La gloria di colui che tutto move
per luniverso penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
Nel ciel che più de la sua luce prende
fu io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende;
perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire.
Veramente quant io del regno santo
ne la mia mente potei far tesoro,
sarà ora materia del mio canto.
O buono Appollo, a lultimo lavoro
fammi del tuo valor sì fatto vaso,
come dimandi a dar lamato alloro.
Infino a qui lun giogo di Parnaso
assai mi fu; ma or con amendue
mè uopo intrar ne laringo rimaso.
Entra nel petto mio, e spira tue
sì come quando Marsïa traesti
de la vagina de le membra sue.
O divina virtù, se mi ti presti
tanto che lombra del beato regno
segnata nel mio capo io manifesti,
vedrami al piè del tuo diletto legno
venire, e coronarmi de le foglie
che la materia e tu mi farai degno.
Sì rade volte, padre, se ne coglie
per trïunfare o cesare o poeta,
colpa e vergogna de lumane voglie,
che parturir letizia in su la lieta
delfica deïtà dovria la fronda
peneia, quando alcun di sé asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda:
forse di retro a me con miglior voci
si pregherà perché Cirra risponda.
Surge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane e di qua sera
tal foce, e quasi tutto era là bianco
quello emisperio, e laltra parte nera,
quando Beatrice in sul sinistro fianco
vidi rivolta e riguardar nel sole:
aguglia sì non li saffisse unquanco.
E sì come secondo raggio suole
uscir del primo e risalire in suso,
pur come pelegrin che tornar vuole,
così de latto suo, per li occhi infuso
ne limagine mia, il mio si fece,
e fissi li occhi al sole oltre nostr uso.
Molto è licito là, che qui non lece
a le nostre virtù, mercé del loco
fatto per proprio de lumana spece.
Io nol soffersi molto, né sì poco,
chio nol vedessi sfavillar dintorno,
com ferro che bogliente esce del foco;
e di sùbito parve giorno a giorno
essere aggiunto, come quei che puote
avesse il ciel dun altro sole addorno.
Beatrice tutta ne letterne rote
fissa con li occhi stava; e io in lei
le luci fissi, di là sù rimote.
Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
qual si fé Glauco nel gustar de lerba
che l fé consorto in mar de li altri dèi.
Trasumanar significar per verba
non si poria; però lessemplo basti
a cui esperïenza grazia serba.
Si era sol di me quel che creasti
novellamente, amor che l ciel governi,
tu l sai, che col tuo lume mi levasti.
Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso
con larmonia che temperi e discerni,
parvemi tanto allor del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago non fece alcun tanto disteso.
La novità del suono e l grande lume
di lor cagion maccesero un disio
mai non sentito di cotanto acume.
Ond ella, che vedea me sì com io,
a quïetarmi lanimo commosso,
pria chio a dimandar, la bocca aprio
e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, sì che non vedi
ciò che vedresti se lavessi scosso.
Tu non se in terra, sì come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
non corse come tu chad esso riedi».
Sio fui del primo dubbio disvestito
per le sorrise parolette brevi,
dentro ad un nuovo più fu inretito
e dissi: «Già contento requïevi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
com io trascenda questi corpi levi».
Ond ella, appresso dun pïo sospiro,
li occhi drizzò ver me con quel sembiante
che madre fa sovra figlio deliro,
e cominciò: «Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che luniverso a Dio fa simigliante.
Qui veggion lalte creature lorma
de letterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma.
Ne lordine chio dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro e men vicine;
onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de lessere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti.
Questi ne porta il foco inver la luna;
questi ne cor mortali è permotore;
questi la terra in sé stringe e aduna;
né pur le creature che son fore
dintelligenza quest arco saetta,
ma quelle channo intelletto e amore.
La provedenza, che cotanto assetta,
del suo lume fa l ciel sempre quïeto
nel qual si volge quel cha maggior fretta;
e ora lì, come a sito decreto,
cen porta la virtù di quella corda
che ciò che scocca drizza in segno lieto.
Vero è che, come forma non saccorda
molte fïate a lintenzion de larte,
perch a risponder la materia è sorda,
così da questo corso si diparte
talor la creatura, cha podere
di piegar, così pinta, in altra parte;
e sì come veder si può cadere
foco di nube, sì limpeto primo
latterra torto da falso piacere.
Non dei più ammirar, se bene stimo,
lo tuo salir, se non come dun rivo
se dalto monte scende giuso ad imo.
Maraviglia sarebbe in te se, privo
dimpedimento, giù ti fossi assiso,
com a terra quïete in foco vivo».
Quinci rivolse inver lo cielo il viso.
O voi che siete in piccioletta barca,
desiderosi dascoltar, seguiti
dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, ché forse,
perdendo me, rimarreste smarriti.
Lacqua chio prendo già mai non si corse;
Minerva spira, e conducemi Appollo,
e nove Muse mi dimostran lOrse.
Voialtri pochi che drizzaste il collo
per tempo al pan de li angeli, del quale
vivesi qui ma non sen vien satollo,
metter potete ben per lalto sale
vostro navigio, servando mio solco
dinanzi a lacqua che ritorna equale.
Que glorïosi che passaro al Colco
non sammiraron come voi farete,
quando Iasón vider fatto bifolco.
La concreata e perpetüa sete
del deïforme regno cen portava
veloci quasi come l ciel vedete.
Beatrice in suso, e io in lei guardava;
e forse in tanto in quanto un quadrel posa
e vola e da la noce si dischiava,
giunto mi vidi ove mirabil cosa
mi torse il viso a sé; e però quella
cui non potea mia cura essere ascosa,
volta ver me, sì lieta come bella,
«Drizza la mente in Dio grata», mi disse,
«che nha congiunti con la prima stella».
Parev a me che nube ne coprisse
lucida, spessa, solida e pulita,
quasi adamante che lo sol ferisse.
Per entro sé letterna margarita
ne ricevette, com acqua recepe
raggio di luce permanendo unita.
Sio era corpo, e qui non si concepe
com una dimensione altra patio,
chesser convien se corpo in corpo repe,
accender ne dovria più il disio
di veder quella essenza in che si vede
come nostra natura e Dio sunio.
Lì si vedrà ciò che tenem per fede,
non dimostrato, ma fia per sé noto
a guisa del ver primo che luom crede.
Io rispuosi: «Madonna, sì devoto
com esser posso più, ringrazio lui
lo qual dal mortal mondo mha remoto.
Ma ditemi: che son li segni bui
di questo corpo, che là giuso in terra
fan di Cain favoleggiare altrui?».
Ella sorrise alquanto, e poi «Selli erra
loppinïon», mi disse, «di mortali
dove chiave di senso non diserra,
certo non ti dovrien punger li strali
dammirazione omai, poi dietro ai sensi
vedi che la ragione ha corte lali.
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».
E io: «Ciò che nappar qua sù diverso
credo che fanno i corpi rari e densi».
Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso
nel falso il creder tuo, se bene ascolti
largomentar chio li farò avverso.
