medesimo, credesi esser stata inventione, il mangiare quei animali simili alle capre: i latini li chiamano Musimoni: & in alcune parti di Lombardia si chiamano Stambecchi: veggonsi frequentemente in Alemagna, ispetialmente nelle montagne de Rheti Alpini, hoggidi chiamati Grisoni. Potamone Soriano: havendo isperimentato, che il latte camelino era dolcissimo: incominciò à mangiar del Camelo cibo per avanti non usitato: è un animale molto nemico del cavallo, & campa alle volte sin à cent'anni: Se si arrostisse il cerebro del Camelo, & sia bevuto con l'aceto, giova mirabilmente al mal caduco: il fele, posto col mele, sana la scarancia: la coda arrostita scioglie il ventre, & la cenere del suo sterco con l'olio, increspa i capelli. Attalico di Cidonia fu l'inventore di mangiar carne di Lepre, la qual dorme co gli occhi aperti: riposasi il giorno, & vassene vagando la notte: se si conducono in ithaca (che fu la patria di Ulisse) subitamente moiono: Partoriscono ogni mese: intorno Brileto, Tharne, & nel Chersonesso, hanno dui fegati: Era vecchia superstitione, che chi ne mangiasse, doventasse bello per sette giorni: fa di questo fede Martiale: così scrivendo: Cum leporem mittis, semper mihi gellia mandas: Septem formosus marce diebus eris. Bubalino spagnuolo cittadino di Concha: fu l'inventore di mangiare conigli, animali fecondissimi, & vaghi d'habitare nelli incavati antri, come testifica Martiale, così dicendo: Mostravit tacitas hostibus ille vias. Gaudet in effossis habitare cuniculus antris. Licasto Caldeo, fu l'inventore di mangiare l'uova cotte col botiro fresco, & di farne frittate, ò vero pescio d'ovo: fu similmente sua inventione di cuocerle nel fuoco, & nel tegame con ottime spetie, & agresta. Partusio da Nicopoli, fu l'inventore di far torte de vari legumi, herbe, & frutta. Libista contadina Lombarda da Cernuschio: fu l'inventrice di far raffioli aviluppati nella pasta, & di spogliati detti da Lombardi mal fatti. Macharia da Cremona: fu l'inventrice di far le tartare, & di cuocere quella compositione, che dalle noci si chiama nosetto: ravolta questa ne Cavoli: in alcune parti d'Italia chiamansi caponi: L'è il nosetto una vivanda, che si usa la quaresima in alcuni luoghi di Lombardia, & spetialmente in Milano. Marina da Offlaga: fu l'inventrice de Fiadoni, & de Raffioli di Enola, & del mangiare herbe amare. Melibea da Manerbio: fu l'inventrice de casoncelli, delle offelle, & delli salviati: fu costei donna di grande ardire, & è chiara cosa, che con le proprie mani amazzò un'orso di grandezza mostruosa. Meluzza comasca: fu l'inventrice di mangiar lasagne, macheroni con l'aglio, spetie, & cacio, di costei fu anchora l'inventione di mangiare formentini, lasagnuole, pinzoccheri, vivaruolo: mori di ponta, & honorevolmente fu per le sue inventioni sepelita. Il primo, che ponesse in costume di mangiar appio, fu Lanieno: prima se ne coronavano solamente le tempie quando eravamo vincitori in Nemea: così referisce Plutarcho nella vita di Timeleonte. Claritia da Cremona: fu l'inventrice di mangiar fagioli col pepe, con l'aceto, col sale, & olio, asciutti però, & non con brodo. Camena da Piperno: fu l'inventrice del mangiar ceci, cicerbita, & lenti con molto aglio et salvia per dentro. Camilla anconitana: fu l'inventrice della fava menata, ben'oliata, ben impepata, & vi poneva per dentro il porro, ne la reputava buona se non era tanto tenera, che l'entrasse per un fiasco. Il primo che usasse nelle vivande l'Aneto fu Bacchio di Corintho, il seme suo (se il vero scrive Avicenna) è giovevole alli dolori, & il seme anchora bollito & odorato rafrena i singhiozzi. Coccolina da Lucca: fu l'inventrice di far composta di rape, di carotte, di zucche, & de poponi: & fu anche quella che prima pose il fenocchio, le pesche, la basiggia, & i cocumeri nell'aceto. Calandrina da Pistoia: fu l'inventrice di por l'olive in compagnia del rostito, di far le empiture de gli ucelli, & di mangiar le trippe di Vitello, di bue, di porco, & di capretto, & ponevaci per dentro delli aglietti, ò vero porretti, & di quelle spetie di Pistoia, che avanzano tutte l'altre. Il primo che usasse aniso, ne condimenti delle vivande, fu Creusa da Megara: molto lo commendò Pithagora, toglie li insogni se l'è sospeso al capezale. Menina briancesca, fu l'inventrice della salsa verde, & della limonea, gratissima ad ogni sciocco appetito, fassi ottima a Milano nel monister maggiore per quelle sante mani di D. Anastasia cotta. Meridiana da Cesenna, fu l'inventrice di far le minestre col latte di mandorle, & di far le rossumate, & alcuni altri intingoli saporitissimi. Melina da Reggio fu l'inventrice del fare le insalatte delle carotte, & di far cuocere i caci cavallucci nel schidone con prestissimo fuoco, & col sopraporvi zuchero, & canella copiosamente: la medesima fu inventrice di far quel rosto, che si chiama rosto annegato. Calidonia Brunella: fu l'inventrice del sapore fatto di nocelle, di far baldoni, lucanica fresca, insalata, et delle tomacelle, per le quai cose, venne in gran riverentia il porco, che prima si schifava, & crebbe piu quando furono asaggiati i salciciotti, & le mortadelle. M. Apitio: fu il primo, che n'insegnasse mangiar le angurie, in cotesto