Title: Papà Eccellenza
dramma in tre atti
Author: Gerolamo Rovetta
Release date: April 14, 2025 [eBook #75860]
Language: Italian
Original publication: Milano: Treves, 1908
Credits: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)
GEROLAMO ROVETTA
Papà Eccellenza
DRAMMA IN TRE ATTI
MILANO
Fratelli Treves, Editori
1908
Questo dramma fu rappresentato la prima volta dalla Compagnia Calabresi-Severi nel teatro Manzoni di Milano la sera del 1.º dicembre 1907, interpreti O. Calabresi, M, B. Palmarini, A. Chiantoni, U. Palmarini, E. Olivieri, P. Rosa, R. Lupi, M. O, Donadoni, R. Badaloni.
PROPRIETÀ LETTERARIA.
I diritti di riproduzione, di traduzione e di rappresentazione sono riservati per tutti i paesi, non esclusi la Svezia, la Norvegia e l’Olanda.
Published in Milan, February 29 th, 1908. Privilege of Copyright in the United States reserved under the Act approved March 3rd, 1905, by Fratelli Treves.
Tip. Treves.
[1]
A Roma — I giorni nostri.
Palcoscenico.
Sinistra. Destra.
[3]
Sala di studio, dove Pietro Mattei lavora e riceve, quando non è al Ministero. — Porte laterali, chiuse. A sinistra le stanze interne, a destra l’anticamera. Una finestra pure a destra. Mobilia e tappezzerie semplici, severe.
[5]
Mattei, seduto a una grande scrivania, a sinistra, piena di carte, di giornali, di libri. Sulla scrivania, la macchinetta del caffè e una chicchera. Martinelli in piedi, in attesa rispettosa. Alzata la tela, dopo un momento, entra Luigi dalla destra: a suo tempo, Pontedera.
Mattei
quando si alza la tela scrive e continua a scrivere.
Luigi
un vecchio servitore alla buona, in giacca nera e con la cravattina nera. — Annunzia a mezza voce:
Il signor dottore.
Mattei
senza alzare il capo e continuando a scrivere.
Venga! Venga!
[6]
Luigi
con un cenno, tenendo aperto l’uscio, invita Pontedera ad entrare, poi va via richiudendo l’uscio.
Pontedera.
Ricambia un saluto col Martinelli.
Mattei
continuando a scrivere, senza alzare, nè volgere il capo.
Scusa, caro dottore, ho subito.... finito!
Pontedera.
La patria! La patria, innanzi tutto!
Mattei sempre scrivendo.
Burlone!
Pontedera
si guarda attorno un momento, poi va a guardare dalla finestra.
[7]
Mattei
voltandosi verso Martinelli.
Ecco.... finito! In piedi, commendatore?... Scusi, sa, non me n’ero accorto! Sono inchiodato qui
indicando la scrivania
dalle due di notte e mi sento sbalordito.
Pontedera.
Male!
Mattei
si riempie la chicchera di caffè e l’ingolla avidamente.
Pontedera.
Malissimo!
Mattei
a Martinelli indicando Pontedera.
Il mio eterno predicatore.
Presentando.
Il dottor Mauro Pontedera, di Milano.
[8]
Martinelli.
A Roma, per il congresso medico?
Pontedera.
E per le mie vacanze.
Mattei c. s.
Il commendator Martinelli, il mio braccio destro ai Lavori pubblici,
stringendogli la mano
e paziente sfogatoio dei miei nervi e della mia bile!
Risata: poi come risovvenendosi, indicando Pontedera a Martinelli.
Amico, ma non politico! — Intendiamoci! — Costui è un clerico-moderato e se ne vanta!
Pontedera.
Per il solo merito di esserlo sempre stato.
[9]
Mattei.
È una frecciata, per me?...
Risata — torna alla scrivania, prende le carte che ha finito di scrivere e le consegna al Martinelli.
A lei, come le ho raccomandato.... — Dia corso sollecitamente.
Martinelli.
Non dubiti, Eccellenza!
Mattei.
No! No! Niente Eccellenza, lei!
Ridendo con Pontedera.
Non sono Eccellenza, altro che per gli uscieri, — per il dovuto rispetto, — e per i miei ragazzi, che ne ridono!
Risata.
Luigi
mentre Martinelli salutato Pontedera sta per uscire, entra portando un dispaccio.
[10]
Mattei richiamandolo.
Martinelli!... — Mi lasci prima vedere....
Dopo letto il dispaccio, dandolo a Martinelli.
Precisamente!... A lei. — Vagoni! Vagoni! — Non si domanda altro!
A mano a mano riscaldandosi e cominciando ad ansimare.
È una voce sola!
A Martinelli.
E il ministro del Tesoro.... nuove difficoltà!... Tanto fare, disfare, discutere, studiare.... E poi con le italo-americane, tutto sospeso!... Troppi milioni!... Sarebbe una minaccia per il pareggio!
A Pontedera.
Il pareggio, la gloria e l’incubo di questi piccoli ragionieri, che sono i nostri uomini di Stato!
A Martinelli.
Ma se devo rimanere al governo.... [11] Ieri sera ho mandato un mio ultimatum a quel caro collega del Tesoro, che sta banchettando nel suo collegio! O così, o me ne vado.
Calmandosi e indicando a Martinelli il dispaccio.
Veda lei, intanto. Verso le due, sarò al Ministero.
Martinelli.
Non prima?
Mattei.
Ho sacrificata la notte, per poter avere la mattinata per me!... — Ho l’assemblea del “Cotonificio Industriale„.... c’è la presentazione dei bilanci!
A Pontedera.
Poi aspetto mio genero da Subiaco
serio, con un sospiro
e anche questo, non è mai un divertimento!
[12]
Di nuovo a Martinelli, congedandolo.
Insomma, verrò più presto che potrò! — Buon giorno!
Pontedera
salutando Martinelli.
Buon giorno, commendatore!
Pontedera
osservando Mattei.
Dunque?... La macchina, mi hai detto, non va regolarmente?
Mattei
osservando Pontedera e studiandolo a sua volta.
Rispondimi con franchezza: se ieri [13] non ti facevo cercare al congresso, tu non venivi nemmeno a salutarmi?
Pontedera.
Se non oggi, sarei venuto domani, uno di questi giorni.
Mattei
diventando improvvisamente triste, scrollando il capo e lasciandosi cadere sopra una seggiola.
No. Tu non venivi nemmeno a salutarmi!
Pontedera
ridendo, per schivare di rispondere, e indicandogli il sofà.
Qui, qui! Vieni qui; facciamo un po’ d’esame alla rota motrice.
Mattei.
Anche per te, sono un uomo senza carattere?
Pontedera.
Non parliamo di politica!
[14]
Mattei.
Anche per te sono un Girella ambizioso e volgare?... Vivaddio, tranne ladro, perchè sarebbe troppo inverosimile, me ne hanno dette di tutti i colori!
Pontedera cantarellando.
Non parliamo di politica! Fra noi due, è sempre stata un dispiacere!
Mattei.
Che politica!... Adesso si tratta di me!... Non mi stimi più? Rispondi.
Pontedera lealmente.
Io ti stimo oggi che sei diventato ministro della Monarchia, come ti stimavo ieri....
sorridendo
mettiamo pure l’altro ieri, quando ti schieravi tra i più focosi deputati del partito repubblicano. Ti ho stimato, [15] ti stimo e ti stimerò sempre per il tuo valore altissimo, per la tua integrità. Soltanto, a giudizio mio, — dell’amico e del medico, — il tuo debole
battendogli sul cuore
eccolo qui. E l’uomo è come la donna: quando non sa dir di no, va incontro a tutti i guai.
Ridendo.
Lévati, lévati l’abito!
Mattei.
Credi anche tu che se non le lusinghe....
Pontedera.
Lusinghe no, lusinghe mai.
Mattei continuando.
.... è stata l’influenza morale, la mia vecchia amicizia per l’attuale Presidente del Consiglio a farmi mutar bandiera?
[16]
Pontedera.
Un po’ alla volta.... Una cosa dopo l’altra. Prima hai cominciato a diventar assiduo alla Camera, poi ad addomesticarti col potere quando, per star vicino a tua figlia, hai trasportato la sede della tua società da Milano a Roma....
Mattei scattando.
Che c’entra mia figlia?!... Sono venuto a Roma per lo sviluppo, per il vantaggio della Società!... — Mia figlia non c’entra! Sempre mia figlia!
Calmandosi. Calmando l’affanno di respiro.
Certo.... a Roma non ho subìto l’influenza degli uomini.... ma della verità. Ho visto al di là dei miei vecchi principî, che ormai non avevano un fine!... Dei vecchi ideali.... ormai platonici e che mi avrebbero condannato [17] all’inazione, io, nato soltanto per l’azione!... — Ad onta dei miei sessant’anni, sento il vigore di fare, di creare! E se ci resto al Ministero.... La reggia è ringiovanita.... perchè non ringiovanire.... non tentare almeno, di abbattere per rinnovare anche tutto il vecchio materiale che la opprime? — E poi, tu conservatore ed io repubblicano, non ci siamo trovati insieme a Mentana?... Mi hai chiesto conto, allora, dei miei principî?
Pontedera ridendo.
Ah, ah!... Tutt’altra condizione di cose.
Mattei.
Perchè?... Anche qui, sento lo stesso amore per il mio paese! Anche qui, sono esposto al fuoco e non mi muovo!
[18]
Passeggia su e giù ansimando, poi si ferma dinanzi a Pontedera.
Tu sei un grande galantuomo, ma sei anche un vecchio uomo, pieno di pregiudizî!
Pontedera
stringendosi, come rassegnato, nelle spalle.
Proprio così!... Modo di vedere. E non ci sono occhiali nuovi che possano farmi vedere diversamente.
Indicandogli il sofà.
Lévati l’abito e anche il gilet!
Mattei
sorridendo a Pontedera, con affetto e con simpatia.
.... Vecchio uomo, pieno di pregiudizî!
Comincia a sbottonarsi l’abito, la sottoveste, si ferma guardando Pontedera.
[19]
Pontedera
che ha levato di saccoccia e sta mettendo in ordine il piccolo istrumento per le ascultazioni.
.... Più ancora; la vittima dei miei pregiudizî. Pensa: sono stato innamorato e sul punto di prender moglie una volta sola nella mia vita. La ragazza che io amavo, e che mi amava, era cattolica e ci credeva; perciò, morire magari di dolore, ma non cambiar di religione, ed io....
vincendo la commozione
io non ho voluto cambiare la mia che non pratico e alla quale non credo. Nato ebreo, voglio morire ebreo. Pregiudizî, si sa! Ma quando l’avremo spogliata di tutti i pregiudizî, l’anima nostra, — nuda nuda, — che figura ci farà?
[20]
Mattei
battendogli sulle spalle.
Il tuo amore!...
Risata.
Perchè il tuo amore non era di quel buono! Ho amato anch’io una volta sola, ma pur di sposare la mia Anna, — io, — mi sarei fatto anche turco! E l’ho sposata, io senza un soldo, lei senza un soldo! Peggio, con la madre piena di debiti! Una contessa, — con le mie furie giacobine! — una Coldoredo di Venezia, ridotta, con tutta la boria dei suoi quarti, ad affittarmi una camera per vivere!
Commovendosi a mano a mano.
E quando Anna è morta.... — Remigia non ha conosciuta la sua mamma.... — la mia Remigia, che adesso tutti mi accusate di idolatrare, l’ho odiata. Sì, odiata! — Sono stato più di [21] tre anni senza volerla vedere.... Poi m’hanno detto che assomigliava a sua madre.... ed era vero, — è vero. — È il ritratto di sua madre, e l’ho amata, adorata, non ho più avuto che lei al mondo,
con uno schianto
ma ancora, soltanto, sempre per sua madre!
Pontedera
gli prende una mano e gliela stringe forte.
Mattei.
Continuerai a volermi bene?
Sente battere all’uscio, a destra; — voltandosi.
Cosa c’è?
Luigi.
E tornato adesso l’automobile dell’onorevole Scarlini con la signora Remigia....
[22]
Mattei
abbottonandosi in fretta la sottoveste.
Non dire a Remigia che ti ho chiamato io, che sto poco bene!... Si spaventerebbe! Delicata com’è, guai! Torna stasera dopo le dieci. Manderò Remigia a teatro.
Pontedera.
Come vuoi.
Luigi
tenendo aperto l’uscio e chiamando Remigia.
Donna Remigia....
Pontedera
tra sè, inarcando le ciglia.
Donna Remigia!
Mattei
cambia viso e colore: allegramente.
Cara figliuola; cara!
[23]
Remigia
buttandosi fra le braccia di Mattei, impolverandolo.
Che gioia, papà! Che volata deliziosa!
Mattei.
Dove?...
Remigia.
A Tivoli!
Luigi
gira attorno a Mattei spolverandolo col fazzoletto.
Remigia continuando.
Andati in un’ora, e ritornati in cinquanta minuti!
[24]
Supplichevole.
Oh, papà! papà!... un bell’automobile, che sogno!
A Luigi, seccata.
Ma cosa fai?
Mattei.
Crede già....
risata
che io sia la mia statua!
Per indicarle Pontedera.
Guarda....
Remigia sempre contro Luigi.
Ancora quei baffi, che non voglio più vedere!
Mattei.
Sono stato io! Pensa che....
Cercando una scusa.
Che baccano i socialisti! Se il mio vecchio Luigi perde i baffi, io perdo il portafoglio!
[25]
Mostrandole Pontedera.
Guarda chi è venuto da Milano....
Luigi
va via a destra.
Remigia
cambiando, correndo a dar la mano a Pontedera, con gioia.
Oh, Mauro!... Congressista?
Pontedera.
Debolmente, signora Remigia!
Remigia.
Signora Remigia?... Alla buon’ora! Col papà Eccellenza, cominci a rispettarmi! — Però, per questa volta, ti permetto ancora di baciarmi la mano, restando in piedi!