La spera ottava vi dimostra molti
lumi, li quali e nel quale e nel quanto
notar si posson di diversi volti.
Se raro e denso ciò facesser tanto,
una sola virtù sarebbe in tutti,
più e men distributa e altrettanto.
Virtù diverse esser convegnon frutti
di princìpi formali, e quei, for chuno,
seguiterieno a tua ragion distrutti.
Ancor, se raro fosse di quel bruno
cagion che tu dimandi, o doltre in parte
fora di sua materia sì digiuno
esto pianeto, o, sì come comparte
lo grasso e l magro un corpo, così questo
nel suo volume cangerebbe carte.
Se l primo fosse, fora manifesto
ne leclissi del sol, per trasparere
lo lume come in altro raro ingesto.
Questo non è: però è da vedere
de laltro; e selli avvien chio laltro cassi,
falsificato fia lo tuo parere.
Selli è che questo raro non trapassi,
esser conviene un termine da onde
lo suo contrario più passar non lassi;
e indi laltrui raggio si rifonde
così come color torna per vetro
lo qual di retro a sé piombo nasconde.
Or dirai tu chel si dimostra tetro
ivi lo raggio più che in altre parti,
per esser lì refratto più a retro.
Da questa instanza può deliberarti
esperïenza, se già mai la provi,
chesser suol fonte ai rivi di vostr arti.
Tre specchi prenderai; e i due rimovi
da te dun modo, e laltro, più rimosso,
trambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
ti stea un lume che i tre specchi accenda
e torni a te da tutti ripercosso.
Ben che nel quanto tanto non si stenda
la vista più lontana, lì vedrai
come convien chigualmente risplenda.
Or, come ai colpi de li caldi rai
de la neve riman nudo il suggetto
e dal colore e dal freddo primai,
così rimaso te ne lintelletto
voglio informar di luce sì vivace,
che ti tremolerà nel suo aspetto.
Dentro dal ciel de la divina pace
si gira un corpo ne la cui virtute
lesser di tutto suo contento giace.
Lo ciel seguente, cha tante vedute,
quell esser parte per diverse essenze,
da lui distratte e da lui contenute.
Li altri giron per varie differenze
le distinzion che dentro da sé hanno
dispongono a lor fini e lor semenze.
Questi organi del mondo così vanno,
come tu vedi omai, di grado in grado,
che di sù prendono e di sotto fanno.
Riguarda bene omai sì com io vado
per questo loco al vero che disiri,
sì che poi sappi sol tener lo guado.
Lo moto e la virtù di santi giri,
come dal fabbro larte del martello,
da beati motor convien che spiri;
e l ciel cui tanti lumi fanno bello,
de la mente profonda che lui volve
prende limage e fassene suggello.
E come lalma dentro a vostra polve
per differenti membra e conformate
a diverse potenze si risolve,
così lintelligenza sua bontate
multiplicata per le stelle spiega,
girando sé sovra sua unitate.
Virtù diversa fa diversa lega
col prezïoso corpo chella avviva,
nel qual, sì come vita in voi, si lega.
Per la natura lieta onde deriva,
la virtù mista per lo corpo luce
come letizia per pupilla viva.
Da essa vien ciò che da luce a luce
par differente, non da denso e raro;
essa è formal principio che produce,
conforme a sua bontà, lo turbo e l chiaro».
Quel sol che pria damor mi scaldò l petto,
di bella verità mavea scoverto,
provando e riprovando, il dolce aspetto;
e io, per confessar corretto e certo
me stesso, tanto quanto si convenne
leva il capo a proferer più erto;
ma visïone apparve che ritenne
a sé me tanto stretto, per vedersi,
che di mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi,
o ver per acque nitide e tranquille,
non sì profonde che i fondi sien persi,
tornan di nostri visi le postille
debili sì, che perla in bianca fronte
non vien men forte a le nostre pupille;
tali vid io più facce a parlar pronte;
per chio dentro a lerror contrario corsi
a quel chaccese amor tra lomo e l fonte.
Sùbito sì com io di lor maccorsi,
quelle stimando specchiati sembianti,
per veder di cui fosser, li occhi torsi;
e nulla vidi, e ritorsili avanti
dritti nel lume de la dolce guida,
che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
«Non ti maravigliar perch io sorrida»,
mi disse, «appresso il tuo püeril coto,
poi sopra l vero ancor lo piè non fida,
ma te rivolve, come suole, a vòto:
vere sustanze son ciò che tu vedi,
qui rilegate per manco di voto.
Però parla con esse e odi e credi;
ché la verace luce che le appaga
da sé non lascia lor torcer li piedi».
E io a lombra che parea più vaga
di ragionar, drizzami, e cominciai,
quasi com uom cui troppa voglia smaga:
«O ben creato spirito, che a rai
di vita etterna la dolcezza senti
che, non gustata, non sintende mai,
grazïoso mi fia se mi contenti
del nome tuo e de la vostra sorte».
Ond ella, pronta e con occhi ridenti:
«La nostra carità non serra porte
a giusta voglia, se non come quella
che vuol simile a sé tutta sua corte.
I fui nel mondo vergine sorella;
e se la mente tua ben sé riguarda,
non mi ti celerà lesser più bella,
ma riconoscerai chi son Piccarda,
che, posta qui con questi altri beati,
beata sono in la spera più tarda.
Li nostri affetti, che solo infiammati
son nel piacer de lo Spirito Santo,
letizian del suo ordine formati.
E questa sorte che par giù cotanto,
però nè data, perché fuor negletti
li nostri voti, e vòti in alcun canto».
Ond io a lei: «Ne mirabili aspetti
vostri risplende non so che divino
che vi trasmuta da primi concetti:
però non fui a rimembrar festino;
ma or maiuta ciò che tu mi dici,
sì che raffigurar mè più latino.
Ma dimmi: voi che siete qui felici,
disiderate voi più alto loco
per più vedere e per più farvi amici?».
Con quelle altr ombre pria sorrise un poco;
da indi mi rispuose tanto lieta,
charder parea damor nel primo foco:
«Frate, la nostra volontà quïeta
virtù di carità, che fa volerne
sol quel chavemo, e daltro non ci asseta.
Se disïassimo esser più superne,
foran discordi li nostri disiri
dal voler di colui che qui ne cerne;
che vedrai non capere in questi giri,
sessere in carità è qui necesse,
e se la sua natura ben rimiri.
Anzi è formale ad esto beato esse
tenersi dentro a la divina voglia,
per chuna fansi nostre voglie stesse;
sì che, come noi sem di soglia in soglia
per questo regno, a tutto il regno piace
com a lo re che n suo voler ne nvoglia.
E n la sua volontade è nostra pace:
ell è quel mare al qual tutto si move
ciò chella crïa o che natura face».
Chiaro mi fu allor come ogne dove
in cielo è paradiso, etsi la grazia
del sommo ben dun modo non vi piove.