modo, facevali dentro un buco et vi poneva dentro di molto zucchero; poi chiudeva, & facevalo star dui giorni al sole, & due notti alla rugiada, avanti che li mangiasse. fu costui si goloso, che havendo udito dire, che nella Libia nascevano ottime Carice, subitamente vi navigò, & trovando non esser come gli era stato riferito, maledisse la Libia, & chi vi habitava. Costui fu anchora il primo, che giudicasse esser la lingua del Phenicoptero di perfettissimo sapore. fa di costui mentione Martiale nel undecimo libro de suoi Epigrammi. Il primo che usasse la Satureia detta per altro nome Timbra fu Marcello Egineta: eccita Venere perciò fu detta Satureia, quasi Satireia, perche li Satiri sono molto pronti alla carnal libidine. Aristoxeno Cireneo: ritrovò quella vivanda detta dalli piu interni Lombardi Ciambaglione: fu costui si studioso della gola, che inaffiava la sera le lattughe col vin cotto, acciò fussero di piu dilicato sapore, & piu largamente crescessero. Sanctra golosissimo, delquale cosi scrive Martiale: Nil est miserius, nec gulosius Sanctra: fu l'inventore delle rossumate, del brodetto, & di quella vivanda detta cardinale. Il primo che mangiasse delle lattughe per medicina fu Augusto, per consiglio di Antonio Musa suo medico. Susanna Melina, fu la prima che mangiasse porcelana, persuasa di rafreddar per cotal mezo la lussuria sendo molto fredda. Phagone da Smirna, fu quel che n'insegnò condir i fegatelli di porco col suco di mele rancie agre, & col pepe: essendo una fiata questo giottone introdotto alla Tavola di Aureliano: mangiò un porco selvatico intiero: cento pani, un porcello domestico, & un castrato: cotesto non vidi già io, ma Flavio Vopiscolo narra diffusamente, & per cosa verissima l'afferma. Astidama Milesio: fu il primo che accompagnasse l'uva moscatella con il rostito; questo è quell'Astidama, ilquale essendo chiamato à convito da Ariobarzane persiano solo mangiò quanto era stato apparecchiato per tutti i convivanti. Alessandra da Carinola: fu la prima che facesse le conserve rosate, le schiacciate di mandorle, & confettasse i zenzovini. Laufello Toledano, fu il primo che ritrovasse il bianco mangiare, chiamanlo i Greci leucophagon: fu costui ottimo mariuolo. Cornelia calandra: fu l'inventrice de susameli, mostacciuoli, & pastidelle: & per questa inventione fu gratiosissima. Camble Re de lidi: fu il primo che mangiasse lattimele, cagliata, & delle ricotte fresche: hora col mele, & hora col zucchero, fu costui si gran mangiatore, che si mangiò una notte la moglie, di questo ne fa fede Musonio autor greco. Galba imperadore: il cui studio fu tutto nel mangiare: vi aggiunse l'acqua rosa, & il sale, perche si tosto come suole nel stomaco non si corrumpesse. Vedio Pollio fu il primo che accompagnasse il cacio con le frutta: era costui si vago de le cose dilicate, che gettava i servi ne le piscine, accioche i pesci doventassero di piu grato sapore mangiando le carni humane di sapor dolcissimo. Caligola, ilquale consumò quasi tutto il thesoro che li lasciò Tiberio in far sontuose cene: fu il primo che formasse di zucchero, pesci, funghi, castagne, torte, rafioli, & altre cose, il che si usa al presente in Napoli madre de le delitie. P. Gallonio fu il primo che confettasse i cotogni, & nel confettarli vi ponesse il muschio: fu costui per la sua gola notato da Oratio, & da Lucillo. Fra molte cose da Tertulliano biasimate fu il sontuoso viver di Gallonio, la gola di Apitio, il giuoco di Curio, & l'imbriachezza di Antonio, non dopo molto un suo nipote ritrovò di far il gelo, & di confettar i pezzi interi: ne laqual cosa tiene à nostri tempi il primo luogo sor Barbara da Correggio, il secondo donna Lodovica, & il terzo la Gattina de la S. Lucretia da Este. Cleonimo da Spelle fu il primo che confettasse le zucche, le lattuche, & i cedri: fu costui di santissima vita. Gnosippo Perla fu il primo che confettasse le pere moscatelle, le nespole, le lattuche, & le radici di bugolossa. Aglais Tibicina fu la prima che facesse marzapani, calissoni, pignocate, zuccherini, & pane pepato, ma molto diverso di quello che si fa hoggidi in Firenze. Clodio Albino fu il primo che mangiasse terratuffole: cocevale costui sotto le bragie, poi le lavava col vino odorifero, & con olio perfetto, pepe, sale, & succo di limoncelle le godeva. Abrone da Narni, fu il primo che mangiasse bericoccoli, canistrelli, & caviadine, guardani, confortini fatte con zucchero, canella, uova fresche, & butiro fresco. Dorothea prisca da Bergamo fu l'inventrice dell'agliata: fu anche la prima che frigesse l'aglio, & con l'aceto sel mangiasse: non fu biasimata cotal inventione, conoscendosi esser l'aglio la vera Triacca de contadini, & rilassar i spiracoli delle vene per quanto Dioscoride afferma. Trovasi sino al di d'hoggi presso di alcune nationi, un pane, ilqual chiamavano gli antichi Artolagano. Facevasi di semela cotta nell'oglio, aggiungendovisi un poco di vino, con pepe, overo con un poco di grasso: delquale fu inventore Statiano da Nocera huomo molto bellicoso. Usasi presso d'alcuni popoli una vivanda detta carica: laqual si compone di varie cose al palato gratissime, & di molto sangue di porco nel farla vi concorre, ne fa di questa vivanda mentione Ovidio