Mattei.
Puoi fargli anche l’alto onore d’invitarlo a pranzo oggi o domani.
[26]
Remigia.
Oggi.... e anche domani.
Mattei.
Accettato!
Remigia a Pontedera.
Però, intendiamoci: non comincerai anche a Roma a metter male fra me e il mio papà! E, soprattutto, non spaventarlo, adesso che sta benissimo!
A Mattei accarezzandolo.
Se ti ammali tu, guai! Mi ammalo anch’io!
Mattei.
Non vedi?... Crepo di salute!
Risata.
Lèvati un po’ tutta questa roba e làsciati ammirare anche dal nostro Mauro!
Pontedera.
Sono due anni che non ti vedo!
[27]
Remigia
scherzando mentre Mattei con affettuosa sollecitudine le toglie il velo, ecc.
Mi troverai.... diventata grande!
Pontedera.
Vorresti un complimento?
Remigia.
Non c’è pericolo, rustica progenie!
Verso l’uscio, a destra.
Ma Scarlini, quanto ci mette a far toilette?
Mattei.
È qui?... Anche sua moglie?...
Fa per andar loro incontro.
Remigia.
Eugenia, stamattina, è rimasta a letto. Ha l’emicrania.
Mattei vivamente.
E sei andata a Tivoli, in automobile, sola con Scarlini?
[28]
Remigia.
E con Alvise.
Mattei.
Alvise non conta! È un ragazzaccio!
Remigia.
E con lo chauffeur, papà!
Stizzita.
Eravamo in quattro; in quattro.
A Pontedera.
Ti pare che, in quattro, la riputazione di una signora corra grandi pericoli?
Pontedera.
Non me ne intendo!
Va a prendere il cappello per andar via.
Mattei
con un grosso sospiro.
Sai che abbiamo da fare.... con tuo marito.... sempre pronto con i [29] commenti e con le osservazioni disgustose.
Remigia imbronciandosi.
Tu non vuoi mai vedermi allegra!
Mattei risentito.
Invece, per non inquietarti, non ti ho detto nemmeno che lo aspetto!
Remigia impallidendo.
Oggi?
Mattei.
Stamattina.
Remigia.
Cosa ti ha scritto?
Mattei per quietarla.
Non viene per te! Viene per affari!... Per la cartiera. Soltanto, se si ferma a colazione, tu che sei tanto buona.... non diventar cattiva!
A Pontedera.
.... Te ne vai?
[30]
Pontedera.
E il congresso?
Mattei.
Allora.... a stasera!
A Remigia, per rasserenarla.
Lo farai pranzare con Scarlini, con sua moglie, con....
Pontedera.
Basta! Basta!
Mattei.
.... con chi vuoi!
A Pontedera.
Il deputato Scarlini è il direttore della Parola. Un amico simpaticissimo.
Remigia
sempre seria, stringendo la mano a Pontedera.
Alle otto, sperando che il papà non si faccia troppo aspettare.
[31]
Pontedera
soffiando in aria e facendo l’atto con la mano di dissiparle il malumore.
Via, via! La brutta nebbiaccia! Tuo padre....
vorrebbe dire, poi si trattiene
.... ha sempre ragione.
Luigi
entra mentre Pontedera si avvia: si ferma sull’uscio e lo tiene aperto finchè Pontedera è uscito.
Luigi, uscito Pontedera.
Il deputato Scarlini può venire?
Remigia.
Avanti! Avanti!
Mattei chiamandolo.
Onorevole!...
A Luigi.
E Alvise?... È di là?
[32]
Luigi.
È andato in camera sua. C’era una lettera.
Esce di nuovo dopo entrato Scarlini.
Scarlini
stringendo la mano a Mattei.
Ho approfittato dell’offerta di Donna Remigia e dell’aiuto della vostra brava Claudina, così, adesso, corro al giornale direttamente! Hai letto l’articolo?
Mattei.
Egregiamente!
Risata.
Approvato!
[33]
Scarlini.
Dammi, allora, le bozze. Le mando subito in tipografia per l’edizione di provincia!
Mattei.
Vedrai; ho notato qua e là.... qualche piccola osservazione.
Va verso la scrivania; entra Luigi con un dispaccio: Mattei lo apre con premura mormorando:
La risposta del mio collega banchettante.... No.
Dà un’occhiata all’orologio della scrivania.
È ancora troppo presto! Aspetta, Luigi!
Mette in fretta il dispaccio in una busta, la chiude e scrive l’indirizzo dicendo a Scarlini:
Anche questa è una innovazione che urta i nervi a molta gente: lettere, telegrammi d’affari, in mie proprie mani: così, nessuna indiscrezione, nè [34] per i giornalisti.... nè per i banchieri!
Risata, poi a Luigi, dandogli il dispaccio.
Manda subito al cavalier Zerlotti!
A Scarlini.
Tu volevi?...
Ricordandosi.
Ah! le bozze dell’articolo!
Mentre le cerca sulla scrivania entra Alvise.
Sei qui, bel mobile?
Alvise.
Buon giorno....
Con un grande inchino.
Zio, Eccellenza!
Mattei
continuando a cercare l’articolo.
Giudizio.... giudizio. Sai chi è arrivato a Roma?... Il dottor Pontedera! Non ti ricordi quando venivo a prenderti in collegio? Quel dottore....
[35]
a Remigia per metterla di buon umore
che gli faceva passare la cattiveria coi purganti!
Risata; trova le bozze.
Eccole qui!
Porta le bozze a Scarlini.
Cambia il titolo.
Scrollando il capo.
“La bancarotta„.... “La sconfitta della burocrazia„.... basta Governo e burocrazia!
Alvise
piano a Remigia, sempre con l’intonazione di un uomo molto più leggero che cattivo.
Vieni di là. Il Gardani ha risposto, ma ha risposto picche.
Remigia inquietissima.
Non vuole?...
Alvise.
Non può. Ha perduto in Borsa.
[36]
Remigia.
Allora?... Ma allora?
Alvise.
C’è sempre tuo padre! Non spaventarti!
Remigia.
Ho paura, comincio ad aver paura! Se scoprisse?
Alvise.
Papà Eccellenza? Ha altro in mente!
Remigia.
Lui. Viene stamattina.
Alvise.
Il signor Schmidt?
Remigia.
Ha scritto al papà.
Alvise sorridendo.
Ti fa paura.... il tedesco di Milano?
[37]
Remigia fissandolo.
Adesso!... Adesso sì!
Mattei.
Non è vero, Remigia?
Remigia
trasalendo, voltandosi.
Papà?
Mattei indicando Scarlini.
Che oggi lo vuoi a pranzo?
Remigia disinvolta.
Certissimo! Con Eugenia!
Mattei.
E io sarò preciso alle otto!
Scarlini sorridendo.
O.... alle nove!
Mattei.
Il nostro buon dottore!... Ho piacere [38] di fartelo conoscere! È un gran galantuomo; e di galantuomini non capita di vederne uno tutti i giorni!
Luigi
entra e fa un cenno a Mattei.
Mattei
avvicinandosi a Luigi.
Cosa c’è?
Luigi sottovoce.
Il signor Federico.
Mattei
vivamente, indicando Remigia.
Gli hai detto?...
Luigi.
Ho detto soltanto che c’era il deputato Scarlini.
Mattei
serio: a Remigia e ad Alvise.
Ragazzi, andate di là.
[39]
Remigia
si avvicina a Mattei interrogandolo con gli occhi.
Mattei
afferma col capo.
.... Se ti vede così....
Indica l’abito d’automobile.
.... E poi anche Scarlini.... È meglio schivare tutte le occasioni.
Remigia e Alvise escono insieme a sinistra, scambiando un saluto con Scarlini.
Scarlini
dando la mano a Mattei per salutarlo e vedendolo accigliato.
Ti secca tanto l’incontro con tuo genero?
Mattei
con un profondo sospiro.
E dire.... che avrei tutto per essere felice!
Luigi
tien l’uscio aperto mentre Scarlini esce; — poi lo richiude e aspetta.
[40]
Mattei
cammina su e giù preso un po’ dall’affanno; — siede alla scrivania. A Luigi con la voce alterata.
Il signor Federico.
Si mette a scrivere.
Luigi via, a destra.
Federico
entra e saluta Mattei col capo; — si ferma in piedi, aspettando.
Mattei
scrive osservando Federico.
Ho subito.... finito.
[41]
Federico.
Non ho fretta.
Mattei c. s.
Siedi.
Federico
prende una sedia; — siede, accavalla una gamba sull’altra.
Mattei continuando c. s.
Spero.... ti fermerai.... a.... colazione.
Federico seccamente.
No.
Mattei
ha una piccola scossa: si frena.
Torni.... a.... Subiaco?
Federico non risponde.
Mattei sempre c. s.
Mi ero tenuto libero apposta.... stamattina.
[42]
Federico ironico.
Grazie.
Mattei
balzando in piedi e gettando la penna sulle carte.
Al solito! Qualche nuovo pettegolezzo!
Federico.
Perchè subito ti riscaldi? Io prendo sempre tutto con calma.
Mattei
borbottando fra denti.
Con calma, ma ti vendichi! Oh, se ti vendichi!
Federico scuotendo il capo.
Tutélo soltanto il mio onore.
Mattei.
Ma che onore! Preme anche a me il tuo onore! È l’odio, invece, sempre il tuo odio contro Remigia!
[43]
Federico calmo.
Io non odio, Remigia. L’ho amata molto e questa potrebbe essere forse una ragione per odiarla oggi, se l’amassi ancora; ma non l’amo più. Oggi non amo, fortunatamente, che me stesso.
Mattei
su e giù, ansimando.
Oh, gli uomini, che non sanno essere nè interamente buoni, nè interamente cattivi!... Sono i peggiori!
Federico.
Tu t’inquieti, gridi, ti senti male, e invece occorre molta freddezza per poter ragionare e parlar chiaro.
Mattei.
Ma che!... Inquietarmi!... In cento discussioni, in mezzo ai tumulti della piazza e della Camera non ho mai [44] perduto il mio sangue freddo! — Tu non vuoi sentire la verità! È con te che non ci si può intendere! No! No!
Con ironia.
Non sei stato, come ti vantavi di essere, magnanimo e generoso! — Generoso? — Non hai fatto altro che il tuo dovere!
Federico
calmo: strappandosi i fili di lana dai pantaloni.
Il mio dovere, sempre.
Mattei continuando.
Bella generosità! Giustizia! — Nè io sono uomo da ingannarti, nè tu sei uomo da lasciarsi ingannare. Hai voluto, hai avuto le prove più evidenti che si trattava di una bambinata, di una fanciullaggine, diventata cosa seria, soltanto per la tua gelosia e le tue scene!
[45]
Federico.
.... Ma da quel giorno, anche Remigia, perchè non è stata più la stessa con me?
Mattei.
Colpa tua, non colpa sua! Non hai saputo dimenticare davvero!
Federico.
Perchè anche Remigia non ha dimenticato, o almeno....
molto ironico
ha aspettato troppo.
Mattei.
So questo, io, e mi basta: — mia figlia ha giurato che quel tizio non lo avrebbe più riveduto e ha mantenuta la parola. Lui, ha cambiato di reggimento, è andato in Sicilia. Sono passati quasi tre anni: c’è ancora e ci resta.
[46]
Federico.
Ma....
Mattei
senza lasciarlo parlare.
Tu, invece, musi, sgarbi, scene!
Federico.
Ma lei?...
Mattei alzando la voce.
Non hai più voluto rimanere a Milano; sei venuto direttore delle cartiere a Subiaco: Remigia ti ha seguito sempre docile, senza la minima opposizione!
Federico
alzando la voce a sua volta.
Ma con lei, non ho più avuto che un nemico vicino a me; un nemico freddo e muto che mi gelava il sangue, che mi avvelenava l’esistenza! Per questo, quando tu le sei corso [47] dietro a Roma, te l’ho data! — Ah! — Era la liberazione!
Mattei.
Corso dietro! Corso dietro!... Corso dietro niente affatto! Ho dovuto venire a Roma per il Cotonificio, per la Camera.
Federico
con un’alzata di spalle.
Sei corso dietro a Remigia!
Mattei fuori di sè.
Ebbene, sì! E andate tutti al diavolo! Sono venuto a Roma per prendermi mia figlia che con te, a Subiaco, intisichiva, crepava!
Federico.
Falsità! Falsità! Quando piange, quando ride con quell’aria frivola e ingenua, falsità!
[48]
Mattei.
Ricòrdati: se vuoi esserlo con tua moglie, non ti permetto di essere villano con mia figlia!
Federico
alza le braccia con impeto, ma si ferma, spaventato, giungendo le palme verso Mattei.
No! No! Per amor del cielo! Non devi fraintendermi oggi. Dobbiamo.... ragionare pacatamente.
Mattei
torna a girare su e giù per calmarsi.
Siedi!
Federico siede: Mattei, continua a camminare su e giù, poi prende una sedia, la pianta vicino a Federico e siede a sua volta.
Parla.
Federico.
Tua figlia, anzi dirò, mia moglie, deve tornare a Subiaco, in casa mia.
[49]
Mattei
si volta di scatto, lo fissa, accavallando le gambe, prendendosi una gamba fra le mani.
Federico.
In casa mia; non con me. Appartamento separato, vita separata, ma deve tornare a Subiaco.
Mattei ironico.
La ragione di questo editto.... imperativo?
Federico.
Le ragioni. Sono due. Ti domando scusa se devo entrare nei tuoi interessi.
Mattei.
Liberissimo!
Federico.
Sei un uomo pubblico, per ciò i tuoi affari e la tua famiglia, che è [50] ancora la mia, sono messi in pubblico. Si sa che hai dovuto vendere la casa di Milano.
Mattei
trasalisce, poi dissimulando.
.... Dovuto, no; ho voluto vendere per un miglior impiego di capitale.
Con una sonora risata per calmare la nervosità.