Ma sì com elli avvien, sun cibo sazia
e dun altro rimane ancor la gola,
che quel si chere e di quel si ringrazia,
così fec io con atto e con parola,
per apprender da lei qual fu la tela
onde non trasse infino a co la spuola.
«Perfetta vita e alto merto inciela
donna più sù», mi disse, «a la cui norma
nel vostro mondo giù si veste e vela,
perché fino al morir si vegghi e dorma
con quello sposo chogne voto accetta
che caritate a suo piacer conforma.
Dal mondo, per seguirla, giovinetta
fuggimi, e nel suo abito mi chiusi
e promisi la via de la sua setta.
Uomini poi, a mal più cha bene usi,
fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
E quest altro splendor che ti si mostra
da la mia destra parte e che saccende
di tutto il lume de la spera nostra,
ciò chio dico di me, di sé intende;
sorella fu, e così le fu tolta
di capo lombra de le sacre bende.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta
contra suo grado e contra buona usanza,
non fu dal vel del cor già mai disciolta.
Quest è la luce de la gran Costanza
che del secondo vento di Soave
generò l terzo e lultima possanza».
Così parlommi, e poi cominciò Ave,
Maria cantando, e cantando vanio
come per acqua cupa cosa grave.
La vista mia, che tanto lei seguio
quanto possibil fu, poi che la perse,
volsesi al segno di maggior disio,
e a Beatrice tutta si converse;
ma quella folgorò nel mïo sguardo
sì che da prima il viso non sofferse;
e ciò mi fece a dimandar più tardo.
Intra due cibi, distanti e moventi
dun modo, prima si morria di fame,
che liber omo lun recasse ai denti;
sì si starebbe un agno intra due brame
di fieri lupi, igualmente temendo;
sì si starebbe un cane intra due dame:
per che, si mi tacea, me non riprendo,
da li miei dubbi dun modo sospinto,
poi chera necessario, né commendo.
Io mi tacea, ma l mio disir dipinto
mera nel viso, e l dimandar con ello,
più caldo assai che per parlar distinto.
Fé sì Beatrice qual fé Danïello,
Nabuccodonosor levando dira,
che lavea fatto ingiustamente fello;
e disse: «Io veggio ben come ti tira
uno e altro disio, sì che tua cura
sé stessa lega sì che fuor non spira.
Tu argomenti: Se l buon voler dura,
la vïolenza altrui per qual ragione
di meritar mi scema la misura?.
Ancor di dubitar ti dà cagione
parer tornarsi lanime a le stelle,
secondo la sentenza di Platone.
Queste son le question che nel tuo velle
pontano igualmente; e però pria
tratterò quella che più ha di felle.
Di Serafin colui che più sindia,
Moïsè, Samuel, e quel Giovanni
che prender vuoli, io dico, non Maria,
non hanno in altro cielo i loro scanni
che questi spirti che mo tappariro,
né hanno a lesser lor più o meno anni;
ma tutti fanno bello il primo giro,
e differentemente han dolce vita
per sentir più e men letterno spiro.
Qui si mostraro, non perché sortita
sia questa spera lor, ma per far segno
de la celestïal cha men salita.
Così parlar conviensi al vostro ingegno,
però che solo da sensato apprende
ciò che fa poscia dintelletto degno.
Per questo la Scrittura condescende
a vostra facultate, e piedi e mano
attribuisce a Dio e altro intende;
e Santa Chiesa con aspetto umano
Gabrïel e Michel vi rappresenta,
e laltro che Tobia rifece sano.
Quel che Timeo de lanime argomenta
non è simile a ciò che qui si vede,
però che, come dice, par che senta.
Dice che lalma a la sua stella riede,
credendo quella quindi esser decisa
quando natura per forma la diede;
e forse sua sentenza è daltra guisa
che la voce non suona, ed esser puote
con intenzion da non esser derisa.
Selli intende tornare a queste ruote
lonor de la influenza e l biasmo, forse
in alcun vero suo arco percuote.
Questo principio, male inteso, torse
già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
Mercurio e Marte a nominar trascorse.
Laltra dubitazion che ti commove
ha men velen, però che sua malizia
non ti poria menar da me altrove.
Parere ingiusta la nostra giustizia
ne li occhi di mortali, è argomento
di fede e non deretica nequizia.
Ma perché puote vostro accorgimento
ben penetrare a questa veritate,
come disiri, ti farò contento.
Se vïolenza è quando quel che pate
nïente conferisce a quel che sforza,
non fuor quest alme per essa scusate:
ché volontà, se non vuol, non sammorza,
ma fa come natura face in foco,
se mille volte vïolenza il torza.
Per che, sella si piega assai o poco,
segue la forza; e così queste fero
possendo rifuggir nel santo loco.
Se fosse stato lor volere intero,
come tenne Lorenzo in su la grada,
e fece Muzio a la sua man severo,
così lavria ripinte per la strada
ond eran tratte, come fuoro sciolte;
ma così salda voglia è troppo rada.
E per queste parole, se ricolte
lhai come dei, è largomento casso
che tavria fatto noia ancor più volte.
Ma or ti sattraversa un altro passo
dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
non usciresti: pria saresti lasso.
Io tho per certo ne la mente messo
chalma beata non poria mentire,
però chè sempre al primo vero appresso;
e poi potesti da Piccarda udire
che laffezion del vel Costanza tenne;
sì chella par qui meco contradire.
Molte fïate già, frate, addivenne
che, per fuggir periglio, contra grato
si fé di quel che far non si convenne;
come Almeone, che, di ciò pregato
dal padre suo, la propria madre spense,
per non perder pietà si fé spietato.
A questo punto voglio che tu pense
che la forza al voler si mischia, e fanno
sì che scusar non si posson loffense.
Voglia assoluta non consente al danno;
ma consentevi in tanto in quanto teme,
se si ritrae, cadere in più affanno.
Però, quando Piccarda quello spreme,
de la voglia assoluta intende, e io
de laltra; sì che ver diciamo insieme».
Cotal fu londeggiar del santo rio
chuscì del fonte ond ogne ver deriva;
tal puose in pace uno e altro disio.
«O amanza del primo amante, o diva»,
diss io appresso, «il cui parlar minonda
e scalda sì, che più e più mavviva,
non è laffezion mia tanto profonda,
che basti a render voi grazia per grazia;
ma quei che vede e puote a ciò risponda.
Io veggio ben che già mai non si sazia
nostro intelletto, se l ver non lo illustra
di fuor dal qual nessun vero si spazia.
Posasi in esso, come fera in lustra,
tosto che giunto lha; e giugner puollo:
se non, ciascun disio sarebbe frustra.
Nasce per quello, a guisa di rampollo,
a piè del vero il dubbio; ed è natura
chal sommo pinge noi di collo in collo.
Questo minvita, questo massicura
con reverenza, donna, a dimandarvi
dunaltra verità che mè oscura.
Io vo saper se luom può sodisfarvi
ai voti manchi sì con altri beni,
cha la vostra statera non sien parvi».
Beatrice mi guardò con li occhi pieni
di faville damor così divini,
che, vinta, mia virtute diè le reni,
e quasi mi perdei con li occhi chini.