nel primo de suoi Fasti: i Lidij l'usavano assai frequentemente, & credeno ne fusse l'inventore un certo Pericone pentolaio da Palermo, usasi questa in Affrica. Usasi appresso d'alcuni popoli ispetialmente in Puglia, una sorte di pane, detto Coliphio: delquale fa mentione Plauto dicendo: Coliphia mihi ne incocta detis. stimasi di cotal pane inventore Perna Sabino hoste cortesissimo. Dell'ozimo, vivanda fatta d'intestina, & è di soavissimo odore: fu l'inventore Cardamo Dalmatino il piu sciagurato & il maggior parabolano non vidde mai il sole. Usasi da molti popoli una sorte di schiacciate, dette Elaphi, fatte di Sesamo, & di fior di farina, delle quale fu inventore Pirro da Capova. Al medesimo si attribuiscono molte altre foggie di focaccie, ispetialmente le montiane, che erano di vino & di cacio composte. Crespino Falisco fu il primo che facesse la scelta di tutti li piu delicati cibi che si usorno al tempo di Eliogabalo, di cui egli fu longo tempo cuoco: tolse prima per honorare un solenne convito il Pavone di Samo, l'Atagena di Phrigia, tolse delle Grue Melice, capretti di Ambracia, Pelame Calcedonie, Helopi Rhodiotti, Scari di Cilicia, Datteri dell'Egitto, giande dell'Hiberia, conchilie di Lucrino, noci pontiche, pera amerine, murene tartesie, schiacciate di Samo, tonni tirij, conche pelorine, cestrei di Sciatho, menidi di lipari, rape di Mantinea, o di Norsia, cacio Siciliano, & di luna. Giulia fu la prima che ponesse in uso l'enola, ispetialmente la campana, ch'è tenuta la migliore. è di sua natura nimica al stomaco, mescolata pero con cose dolci, la vi diviene amicissima: fassi spesso vino di Enola in Alemagna, & nella Val telina. Platone fu de primi che ponesse in uso di mangiare in tavola fichi: & non ne fu men vago che si fusse Claudio imperadore di mangiar il pesce Scaro: per questo molti Greci il chiamarno philosicon: non dico perciò che egli fusse il primo che lo mangiasse, perche nel vero fu Habram hebreo. Il piu lodato fico si è l'Hircano, poi il Calcidico. ha buoni fichi l'Affrica & Rhodi. tosto s'invecchia per la brevità delle radici: & è piu fecondo ne le parti inferiori, che ne le sommità. Il primo che mai mangiasse in Italia ciregi fu Calistonio trombetta, & Lucullo fu il primo che ce le portasse di Ponto. rallegrasi quest'albero di star ne monti acquosi; ne mai si puote per diligentia che vi si sia usata, piantar in Egitto che frutto facesse. Il primo che mangiasse Cornari fu Gadoleto Cipriotto: ha quest'albero i rami duri & rigidi come il corno, & perciò se ne fanno haste & dardi ottimi. Il primo che mangiasse mai castagne & bollite, & arrostite fu Delio Corfuotto. Vergilio le chiama hirsute, cosi dicendo, Stant et iuniperi, et castaneæ hirsutæ. Il primo che mangiasse cedri fu Demetrio Salamino. il legno di questo albero non è mai infestato da tarme: l'olio del cedro conserva le cose da putrefattione: i piu lodati sono in Creta, Affrica, & Siria. Il primo che mangiasse mai Mandorle fu un Cesarisco di Puglia. In questo albero (per quanto favoleggiano i poeti) fu tramutata Phillide; l'è la prima che fiorisca, & avanti la maturità facilmente perde il frutto. Il primo che mangiasse noci fresche fu Carbonchio Epirota. Sono le noci di tal natura che s'ingrassano per la vecchiezza. L'albero ha natural discordia con la quercia: con la lor scorza si tingono le lane. L'ombra sua è nemica alli seminati: & a nostri capi inducono doglia. Lelia Romana fu poi la prima che le confettasse, & lodata ne fu. Il primo che mangiasse Nespole fu un Prudentio Rodiotto: le foglie di questo albero prima che caschino si fanno rosse: ha molte radici atte, & inestirpabili. Non fu questo frutto in Italia al tempo di Catone. suol essere l'albero molto infestato da vermicelli rossi, & pelosi. Cassandra da Ferrara fu la prima che le confettasse. Il primo che mangiasse more fu Caustio da Cotrone: l'ultimo albero fra tutti che fiorisca, & aspettar suole che sia ben passato il freddo: & per questo i poeti lo chiamano albero prudentissimo: erano i suoi frutti bianchi, ma diventorno rossi dal sangue di Piramo & di Tisbe: ama egli d'habitar ne monti, & tardi s'invecchia. Il primo che mangiasse olive fu Alonseco di Medina: a questo albero non cadeno mai le frondi: è consacrato à Minerva: & solevansene gia coronare le torme de cavaglieri, cresce tardamente, et fassi sterile per il morso caprino: dura quest'albero ducento anni. Philippello spetiale è stato il primo che le habbi confettato in Sicilia. Il primo che mangiasse pruna fu Carillo d'Andrinopoli: soncene di piu ragioni; ma le piu lodate sono le Damascene: non è questo albero punto amico de monti, ma de ben culti piani. Il primo che mangiasse pera: fu Agatone soriano, fu chiamato sotto cotesto nome Pero dalla figura piramide la qual pare imitare: li Crostumini sono i piu lodati & poscia i Falerni: campa poco, e facilmente perde il frutto: furono confettate da Achille alessandrino spetiale. Il primo che mangiasse Datteri fu Carmandro affricano: quest'albero in Europa è sterile, & in ispagna fa il frutto di niuna soavità: hà quest'albero l'uno & l'altro sesso, e non li cascano le foglie. Antronio da cotrone: fu il primo che mangiasse in Italia Persica, le quali tragono il nome da