Sai, giovanotto?... Non è ancora nato chi possa dare lezioni, in affari, a Pietro Mattei.
Federico.
D’accordo, ma quando ti occupi degli affari degli altri! — Hai venduta la casa, perchè avevi urgente bisogno di danaro.
Mattei colpito.
Ma....
Federico.
Chi non ti conosce, spiega il tuo [51] sbilancio, appunto, con tutti i grandi affari degli altri, in cui sei sempre ingolfato, e che non ti lasciano il tempo di badare ai tuoi. Ciò succede, anche, frequentemente ai galantuomini.
Mattei.
Grazie.
Federico.
Ma invece, chi ti conosce da vicino, pensa e.... dice, che tu ti rovini per il lusso sfrenato di cui circondi e si circonda tua figlia, cioè, mia moglie, la signora Schmidt. Rispondimi francamente: io, che figura ci fo? — Per il mondo, siamo sempre insieme.
Mattei.
Guadagni dieci mila lire all’anno; sei mila le dai a tua moglie; che vuoi di più per la tua delicatezza?
[52]
Federico.
Non c’è proporzione quando se ne spendono tre o quattro volte tanto per la casa, senza contare.... le toilettes.
Mattei.
Remigia, in questo, fa miracoli. Le sue più belle toilettes, — me l’ha detto lei, — le fa da sè, con la Claudina!
Federico.
Anche quelle che riceve da Milano o da Parigi?
Mattei.
Pettegolezzi!
Cambiando.
Non urtiamoci, senza pro! Del resto, trovo giustissime le tue osservazioni!
Con sincerità.
Provvederemo.... d’accordo, senza che tu mi porti via Remigia.
[53]
Federico.
Verrà subito con me! Non deve restare un’ora di più nella stessa casa con quel.... vostro parente! Quel conte Coldoredo!
Mattei ridendo.
Alvise?... Adesso l’hai anche con Alvise? Mio nipote, un ragazzo!
Federico.
Scusa; Remigia è sempre una ragazza; il Coldoredo è sempre un ragazzo.... Ma per te, gli uomini e le donne, non crescono mai?
Mattei
allargando le braccia.
Dio mio! Sono stati allevati, sono cresciuti insieme....
Federico interrompendolo.
Adesso, intanto, non si vedevano più da cinque o sei anni! — Che [54] cos’è? Applicato? Vice console?... Era al Cairo e ho saputo che è stato richiamato per un duello nel quale ha ferito il marito di una sua amante.
Mattei ridendo.
Una graffiatura; e il marito non era nemmeno un marito.... autentico.
Federico.
Chi te l’ha detto?
Mattei.
Alvise.
Federico riscaldandosi.
Se tu fossi un po’ meno con la testa al Cotonificio, alla Camera, al Ministero e un po’ più qui, ti sarebbe saltata all’occhio la sconvenienza di tenere nella stessa casa, con una donna giovane.... bella, un.... ragazzo che ha delle avventure galanti [55] così sonore da sentirsene l’eco sino a.... Subiaco!
Mattei.
È stato richiamato a Roma.... pareva per pochi giorni. Mandarlo all’albergo, il nipote della mia povera moglie?
Federico.
Pochi giorni, da quest’inverno!
Mattei.
Doveva andare a Tripoli, doveva andare ad Aden....
Cercando di rabbonirlo.
Adesso te lo manderemo a Zanzibar.
Risata.
Sei contento?
Federico
con un’alzata di spalle.
A Zanzibar o a Roma, a me, è soltanto il mio nome che mi preme.
[56]
Mattei riscaldandosi.
Non farai il torto a Remigia....
Federico interrompendolo.
Di credere che il Coldoredo sia il suo amante? Ah, no! In tal caso non vorrei riprendere Remigia; te la lascierei per sempre!... E pianterei Subiaco, la cartiera, tutto ciò che ho avuto da te! — Ricòrdati.
Pausa: calmandosi.
Non è poi la prima volta; ti ho già fatto in proposito qualche rimostranza. Tu, sempre il sordo e adesso la gente mormora.
Mattei lo guarda colpito.
Subito; oggi stesso; Alvise non resterà un’ora in casa mia! Si spende troppo; — hai ragione anche in questo. Tu dirai tutto quello che si deve fare e senza prendere Remigia troppo [57] di fronte, gradatamente, sarà fatto. Sì; sono debole con Remigia. Non ha salute! — Anche in questo somiglia a sua madre! — Invece di voler lei a Subiaco, vieni tu, a Roma. Prima con un po’ di frequenza....
Insinuante.
Di quella piccola nube non c’è più traccia nel suo cuore; non ne rimanga l’ombra nemmeno nel tuo, — e così, a poco a poco, resti sempre a Roma, con noi. È il mio sogno la vostra riconciliazione! Sono le vostre liti, le tue parole dure, i colpi che mi ammazzano! Pensa al mio lavoro enorme! Fiaccherebbe dieci uomini! A tante ire, scatenate contro di me, a tanto odio, — e l’odio che più ti ferisce, l’odio degli amici di una volta.... — Eppure mi sento forte, perchè sento che si finirà per [58] darmi ragione; ma ho tanto bisogno, in compenso, del riposo della mia casa, di vedere Remigia contenta, di non essere in urto con te!
Gli prende una mano, la preme sul cuore con la sua.
Non ti ho mai parlato così. Sii buono, tu che sei buono! Avevi tanta affezione per me....
Con un singhiozzo.
Ero il papà di Remigia e anche il tuo!...
Federico.
Affezione e gratitudine. Sempre eterne. Non avevo altro che la buona volontà di lavorare.... mi hai aiutato. Quando sembrò che Remigia....
Vincendo la commozione.
Hai acconsentito subito e non ero che un povero impiegato.
Con un tremito nella voce.
Ti rispetto come un superiore, ti [59] venero come un padre. Ma gli uomini grandi, non vedono le cose piccole che li circondano! Tu che conosci tutte le scaltrezze della vita pubblica, nella vita privata sei un ingenuo. Sai creare i milioni, ma non sai contare le migliaia di lire e fai dei debiti!... Un uomo di governo sarà forte anche povero: se ha debiti, sarà sempre sospettato. Ti ho parlato duramente perchè.... dovevo parlare. — La tua casa?... E la mia? Ormai è il tavolino del ristorante! — Ho parlato per il bene tuo, perchè ti rispetto, ti venero. E perchè tu l’ami, ho parlato anche per il bene di.... Remigia.
Mattei lo abbraccia.
Federico sciogliendosi.
Lasciami andare!... Lasciami andare! [60] Pensa a tutto quello che ti ho detto! Lasciami andare!
Via.
Mattei.
Ha ragione!... Sì, ha ragione!... Ha ragione!
Chiamando forte.
Remigia!...
Verso l’uscio, — a destra.
Luigi!
Luigi
si presenta sull’uscio.
Mattei.
Chiama subito la.... la signora Remigia.
Luigi
attraversa la scena; — va via a sinistra.
Mattei
camminando di nuovo su e giù.
Ha perfettamente ragione!
[61]
Remigia
inquieta, studiando Mattei.
Se n’è andato?
Mattei sempre c. s.
Remigia.
Al solito, avrà tentato di metterti su contro di me?
Mattei
sempre c. s. senza rispondere.
Remigia.
E c’è riuscito!
Mattei violento.
Ha ragione!... Ha ragione!... Bisogna [62] mettersi bene in mente che Federico ha ragione!
Remigia.
Oh! Oh! Che progresso nel tuo cuore! Il “tedesco di Milano„ è diventato Federico!
Mattei.
Sono stato debole e ingiusto anche in questo, non obbligandoti a riconoscere che tu, che noi, dobbiamo molto a Fe-de-ri-co. Ma, adesso, bisogna persuadersi che ha ragione, e cambiar vita.
Remigia fissandolo.
Cioè?... Cambiar vita?
Mattei.
Si spende troppo.
Remigia.
Che c’entra lui? Fa i conti in casa nostra?
[63]
Mattei.
Casa anche sua, perchè è tuo marito.
Remigia.
Benissimo! Làsciati sempre scaldar la testa, così lui, otterrà sempre il suo scopo di spadroneggiare anche qui.
Mattei.
Che scaldar la testa! Al caso, aperti gli occhi!
Remigia.
Di colpo? Con due sole parole? Ha un gran potere su di te.
Mattei.
Potere, dell’evidenza. Del resto capisco anch’io quando una cosa non va, e non va, ma per non contrariarti, per non darti un dispiacere, io divento.... vile. — Ti darò la prova [64] che Federico ha ragione, in due parole. Non ho finora trovato il coraggio di dirtelo, ma.... — Ho venduta la casa di Milano.
Remigia colpita.
Hai venduta la casa di Milano?
Mattei.
Occorrevano i danari.
Remigia
pallidissima, si appoggia al tavolino.
Mattei spaventato.
Che hai?
Remigia.
Niente!
Mattei.
Sei diventata pallida!
Remigia.
Non è niente. Al primo momento, [65] quando m’inquieto. Ma passa subito. È passato.
Mattei.
Remigia! Remigia! Non mettermi in croce! Quando fai così, io non parlo più, non si ragiona più, mentre è più che mai necessario di ragionare, di....
Luigi
bussa prima, poi entra.
Mattei arrabbiandosi.
Che c’è?... Mai un momento di respiro!
Luigi gli dà due dispacci.
D’urgenza, tutti e due.
Mattei
li apre in fretta; — legge.
Remigia tra sè.
E adesso?... Adesso?... Come si farà?
[66]
Mattei
letto i dispacci, dandoli a Luigi, in fretta.
In una busta, chiusa, al Cotonificio, al commendator Waiz! — Presto, vattene!
Quando Luigi sta per uscire.
E non ci sono per nessuno! Sta attento!
Torna vicino a Remigia e cerca di calmarla.
Lo devi capire: quando io non posso fare a modo tuo, mi arrabbio contro me stesso e sembra che mi arrabbi contro di te. Non è poi nemmeno il caso di esagerare; di rimedi.... radicali. Io credo che si può spendere la metà, facendo la stessa figura. Trova modo, tu che hai più tempo e sei più ordinata, di tenere come una specie di conto corrente, semplicissimo: — tanto di entrata e [67] tanto di uscita. Perchè, si sa come entrano, — e ne entrano molti, — ma poi, come escono....
ridendo
mistero!
Remigia.
Ma lui, come ha saputo?
Con ansietà.
.... E ti ha detto? Dimmi tutto, tutto!
Mattei.
Ha saputo che ho venduta la casa, perchè avevo bisogno di quattrini.
Remigia.
Sempre le sue spie! La sua persecuzione!
Mattei.
È tuo marito; si trova responsabile, moralmente, di quello che succede. Anzi, non voleva più lasciarti a Roma.
[68]
Remigia.
Dove avrei dovuto andare?
Mattei.
A Subiaco.
Remigia.
Ecco il suo scopo! Riavermi nelle mani per torturarmi!
Mattei.
Che torturarti! Si capisce che è sempre innamorato di te!
Remigia.
Ti proibisco di dirlo e di pensarlo.
Mattei.
Remigia!
Remigia.
Certe scene, certe parole, non si dimenticano, non si cancellano! In noi, resta la ribellione, la rivolta.
[69]
Mattei.
Dunque, tanto più! Se non vuoi tornare a Subiaco, bisogna accontentare tuo marito in tutto il resto. E non c’è bisogno di scalmanarsi, d’inquietarsi!
Remigia.
M’inquieto perchè lo capisco, lo so, tu covi sempre dentro di te il progetto della riconciliazione!
Mattei.
Io non covo niente. Ti dico chiaro che questo sarebbe il mio più grande desiderio.
Remigia
borbottando tra denti.
Per vedermi morire!
Mattei stizzito.
Basta!... Morire o non morire, dipende da te! Ti faccio soltanto osservare [70] che se tuo marito.... è diventato tuo marito, non l’ho covato io, ma lo hai voluto tu, — ad ogni costo! — Tu ne eri innamorata, io ho acconsentito.
Remigia.
Innamorata, come può esserlo una ragazza che non sa niente di niente. L’ho conosciuto a una festa da ballo.... Ballava bene.
Con un profondo sospiro.
Oh, se avessi avuto la mia mamma!
Mattei risentito.
Se ci fosse stata tua madre, avrebbe fatto quello che ho fatto io, perchè tu ne eri innamorata e perchè Federico era un bravo uomo! — Se ci fosse ancora tua madre, sarebbe anche per lei il rodimento dell’anima la vostra disunione, tanto più che il torto è dalla tua parte.
[71]
Su e giù c. s.
La mamma! La mamma! Era più buona di....
Cambiando, con malinconia.
Era più buona di noi, la tua mamma! Questa è la verità!
Guarda Remigia che si asciuga gli occhi: si calma, si commuove.
.... Hai ragione di rimpiangerla! Oh se hai ragione!
Abbraccia Remigia.
Il mio risentimento è stato ingiusto! È un vuoto, una mancanza, che tutti i giorni, tutti i giorni si sente di più!
La stringe sul cuore: le bacia i capelli.
Quante cose avrebbe potuto vedere, prevedere, evitare....
Remigia piange più forte sul petto di Mattei.
La mamma sì.... — lei lo avrebbe potuto.... ti sarebbe stata sempre vicina....
[72]
Le accarezza ancora i capelli.
Io ho appena il tempo di volerti bene e di accontentarti, forse al di là del ragionevole.... appunto perchè ti è già toccata la grande disgrazia che si sente sempre.... di non avere la mamma!
Pausa.
Anche Alvise!... È meglio che gli parli tu stessa, non vorrei che se ne avesse a male. E poi, io, quando lo vedo?
Remigia
fissando Mattei maravigliata.
Alvise?
Mattei.
Non deve più restare in casa nostra. Deve andare all’albergo; oggi stesso. — Qui, in casa con te, non è conveniente.
[73]
Remigia inquietissima.
È stato lui?... Te l’ha detto lui?