«Sio ti fiammeggio nel caldo damore
di là dal modo che n terra si vede,
sì che del viso tuo vinco il valore,
non ti maravigliar, ché ciò procede
da perfetto veder, che, come apprende,
così nel bene appreso move il piede.
Io veggio ben sì come già resplende
ne lintelletto tuo letterna luce,
che, vista, sola e sempre amore accende;
e saltra cosa vostro amor seduce,
non è se non di quella alcun vestigio,
mal conosciuto, che quivi traluce.
Tu vuo saper se con altro servigio,
per manco voto, si può render tanto
che lanima sicuri di letigio».
Sì cominciò Beatrice questo canto;
e sì com uom che suo parlar non spezza,
continüò così l processo santo:
«Lo maggior don che Dio per sua larghezza
fesse creando, e a la sua bontate
più conformato, e quel che più apprezza,
fu de la volontà la libertate;
di che le creature intelligenti,
e tutte e sole, fuoro e son dotate.
Or ti parrà, se tu quinci argomenti,
lalto valor del voto, sè sì fatto
che Dio consenta quando tu consenti;
ché, nel fermar tra Dio e lomo il patto,
vittima fassi di questo tesoro,
tal quale io dico; e fassi col suo atto.
Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel chai offerto,
di maltolletto vuo far buon lavoro.
Tu se omai del maggior punto certo;
ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,
che par contra lo ver chi tho scoverto,
convienti ancor sedere un poco a mensa,
però che l cibo rigido chai preso,
richiede ancora aiuto a tua dispensa.
Apri la mente a quel chio ti paleso
e fermalvi entro; ché non fa scïenza,
sanza lo ritenere, avere inteso.
Due cose si convegnono a lessenza
di questo sacrificio: luna è quella
di che si fa; laltr è la convenenza.
Quest ultima già mai non si cancella
se non servata; e intorno di lei
sì preciso di sopra si favella:
però necessitato fu a li Ebrei
pur lofferere, ancor chalcuna offerta
sì permutasse, come saver dei.
Laltra, che per materia tè aperta,
puote ben esser tal, che non si falla
se con altra materia si converta.
Ma non trasmuti carco a la sua spalla
per suo arbitrio alcun, sanza la volta
e de la chiave bianca e de la gialla;
e ogne permutanza credi stolta,
se la cosa dimessa in la sorpresa
come l quattro nel sei non è raccolta.
Però qualunque cosa tanto pesa
per suo valor che tragga ogne bilancia,
sodisfar non si può con altra spesa.
Non prendan li mortali il voto a ciancia;
siate fedeli, e a ciò far non bieci,
come Ieptè a la sua prima mancia;
cui più si convenia dicer Mal feci,
che, servando, far peggio; e così stolto
ritrovar puoi il gran duca de Greci,
onde pianse Efigènia il suo bel volto,
e fé pianger di sé i folli e i savi
chudir parlar di così fatto cólto.
Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
non siate come penna ad ogne vento,
e non crediate chogne acqua vi lavi.
Avete il novo e l vecchio Testamento,
e l pastor de la Chiesa che vi guida;
questo vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,
sì che l Giudeo di voi tra voi non rida!
Non fate com agnel che lascia il latte
de la sua madre, e semplice e lascivo
seco medesmo a suo piacer combatte!».
Così Beatrice a me com ïo scrivo;
poi si rivolse tutta disïante
a quella parte ove l mondo è più vivo.
Lo suo tacere e l trasmutar sembiante
puoser silenzio al mio cupido ingegno,
che già nuove questioni avea davante;
e sì come saetta che nel segno
percuote pria che sia la corda queta,
così corremmo nel secondo regno.
Quivi la donna mia vid io sì lieta,
come nel lume di quel ciel si mise,
che più lucente se ne fé l pianeta.
E se la stella si cambiò e rise,
qual mi fec io che pur da mia natura
trasmutabile son per tutte guise!
Come n peschiera chè tranquilla e pura
traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
per modo che lo stimin lor pastura,
sì vid io ben più di mille splendori
trarsi ver noi, e in ciascun sudia:
«Ecco chi crescerà li nostri amori».
E sì come ciascuno a noi venìa,
vedeasi lombra piena di letizia
nel folgór chiaro che di lei uscia.
Pensa, lettor, se quel che qui sinizia
non procedesse, come tu avresti
di più savere angosciosa carizia;
e per te vederai come da questi
mera in disio dudir lor condizioni,
sì come a li occhi mi fur manifesti.
«O bene nato a cui veder li troni
del trïunfo etternal concede grazia
prima che la milizia sabbandoni,
del lume che per tutto il ciel si spazia
noi semo accesi; e però, se disii
di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia».
Così da un di quelli spirti pii
detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
sicuramente, e credi come a dii».
«Io veggio ben sì come tu tannidi
nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
perch e corusca sì come tu ridi;
ma non so chi tu se, né perché aggi,
anima degna, il grado de la spera
che si vela a mortai con altrui raggi».
Questo diss io diritto a la lumera
che pria mavea parlato; ond ella fessi
lucente più assai di quel chell era.
Sì come il sol che si cela elli stessi
per troppa luce, come l caldo ha róse
le temperanze di vapori spessi,
per più letizia sì mi si nascose
dentro al suo raggio la figura santa;
e così chiusa chiusa mi rispuose
nel modo che l seguente canto canta.
«Poscia che Costantin laquila volse
contr al corso del ciel, chella seguio
dietro a lantico che Lavina tolse,
cento e cent anni e più luccel di Dio
ne lo stremo dEuropa si ritenne,
vicino a monti de quai prima uscìo;
e sotto lombra de le sacre penne
governò l mondo lì di mano in mano,
e, sì cangiando, in su la mia pervenne.
Cesare fui e son Iustinïano,
che, per voler del primo amor chi sento,
dentro le leggi trassi il troppo e l vano.
E prima chio a lovra fossi attento,
una natura in Cristo esser, non piùe,
credea, e di tal fede era contento;
ma l benedetto Agapito, che fue
sommo pastore, a la fede sincera
mi dirizzò con le parole sue.
Io li credetti; e ciò che n sua fede era,
vegg io or chiaro sì, come tu vedi
ogni contradizione e falsa e vera.
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
a Dio per grazia piacque di spirarmi
lalto lavoro, e tutto n lui mi diedi;
e al mio Belisar commendai larmi,
cui la destra del ciel fu sì congiunta,
che segno fu chi dovessi posarmi.
Or qui a la question prima sappunta
la mia risposta; ma sua condizione
mi stringe a seguitare alcuna giunta,
perché tu veggi con quanta ragione
si move contr al sacrosanto segno
e chi l sappropria e chi a lui soppone.
Vedi quanta virtù lha fatto degno
di reverenza; e cominciò da lora
che Pallante morì per darli regno.
Tu sai chel fece in Alba sua dimora
per trecento anni e oltre, infino al fine
che i tre a tre pugnar per lui ancora.