Persia; quest'albero ne fiorisce, ne fa alcun frutto in Rhodi, altrove si, dicesi ch'egli fusse portato in Italia per avenenarci, ma che la benignità del cielo italiano spense l'innota sua malitia: sono alcuni che rasimigliano gli huomini losenghevoli e de peggior fatti, di Persico dolce di fuori, & amaro dentro. Clenandro da negroponte: fu il primo che mangiasse pignuoli freschi: non fiorisce mai quest'albero, ne li cadono le frondi. Se alcuno li lieva la cima diventa sterile, ne perciò muore, come l'è tagliato, non si rimette mai piu, mai piu germina: e per questo Creso presso di Erodoto, minaccia che distrugerebbe i lampasceni come si distrugge il Pino. Il confettar persica e pignuoli, è l'inventione di Curio Tripaldino: huomo di ladronecci infame, & di sporchissima lussuria. Il primo che mangiasse fritelle di sambuco, & di ramarino fu Giannotto da Gorgonzola, che fu poi impeso per tradigione con duoi figliuoli a canto. Ortandro chiozzotto: fu il primo che mangiasse poponi, & li mangiava con sale, & con perfetto cacio, & poi vi beveva appresso della malvasia garba, mori costui per troppo mangiare. Clorida da Ello, Bresciana, fu la prima che mangiasse, & cuocesse fagioli freschi con la scorza, aggiungendovi dell'aglio, del pepe, dell'aceto, & del petrosello: fu essa anchor la prima che mangiasse l'erveglia à cotesto modo, se il vero mi narra Liombruno grammatico nella sua cronica. Clelia da Veruli; fu la prima che ponesse il vin cotto in servitio delle vivande: Fu cotal inventione molto da savi medici approvata, & assai ne fu da tutti commendata, se il vero però rifferisce Piliandro scrittor de annali. Cleope da Venafro: fu il primo che cucinasse Carcioffali nel brodo grasso; fu anch'esso il primo che li frigesse col grasso di porco, ponendovi pepe, sale, & aceto: Galeno il chiama Cinnara, & si maraviglia come sia salito à tanta reputatione generando humori adusti, concede egli però che conforti il stomaco. Asclepiade Prusiense: famigliare di Gn. Pompeio, & medico si eccellente, che puote risuscitar i morti: fu il primo che introducesse il mangiar Spargi, cosi in minestra, come anchora in insalata: fu questo medico il primo che si imaginasse sol con il vino variamente dato, potersi risanar qualunque infermo: pose costui in uso i bagni d'acqua dolce, & i letti sospesi per meglio procacciare all'infermo il sonno. Arcagato figliuolo di lisania peloponese; ilquale fu il primo medico, che intrasse mai in Roma, fu anche il primo che mangiasse l'oche arrostite vive, bagnandole d'acqua rosa, di botiro fresco, di zenzaro, & di canella sottilmente pesta: fu la costui venuta dal cominciamento gratissima: vedutone poi, con quanta crudeltà, & ferocità di cuore, usasse l'arte sua nelle incisioni, & nelle adustioni, fu publicamente chiamato per nome di Carnefice: Venne in Roma essendo Consoli L. Emilio & M. Livio. Aristogene medico, che fu già, servo di Chrisippo filosopho, fu il primo che mangiasse le molignane fritte con l'aglio, & col petrosello: hebbe costui gran reputatione per la mirabil cura ch'egli fece di Antigono, & in picciol tempo ricchissimo si fece. Acrone agrigentino medico: fu il primo che mangiasse il porro cotto sotto le bragie, del qual cibo, tanto ne fu già vago Nerone, che niuno piu vago esser ne puote, philosophò costui longamente in Athene insieme con Empedocle, & fu assai più antico di Hippocrate. Aristogene thasio, medico di Antigono re di Macedonia: fu il primo, che ponesse in tavola le olive schiacciate, & li capperi mangiasse con l'oximele: è il Fapero aperitivo, e molto giovevole alla milza. Alconcio medico di Piaghe: che fu già condennato da Claudio di cento sestertij, e confinato in Francia: fu il primo che ponesse in tavola Aranci e limoni, premevali, e del succo bagnava le vivande; ma li premeva negligentemente. Agrane medico: fu il primo che portasse in tavola coriandoli confetti, per reprimere i fumi, che sogliono per il pasto salir al celebro, costui fu quello, che risanò Athene della peste accendendo de molti fuochi. Cresto bizantio sophista: fu il primo che facesse la Raffanata: l'è un sapor fatto di raphano: usasi la vernata presso de tedeschi frequentemente. Mirtale, donna al ber deditissima: fu la prima che cuocesse l'uova nel fuoco, e condite con sale e canella se le sorbisse: à costei si da parimenti il vanto, che facesse la copeta, ponesse in Tavola pistacchi, e ne facesse delle torte per quelli, ch'erano al lussuriare indisposti. Pillade da Lucca: fu il primo che mangiasse castagnazzi, & minestra di semola, & di questo ne riportò loda. Diogirida Re di Thracia, fu l'inventore di mangiar bottarghe: Aquilio fu poi quello, che le frigesse nell'olio, e con l'aceto se le mangiasse. Cisenno fu il primo che mangiasse caviaro, e ne facesse delle frittate, un suo nipote dopo molti anni, cominciò a premervi sopra delli Aranci. Pollidonio da macerata: fu quello che trovò il mangiar le mele granate dopo'l pasto, persuaso forse da scritti di Cornelio celso, perche in vero non lascino corrumpere il cibo nel stomaco. Il primo che mangiasse aranzi, limoni, & poma di Adamo, confettate, fu Pierio Landuccio Fiorentino. Il primo che confettasse il seme di popone, l'aniso, & il fenocchio, fu Laviniano da Tolentino