Mattei.
Lui e io. È un’osservazione che abbiamo fatta insieme.
Remigia.
Che cosa ti ha detto? Dimmi tutto quello che ti ha detto.
Mattei.
Che la gente mormora, che....
Luigi
bussa, c. s., poi entra.
Remigia stizzita.
Finitela! Non venite sempre innanzi e indietro!
Luigi
dando a Mattei un dispaccio e la ricevuta.
È riservatissimo, occorre la sua firma sulla ricevuta.
[74]
Remigia
batte i piedi per terra, nervosissima.
Mattei
firma in fretta e dà la ricevuta a Luigi.
Luigi via.
Mattei
apre il dispaccio, distratto: poi, subito, vivamente, non pensando più ad altro.
In cifre! Il ministro del Tesoro! La risposta all’ultimatum!
Corre alla scrivania, cercando, buttando tutto sossopra.
Era qui!... Era qui! Adesso! Poco fa!... L’ho messo qui!
Remigia dopo un momento.
Cosa cerchi?
Mattei.
Il cifrario!
[75]
Remigia
vedendo un libretto per terra, sotto la scrivania.
È questo?
Mattei.
Sì.
Prende un foglietto di carta e traduce il dispaccio col cifrario, a mezza voce.
80-1-75 dia corso.... contratto.... officine ferroviarie.... Paros.... italo-americane....
Continua a decifrare il dispaccio col viso illuminato dalla contentezza.
Finalmente!... L’hanno capita!... Hanno ceduto!
c. s.
raccomandando.... 707....
Forte.
Luigi!
Luigi si presenta.
Mattei.
Una carrozza, subito!
Luigi via.
[76]
Mattei
rilegge tutto il dispaccio trascritto sottovoce, poi lo straccia, getta i pezzi del foglietto nel cestino e mette il dispaccio ricevuto in un grande portafoglio di pelle nera; — borbottando tutto contento.
Troppi milioni! Troppi milioni!
A Remigia.
Dammi il cappello! Il soprabito!
Remigia lo aiuta a indossare il paltò.
.... Non capiscono che è quando se ne spendono pochi, meno del necessario, che son buttati via!
Remigia.
E Alvise?...
Mattei sorpreso.
Alvise?
Remigia.
Sì! Alvise? Cosa gli devo dire?
Mattei.
All’albergo! All’albergo! Ci sono [77] tanti alberghi a Roma! — Il compromesso?... La minuta del compromesso stipulato con l’ingegner Morgan?
Mentre va al forziere e lo apre.
Non potevano decidersi otto giorni prima? — No! —
Mentre fa passare carte e lettere.
Per poi rifare, quello che già era stato fatto e disfatto!
Trova il compromesso.
Eccolo!
Chiude il forziere.
E dire che ho lavorato tutta notte, per poter avere una mattina libera!
A Remigia mentre mette il compromesso col dispaccio nel portafoglio.
.... Capirai! Alvise è diventato un giovanotto! Si mette a fare anche lo spadaccino!... Sì! Sì! Oggi stesso mandiamolo all’albergo!
Remigia sempre nervosa.
Ma lui, lui?... Mio marito?
[78]
Mattei.
Federico?
Remigia.
Sì. Che cosa ti ha detto? — Dimmi la verità.
Mattei.
Niente che possa offenderti. Del resto, anche andando all’albergo, non bisogna esagerare nemmeno dall’altro verso! Alvise potrà sempre venire a pranzo da noi.... Cioè, sempre no! Ma se non tutti i giorni, almeno.... — E la corrispondenza col direttore delle officine?... — L’ho al Ministero!
A Remigia.
Adesso, capirai, tocca a me di riguadagnare tutto il tempo che loro mi hanno fatto perdere!
Vedendo comparire Luigi; arrabbiandosi.
E questa carrozza?
[79]
Luigi
che non ha avuto tempo di parlare.
Pronta!
Mattei.
Perchè non dirmelo, tartaruga?
Abbracciando Remigia.
Consolati, tu che ci tieni. Il tuo papà resta Eccellenza! Sempre così! Fare.... disfare.... per tornar a fare quello che voglio io!
Luigi via dopo Mattei.
Remigia
si lascia cadere sopra una seggiola accanto alla scrivania, muta, atterrita. — Lunga pausa.
E adesso?... Adesso?... Alvise?
Si alza di colpo; si avvia risoluta, verso l’uscio a sinistra. — Entra Alvise.
[80]
Alvise
sull’uscio a sinistra: chiamando piano Remigia.
Pst!
Guarda se Mattei è andato via.
Remigia.
Sì!... Vieni!
Alvise.
Ti aspettavo! Sono sulle spine; sai che è urgente. Il Gardani, aspetta. È fatto?
Remigia accenna di no.
Alvise sossopra.
No?
[81]
Remigia fuori di sè.
Non ne ha! Ha dovuto vendere la casa di Milano!
Alvise.
Vendere?... Lo zio?... La casa di Milano?
Remigia.
Mi ha fatto una scena perchè spendo troppo! Mi ha strapazzata! — Ho tanto pianto!
Alvise atterrito.
Proprio in questo momento.... È un disastro!
Remigia.
Non pigliartela col papà, adesso....
Alvise.
Ma se anch’io gli voglio bene, quasi come te! Se mi avesse lasciato fare non mi sarei battuto già dieci [82] volte per lui! — Ma, ha proprio dovuto venderla la casa, o l’ha venduta, così per....
Remigia interrompendolo.
Dovuto! Dovuto!
Con un nuovo spavento.
Oh Dio mio! E la Jourdain? La Jourdain?
Alvise.
Chi è?
Remigia.
La mia sarta! Ha minacciato di mandare il conto a mio marito!
Alvise.
Tuo marito non la pagherà e la sarta avrà quello che si merita.
Remigia.
Subito, invece! E con che gioia! Per il gusto di vendicarsi; per costringermi [83] a tornare a Subiaco; per farmi morire d’inedia, per obbligarmi a fare la serva!
Alvise.
Non esagerare!
Remigia.
E anche tu!
Alvise.
Io?
Remigia.
Oggi stesso, fuori di casa! Devi andare all’albergo! Lo ha imposto lui, al papà, perchè....
ironica
la gente mormora!
Alvise.
Andrò all’albergo! Che male c’è? Non ci vedremo lo stesso? La cambiale, cara mia! l’amico Gardani, altro che l’albergo!
[84]
Remigia con le lacrime.
Ma pure aveva promesso....
Alvise.
Non può! Non può! Sai che è agente di cambio? Ha perduto alla Borsa; non può!
Remigia.
Per causa mia, povero Alvise! Per me! È proprio vero! Come sono stata spensierata, pazza!
Alvise.
Non inquietarti! Non devi inquietarti, perchè non hai niente da temere. Sulla cambiale non c’è che la mia firma.
Remigia.
Ma i danari, ma il debito è mio!
Alvise.
Questo, bada, nessuno lo deve sapere. [85] Non lo sa nemmeno il Gardani! — Del resto, fra di noi, abbiamo sempre fatto un po’.... da buoni fratelli. Cercherò, m’ingegnerò, — lo ripeto, — non inquietarti! Se fosse possibile, dando un acconto, di rinnovarla almeno per quindici giorni, affretterei intanto la mia nomina e una volta a Zanzibar, tutti gli affari....
Respirando.
Ah, si trattano a lungo respiro!
Remigia.
No! Non andrai! Me lo hai promesso, giurato.
Fissandolo.
Ricordati: prima di te, non ho amato che un uomo, mio marito. Non ho da rimproverarmi, con chi tu sai, che le sue passeggiate a cavallo, e lo scambio di due bigliettini inconcludenti. [86] Tu non hai più diritto di abbandonarmi!
Alvise sincero.
Ma se mi sanguina l’anima al pensiero di partire, per te e, ti dico la verità, anche per Roma!... Ma come si fa!... — Per il punto d’onore — giuoca, giuoca, giuoca, per poter pagare: s’è formata.... la valanga!... Adesso, poi, figùrati, con l’acqua alla gola e lo zio, furente contro di me, furente contro di te....
Remigia.
Furente, il mio papà?... Povero papà! Fatta la sfuriata, se n’è andato abbracciandomi già sereno, dicendomi: resto Eccellenza!
Alvise
fissa Remigia senza ben capire.
[87]
Remigia.
Sai come fa presto a cambiar d’umore! Ha ricevuto un dispaccio dal ministro del Tesoro, che gli ha fatto piacere e ha dimenticato tutto!
Alvise colpito.
Dopo ricevuto un dispaccio del ministro del Tesoro che gli ha fatto piacere, ti ha detto “resto Eccellenza„?
Remigia accenna di sì.
Alvise.
Resto ministro?
Remigia c. s.
Alvise
ha uno scoppio di allegria; — l’abbraccia.
Che lampo! Che luce!... Che luce di milioni!
[88]
Remigia
tra l’inquietudine e la speranza.
Tu.... scherzi.... per consolarmi un po’?
Alvise
sempre allegrissimo.
Non leggi i giornali, mai.... La figlia di un ministro? Se lo zio, se il papà ti ha detto che resta Eccellenza, vuol dire che hanno accettato le spese ferroviarie! — Non sai che le spese.... ferroviarie, sono la nostra salvezza?
Remigia.
Ti prego! Ti supplico! Non è il momento di scherzare.
Alvise.
La nostra salvezza è Gardani? — Le spese ferroviarie sono la salvezza [89] di Gardani, dunque anche la tua e la mia.
Remigia.
Mi rendi nervosa! Mi fai star male!
Alvise ridendo.
Prendo una carrozza — non più a piedi! — Il tuo sogno, l’automobile, spunta sull’orizzonte! — Vado a dire in un orecchio al Gardani che le spese ferroviarie sono state accettate e la nostra cambiale... ma che cambiale....
Facendo cenno con le dita e con la bocca di riscuotere molto danaro.
Chh!... a volonté!
Remigia stizzita.
Ha ragione il papà! Sei sempre un ragazzo!
Alvise.
Sai cos’è la Borsa?
[90]
Remigia.
Sì.
Alvise.
Lo sai, o non lo sai?
Remigia.
Sì! Sì!
Alvise.
La Borsa è un luogo nel quale, quando io so, — prima che lo sappiano gli altri, — che mio zio, come te l’ha detto in questo momento, resta ministro, tu puoi pagare tutte le Jourdain nazionali e internazionali, presenti.... e anche future! — Più a Subiaco! Più a Zanzibar. — Si resta a Roma! — Evviva Roma! — Mio zio, vuol fare economia? — Benissimo! Farai senza dei denari di papà! Te li darò io!
c. s.
Chh! Chh! a volonté!
[91]
Remigia
rassicurata; sorridendo con ironia scherzosa.
Tu?
Alvise.
Soltanto.... ci vorrebbe qualche particolare preciso. Cerca di ricordarti. Che cosa hai potuto capire?
Remigia.
Io avevo altro per il capo, in quel momento! Il dispaccio era in cifre.
Alvise contrariato.
In cifre?...
Remigia.
Il papà ha preso il cifrario, lo ha tradotto sopra un foglietto, poi mi pare che lo abbia lacerato e buttato via.... nel cestino.
Alvise.
Nel cestino?... Cerchiamo! Cerchiamo insieme!
[92]
Corre con Remigia a prendere il cestino; lo rovescia, si curvano a cercare fra i pezzetti di carta: Alvise ne sceglie due o tre.
Eccolo! Eccolo!
Leggendo a Remigia.
Ferrov.... — Ferroviarie!...
Si alza, impallidendo.
Luigi!
Remigia
spaventata si mette dinanzi ad Alvise e al cestino, per nasconderli a Luigi: poi si avvicina piano verso l’uscio ascoltando: sottovoce.
No!... Luigi.... Non c’è!...
Mettendo una mano sulla mano di Alvise che fa per ricominciare a leggere i pezzetti di carta.
E poi?... Il papà?
Alvise
con un’alzata di spalle.
Non.... facciamo niente di male!
Remigia c. s.
Giura!
[93]
Alvise.
Nè male.... nè bene! Cioè, un bene per noi che non fa male a nessuno!
Pallido e inquietissimo, continua a cercare i pezzetti del telegramma, leggendoli sottovoce.
.... Sue.... con....
A Remigia spingendola verso l’uscio a sinistra.
Là! Là!... Sta attenta!
La segue con gli occhi, inquieto, mentre continua a scegliere i pezzetti del telegramma e caccia l’altra carta nel cestino.
Remigia
ritornando verso Alvise: sottovoce.
Non c’è nessuno!
Alvise
indicandole di restare vicino all’uscio.
Sta attenta!... Sta attenta!
Sempre c. s.
Proposte.... raccomando....
Cala la tela.
FINE DEL PRIMO ATTO.
[95]
La stessa scena come nell’atto primo. Sulla scrivania non c’è più la macchinetta del caffè, nè la chicchera; invece una bottiglia d’acqua e un bicchiere.
[97]
Mentre si alza la tela, la scena è buia. Entra Luigi. Apre, prima a destra, poi a sinistra, i due bottoni della luce elettrica; — entra Pontedera.
Luigi a Pontedera.
Sua Eccellenza sarà di ritorno alle dieci dal pranzo di Sua Maestà. Ho ricevuto l’ordine da Sua Eccellenza, — se il signor dottore veniva prima delle dieci, — di pregarla di voler avere la compiacenza di accomodarsi qui, e di voler aspettare Sua Eccellenza!
Pontedera sorridendo.
Ti faccio i miei complimenti, vecchio Luigi! Sei diventato un vero [98] maestro di cerimonie! E i baffi? Non corrono più nessun pericolo?
Luigi
sorridendo a sua volta.
Pare.... di no.
Via.
Pontedera
cantarellando sottovoce apre una scatola di sigarette; accende una sigaretta; dopo la prima boccata entra Remigia.
Remigia
abbigliata elegantemente con una ricca collana di brillanti al collo.