E sai chel fé dal mal de le Sabine
al dolor di Lucrezia in sette regi,
vincendo intorno le genti vicine.
Sai quel chel fé portato da li egregi
Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
incontro a li altri principi e collegi;
onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
negletto fu nomato, i Deci e Fabi
ebber la fama che volontier mirro.
Esso atterrò lorgoglio de li Aràbi
che di retro ad Anibale passaro
lalpestre rocce, Po, di che tu labi.
Sott esso giovanetti trïunfaro
Scipïone e Pompeo; e a quel colle
sotto l qual tu nascesti parve amaro.
Poi, presso al tempo che tutto l ciel volle
redur lo mondo a suo modo sereno,
Cesare per voler di Roma il tolle.
E quel che fé da Varo infino a Reno,
Isara vide ed Era e vide Senna
e ogne valle onde Rodano è pieno.
Quel che fé poi chelli uscì di Ravenna
e saltò Rubicon, fu di tal volo,
che nol seguiteria lingua né penna.
Inver la Spagna rivolse lo stuolo,
poi ver Durazzo, e Farsalia percosse
sì chal Nil caldo si sentì del duolo.
Antandro e Simeonta, onde si mosse,
rivide e là dov Ettore si cuba;
e mal per Tolomeo poscia si scosse.
Da indi scese folgorando a Iuba;
onde si volse nel vostro occidente,
ove sentia la pompeana tuba.
Di quel che fé col baiulo seguente,
Bruto con Cassio ne linferno latra,
e Modena e Perugia fu dolente.
Piangene ancor la trista Cleopatra,
che, fuggendoli innanzi, dal colubro
la morte prese subitana e atra.
Con costui corse infino al lito rubro;
con costui puose il mondo in tanta pace,
che fu serrato a Giano il suo delubro.
Ma ciò che l segno che parlar mi face
fatto avea prima e poi era fatturo
per lo regno mortal cha lui soggiace,
diventa in apparenza poco e scuro,
se in mano al terzo Cesare si mira
con occhio chiaro e con affetto puro;
ché la viva giustizia che mi spira,
li concedette, in mano a quel chi dico,
gloria di far vendetta a la sua ira.
Or qui tammira in ciò chio ti replìco:
poscia con Tito a far vendetta corse
de la vendetta del peccato antico.
E quando il dente longobardo morse
la Santa Chiesa, sotto le sue ali
Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
Omai puoi giudicar di quei cotali
chio accusai di sopra e di lor falli,
che son cagion di tutti vostri mali.
Luno al pubblico segno i gigli gialli
oppone, e laltro appropria quello a parte,
sì chè forte a veder chi più si falli.
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
sott altro segno, ché mal segue quello
sempre chi la giustizia e lui diparte;
e non labbatta esto Carlo novello
coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
cha più alto leon trasser lo vello.
Molte fïate già pianser li figli
per la colpa del padre, e non si creda
che Dio trasmuti larmi per suoi gigli!
Questa picciola stella si correda
di buoni spirti che son stati attivi
perché onore e fama li succeda:
e quando li disiri poggian quivi,
sì disvïando, pur convien che i raggi
del vero amore in sù poggin men vivi.
Ma nel commensurar di nostri gaggi
col merto è parte di nostra letizia,
perché non li vedem minor né maggi.
Quindi addolcisce la viva giustizia
in noi laffetto sì, che non si puote
torcer già mai ad alcuna nequizia.
Diverse voci fanno dolci note;
così diversi scanni in nostra vita
rendon dolce armonia tra queste rote.
E dentro a la presente margarita
luce la luce di Romeo, di cui
fu lovra grande e bella mal gradita.
Ma i Provenzai che fecer contra lui
non hanno riso; e però mal cammina
qual si fa danno del ben fare altrui.
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
Romeo, persona umìle e peregrina.
E poi il mosser le parole biece
a dimandar ragione a questo giusto,
che li assegnò sette e cinque per diece,
indi partissi povero e vetusto;
e se l mondo sapesse il cor chelli ebbe
mendicando sua vita a frusto a frusto,
assai lo loda, e più lo loderebbe».
«Osanna, sanctus Deus sabaòth,
superillustrans claritate tua
felices ignes horum malacòth!».
Così, volgendosi a la nota sua,
fu viso a me cantare essa sustanza,
sopra la qual doppio lume saddua;
ed essa e laltre mossero a sua danza,
e quasi velocissime faville
mi si velar di sùbita distanza.
Io dubitava e dicea Dille, dille!
fra me, dille dicea, a la mia donna
che mi diseta con le dolci stille.
Ma quella reverenza che sindonna
di tutto me, pur per Be e per ice,
mi richinava come luom chassonna.
Poco sofferse me cotal Beatrice
e cominciò, raggiandomi dun riso
tal, che nel foco faria luom felice:
«Secondo mio infallibile avviso,
come giusta vendetta giustamente
punita fosse, tha in pensier miso;
ma io ti solverò tosto la mente;
e tu ascolta, ché le mie parole
di gran sentenza ti faran presente.
Per non soffrire a la virtù che vole
freno a suo prode, quell uom che non nacque,
dannando sé, dannò tutta sua prole;
onde lumana specie inferma giacque
giù per secoli molti in grande errore,
fin chal Verbo di Dio discender piacque
u la natura, che dal suo fattore
sera allungata, unì a sé in persona
con latto sol del suo etterno amore.
Or drizza il viso a quel chor si ragiona:
questa natura al suo fattore unita,
qual fu creata, fu sincera e buona;
ma per sé stessa pur fu ella sbandita
di paradiso, però che si torse
da via di verità e da sua vita.
La pena dunque che la croce porse
sa la natura assunta si misura,
nulla già mai sì giustamente morse;
e così nulla fu di tanta ingiura,
guardando a la persona che sofferse,
in che era contratta tal natura.
Però dun atto uscir cose diverse:
cha Dio e a Giudei piacque una morte;
per lei tremò la terra e l ciel saperse.
Non ti dee oramai parer più forte,
quando si dice che giusta vendetta
poscia vengiata fu da giusta corte.
Ma io veggi or la tua mente ristretta
di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
del qual con gran disio solver saspetta.
Tu dici: Ben discerno ciò chi odo;
ma perché Dio volesse, mè occulto,
a nostra redenzion pur questo modo.
Questo decreto, frate, sta sepulto
a li occhi di ciascuno il cui ingegno
ne la fiamma damor non è adulto.
Veramente, però cha questo segno
molto si mira e poco si discerne,
dirò perché tal modo fu più degno.
La divina bontà, che da sé sperne
ogne livore, ardendo in sé, sfavilla
sì che dispiega le bellezze etterne.
Ciò che da lei sanza mezzo distilla
non ha poi fine, perché non si move
la sua imprenta quand ella sigilla.
Ciò che da essa sanza mezzo piove
libero è tutto, perché non soggiace
a la virtute de le cose nove.
Più lè conforme, e però più le piace;
ché lardor santo chogne cosa raggia,
ne la più somigliante è più vivace.