huomo frodolento piu di ogni altro di età. Il primo che cuocesse cipolle, & scalorgne, & ne facesse insalata: fu Aliprando da Sigillo mercatante richissimo. Un Pieruzzo comasco lecardo à maraviglia: fu il primo mangiatore delle frettate dette rognose, le quai aguzzano l'appetito, ne sono punto stuchevoli. Il primo che ponesse fichi, pera, & mela in tavola fu Ermo Cipriota, huomo protervo, fallace, & sopra modo bugiardo. Il primo che ci ponesse in tavola mel cotto, & oximele per salsa, fu Adriano di Corrira, il quale era infame de ladronecci, & in segno di ciò fu impiccato à Negroponte. Il primo che mangiasse quella herba detta Eringion fu Achille Troiano di Troia di puglia. L'è una herba mordace, & n'è buona solamente la radice, provoca la lussuria, mangiasi col cinamomo, & col Garoffano. Il primo che mangiasse Cardi fu Protesilao macedonico, crescono maravigliosamente in Cartagine, & in Cordova fa parer buono il vino: la radice è buona per generar maschi, vogliono il sale, & il cinamomo, benche hoggidi s'usi di mangiar col pepe, gli antichi li mangiavano col mele, & con l'aceto. Anaxilao philosopho: fu il primo che mangiasse l'aglio crudo: Galeno lo chiama Triacca de contadini, & Oratio ne disse molto male, cosi scrivendo. Edat cicutis allium nocentius: ò dura messorum ilia: Quid hoc veneni sevit in præcordijs? Il primo mangiatore del Raphano: puro, non dico della raphanea, che già l'habbiamo detto, fu Oldrico da Sciaphusa: Androcida ne faceva mangiare per riparare all'imbriaganza: Scrive Plinio che crescono in Alemagna alla misura d'un fanciullo, guasta i denti, & credettero già gli antichi ch'egli fusse contra il veleno. Il primo che mangiasse zucche: fu Marullo egittio: ve ne sono di lunghe, & di rotunde, le lunghe sono piu grate in su le mense: Chrisippo medico le dannava, generano però buono humore, & giovano alle febri coleriche per il parere di Avicenna: Avvertisce Columella, che donne non vadino dove le sono piantate, ispetialmente se l'hanno il flusso menstruale. Li Arcadi furono i primi, che mangiassero delle giande. Li Budini popoli dell'Asia maggiore, furono i primi che mangiassero pidocchi. I Nomadi dell'ethiopia, & i Simbari, furono i primi che mangiassero delli Elephanti. Li popoli Cinocephali furono i primi, che si pascessero di latte. Li Agriophagi furono i primi mangiatori de Lioni, & di Panthere. Li Antropophagi furono i primi che mangiassero carne humana. I Mandi, & i Parthi furono i primi, che mangiarno locuste. I popoli detti Solite, furono i primi, che mai mangiassero pesce. Li Ophiophagi furono i primi mangiatori dei serpenti. Li Arpei furono i primi che mangiato habbino Bacche. Li Amazoni furono i primi che mangiassero lacerte, & per questo furono detti Sauropatide, imperoche saura vol dir lacerta. Protogene fu il primo che mangiasse lupini, & che insegnasse à macerarli con l'acqua, per indolcirli. Ebosio fu il primo che mangiasse zuccaro. Nerullo fu il primo che mangiasse capretti. Farello pedemontano: fu il primo mangiatore de Tragemmati, detti da latini bellaria: componevansi anticamente di Cocco, di Fava, di Condro, di Cacio di mele, & di Sisamide. Il primo che ritrovasse que pani detti Thiagoni, dicasi à Dio Etholia fu Larisso. Trattaremo hora delli inventori dei migliori Beveraggi, & cominciaremo dalla Vernaccia da Celatica, & da quella da Cassano, le quali traggono sua nobil origine dall'antico Falerno, di cui favellando i scrittori delle cose naturali: dicono non esser sano, essendo molto vecchio, ò molto nuovo: la mezana età cominciar dal quintodecimo anno: Crispo Fabiano fu quello che ne portò l'insito in Lombardia: variansi i vini per la varietà del terreno, & dell'aspetto del cielo, si come apertamente si vede. I vini di Val telina, di Chiavenna, & di Piuri (dico quelli chi si chiamano di Roncho) traggono sua origine da quello vino detto Puccino, per il quale, diceva Livia Augusta esser pervenuta all'età di LXXII anni, Pirro da ponte ne fu il traportatore. I vini del lago di Como, & di Trezzo, sono discesi dal vino detto Setino: qual Augusto preferi à tutti gli altri, e lo essaltò con maravigliose lodi: Scipione bruno lo trapportò, e ne fu assai lodato, e premiato. Li racesi, amabili, e moscatelli, di Taggia, sono di schiatta del Cecubo: reputato generosissimo, il quale, solo si accendeva con la fiamma (sel vero afferma Pli.) I Trebiani di Modona, & di Toscana: sono discesi dal Gaurano: Philippo fusello fu il trapportatore. I vini del Monferrato: sono delle radici del vino detto Faustiano: le portò in que paese Lucio Trotellio huomo virile, e strenuo bevitore. I vini da Drò, & da Tremenne: discendono da i vini Macissi: li portò in questi paesi Carbonio Trentino solenne bevitore. I vini Salerni & Sanseverini, erano i vini detti Caleni: benche hora siano (al mio giudicio) migliori che prima non erano. Il vino Corso venne da Velitri, & da Piperno: erano questi vini in gran prezzo, hora non tanto: il terreno di quella isola l'ha di gran lunga migliorato. Il vino Briancesco dir si puo figliuolo del Signino: benche mutando paese habbi mutato natura: era il Signino Austero & atto molto à restringere il ventre. Fabio Porcino lo portò in questi monti, & n'hebbe gran mercede. Il Cesennato