Come? Venivo a cercare il mio papà e invece, chi trovo?... Il pedante brontolone!
[99]
Pontedera
indicando la sigaretta.
Che ha commesso un furto!
Fa per mettere la sigaretta sopra un piattellino.
Remigia.
Fuma pure! Anzi, fumerò anch’io una sigaretta, se il signor dottore non ha nulla in contrario!
Pontedera.
Tutt’altro! Ti offro io stesso l’astuccio dei veleni!
Remigia con intenzione.
Ti piacerebbe.... avvelenarmi?
Pontedera.
È una cosa che noi dottori non possiamo fare.... altro che senza saperlo!
Remigia.
Sei venuto soltanto per salutarlo [100] il mio papà? — Adesso sta veramente bene!
Pontedera
marcando la differenza che Remigia non avverte.
Da qualche giorno, si sente bene. Tra il Ministero, gli affari, non mi riesce di agguantarlo altro che nel momento in cui sta per rintanarsi!... Sono venuto anche per te; per la mia visita di congedo.
Remigia.
Torni a Milano?
Pontedera.
Domani. Pur troppo le mie vacanze sono finite! Luigi mi ha detto che Pietro sarebbe ritornato verso le dieci, e di aspettarlo.
Remigia.
Anch’io, sai? Non lo vedo quasi [101] più il mio papà. La mattina, quando gli dò il buongiorno, e la sera, quando gli vengo a dare la buona notte! Colazione.... la fa quasi sempre in fretta al Ministero. A pranzo, o ritorna a casa ad ore impossibili, o ha qualche invito ufficiale. Stasera è a pranzo a Corte.
Pontedera.
Me l’ha detto Luigi.
Remigia.
Per questo — per poterlo almeno salutare! — ho fatto sapere ai miei amici che stasera avrei ricevuto molto più tardi!
Pontedera.
Oh! Oh!... Serata di gala?
Remigia.
Non fare dell’ironia, anche a proposito dei miei ricevimenti. Una [102] volta davo tre soirées in settimana, adesso.... uno solo e pochissimi amici del mio papà: funzionari e funzionarie. È il peso della rappresentanza. Si fa un po’ di musica, quattro salti.... Una tazza di tè, un bicchiere di champagne.... Perchè mi guardi così?
Pontedera.
Ammiro la tua toilette.
Remigia.
Ti piace? È dell’anno scorso. Ha un anno!
Pontedera.
Si vede, che è giovane!
Remigia.
Dopo che abbiamo salutato il papà, vieni anche tu, di là?... No?
[103]
Pontedera
mostrando che è in giacca.
Guarda: l’abito non fa il monaco, ma fa il gentiluomo.
Remigia.
Prendi una carrozza e in un quarto d’ora sei di ritorno, in punto e virgola! La verità è che tu non mi puoi soffrire! E dici di voler bene al mio papà!
Pontedera sorridendo.
Se fosse precisamente per questo?... Perchè tuo padre ti ama troppo?
Remigia.
Gelosia, allora?
Pontedera
scrollando il capo.
Timore.
Remigia scherzando.
Mauro, Mauro, mi fai insuperbire!
[104]
Pontedera.
No! No! Alla mia età, le belle signore, non mi fanno più paura altro che per i miei amici. Ti temo.... per tuo padre.
Remigia
corrugando le ciglia.
Perchè?
Pontedera.
Te l’ho già detto il perchè. Ti ama troppo. Non bisogna mai amare gli altri più di noi stessi. È un amore contro natura e perciò morboso e colpevole.
Remigia.
Quando si ama davvero, si ama sempre più di noi stessi.
Pontedera.
Le amanti; non le figliuole.
[105]
Remigia.
Perchè questa differenza?
Pontedera.
Perchè le amanti sono disturbi passeggeri. Come i flemoni, durano soltanto finchè dura l’infiammazione. Poi, le amanti, si prendono già coi loro difetti; anzi per lo più, è soltanto per i loro difetti che si possono prendere. Invece, le figliole sono il nostro prodotto, soprattutto morale. La nostra gioia.... non sempre, ma sempre la nostra responsabilità. Bisogna per ciò allevarle con amore, ma soprattutto educarle.... con rigore.
Remigia.
E i figliuoli?
Pontedera sorpreso.
Figliuoli e figliuole, s’intende!
[106]
Remigia.
Allora, scusa una domanda. Te.... chi ti ha educato?
Pontedera ridendo.
Brava! Mi hai data la lezione che mi merito! Bravissima.
Chiamata al telefono.
Remigia
andando al telefono.
Certo, il papà!
Pontedera.
Dirà che non può venire!
Remigia al telefono.
Pronti!... — Con chi parlo?...
Voltandosi a Pontedera.
Non è il papà! È Scarlini.
Di nuovo al telefono.
No! Non è ancora tornato!... — Sì! Certissimo!... Ha detto alle dieci!... — Sì! [107] anche il dottor Pontedera è qui ad aspettarlo!... — Come? Eugenia è andata al Costanzi? Proprio stasera?... Viene dopo teatro?... — Allora le perdono!... — Sì! sì.... Va bene!... A rivederci!
Toglie la comunicazione: entra Mattei.
Mattei
di buonissimo umore.
Qualche seccatore?... Gli avrai risposto, spero, che non si sa quando torno?
Remigia.
È Scarlini,
[108]
Mattei.
Meno male.
Remigia.
Viene adesso, per parlarti.
Mattei.
Sarà per il giornale. Vorrà le indiscrezioni del pranzo!
Ridendo.
Sta fresco!
Si sbottona il paltò per levarselo e ripiega il bavero, ma poi lo rialza subito, comicamente, per nascondere la commenda a Pontedera.
Il prezzo del tradimento!
Risata.
Remigia
ripiegandogli il bavero.
No! Stai così bene in frak con la commenda!
Gli leva il cappello e il paltò.
Non è vero, Mauro, com’è bello, così, il mio papà?
[109]
Mattei
voltandosi a Pontedera.
Sono bello?
Pontedera.
Un arco baleno!
Mattei
osservando Remigia.
Ma.... anche tu.... Lascia vedere.... hai una certa commenda al collo....
Fissando la collana e oscurandosi in viso.
Non te l’ho mai vista?
Remigia.
Sì, papà, tante volte!
Mattei.
No.
Remigia nervosa, in fretta.
Perchè non ci hai mai badato!... Non ti ricordi, il cambio che ho fatto con le mie perle, quelle del matrimonio, [110] col braccialetto che mi hai portato da Londra, con tanti altri bijoux?
Chiamando forte.
Luigi!
Luigi entra.
Remigia.
Prendi la roba del papà!
Mattei subito, a Luigi.
Bravo! Amicone!
Indicando che vuol levarsi il frak.
Portami la redingote, la giacca, quello che vuoi!
Luigi
esce con la roba e rientra con un altro abito.
Remigia.
Devo telefonare a Scarlini che sei tornato a casa?
Mattei di buon umore.
Non ha già detto che verrà?...
[111]
Remigia.
Sì.
Mattei.
E allora lascia correre!
A Pontedera.
Dieci minuti di riposo tra un esercizio e l’altro!... Precisamente come al Circo Equestre!
Ridendo.
Non dicono che sono un clown?... un trasformista?... un equilibrista?... Dunque, musica! Cium! Cium! Il celebre acròbata, Pietro Mattei, si presenterà dinanzi a questo colto pubblico maravigliandolo con nuovi salti e capriole!
Si leva la commenda, la consegna a Luigi che con Remigia lo ha aiutato a mutarsi d’abito; — a Luigi, con comico rispetto.
Nell’astuccio, come una reliquia! Non è benedetta.... ma ha avute tante [112] benedizioni! Però, se sono portentosi i salti del vecchio clown
a Pontedera
per lui, non saranno salti mortali!
Con la gioia che gli brilla negli occhi.
Saranno mortali per le camorre, per le clientele, per le mangerie dei fornitori, dei mediatori, per quella piovra che si chiama burocrazia, la quale complica e ritarda ogni movimento, dissanguando lo Stato! — Ma quante ire, quanto odio!... E come mi fa piacere il sentirmi così combattuto, così odiato!
Risata.
Mi raddoppia la lena! mi.... ringiovanisce! — Buffone! Saltimbanco! — Cium! Cium! Avanti signori! È il vecchio clown questa volta, che fa ballare gli inetti, i bricconi, gl’imbroglioni! — Avanti! Pagatemi pure [113] con moneta lurida! Con le ingiurie! Non potrete mai darmi del ladro, e per questo il più forte sarò sempre io!
Remigia.
Non gridare, papà!
Pontedera.
Non inquietarti!
Mattei.
Inquietarmi? Se sono l’uomo il più sereno e il più felice del mondo?
A Pontedera.
Sai il perchè?...
Lo fissa: allude al Re.
Non mi sento solo e con quello là....
Si picchia col dito in mezzo alla fronte.
Te lo dico io! Andiamo bene! È....
risata
un bravo ragazzo!... Lasciami, lasciami lavorar di piccone contro tutto questo vecchiume ingombrante che [114] toglie l’aria e la luce, e dirai anche tu, uomo dei pregiudizî, che questa volta ho fatto bene a dir di sì, a non dormire sugli ideali, a non ridurre il mio berretto frigio.... un berretto da notte!
Si ferma.
Senza accorgermene vi minacciavo un discorso!
Risata.
Cosa vuol dire le cattive abitudini!
Si sente suonare il pianoforte dall’uscio lasciato aperto da Remigia.
Senti?... I tuoi invitati stanchi di aspettarti, cominciano a mormorare sul pianoforte!
Remigia
entra un momento; — ritorna subito e richiude l’uscio.
Non c’è che Alvise con i signori Martinelli e la marchesa Lébori.
[115]
Mattei.
Va! Va! Non farti aspettare!
Remigia.
Verrai anche tu più tardi?
Mattei.
Se non sarò troppo stanco....
Remigia.
Se vai a letto, chiamami prima. Voglio darti la buona notte!
Mattei.
Intanto, un bacio. Se me ne avrai dato uno di più, te lo renderò!
Abbracciandola.
Divertiti, cara.
[116]
Pontedera.
Quel.... conte Alvise, tuo nipote, non doveva andare a Zanzibar?
Mattei.
E ci andrà; prestissimo. Deve dare ancora non so che esame; ma ci andrà presto, a Zanzibar o a Tripoli.
Diventando serio.
Perchè mi fai questa domanda?... Hai veduto mio genero?... Ti ha forse detto qualche cosa?
Pontedera.
Ho incontrato Federico, giorni fa, alla posta. Abbiamo fatto insieme un [117] po’ di strada. Mi ha invitato ad andare a Subiaco, ma non mi ha parlato nè di te, nè di sua moglie.
Mattei.
In ogni modo, il signor Schmidt non avrebbe nessuna ragione di brontolare. Alvise, non solo è andato fuori di casa mia, ma ci viene anche ben di rado; quando abbiamo qualche pranzo, qualche ricevimento. Chiudere la porta in faccia alla gente, capirai, non si può.
Pontedera.
Certo! Remigia non si adatterebbe....
Mattei interrompendo.
Remigia?... Lei?... Ma lei si adatterebbe a tutto! Remigia non ha che una volontà, un desiderio, accontentarmi!... Voi non la conoscete [118] bene; per questo, siete tutti ingiusti con lei!
Pontedera.
Io dicevo soltanto....
Mattei.
Non dir niente, che sarà meglio!
Pontedera.
Non dico niente....
Mattei.
Il signor Schmidt.... tutti!... Vi siete messi in mente che Remigia abbia lei la smania di ricevere, e questo non è vero! Sono io! — I miei colleghi, i miei funzionari, le loro famiglie.... Bisogna pur ricevere tutta questa gente! Remigia, appunto, si sobbarca a un monte di noie, per sollevarmi dalle seccature, dal peso delle visite e dei complimenti.
[119]
Pontedera.
Scusa, non parliamo di tua figlia perchè, come Domeneddio, non va nominata invano. — Ho sentito che di là c’era tuo nipote. Ora, siccome — saranno più di quindici o venti giorni — mi hai detto che doveva partire subito per Zanzibar, così m’è sfuggita una domanda innocentissima.
Mattei.
Sei sempre padrone di domandare tutto quello che vuoi!
Pontedera.
Sei tu che mi hai detto che non volevi più saperne di ricevimenti, anche per non dar ombra a tuo genero, e che volevi restringerti nelle spese, perchè ti eri accorto che spendevi troppo. Io non entro mai, di [120] mia iniziativa, nei fatti e negli interessi altrui.
Mattei.
Altrui. Io non credevo di essere per te un.... altrui.
Pontedera sorridendo.
Sono un istrice, — lo dici tu stesso, — e pungo senza accorgermene!
Mattei
prendendolo sotto braccio.
Sai ciò che mancava in casa nostra, non per colpa di Remigia, ma per colpa mia? — L’ordine. — Messo un po’ di ordine, adesso si va come l’olio. Si fa la figura di prima e si spende la metà. — La disgrazia mia e di Remigia, è una sola. Federico. Non che sia cattivo, tutt’altro! Ma.... amare finisce ad essere un male invece di un bene, quando non sappiamo anche farci amare!
[121]
Luigi.
L’onorevole deputato Scarlini.
Mattei
di nuovo allegrissimo.
Avanti! Avanti!
A Pontedera.
Non andar via! Scarlini lo conosci; siete diventati amici. — E poi a quest’ora ha il giornale e non può fermarsi. Faremo ancora quattro chiacchiere, finchè vado a letto.
A Scarlini, ridendo.
Se sei venuto per informazioni e indiscrezioni, mi tenti invano. Girandola, [122] Giano-bifronte, ma il Repubblicano di Sua Maestà è incorruttibile!
Scarlini
dopo aver scambiato in fretta una stretta di mano con Pontedera, sottovoce a Mattei.
Devo annunciare subito nella prima edizione della Parola, che uscirà domattina, la tua querela all’Avanguardia.