Di tutte queste dote savvantaggia
lumana creatura, e suna manca,
di sua nobilità convien che caggia.
Solo il peccato è quel che la disfranca
e falla dissimìle al sommo bene,
per che del lume suo poco simbianca;
e in sua dignità mai non rivene,
se non rïempie, dove colpa vòta,
contra mal dilettar con giuste pene.
Vostra natura, quando peccò tota
nel seme suo, da queste dignitadi,
come di paradiso, fu remota;
né ricovrar potiensi, se tu badi
ben sottilmente, per alcuna via,
sanza passar per un di questi guadi:
o che Dio solo per sua cortesia
dimesso avesse, o che luom per sé isso
avesse sodisfatto a sua follia.
Ficca mo locchio per entro labisso
de letterno consiglio, quanto puoi
al mio parlar distrettamente fisso.
Non potea luomo ne termini suoi
mai sodisfar, per non potere ir giuso
con umiltate obedïendo poi,
quanto disobediendo intese ir suso;
e questa è la cagion per che luom fue
da poter sodisfar per sé dischiuso.
Dunque a Dio convenia con le vie sue
riparar lomo a sua intera vita,
dico con luna, o ver con amendue.
Ma perché lovra tanto è più gradita
da loperante, quanto più appresenta
de la bontà del core ond ell è uscita,
la divina bontà che l mondo imprenta,
di proceder per tutte le sue vie,
a rilevarvi suso, fu contenta.
Né tra lultima notte e l primo die
sì alto o sì magnifico processo,
o per luna o per laltra, fu o fie:
ché più largo fu Dio a dar sé stesso
per far luom sufficiente a rilevarsi,
che selli avesse sol da sé dimesso;
e tutti li altri modi erano scarsi
a la giustizia, se l Figliuol di Dio
non fosse umilïato ad incarnarsi.
Or per empierti bene ogne disio,
ritorno a dichiararti in alcun loco,
perché tu veggi lì così com io.
Tu dici: Io veggio lacqua, io veggio il foco,
laere e la terra e tutte lor misture
venire a corruzione, e durar poco;
e queste cose pur furon creature;
per che, se ciò chè detto è stato vero,
esser dovrien da corruzion sicure.
Li angeli, frate, e l paese sincero
nel qual tu se, dir si posson creati,
sì come sono, in loro essere intero;
ma li alimenti che tu hai nomati
e quelle cose che di lor si fanno
da creata virtù sono informati.
Creata fu la materia chelli hanno;
creata fu la virtù informante
in queste stelle che ntorno a lor vanno.
Lanima dogne bruto e de le piante
di complession potenzïata tira
lo raggio e l moto de le luci sante;
ma vostra vita sanza mezzo spira
la somma beninanza, e la innamora
di sé sì che poi sempre la disira.
E quinci puoi argomentare ancora
vostra resurrezion, se tu ripensi
come lumana carne fessi allora
che li primi parenti intrambo fensi».
Solea creder lo mondo in suo periclo
che la bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
per che non pur a lei faceano onore
di sacrificio e di votivo grido
le genti antiche ne lantico errore;
ma Dïone onoravano e Cupido,
quella per madre sua, questo per figlio,
e dicean chel sedette in grembo a Dido;
e da costei ond io principio piglio
pigliavano il vocabol de la stella
che l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
Io non maccorsi del salire in ella;
ma desservi entro mi fé assai fede
la donna mia chi vidi far più bella.
E come in fiamma favilla si vede,
e come in voce voce si discerne,
quand una è ferma e altra va e riede,
vid io in essa luce altre lucerne
muoversi in giro più e men correnti,
al modo, credo, di lor viste interne.
Di fredda nube non disceser venti,
o visibili o no, tanto festini,
che non paressero impediti e lenti
a chi avesse quei lumi divini
veduti a noi venir, lasciando il giro
pria cominciato in li alti Serafini;
e dentro a quei che più innanzi appariro
sonava Osanna sì, che unque poi
di rïudir non fui sanza disiro.
Indi si fece lun più presso a noi
e solo incominciò: «Tutti sem presti
al tuo piacer, perché di noi ti gioi.
Noi ci volgiam coi principi celesti
dun giro e dun girare e duna sete,
ai quali tu del mondo già dicesti:
Voi che ntendendo il terzo ciel movete;
e sem sì pien damor, che, per piacerti,
non fia men dolce un poco di quïete».
Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
a la mia donna reverenti, ed essa
fatti li avea di sé contenti e certi,
rivolsersi a la luce che promessa
tanto savea, e «Deh, chi siete?» fue
la voce mia di grande affetto impressa.
E quanta e quale vid io lei far piùe
per allegrezza nova che saccrebbe,
quando parlai, a lallegrezze sue!
Così fatta, mi disse: «Il mondo mebbe
giù poco tempo; e se più fosse stato,
molto sarà di mal, che non sarebbe.
La mia letizia mi ti tien celato
che mi raggia dintorno e mi nasconde
quasi animal di sua seta fasciato.
Assai mamasti, e avesti ben onde;
che sio fossi giù stato, io ti mostrava
di mio amor più oltre che le fronde.
Quella sinistra riva che si lava
di Rodano poi chè misto con Sorga,
per suo segnore a tempo maspettava,
e quel corno dAusonia che simborga
di Bari e di Gaeta e di Catona,
da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
Fulgeami già in fronte la corona
di quella terra che l Danubio riga
poi che le ripe tedesche abbandona.
E la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra l golfo
che riceve da Euro maggior briga,
non per Tifeo ma per nascente solfo,
attesi avrebbe li suoi regi ancora,
nati per me di Carlo e di Ridolfo,
se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: Mora, mora!.
E se mio frate questo antivedesse,
lavara povertà di Catalogna
già fuggeria, perché non li offendesse;
ché veramente proveder bisogna
per lui, o per altrui, sì cha sua barca
carcata più dincarco non si pogna.
La sua natura, che di larga parca
discese, avria mestier di tal milizia
che non curasse di mettere in arca».
«Però chi credo che lalta letizia
che l tuo parlar minfonde, segnor mio,
là ve ogne ben si termina e sinizia,
per te si veggia come la vegg io,
grata mè più; e anco quest ho caro
perché l discerni rimirando in Dio.
Fatto mhai lieto, e così mi fa chiaro,
poi che, parlando, a dubitar mhai mosso
com esser può, di dolce seme, amaro».
Questo io a lui; ed elli a me: «Sio posso
mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
terrai lo viso come tien lo dosso.
Lo ben che tutto il regno che tu scandi
volge e contenta, fa esser virtute
sua provedenza in questi corpi grandi.
E non pur le nature provedute
sono in la mente chè da sé perfetta,
ma esse insieme con la lor salute:
per che quantunque quest arco saetta
disposto cade a proveduto fine,
sì come cosa in suo segno diretta.
Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
producerebbe sì li suoi effetti,
che non sarebbero arti, ma ruine;
e ciò esser non può, se li ntelletti
che muovon queste stelle non son manchi,
e manco il primo, che non li ha perfetti.