procede dal Surrentino, vino molto sano. Soleva dir Tiberio Cesare che tutti i medici in ciò consentito havevano di dargli la palma d'esser sano. I vini Forlani procedeno da i Mamertini, da Giulio Imperadore celebrati, si come appare nelle sue epistole. I Vicentini nati sono da quei vini detti Potulani, grandimente istimati: Calandro fu che ce li portò. Le Albane di Ferrara nate sono del Taurominitano: ma hanno molto tralignato da suoi progenitori. L'inventore fu Dalido da Tiano. I vini Berzamini, che nel Padovano nascono, parte descendeno da quei vini, che detti furono Pretutij, parte dalli Anconitani, de quali favella Plinio honoratamente. I vini di Santo Columbano & da Cesezzo, sono di schiatta del vino Palmesio, et Mecenatiano: Pirro di haverlo traportato n'andò longamente altiero. I vini Rhetici, liquali sono da Vergilio preferiti à tutti, eccetto che al Falerno: altri vogliono che siano latiniensij, altri gravicani, & altri stoniensi: et si come molti vini hanno peggiorati, cosi questi hanno migliorato tramutandosi da luogo à luogo: & di questo dassi l'honore à Lentidio Pontano. I vini d'Orliens sono discesi dal ceretano del quale si fa mentione presso di Plinio; & lo ripone fra i vini lodati, un Parigino cortigiano del re di Francia fu l'inventore di traportarne il germe. I vini di Spagna per la maggior parte nascono da i vini di luna, à quali la Toscana dette gia la palma: et questi sono divenuti migliori delli suoi predecessori. I vini di Beona da quei di Spagna nacquero (se non m'inganna un curioso scrittore) li traportò un Scocese soldato, & bevitore eccellente. Quelli di Hungaria hebbero l'origine da i Tarentini (mercè di Ungrado mercatante lealissimo) che li condusse in quei paesi non senza grande remuneratione. Quelli vini che in Baviera nascono, hebbero origine dalli servitiani: benche alcuni ostinatamente affermino esser discesi da quei vini, che in Cosenza nascono: & questo beneficio si hebbe per opra di Claudio Alemano. Le viti che lungo il lago di zurrigo in tanta copia piantate sono, furono tolte in Lucania da uno Oldrico eccellente bevitore. Le viti che fanno la malvagia in Ragugia sono state portate da Candia da un Bassiano Macedonico. Il greco di Somma: venne dall'isola di Sio: donde ancho il mastico ne viene, & portato vi fu da Papinio Suvessano. I vini di Correggio: sono figliuoli delli vini di Lesbo, & di cotal tralatione dassi la debita lode à Palmerio anginolo. I vini della Valle d'elsa, descendono da i vini, che à Tempsarà già si felicemente nascevano: fu l'inventore Nillo cresporio. I vini della lunigiana nati sono da i vini detti Turini per industria di Belloccio huomo facetissimo. I vini pisani, secondo l'opinione di alcuni, sono discesi da quel vino di Arcadia, ilquale faceva le femine fecunde, & gli huomini rabiosi. Le viti spoletine vengono da quelle di Trezenio, che soleva indur sterilità: perdette poi quella qualità si rea per la benignità del cielo Italiano. Le viti mirandolane furono tolte da sempronio megillo in lacanea già detta Cidonia, luogo della Candia: hanno perduto gran parte del primier vigore. Del vino detto omphacio fu inventore Nicandro da berina: faceasi di labrusca, et è detto da greci enantino. Del vino di poma: credo inventore Publio negro. Il vino Luchese ispetialmente quel che nasce à Vorno, à Forci, à lopeglia, à S. Quirico, & à Marlia: credesi esser disceso da quel nobil vino detto dalli antichi Thasio, & esserne stato il traportatore Pompeio mintio. Il vino di Geneva fu portato di oltra mare, & da quel vino procede, che gia fu detto Arsio. Il vino di Losana nasce da quel vino detto Naspercenite, molto commendato da Apollodoro medico, in quel suo volume, nelquale scrive a Tolomeo, qual sorte di vino dovesse bere: & è opinione d'alcuni, che i vini Italiani allhora noti non fussero. tiensi di tal fatto autore Lelio Capitone. Il vino che nasce nel Casentino descende dal vino detto Mesogite: ilquale soleva gia indur doglia di capo a chi ne beveva. Dal Epheso; & dal Apameno derivano i vini della maremma di Siena per opra di Erophilo nobile cavagliero. Dal vino detto Protagio commendato molto dalla schuola di Asclepiade, nacque il moscatello di Galbià, luogo ne monti di Brianza. Del vino fatto col calamo aromatico, delquale fassi memoria nella comedia di Plauto detta Persa, fu l'inventore Spurio Carbone. Del vino fatto con la Salvia per confortare il stomacho & i nervi fu inventore Theophane medico da Megara. Del vino che si fa con il Rosmarino, fu inventore Theophilo da Egina medico, non men dotto, che prudente. Del vino che si fa con l'Enola per riscaldar i freddi stomachi, fu inventore Archigene Cipriano medico esperto. Del vino fatto con l'assentio (vino per certo utilissimo) fu l'inventore Ruffo da Salamina medico molto acuto. Del vino fatto con la pece: chiamasi da latini vinum piccatum, credesi esser stato l'inventore Ruffo medico di molta isperienza. Del vino fatto con le rose: del quale fassi memoria presso di Plinio: credesi esser stato authore Onocrito Corfuotto medico eccellentissimo. Di porre l'acqua marina nel vino: fu l'inventore Erasistrato huomo dottissimo. Di far la Graspia: fu l'inventore Pisone da Regio. Di far la posca è stato il primo Clenardo