Mattei.
Io, dar querela?
Scarlini continuando, c. s.
Per un articolo contro di te!
Mattei forte.
Diventi matto!
Scarlini.
Bisogna annunziare subito a tutti i giornali d’Italia che darai querela all’Avanguardia, e devi darla.
[123]
Mattei
risponde a Scarlini con una risata: — a Pontedera, che fa per andarsene: con forza.
Fermati! Non ho mai avuti segreti per gli amici.
A Scarlini.
Parla ad alta voce.
Scarlini forte.
Io ti sono amico e ho grande stima di te: te l’ho provato alla Camera; te l’ho provato nel mio giornale. Io ho sempre ammirata la stoica fermezza dell’animo tuo contro tutte le ingiurie, contro i più volgari epiteti. Ne ridevi?... — Ho riso con te. Oggi no. Oggi, devi dar querela.
Mattei.
Ho fatto giuramento a me stesso: finchè non si attenterà all’onestà dell’uomo privato, padronissimi d’inventare [124] quello che vogliono; me ne infischio.
Scarlini.
Ma....
Mattei.
La più grande forza dell’uomo pubblico, dell’uomo di Stato è l’indifferenza. Guarda i grandi!
A Pontedera.
Guardate Cavour!... E ha avuto, oppositore atroce, un Garibaldi!
Scarlini.
Ma Cavour non è mai stato accusato di affarismo; di una losca operazione di Borsa!
Mattei
un grido terribile: quasi avventandosi contro Scarlini.
Chee?...
Pontedera calmandolo.
Pietro! Pietro!
[125]
Mattei
dà una forte scrollata di spalle.
Risponderò a quella gente, che le mie mani sono troppo pulite per sbatterle sulla loro faccia.... sporca!
Risata, ma nervosa, cominciando a ansimare, esaltandosi.
Un gioco di Borsa, io?... Almeno, il verosimile!... Quando mi dànno del voltafaccia, quando dicono che ho voltato casacca per l’ambizione, per indossare la livrea di corte, vivaddio per gl’imbecilli, questo può essere ancora verosimile, ma accusare di turpi speculazioni un uomo che, se soltanto si fosse occupato degli affari propri invece di occuparsi degli affari del pubblico e dello Stato, sarebbe ricco, straricco, è stupido, è ridicolo, è grottesco! Grottesco!
[126]
Pontedera.
Non inquietarti! Non gridare!
Scarlini.
Il tuo non è ragionare, non è rispondere! E all’articolo dell’Avanguardia bisogna rispondere!
Mattei.
Ma trent’anni di vita onesta, non rispondono per me? La mia.... quasi povertà non risponde per me?... Sono trent’anni che maneggio milioni.
Battendo sullo scrigno.
Questa è la mia cassa! Apritela! Sì e no, vi troverete mille lire, di mio! Non dò querela. A poco a poco.... bisogna abituarsi a tutto! Prima non ho più avuto ingegno, — sono diventato una bestia! — Poi non ho avuto più carattere!... Adesso non [127] ho più nemmeno onestà! Non sono più nemmeno un galantuomo!... Bisogna abituarsi! Abituarsi a tutto e poi....
Si lascia cadere sulla poltrona spossato.
Abituarsi a tutto.... o crepare.
Dopo un momento; a Scarlini.
Questo giornale.... dammelo.
Pontedera
va alla scrivania, versa un mezzo bicchier d’acqua.
Mattei
sempre più abbattuto, guarda Scarlini, guarda Pontedera, col giornale stretto, gualcito, nella mano tremante.
Pontedera
gli offre l’acqua da bere.
Mattei.
Beve.
Grazie.
Apre il giornale.
[128]
Scarlini indicando.
Seconda pagina. Terza colonna.
Mattei leggendo.
“Il fasto....„
Colpito.
Il fasto?...
Torna a leggere.
“Il fasto e i fasti di una nuova Eccellenza — Dai giuochi acrobatici, ai giuochi di Borsa!„
Legge piano tutto l’articolo: il suo respiro diventa sempre più affannoso, il volto terreo, spaventoso: per la prima volta ha una contrazione, una smorfia prodotta dalle pulsazioni trasmesse dai grossi vasi del collo. — Dopo letto, dà il giornale allo Scarlini; rauco.
Sì!... Sì!... Querela!... Querela!... Con la più ampia facoltà di prova.
Scarlini.
S’intende.
Dà il giornale a Pontedera che lo legge a sua volta.
[129]
Mattei borbottando.
La galera a quella gente!... La galera.
Scarlini
a Pontedera, mentre legge l’articolo.
È la prima edizione dell’Avanguardia che arriva domattina in tutta Italia, mentre la seconda edizione esce a Roma. È perciò importantissimo che tutti i corrispondenti possano telegrafare ancora stanotte ai loro giornali il sunto della mia risposta, con l’annunzio della querela.
Pontedera.
Precisamente.
Rende il giornale a Scarlini.
Scarlini
sorridendo, a Mattei.
Abbiamo poi la circostanza favorevole che se tu sei un galantuomo, [130] lo sono anch’io, ed è notorio che se il mio giornale ti è amico, non è un giornale che si vende.
Mattei più calmo.
E ancora un’altra fortuna. Dal momento che ho ricevuto il telegramma del ministro del Tesoro, — prima vi faceva opposizione, lo sai — di dar corso al contratto per la fornitura dei vagoni con le Officine Italo-Americane, per evitare appunto propalazioni, sorprese da parte degl’interessati allo smercio dei titoli in Borsa, ho condotto tutte le pratiche, non solo segretamente, ma personalmente. Anima viva non ne ha saputo una parola, altro che a operazione finita. Di là c’è il commendator Martinelli, il mio segretario particolare, il mio alter ego: lo chiamo. Egli stesso vi [131] confermerà di averlo saputo soltanto da otto giorni. — Luigi!
Scarlini.
Che fai?
Mattei.
Mando a chiamare il Martinelli!
Scarlini.
Che Martinelli!
Pontedera.
Non abbiamo bisogno di testimoni per crederti!
Mattei.
Siccome tutti e due reputate necessario, indispensabile, che io debba raccogliere il fango....
Pontedera.
Non raccogliere! Rispondere!
Scarlini.
E sia! Senza rettorica! Quando [132] vai per la strada e la ruota di una carrozza t’imbratta il viso di fango, puoi essere galantuomo quanto vuoi, ma tornerai a casa a lavarti! — Martinelli! Testimoni! — Che testimoni! Per provare che hai tenuto segreto il contratto con le Officine Italo-Americane?... Se l’Avanguardia, — non hai letto? — ti accusa appunto di averlo tenuto segreto per giocare o far giocare al rialzo sulle Itale, per tuo conto?
Mattei smarrito.
Hai ragione! Hai ragione! Ma si finisce anche col perdere la testa!
Scarlini.
Intanto, di precisato, — per le nostre indagini, — nell’articolo dell’Avanguardia, c’è un fatto e un nome. Il giuoco al rialzo, sulle Italo-Americane, compiuto venti giorni fa....
[133]
Mattei.
Appunto! Venti giorni fa!... Precisamente! Il giorno dopo che io ho ricevuto il telegramma! Quando io solo potevo saperlo!... Quando io solo lo sapevo?! E il nome?... Non ricordo il nome....
Scarlini.
Dell’agente di cambio che avrebbe giuocato per tuo conto? Enrico Gardani!
Mattei.
Gardani?... Mai sentito nominare. Ma non può esserci stata indiscrezione, malafede, dall’altra parte?... Da parte delle Itale?
Scarlini.
Potrebbe darsi. C’è, però, una grave circostanza, della quale bisogna tener conto. Questo Enrico Gardani [134] è un uomo di pessima fama. In Borsa, dalla gente seria, accreditata, è tenuto il più possibilmente alla larga. Sono venuto a sapere che è, invece, in intimi rapporti con tuo nipote.
Mattei.
Alvise?
Scarlini.
Appunto; il contino di Venezia, il diplomatico a spasso. Ho saputo che.... si divertivano insieme. Passavano la notte, giuocando.
Mattei maravigliato.
Giuocando?
Scarlini.
Nei mezzanini di un caffè; una bisca di Via Nazionale.
[135]
Mattei.
Mio nipote?... Perchè non me l’hai detto prima?
Scarlini.
Anch’io non l’ho saputo che un’ora fa.
Pontedera.
Da chi?
Scarlini.
Dal più abile dei nostri reporters, Tito Squaglia. Ha l’ardore, il fiuto di un branco di segugi.
Mattei.
E ha aspettato proprio un’ora fa?
Scarlini.
Tito Squaglia segue il fatto del giorno. Consegnandomi la prima prova dell’Avanguardia, ancora fresca di [136] stamperia, mi ha dato le informazioni che mi potevano occorrere.
Mattei.
Alvise? Chi sa?... Ancora un ragazzaccio!... Raggirato, trascinato. — Il giuoco?... — Uhm! Mi ha sempre detto che non giocava mai!
Scarlini.
Eh!... Dal fare al dire.
Mattei
nervoso; batte sulla spalla al Pontedera.
Sì! Hai ragione! Lo faremo partire! Subito!
Mormorando tra sè.
E anche il.... tedesco aveva ragione!
Forte.
Ma un’azionaccia, una bricconata.... — Mio nipote?... — No.
Rassicurandosi; sorridendo.
E poi.... Alvise?... Che cosa poteva [137] saperne Alvise del contratto del Governo con le Italo-Americane?
Scarlini.
C’è però ancora....
Mattei.
Ancora una circostanza?
Scarlini.
Un fatto; del quale subito gli chiederai conto.
Mattei.
È di là: lo chiamo.
Scarlini.
Tito Squaglia ha saputo che c’era in giro una cambiale di tuo nipote per dieci mila lire, girata e fatta scontare alla Banca da Enrico Gardani.
Mattei.
Alvise? Dieci mila lire? Ma chi [138] vuoi che gli presti dieci mila lire? — Se non ha un soldo, di suo, povero diavolo!
Scarlini.
Appunto; è tanto più grave che il Gardani gliele abbia prestate. Vuol dire, chiaramente, che costui ha messo gli occhi sopra tuo nipote e ha voluto averlo nelle mani premeditando qualche grasso affare.
Mattei
si avvia precipitoso verso l’uscio, a sinistra.
Pontedera lo ferma.
Che fai?
Mattei.
Di là.... Alvise....
Pontedera.
Vuoi far nascere uno scandalo?
[139]
Mattei.
Si perde la testa!... Si perde la testa!
Pontedera.
Sii uomo! Uomo! Pensa chi sei!
Scarlini.
Lo fai chiamare da Luigi.
Mattei.
Sì!
Fa cenno a Pontedera di chiamare Luigi.
Pontedera si avvia.
Scarlini
lo ferma con un cenno. — A Mattei.
Devi interrogarlo da solo a solo; e devi costringerlo a dirti la verità. Io ti dirò soltanto come il tuo amico Mauro: pensa chi sei. E pensa che non sei padrone tu, del tuo onore. Il tuo onore, in questo momento, è [140] anche il nostro; è l’onore dei tuoi amici; è l’onore dei tuoi colleghi. Se c’è un colpevole, anche in casa tua, qualunque esso sia, parente, nipote, nessuna indulgenza; deve rispondere del proprio fallo. Ricòrdati: tu non hai diritto di lasciar parlare il cuore, di nascondere gli altri con la tua persona. La tua persona, per te e per noi, deve sempre apparire com’è: incontaminata.
Mattei
risoluto: a Pontedera.
Chiama Luigi.
Luigi
entra; — si ferma sull’uscio.
Mattei a Scarlini.
Annunzia nel tuo giornale che Pietro Mattei dà querela all’Avanguardia con la più ampia facoltà di prova. E [141] sia telegrafato subito da tutti i corrispondenti, in tutta Italia.
Scarlini
stringe la mano a Mattei, fortemente.
Mi telefoni più tardi?
Mattei.
Sì.
Scarlini
esce in fretta, scambiando un saluto con Pontedera.
Mattei a Luigi.
Chiama un momento il.... il signor Alvise.
Luigi via.
Quando l’uscio di sinistra è aperto, si sente di dentro la voce di Alvise — “Alla figlia di Papà Eccellenza!„ — La musica, al pianoforte, di Madama Angot: “Sono la figlia„, ecc. — Uno scoppio di risa; — poi di nuovo silenzio.
Mattei fissa Pontedera.
[142]
Luigi
attraversa la scena; — va via, a destra.
Mattei
a Pontedera, sottovoce.
Mauro, Mauro, non andar via!
Pontedera.
Sono di là. Quando vuoi, mi fai chiamare.
Via.
Alvise
allegrissimo, per lo champagne bevuto.
Mi hai fatto chiamare?
Mattei
lo fissa torvo, muto.
[143]
Alvise.
Eccomi a’ tuoi ordini, zio Eccellenza!
Mattei con voce sorda.
Ricòrdati, che non lo sono un pagliaccio.... E tanto meno il tuo pagliaccio.
Alvise.
Cos’hai?
Mattei.
Che rapporti esistono fra te e un certo Enrico Gardani, agente di cambio?...
Alvise
colpito; — si domina subito.
Nes.... suno.
Mattei.
Tu lo conosci.
Alvise.
Ap.... pena di vista.
[144]
Mattei.
Bugiardo!
Alvise.
Zio....
Mattei.
Bugiardo! E bada: con me non si fa il Rodomonte. Tu dici una menzogna. Passi con lui tutte le notti, a giuocare, in un caffè, — una bisca, — di Via Nazionale!
Continua a fissare Alvise, avvicinandosi.
Alvise.
Sempre no; qualche sera, al bigliardo. Ma non ho mai avuto nessun rapporto, con lui.
Sicuro, disinvolto.
Ci vuol altro, aver rapporti con tutta la gente che incontriamo nei teatri, nei caffè! — Si saluta: — buon [145] giorno! — buona sera! — E chi t’ha visto, t’ha visto!