Vuo tu che questo ver più ti simbianchi?».
E io: «Non già; ché impossibil veggio
che la natura, in quel chè uopo, stanchi».
Ond elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio
per lomo in terra, se non fosse cive?».
«Sì», rispuos io; «e qui ragion non cheggio».
«E puot elli esser, se giù non si vive
diversamente per diversi offici?
Non, se l maestro vostro ben vi scrive».
Sì venne deducendo infino a quici;
poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
convien di vostri effetti le radici:
per chun nasce Solone e altro Serse,
altro Melchisedèch e altro quello
che, volando per laere, il figlio perse.
La circular natura, chè suggello
a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue lun da laltro ostello.
Quinci addivien chEsaù si diparte
per seme da Iacòb; e vien Quirino
da sì vil padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
simil farebbe sempre a generanti,
se non vincesse il proveder divino.
Or quel che tera dietro tè davanti:
ma perché sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che tammanti.
Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sé, com ogne altra semente
fuor di sua regïon, fa mala prova.
E se l mondo là giù ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete a la religïone
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal chè da sermone;
onde la traccia vostra è fuor di strada».
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
mebbe chiarito, mi narrò li nganni
che ricever dovea la sua semenza;
ma disse: «Taci e lascia muover li anni»;
sì chio non posso dir se non che pianto
giusto verrà di retro ai vostri danni.
E già la vita di quel lume santo
rivolta sera al Sol che la rïempie
come quel ben cha ogne cosa è tanto.
Ahi anime ingannate e fatture empie,
che da sì fatto ben torcete i cuori,
drizzando in vanità le vostre tempie!
Ed ecco un altro di quelli splendori
ver me si fece, e l suo voler piacermi
significava nel chiarir di fori.
Li occhi di Bëatrice, cheran fermi
sovra me, come pria, di caro assenso
al mio disio certificato fermi.
«Deh, metti al mio voler tosto compenso,
beato spirto», dissi, «e fammi prova
chi possa in te refletter quel chio penso!».
Onde la luce che mera ancor nova,
del suo profondo, ond ella pria cantava,
seguette come a cui di ben far giova:
«In quella parte de la terra prava
italica che siede tra Rïalto
e le fontane di Brenta e di Piava,
si leva un colle, e non surge molt alto,
là onde scese già una facella
che fece a la contrada un grande assalto.
Duna radice nacqui e io ed ella:
Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
perché mi vinse il lume desta stella;
ma lietamente a me medesma indulgo
la cagion di mia sorte, e non mi noia;
che parria forse forte al vostro vulgo.
Di questa luculenta e cara gioia
del nostro cielo che più mè propinqua,
grande fama rimase; e pria che moia,
questo centesimo anno ancor sincinqua:
vedi se far si dee lomo eccellente,
sì chaltra vita la prima relinqua.
E ciò non pensa la turba presente
che Tagliamento e Adice richiude,
né per esser battuta ancor si pente;
ma tosto fia che Padova al palude
cangerà lacqua che Vincenza bagna,
per essere al dover le genti crude;
e dove Sile e Cagnan saccompagna,
tal signoreggia e va con la testa alta,
che già per lui carpir si fa la ragna.
Piangerà Feltro ancora la difalta
de lempio suo pastor, che sarà sconcia
sì, che per simil non sentrò in malta.
Troppo sarebbe larga la bigoncia
che ricevesse il sangue ferrarese,
e stanco chi l pesasse a oncia a oncia,
che donerà questo prete cortese
per mostrarsi di parte; e cotai doni
conformi fieno al viver del paese.
Sù sono specchi, voi dicete Troni,
onde refulge a noi Dio giudicante;
sì che questi parlar ne paion buoni».
Qui si tacette; e fecemi sembiante
che fosse ad altro volta, per la rota
in che si mise com era davante.
Laltra letizia, che mera già nota
per cara cosa, mi si fece in vista
qual fin balasso in che lo sol percuota.
Per letiziar là sù fulgor sacquista,
sì come riso qui; ma giù sabbuia
lombra di fuor, come la mente è trista.
«Dio vede tutto, e tuo veder sinluia»,
diss io, «beato spirto, sì che nulla
voglia di sé a te puot esser fuia.
Dunque la voce tua, che l ciel trastulla
sempre col canto di quei fuochi pii
che di sei ali facen la coculla,
perché non satisface a miei disii?
Già non attendere io tua dimanda,
sio mintuassi, come tu tinmii».
«La maggior valle in che lacqua si spanda»,
incominciaro allor le sue parole,
«fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
tra discordanti liti contra l sole
tanto sen va, che fa meridïano
là dove lorizzonte pria far suole.
Di quella valle fu io litorano
tra Ebro e Macra, che per cammin corto
parte lo Genovese dal Toscano.
Ad un occaso quasi e ad un orto
Buggea siede e la terra ond io fui,
che fé del sangue suo già caldo il porto.
Folco mi disse quella gente a cui
fu noto il nome mio; e questo cielo
di me simprenta, com io fe di lui;
ché più non arse la figlia di Belo,
noiando e a Sicheo e a Creusa,
di me, infin che si convenne al pelo;
né quella Rodopëa che delusa
fu da Demofoonte, né Alcide
quando Iole nel core ebbe rinchiusa.
Non però qui si pente, ma si ride,
non de la colpa, cha mente non torna,
ma del valor chordinò e provide.
Qui si rimira ne larte chaddorna
cotanto affetto, e discernesi l bene
per che l mondo di sù quel di giù torna.
Ma perché tutte le tue voglie piene
ten porti che son nate in questa spera,
proceder ancor oltre mi convene.
Tu vuo saper chi è in questa lumera
che qui appresso me così scintilla
come raggio di sole in acqua mera.
Or sappi che là entro si tranquilla
Raab; e a nostr ordine congiunta,
di lei nel sommo grado si sigilla.
Da questo cielo, in cui lombra sappunta
che l vostro mondo face, pria chaltr alma
del trïunfo di Cristo fu assunta.
Ben si convenne lei lasciar per palma
in alcun cielo de lalta vittoria
che sacquistò con luna e laltra palma,
perch ella favorò la prima gloria
di Iosüè in su la Terra Santa,
che poco tocca al papa la memoria.
La tua città, che di colui è pianta
che pria volse le spalle al suo fattore
e di cui è la nvidia tanto pianta,
produce e spande il maladetto fiore
cha disvïate le pecore e li agni,
però che fatto ha lupo del pastore.
Per questo lEvangelio e i dottor magni
son derelitti, e solo ai Decretali
si studia, sì che pare a lor vivagni.
A questo intende il papa e cardinali;
non vanno i lor pensieri a Nazarette,
là dove Gabrïello aperse lali.
Ma Vaticano e laltre parti elette
di Roma che son state cimitero
a la milizia che Pietro seguette,
tosto libere fien de lavoltero».