da Pola. Di dar il moscatello al vino: fu l'inventore Godinzo bresciano. Di far l'hippocrasso, siamo tenuti à Gottifredo di Monlione. Del vino fatto de prugnoli è stato l'inventore Polidamasso da spello. Del far il vino col sacco: fu inventore Cosmo dalla Mirandola. Del vino di mele granate tiensi fusse l'autore Philisto medico Rhodiotto. Dell'aquaruolo tiensi per authore Nonnio da Moncia. Delle cervose ch'hoggidi si usano in alcune parte di Francia, Alemagna, Inghilterra, & altri paesi: tiensi fusse l'autore uno maestro Placidio da Vilna lituano: huomo nemico mortale dell'acqua, & sviscerato del vino. Di ber un sorso d'acqua fresca dopo il pasto, fu consiglio di Celso, & io sovente senza nocumento alcuno (quantunque sia di stomaco debole) n'ho sentito grande utilità. Domitiano brunello: fu inventore di quella bevanda detta da popoli di Thracia, Anysta, laquale, si soleva bere con gli occhi chiusi, ne fa di questa mentione Oratio nel primo lib. de suoi versi. Thimotheo Cogellio: fu inventore di quella bevanda detta oxihalma: laquale si faceva di sale, & di fresco aceto, per andar ne luoghi sospetti de fiati serpentini. Hieroniano medico Rodiotto: fu inventore di quella bevanda detta oxizaccara, fatta di zucchero, & di aceto, per rinfrescar i corpi nostri: del medesimo autore, trovo in piu d'un luogo memoria presso di M. Tullio. Bestonio hidruntino: fu l'inventore della bevanda detta piratio: perche de peri si faceva: & pigliavasi in luogo di vino. S. Gerolamo contra Ioviniano persuade à Thimotheo, che non piratio, ma vino ne l'avenir beva per il stomaco mal conditionato. Callimeno pendonio: fu inventore del zitho, che si fa in Egitto, del medesimo autore è inventione la bua: bevanda da fanciulli, de laquale Catone fa ne suoi scritti grata memoria: il medesimo fu inventore della Celia, & della cerea che si fa in ispagna: & della Cervisia gallicana: laquale, se non si adacqua, imbriaca come fa il vino. Hippocrate di Coo medico eccellentissimo: fu inventore della ptisana: fassi d'orgio: fanne di questa mentione Martiale nel XII. Gregorio buccalino dalmatino dell'isola di mezo: fu l'inventore della bevanda detta Sabaia: fassi d'orgio, & di frumento, & è bevanda piu usitata da poveri, che da ricchi. SUISNETROH, SUNDAL, ROTUA TSE BRIEVE APOLOGIA DI M. ORTENSIO LANDO, per l'autore del presente Chatalogo. Mi par d'udir mormorare alcuni scioperati, & licentiosi, & dire, che questo cathalogo sia per la maggior parte finto: & perciò io come consapevole delle molte fatiche dell'autore: hò succintamente segnato i nomi di coloro dell'opra de quali s'è servito: & primieramente dirò, che questo valent'huomo s'è prevaluto dell'opera di Ephoro Cumeo, che scrisse in vintisette libri l'historia di Galeno imperadore, di Ibico Regino famigliare di Policrate tiranno: di Geronimo Rhodio scrittore de fatti di Demetrio Poliorcete, & di Dione pruseo, ilquale scrisse dieci libri delle virtù di Alessandro (il magno) s'è servito anchora molto di Calistene Olinthio, & di quel Calisto, che scrisse in verso heroico l'historia di Giuliano principe: s'è anchora (se non sapete) servito di Cherilo Samio, & di Clearco solense, che scrisse de Varia historia: trovo di piu legendo i scritti di Actio Pisauriense, di Terentio Scauro, di Hiperide emulo di Demostene, di Trasimacho, di Theopompo Unidio, & di Gn. Potamone: che molto di loro s'è nel suo cathalogo servito, & halli diligentemente, & letti, & riletti: Se voi lettori ne vorrete di questo far l'isperienza, la potrete commodamente fare, à me basta d'haverveli addetati, ne vi paia già maraviglia, che i sopradetti scrittori si antichi & rari, li sieno pervenuti alle mani: essendo egli huomo di miserabile fortuna: imperoche fu costui longo tempo posseditore de la libraria di Gordiano imperadore, dove furono sessantadue mille volumi: ha vedute le librarie Pergamene, delle quali favellando Plutarco, scrive che ne contenessero ducento mila: costui rimase herede delli libri di Tirannione grammatico, che furono tre milia: ne sol di questi, ma di quelli anchora fu herede quai lasciò Triphone libraio del quale Martiale favellando, scrisse, Non habeo se habet Bibliopola Triphon, alqualle Triphone scrisse già Quintiliano nella Epistola liminare delle sue oratorie institutioni, siche parve lettori, ch'egli habbi havuto il modo di scartabellare, & di ritrovare quel che à molti altri stette longo tempo nascosto? molte cose hà egli pretermesso di dire per esser il piu amico della brevità che mai ponesse penna in carta: non altro dico: State sani lettori, & pregate Iddio doni longa vita à questo nostro prosatore, che io vi prometto, che s'egli campa, che del molto scrivere non cederà à Chrisippo, non à Servio Sulpitio, non ad Atteio Capitone, non ad Empedocle, non finalmente ad Aristarco discepolo di Aristophane grammatico, ilquale scrisse piu di mille commentari. Di Vinegia alli XXIII de Settembre. NOTE: [1] Casa Pharaoni. [2] Vermi da far seta. [3] Un frate di casa montone cosentino. [4] La cecaria del Epicuro Caracciolo. [5] Casa Galeotta. Pignatella. Caraffa. [6] C. Genaro. [7] Cavallucci & armeline sono picciole monete. [8] Cascio di latte buffalino, detto cavallo. [9] Casa Brancalione. [10] Simone porco. [11] M. Antonio