Mattei c. s.
Ma con tutta la gente che incontriamo nei teatri, nei caffè, — con le persone con le quali non abbiamo rapporti, — non si scontano cambiali per dieci mila lire!
Alvise
ha un leggero sobbalzo.
Mattei
piomba addosso ad Alvise: lo afferra con le due mani per il bavero del frak e scotendolo gli parla faccia a faccia.
È vero! Non lo puoi più negare! Te l’ho letto in faccia! — È vero! E se adesso non dici la verità, ti ammazzo! Com’è vero Dio, ti ammazzo!
[146]
Alvise.
È vero!... Avevo perduto, giocando con lui.... a baccarà.... — Gli ho firmata.... una cambiale....
Mattei.
E l’hai pagata?
Alvise.
.... No.
Mattei.
Sì.
Scotendolo: — sempre con la voce sorda.
L’hai pagata, pagata, pagata....
Alvise.
Sì.
Mattei c. s.
I danari? I danari?... Dove hai trovato i danari?
Alvise.
Giocando ancora, ho vinto.
[147]
Mattei.
A che giuoco?
Alvise.
Al solito!... Al baccarà....
Mattei.
Alla Borsa! Alla Borsa! Hai giocato col Gardani alla Borsa!
Alvise.
Sì....
Mattei.
Al rialzo! sulle Italo-Americane?
Alvise.
Sì....
Mattei.
Venti giorni fa?
Alvise.
Sì....
[148]
Mattei.
E alla liquidazione, avete esatto di saldo...?
Alvise.
Duecento mila lire....
Mattei.
Divise col Gardani?
Alvise.
Sì....
Mattei.
E come hai saputo del mio contratto con le Itale? Come lo hai saputo?... Come?...
Alvise
sciogliendosi, respinge Mattei vivamente.
Questo, è affar mio!
Mattei.
Tuo?
[149]
Alvise sicuro, spavaldo.
Ho arrischiato; l’ho indovinata.
Remigia
si presenta sull’uscio, a sinistra.
Mattei
sempre a mezza voce.
Tu sei.... un ladro!
Alvise.
Signor Mattei! Da uomo a uomo....
Mattei
interrompendolo con violenza ma sempre sottovoce.
Sì, da uomo a uomo, senza riguardi, senza pietà, per nessuna memoria, per nessun vincolo del sangue. Da uomo a uomo!
Remigia.
Papà! Papà!
Spaventata, si slancia fra Mattei e Alvise.
[150]
Mattei
sempre con voce bassa, sorda.
Tu sei un ladro!
Alvise
ha un impeto di collera. — È trattenuto da Remigia.
Mattei.
Hai rubato, hai frugato tra le mie carte, i miei segreti. Hai rubato. Ladro! — Quella è la porta! — Qui non si ritorna più! — Ma io dò querela, senza riguardi, sai! Voglio difendermi! Domani, ti farò interrogare dal giudice....
Alvise.
Va bene. Risponderò a chiunque quello che ho risposto a te. Non ho altro da aggiungere.
Via.
[151]
Remigia smarrita, tremante.
Papà!... Oh, papà, papà!
Mattei.
Tu non sai?... Ha commessa una truffa! E ne sono io, la vittima! L’Avanguardia accusa me, esplicitamente, di speculazioni vergognose e grossolane! — Io!... — È assurdo, oltre essere infame! È grottesco! Ma i nemici, e anche gli avversari credono tutto! È il loro interesse! Il loro mestiere. — In tutta Italia, — capisci? — a quest’ora, sono accusato di servirmi dei segreti della mia carica, [152] per rifornirmi lo scrigno! Querela! Querela! E il processo a tuo cugino, ad Alvise, a quella canaglia! Duecento mila lire!... Come ha fatto a sapere?... Come ha fatto?
A Remigia.
Oh, ma domani, sai, parlerà! Il giudice, il procuratore del re, lo faranno parlare!
Remigia
buttandosi fra le braccia di Mattei.
Oh, papà, papà.... perdonami....
Mattei.
Perdonarti? Che c’entri tu con Alvise?
Remigia.
Sì! Perdonami! Perdonami!
Mattei c. s.
Diventi matta?...
[153]
Remigia.
Non sapevo di far male....
Mattei
colpito, respinge Remigia che cade in ginocchio.
Non sapevi di far male?
Remigia.
Di far tanto.... male!
Mattei
la fissa, terribile con tutta la vita negli occhi: le fa cenno col capo di proseguire.
Remigia
sempre in ginocchio.
Ti giuro.... ti dirò.... ti confesserò tutto. Avevo paura di te.... di Federico.... Quella mattina Federico era stato a Roma....
Mattei
fissa la collana di Remigia. Il suo viso sconvolto, terreo, ha una contrazione nervosa. Si lascia cadere sulla poltrona.
[154]
Remigia continuando c. s.
Anche allora.... volevo gettarmi a’ tuoi piedi.... Ma.... quando mi hai detto di aver venduta la casa.... non ho più avuto.... coraggio.... Dio.... come ho sofferto.... Non potevo più chiuder occhio.... credevo di morire.... ero qui.... con te.... quando tu hai ricevuto il telegramma del ministro....
Mattei
che ha sempre fissato la collana, si alza strappandogliela dal collo, e gliela mette sotto gli occhi con la mano tremante, con le lacrime che gli colano spesse sul viso contraffatto; — poi, con voce rauca, sempre più tremante, spaventato di sè stesso, di ciò che potrebbe commettere nell’impeto della collera.
Va via.... Va via!
Alza Remigia di colpo, spingendola verso l’uscio, a sinistra.
Va via!... Va via!...
[155]
Remigia via.
Mattei
è come ubriaco, barcollante; — si prende il capo fra le mani; comincia a comprendere tutta la verità.
Scarlini.... Scarlini.... No.... la querela.... No la querela....
Corre barcollando alla scrivania; fa per scrivere a Scarlini, ma non può; fa per telefonare, ma non riesce a profferire le parole. Continua a borbottare:
Scarlini.... Scarlini....
Finalmente, strappandosi il colletto, si precipita verso l’uscio, dal quale era uscito Pontedera, urlando:
Mauro!... Mauro!
[156]
Mattei a Pontedera.
Scarlini! Scarlini!... No! No!... Querela.... No!... No la querela.... Impossibile! Io! Io! Sono stato io! Colpa mia!
Pontedera
che ha indovinato; fissandolo.
Alvise?... Remigia?...
Mattei
scoppia in un pianto dirotto buttandosi fra le braccia di Pontedera.
Sono rovinato! Sono rovinato!
Cala la tela.
FINE DELL’ATTO SECONDO.
[157]
Il giorno dopo, verso sera. — Il salottino di Remigia attiguo alla sua camera da letto. Molta eleganza, moltissimo lusso. Nella camera da letto, — aperta, con gli usci spalancati, si vedrà Claudina preparare i bauli e le valige di Remigia. — Un baule grandissimo, quasi pieno di roba, nel salottino. Sul letto, — nella camera da letto, — vestiti, biancheria finissima di Remigia, e un altro baule già pronto. Nel salottino, due scatoloni da cappelli. Pure nel salottino vestiti, cappelli, altra roba di Remigia. — A sinistra, le stanze interne: a destra, le stanze attigue all’anticamera. Una lucerna accesa nella camera da letto; altre lucerne, pure accese, nel salottino.
[159]
Remigia, seduta sopra un sofà, con molti cuscini; col capo fra le mani, pallida, con gli occhi fissi nel vuoto. — Claudina, nella camera da letto, prepara i vestiti che devono essere messi nel baule.
Claudina
dopo un momento che è alzata la tela, si avvicina a Remigia; — col tono dolce e la voce pietosa.
Signora.... il vestito bleu, tailleur, del Doucet, lo mette nel baule?... Se per caso a Milano facesse un po’ più fresco?... E poi, se si va in montagna?...
Remigia.
sempre c. s. — si stringe nelle spalle senza rispondere.
[160]
Claudina
dopo un momento di attesa.
Io, tanto, lo metto nel baule. È sempre meglio!
Via, verso la camera da letto.
Remigia con un fil di voce.
Claudina....
Claudina ritornando.
Signora?...
Remigia
con le lacrime nella gola.
Hai spiegato bene, al portiere?
Claudina.
Non dubiti. — Deve dire a tutti, che la signora è già partita per Milano.
Remigia fissandola.
Nè amici, nè.... parenti. A tutti?
[161]
Claudina.
Sissignora. Anche al signor Schmidt.
Remigia
al nome di Federico rabbrividisce.
Claudina
a Remigia, indicando verso l’uscio, a sinistra.
Il signor dottor Pontedera.
Remigia alzandosi.
Va, va!... Non perder tempo!
Claudina
ritorna nella camera da letto: ricomincia a preparare i vestiti; — mette dell’altra roba nel baule, ecc. — Tutto ciò finchè dura il dialogo.
[162]
Remigia
andandogli incontro, ansiosa.
Il papà?
Pontedera scrollando il capo.
Come t’ho detto, stanotte... l’ho visto molto male. Oggi, ancora, ha avuto un nuovo assalto, ma non così grave. La digitale ha ottenuto il suo effetto.
Remigia.
Ora?... Ora?
Pontedera.
Verso le quattro s’è un po’ assopito, poi — è un miracolo! — ha [163] cominciato a riaversi ed ora.... è di là nel suo studio, e s’è messo a scrivere!
Remigia
fa un grande sospiro, levando gli occhi al cielo.
Pontedera continuando.
Ha parlato di tutto, ricordando.... tutto, con una calma straordinaria.... impressionante. Gli ho promesso, dopo che ti avrei accompagnata a Milano, di ottenere dal direttore dell’ospedale qualche altro giorno di licenza per poter tornare a Roma e ripartire poi con lui, appena avrà disposto.... ogni cosa, appunto per poter partire.
Remigia angosciata.
Non vuol più vedermi?... Più?...
Pontedera.
Più?... No, pover’uomo! Gliel’ho [164] consigliato io stesso. — L’ho persuaso a lasciarti partire senza vederti. Nello stato in cui si trova.... — bada, non è proprio il caso di illuderci. Qualunque nuova emozione gli potrebbe essere.... fatale. Passati questi primi giorni, vi rivedrete con più calma a Milano, o dove avrete fissato di andare.
Remigia
si butta sulla poltrona, e si mette a piangere.
Pontedera
Si guarda attorno; — dà un’occhiata ai vestiti, ai cappellini, a tutta quella roba che deve essere messa nei bauli; — osserva Remigia e scrolla tristamente il capo.
Claudina
viene dalla camera da letto e si ferma un po’ distante da Remigia.
Signora.... I due cappelli nuovi, da giorno, li porto a Milano tutti e due?
[165]
Remigia
si stringe nelle spalle, infastidita, senza rispondere.
Claudina
mentre continua il dialogo tra Remigia e Pontedera, apre un armadio, ne leva due cappelli, uno lo mette sul tavolino, l’altro sulla poltrona vicina allo scatolone, poi ritorna nella camera da letto.
Remigia
a Pontedera che sta osservando Claudina; — scrollando il capo.
L’ironia della vita?... Si può morire di dolore.... eppure....
Pontedera.
Eh, sì!... Hai ragione! La vita.... è ironica! — Tuo padre, intanto, ha mandato le sue dimissioni al Presidente del Consiglio, e al Presidente della Camera. “I ripetuti assalti della sua grave malattia di cuore non gli [166] permettono più di lavorare, di occuparsi, e soprattutto di poter resistere ancora ad una guerra troppo accanita e sleale.„ — Queste spiegazioni, chi avrà interesse a crederle, le crederà.... siano o non siano le vere. Chi avrà interesse a non crederle.... siano o non siano le vere, non le crederà. — Ironia.... della vita.
Remigia.
Mi perdonerà?
Pontedera.
Tuo padre?
La fissa con un sorriso amarissimo.
Certamente!... Soltanto....
Dà un’occhiata all’orologio.
Cerca di far presto.
Remigia.
Io potrei partire anche subito; — Claudina, [167] con la roba, partirà quando potrà. — Subito! Subito!
Con un brivido pensando a Federico.
Non vedo l’ora di essere in ferrovia, di essere in viaggio, di essere lontana da Roma!
Pontedera.
Io vado a mangiare un boccone.... Ho da fare anch’io la mia roba.... Vedrò ancora tuo padre, e prima delle dieci, verrò a prenderti con la carrozza.
Remigia come spaventata.
Chiusa!
Pontedera.
Chiusa.
Guarda ancora tutti quei vestiti, quella roba, con un’espressione molto significativa; — poi dà un’altra occhiata a Remigia, — senza che questa se ne accorga, — molto espressiva.
Sai, il....
[168]
Remigia
lo fissa; capisce che si tratta di Alvise.
Pontedera
fa un cenno affermativo col capo.
A quest’ora è a Genova. S’imbarcherà domattina, direttamente per il Brasile. Carriera.... non se ne parla più. Mi ha dato la sua parola d’onore che, per molti anni almeno, non manderà più sue notizie a.... nessuno. E credo.... la manterrà. — Dunque alle dieci! — Trovati pronta!
Via.
[169]
Remigia
affranta dal dolore si lascia cadere sul sofà.
Claudina
uscito Pontedera, rientra dalla camera da letto nel salottino, si avvicina a Remigia; — la guarda affettuosamente.
Signora.... Vuol proprio mettersi in viaggio, così, senza prendere nemmeno una tazza di brodo?
Remigia.
No....
[170]
Tra sè.
Tutti contro di me.... Senza nessuna pietà!
Ascolta verso l’uscio a destra.
Claudina
ascolta pure verso l’uscio a destra.
Luigi di dentro.
Mi creda!... Glielo giuro, signor Federico!
Remigia
balza in piedi, spaventata.
Luigi c. s.
Sua Eccellenza sta poco bene!... È ammalato! Non può proprio veder nessuno!
Entra parlando con Federico e facendo cenno a Remigia di allontanarsi.
Il dottor Pontedera glielo ha proibito!
[171]
Federico
entra scostando Luigi; — con molta fermezza:
Non cerco di mio suocero.
A Remigia.
Ho da parlare con te.
Luigi
via, dopo un cenno del capo di Remigia.
Claudina
rientra nella camera da letto, ricominciando a metter via la roba.
Remigia
riprende il coraggio e l’audacia.
Hai da parlare con me? Cosa vuoi?
Federico.
Manda via la cameriera.
Indicando verso la camera da letto.
E chiudi quella porta.
[172]
Remigia a Claudina.
Va un momento di là.
Chiude l’uscio: si avvicina di qualche passo e si mette in faccia a Federico fissandolo, muta.
Federico
con molta freddezza e con molta calma.
Desidero sapere da te, la vera ragione delle dimissioni di tuo padre.
Remigia.
Da me?...
Stringendosi nelle spalle.
Io non so....
[173]
Federico sempre con calma.
Come?... Tu, sua figlia, non sai, non hai cercato di sapere perchè Pietro Mattei ha dato, — proprio in questo momento, — le sue dimissioni da ministro e da deputato?
Remigia.
No....
Correggendosi.
Io soltanto so che da molto tempo era stanco, oppresso dal troppo lavoro, disgustato, irritato da una guerra iniqua a colpi d’ingiurie e di calunnie....
Diventando a mano a mano, sotto l’occhio freddo, attento di Federico, sempre più nervosa.
E poi, il papà non sta bene. Ha detto tante volte di volersene andare, di voler riposare. Anche Mauro.... come amico.... come dottore, lo ha consigliato a.... far così.
[174]
Vedendo che Federico osserva i vestiti, i cappelli, i bauli, ecc.
Io.... vado per qualche giorno a Milano, per.... preparare....
Federico.
Il vostro appartamento? — No, perchè la casa è stata venduta.
Remigia.
Andiamo in casa di Mauro, per alcuni giorni. Poi, il papà.... ti scriverà.... appunto per.... avvertirti.... perchè io possa accompagnarlo per qualche tempo al mare, o in montagna... dove Mauro ci consiglierà di andare.
Federico sempre c. s.
Ma, come mai, il dottor Mauro Pontedera, un uomo rispettabilissimo sotto ogni rapporto, — serio, intelligente, pratico del mondo e sincero [175] amico di tuo padre, non gli ha fatto capire che le sue dimissioni in questo momento equivalevano a una caduta, a una disfatta vergognosa, a una fuga? — Come mai? L’Avanguardia accusa Sua Eccellenza Pietro Mattei di un grave abuso, che data la sua condizione diventa criminoso, e Pietro Mattei invece di gridar alto, di dar querela all’Avanguardia, — ai suoi diffamatori, — rassegna le proprie dimissioni, e fugge al mare o ai monti, secondo il consiglio del medico?
Remigia
turbandosi sempre di più.
Ma io.... non so. Io.... non posso sapere del.... papà. Io non so.
Federico.
Tu, sai, per altro, dell’articolo dell’Avanguardia? Lo hai letto?
[176]
Remigia.
No.
Federico.
Saprai ugualmente, ti avranno detto, che in questo articolo si accusa tuo padre, — deputato, ministro, — di un’illecita operazione di Borsa?
Remigia.
Io so che non è vero, che è una falsità e mio padre fa benissimo....
Federico.
Fa malissimo, ma non riscaldarti. Non vedi come io sono tranquillo? — Riscaldandosi, non si viene a capo di nulla. — Siamo d’accordo: tuo padre non ha giocato sul rialzo delle Itale. Io sono convinto che non è vero; e che non è vero, tu, lo sai.
[177]
Remigia.
Falsità, tutte falsità!
Federico.
Tutte falsità, no; ecco il punto della questione. Tutte falsità, no, perchè il giuoco, la truffa, è stata commessa veramente. Ora, torno a ripetere, io desidero, io voglio sapere da te
riscaldandosi
perchè tuo padre non si difende, perchè tuo padre rimane sotto un’accusa così atroce e così precisata, perchè tuo padre, che, volendolo, potrebbe difendersi dando querela all’Avanguardia, smascherando i veri colpevoli, non lo fa, e piuttosto si lascia travolgere dall’accusa e precipita giù, giù, giù!
[178]
Remigia allibita, tremante.
Ma.... Ma io.... Io non posso sapere....
Federico.
Tu non puoi sapere, tu non sai chi sono i veri colpevoli? — No? — Allora te lo dirò io: Sei tu!
Remigia
si abbandona cadendo sul sofà e nascondendosi la faccia con le mani.
Federico
molto calmo; — molto ironico.
Sei tu. Il contino Alvise Coldoredo, — il manutengolo, — oh quello sarebbe stato mandato subito sotto processo; ma tuo padre ha creduto, col suo onore, ha sperato, di salvare il tuo. — Debolezze, illusioni paterne. La cronaca del fatto, o del fattaccio, il tuo nome, insieme a quello [179] di tuo cugino, corrono ormai per tutte le strade e i vicoli di Roma, con i particolari più curiosi e gli aneddoti più piccanti. Fai benissimo a raccogliere le tue toilettes, le tue gale e a scappare da Roma. In questi giorni non potresti andare per il corso facendo sfoggio di fronzoli e di piume; saresti urlata dai monelli! Per il momento, fai benissimo a nasconderti. — Poi, tuo padre ci lascierà presto la vita; a questo mondo, presto si dimentica; presto, potrai tornare a divertirti anche a Roma.
Remigia
si alza di colpo, fissandolo.
Federico prorompendo.
No! Nemmeno tuo padre, — senza cuore! — Non hai mai amato nemmeno tuo padre!
[180]
Remigia.
E tu? Hai cuore tu? La tua decantata affezione, la tua riconoscenza per mio padre?... Lo assapori con gioia questo momento! Non ti par vero! La sua disgrazia, la nostra disgrazia è il tuo trionfo: puoi finalmente insultarmi e vendicarti!
Federico.
Non è vero. Io ero venuto qui col fermo proposito di mantenermi calmo. Nessuna idea di vendicarmi; nessuna gioia nell’insultarti.
Remigia.
E allora che cosa sei venuto a fare? Perchè hai voluto vedermi ad ogni costo, tormentarmi?
Federico.
Per dirti questo, soltanto: tuo padre [181] ti ha sacrificato il suo onore; io non intendo sacrificarti il mio. Era cosa, del resto, da me già preveduta; ne avevo già avvertito il signor Pietro Mattei. Rinuncio immediatamente alla direzione delle Cartiere, al posto che ho ottenuto per l’autorità e con l’aiuto di tuo padre. Andrò lontano, fuori d’Italia. Tornerò da capo a rifare la mia vita, a guadagnarmi il pane. Soltanto, con tutte le pratiche legali e l’intervento esplicito del tribunale, tu mi renderai il mio nome.
Remigia
scattando con una risata tra le lacrime.
Ah! ah! L’uomo di cuore che non si vendica! Oggi più nessun riguardo! Nessuna pietà! Nemmeno per mio padre! Sfido io!... Siamo rovinati!
[182]
Federico
colpito, sta quasi per avventarsi contro Remigia che rimane imperterrita.
E quell’altro? Il socio, il manutengolo? Il tuo amante?
Remigia.
È falso! Alvise è mio cugino, — gli voglio molto bene, — non è, non fu mai il mio amante!
Federico.
Sei stata sfacciata e imprudente! — Donna Remigia! — La figlia di un uomo come Pietro Mattei? — Pensa quante invidie ti seguivano, e quanto odio, — l’odio contro tuo padre, — quando tu, di mattina, di giorno, con un velo fitto, correvi svelta dal tuo amante, lungo via Adriana....
[183]
Remigia
sbigottita; — si rimette subito.
Federico continuando.
.... E sparivi nel portone buio, un po’ nascosto dalla Chiesa, a sinistra. Sotto l’andito, il bugigattolo di un’antiquaria. La donna delle vostre camere.... — in faccia alla scala — .... con un po’ di danaro e di paura, ha parlato.
Ridendo.
Ah! Ah! È una falsità!... Avresti il coraggio di ripetere che è una falsità?
Remigia.
Lo ripeto e lo ripeterò sempre! Alvise non è mai stato il mio amante!
Federico.
E chi ti crede?... Chi ti crede [184] più? Tu li rinneghi i tuoi amanti e li dimentichi! — Tu?... Non sei nemmeno capace di amare.
Remigia
fa un sorriso sdegnoso, ironico.
Federico.
Tu non hai mai amato, non hai mai saputo amare, nè tuo padre, nè tuo marito....
Remigia borbottando.
Colpa tua.
Federico
continuando senza interrompersi.
.... nè i tuoi amanti!...
Remigia c. s.
Non hai saputo farti amare! Colpa tua!
[185]
Federico
sempre senza interrompersi.
Tu non ami e non hai mai amato che te stessa, la moda, il tuo lusso, i tuoi fronzoli, i tuoi gingilli....
Fuori di sè per il sorriso ironico, sdegnoso di Remigia e per la passione che si riaccende.
Sì, sono questi, sono questi....
Butta all’aria nastri e cappelli.
Sono i tuoi gingilli i tuoi amanti, come i tuoi amanti sono i tuoi gingilli, e godendo e scherzando e ridendo....
Remigia
non ride più, indietreggia impaurita.
Federico.
.... attraversi il cuore, la vita di chi ha avuto la tremenda disgrazia di amarti, lasciandovi il disonore e la disperazione....
[186]
Remigia
continua a indietreggiare c. s.
Federico
pallido, stravolto, inseguendola, minacciandola coi pugni chiusi.
.... Sempre scherzando, sempre ridendo....
Remigia
fugge per la stanza gridando, chiamando.
Federico! Federico!... Papà!
Federico c. s.
.... perchè sei cattiva, bugiarda, frivola e perversa!
Remigia
corre verso l’uscio a sinistra.
Federico
accecato dall’ira e dalla gelosia, sta per raggiungerla e per colpirla.
[187]
Mattei
spalanca la camera da letto.
Remigia e Federico
Si fermano immobili, sul colpo.
Federico
dopo un momento, — a Mattei, — afferrando Remigia per un braccio.
Ecco tua figlia....
Con uno schianto di dolore e di collera.
Riprendila!
Spinge Remigia verso Mattei.
Remigia
fa qualche passo barcollando, poi cade inginocchiata presso il sofà. Nasconde la faccia sui cuscini, senza piangere.
[188]
Federico continuando.
Lo avevo già dichiarato! Se mai un giorno....
Mattei
con tutta la forza della sua autorità.
Taci!... Non una parola di più!... Taci!
Si appoggia all’uscio, affranto: con voce rotta.
Ero.... là!
Federico
osservandolo, si sente vinto da una profonda pietà.
Mattei
ha il petto ansante, gli occhi infossati, il volto scarno, contraffatto, terreo.
Federico.
Si copre gli occhi con una mano asciugandosi le lacrime.
[189]
Mattei
vuol parlare, non può: ha una forte contrazione del viso. — Poi, riesce a parlare stentatamente, con voce fioca e sorda. Si rivolge a Federico, ma avvicinandosi istintivamente a Remigia in modo ch’essa pure debba comprendere tutto il dolore, lo strazio delle sue parole.
.... Hai.... Sì.... Federico.... hai ragione. Il tuo nome.... è il nome di un galantuomo.... fai bene a portartelo via.... in salvo.... lontano.... lontano da noi!... Sei solo.... hai la fortuna di essere solo.... Potrai.... sarai.... ancora felice.
Grosse lacrime gli colano dagli occhi sulle guance.
Io te lo auguro.... Federico.... domandandoti perdono del male che ti abbiamo fatto.
Non può più parlare, — traballa sotto il peso del grande avvilimento.
Va.... Va....
[190]
Federico
gli si avvicina in atto di sorreggerlo, di abbracciarlo.
Mattei
allontanandolo con le due mani.
Va.... Va....
Federico
esita; ma il suo occhio cade su Remigia e fugge via, precipitosamente.
Remigia
appena Federico è uscito comincia a singhiozzare.
Mattei
fa per andarsene trascinandosi verso la camera da letto — poi siede accasciato, in fondo, fra il disordine delle [191] valige, dei cappellini, dei nastri. — Si alza, si muove a stento, fa per uscire, ma resta colpito dai singhiozzi sommessi di Remigia. Tende l’orecchio, trasalendo ad ogni singhiozzo: si avvicina d’un passo: la tenerezza paterna sta per riprenderlo, ma vuol vincersi ad ogni costo e rialza fieramente la testa.
Io.... ti ho dato tutto. Tu mi prendi anche la vita....
Coi pugni chiusi e con la voce di chi vuol dominarsi e soffocare il proprio cuore.
No! No!... Non posso perdonarti!
Remigia
continua a singhiozzare sempre più forte.
Mattei
si lascia cadere accanto a Remigia, fa quasi per accarezzarle i capelli e mormora sommessamente:
Resto qui.... per morirti vicino.
Cala la tela.
FINE DEL DRAMMA.
OPERE di G. ROVETTA
(Edizioni Treves).
Teatro. | |
Gli uomini pratici, commedia | L. 1 20 |
Principio di secolo, dramma. Ediz. di lusso in-8 | 2 — |
Alla Città di Roma, commedia | 1 — |
Il giorno della cresima, commedia. Ediz. di lusso | 3 — |
Papà Eccellenza, dramma. Ediz. di lusso | 3 — |
Romanzi e Novelle. | |
Sott’acqua. 3.ª edizione | 3 50 |
Il primo amante. 2.ª edizione | 3 50 |
Il processo Montegù. 7.ª edizione | 1 — |
Novelle. 3.ª edizione | 1 — |
Cavalleria assassina. — Storiella vecchia. — Era matto o aveva fame. — Scellerata! — Quintino e Marco. — Metempsicosi. — Tiranni minimi. |
Nota del Trascrittore
Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.
Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.