delli Falconi. [12] Donna Cornelia piccolomini figlia del Marchese di lecito. [13] Il Cardinale Cortese da Modona. Il car. de pij da carpi. Il car. S. Agnolo da Veruli. Il Car. da gambera. Il trivultio. Il tridentino. Il cecis. Casa beccari. Colonna & casa orsina. [14] Casa capo di ferro. Casa capizucca. Pasquino. [15] Laodomia forte guerra. [16] La academia delli intronati. Il stordito academico. Casa Crudeli piccolhuomini Saracini. [17] Venturi. Salvi. Amadei. Casa bellagaio. [18] Il Vescovo di Casale gia detto M. Bernardino della Barba. [19] Casa Caponi. Casa dei. palle. Alemani. Carne secca. Martelli. Medici. Pazzi. [20] C. Salviati. Salviato è un cibo. Congiura de Pazzi per uccider i Medici. [21] Casa gigli. [22] Casa de nobili, Honesti Giusti, Buonvisi, Adeodati. Turchi, Malpigli, Orsucci, Spada, Sbarra, Poggi. [23] Prosperi, Calandrini. [24] Il bocca de ferro filosofo. Casa Manzuoli. [25] Ca. marsilij. Casa delle Arme, & della Malvasia. La Manarona. [26] La Nuora di M. Carlo Rovino detta la Rovina. [27] Lo hospedale della morte. [28] Ca. Columbi. Casa co de bo. Castel vetro de Rangoni. [29] M. Rinaldo Corso. [30] Il s. Galeotto Pico. [31] La S. Laura da montecchio. [32] Ca. rugieri. M. Paulo, & Hippolito folia, hospiti dello autore. M. Lucretia tortorella. [33] Il cavaglier Gazuola. [34] M. Gabriele, & M. lionello tagliaferro. [35] Casa Baiarda. La S. Ottavia baiarda. [36] Casa Cornazani. [37] C. marini. Casa grilli. Casa Paravicini. [38] Casa Gonfalonieri. Il S. Gio. Aluvigi Gonfalonieri. [39] Il Sale presso delle S. Scritture significa la sapientia. [40] Ca. sforza. [41] Casa copelati. [42] C. Asinelli, Pavari, Pavarelli, Formighini, volpini. [43] Sarmato castello de Scotti. C. fontana. Casa Bracciforti. Barattieri. Ca. Buttafuoco. [44] Ca. Cacastracci. Ca. Tosi. Crespi. Calvi. Casa selvatici. Draghi. Cavra. Ca. cavalli. Corvi. [45] Ca. taverna. Ca. caino. C. de santi. Ca. pietra santa. [46] ca. Medici. [47] I conti di bel gioioso. [48] ca. castello. ca. castelletti, & del castellaccio. [49] C. davalos. [50] il valente & accostumato capitano pozzo da Perego. [51] C. Pobbia. C. da pero. [52] Casa viso di huomini. Ca. mena pace. [53] C. cavrioli. [54] La S. Camilla cavriuola. [55] La S. E. [56] Ca. Stella. M. Vincenti stella. La S. Lionella rovata. [57] Casa rosa. M. Paris rosa: & la S. Giulia rosa. [58] Cap. Orlando porcello, comito in expectando. [59] Lipomani significa molesto, & maniaco. [60] C. maggio. C. palazzi. M. Gioanandrea palazzo. Ca. sala. M. Nicolo sala. [61] Ca. Tassi, Zanchi, & Allegri. Zanchi, altrove mancini. Ca. Lupi. [62] La S. Artemisia scotta piena di virtu. Ca. santi Agnoli. [63] Ca. Valenti M. Susanna valente. C. Capilupi. [64] Il S. Lelio. Il s. Benedetto, il S. Gioanni agnelli. C. Passerini da gonzaghi amazzati. C. boschetti. [65] Ca. Arrivabene. Ca. putelli. M. Ludovico trida pali. C. contrarij. C. Fiaschi. Alcune signore di casa trotti. [66] La S. Tadea malaspina. La S. Genevra mala testa. [67] Il medico recalco. [68] M. Lucretia cuoca. [69] Il paradiso un palazzo antico di Ferrara. La contrada delli Agnoli. [70] Lo hospedal di S. Anna. [71] Casa pij. La hostaria dello agnolo. [72] Materia, forma, & privatione, principij delle cose naturali. [73] Casa dotti. Ca. capi di vacca. M. sperone philosopho eccellente. C. Gallina. C. Frigemelica. Ca. seccamelica in Piacenza. [74] M. Iacopo da panago ceco & ottimo divinatore. [75] Il conte di monte. Labbate imbasciatore di Urbino. [76] Ca. cacherani. Ca. malabaglia. Madonna Medusa. C. lumaga M. Cipriano & Gioan maria lumaghi. Il capitano Hercole salice. Ca. salci. [77] C. cagnuoli. Il cap. Dominico Arriano. C. bendIddio. M. Nicolo. [78] Il monastero della misericordia. Giuoco tra la citta & Ancona dove suol star la madonna. [79] S. Maria della pace, et delle gratie, & delli Agnoli. [80] Casa tosabezzi. Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici sulla scorta di una precedente edizione (1548). *** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK COMMENTARIO DE LE PIU NOTABILI, & MOSTRUOSE COSE D'ITALIA, & DI ALTRI LUOGHI DI LINGUA ARAMEA IN ITALIANA TRADOTTO, NELQUALE SI IMPARA, & PRENDESI ESTREMO PIACERE *** Updated editions will replace the previous one—the old editions will be renamed. Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright law means that no one owns a United States copyright in these works, so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United States without permission and without paying copyright royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part of this license, apply to copying and distributing Project Gutenberg™ electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG™ concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark, and may not be used if you charge for an eBook, except by following the terms of the trademark license, including paying royalties for use of the Project Gutenberg trademark. If you do not charge anything for copies of this eBook, complying with the trademark license is very easy. You may use this eBook for nearly any purpose such as creation of derivative works, reports, performances and research. 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