Guardando nel suo Figlio con lAmore
che luno e laltro etternalmente spira,
lo primo e ineffabile Valore
quanto per mente e per loco si gira
con tant ordine fé, chesser non puote
sanza gustar di lui chi ciò rimira.
Leva dunque, lettore, a lalte rote
meco la vista, dritto a quella parte
dove lun moto e laltro si percuote;
e lì comincia a vagheggiar ne larte
di quel maestro che dentro a sé lama,
tanto che mai da lei locchio non parte.
Vedi come da indi si dirama
loblico cerchio che i pianeti porta,
per sodisfare al mondo che li chiama.
Che se la strada lor non fosse torta,
molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
e quasi ogne potenza qua giù morta;
e se dal dritto più o men lontano
fosse l partire, assai sarebbe manco
e giù e sù de lordine mondano.
Or ti riman, lettor, sovra l tuo banco,
dietro pensando a ciò che si preliba,
sesser vuoi lieto assai prima che stanco.
Messo tho innanzi: omai per te ti ciba;
ché a sé torce tutta la mia cura
quella materia ond io son fatto scriba.
Lo ministro maggior de la natura,
che del valor del ciel lo mondo imprenta
e col suo lume il tempo ne misura,
con quella parte che sù si rammenta
congiunto, si girava per le spire
in che più tosto ognora sappresenta;
e io era con lui; ma del salire
non maccors io, se non com uom saccorge,
anzi l primo pensier, del suo venire.
È Bëatrice quella che sì scorge
di bene in meglio, sì subitamente
che latto suo per tempo non si sporge.
Quant esser convenia da sé lucente
quel chera dentro al sol dov io entrami,
non per color, ma per lume parvente!
Perch io lo ngegno e larte e luso chiami,
sì nol direi che mai simaginasse;
ma creder puossi e di veder si brami.
E se le fantasie nostre son basse
a tanta altezza, non è maraviglia;
ché sopra l sol non fu occhio chandasse.
Tal era quivi la quarta famiglia
de lalto Padre, che sempre la sazia,
mostrando come spira e come figlia.
E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,
ringrazia il Sol de li angeli, cha questo
sensibil tha levato per sua grazia».
Cor di mortal non fu mai sì digesto
a divozione e a rendersi a Dio
con tutto l suo gradir cotanto presto,
come a quelle parole mi fec io;
e sì tutto l mio amore in lui si mise,
che Bëatrice eclissò ne loblio.
Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
che lo splendor de li occhi suoi ridenti
mia mente unita in più cose divise.
Io vidi più folgór vivi e vincenti
far di noi centro e di sé far corona,
più dolci in voce che in vista lucenti:
così cinger la figlia di Latona
vedem talvolta, quando laere è pregno,
sì che ritenga il fil che fa la zona.
Ne la corte del cielo, ond io rivegno,
si trovan molte gioie care e belle
tanto che non si posson trar del regno;
e l canto di quei lumi era di quelle;
chi non simpenna sì che là sù voli,
dal muto aspetti quindi le novelle.
Poi, sì cantando, quelli ardenti soli
si fuor girati intorno a noi tre volte,
come stelle vicine a fermi poli,
donne mi parver, non da ballo sciolte,
ma che sarrestin tacite, ascoltando
fin che le nove note hanno ricolte.
E dentro a lun senti cominciar: «Quando
lo raggio de la grazia, onde saccende
verace amore e che poi cresce amando,
multiplicato in te tanto resplende,
che ti conduce su per quella scala
u sanza risalir nessun discende;
qual ti negasse il vin de la sua fiala
per la tua sete, in libertà non fora
se non com acqua chal mar non si cala.
Tu vuo saper di quai piante sinfiora
questa ghirlanda che ntorno vagheggia
la bella donna chal ciel tavvalora.
Io fui de li agni de la santa greggia
che Domenico mena per cammino
u ben simpingua se non si vaneggia.
Questi che mè a destra più vicino,
frate e maestro fummi, ed esso Alberto
è di Cologna, e io Thomas dAquino.
Se sì di tutti li altri esser vuo certo,
di retro al mio parlar ten vien col viso
girando su per lo beato serto.
Quell altro fiammeggiare esce del riso
di Grazïan, che luno e laltro foro
aiutò sì che piace in paradiso.
Laltro chappresso addorna il nostro coro,
quel Pietro fu che con la poverella
offerse a Santa Chiesa suo tesoro.
La quinta luce, chè tra noi più bella,
spira di tale amor, che tutto l mondo
là giù ne gola di saper novella:
entro vè lalta mente u sì profondo
saver fu messo, che, se l vero è vero,
a veder tanto non surse il secondo.
Appresso vedi il lume di quel cero
che giù in carne più a dentro vide
langelica natura e l ministero.
Ne laltra piccioletta luce ride
quello avvocato de tempi cristiani
del cui latino Augustin si provide.
Or se tu locchio de la mente trani
di luce in luce dietro a le mie lode,
già de lottava con sete rimani.
Per vedere ogne ben dentro vi gode
lanima santa che l mondo fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode.
Lo corpo ond ella fu cacciata giace
giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
e da essilio venne a questa pace.
Vedi oltre fiammeggiar lardente spiro
dIsidoro, di Beda e di Riccardo,
che a considerar fu più che viro.
Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
è l lume duno spirto che n pensieri
gravi a morir li parve venir tardo:
essa è la luce etterna di Sigieri,
che, leggendo nel Vico de li Strami,
silogizzò invidïosi veri».
Indi, come orologio che ne chiami
ne lora che la sposa di Dio surge
a mattinar lo sposo perché lami,
che luna parte e laltra tira e urge,
tin tin sonando con sì dolce nota,
che l ben disposto spirto damor turge;
così vid ïo la gloriosa rota
muoversi e render voce a voce in tempra
e in dolcezza chesser non pò nota
se non colà dove gioir sinsempra.
O insensata cura de mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter lali!
Chi dietro a iura e chi ad amforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
e chi regnar per forza o per sofismi,
e chi rubare e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto
saffaticava e chi si dava a lozio,
quando, da tutte queste cose sciolto,
con Bëatrice mera suso in cielo
cotanto glorïosamente accolto.
Poi che ciascuno fu tornato ne lo
punto del cerchio in che avanti sera,
fermossi, come a candellier candelo.
E io senti dentro a quella lumera
che pria mavea parlato, sorridendo
incominciar, faccendosi più mera:
«Così com io del suo raggio resplendo,
sì, riguardando ne la luce etterna,
li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.
Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
in sì aperta e n sì distesa lingua
lo dicer mio, chal tuo sentir si sterna,
ove dinanzi dissi: U ben simpingua,
e là u dissi: Non nacque il secondo;
e qui è uopo che ben si distingua.
La provedenza, che governa il mondo
con quel consiglio nel quale ogne aspetto
creato è vinto pria che vada al fondo,
però che andasse ver lo suo diletto
la sposa di colui chad alte grida
disposò lei col sangue benedetto,
in sé sicura e anche a lui più fida,
due principi ordinò in suo favore,
che quinci e quindi le fosser per guida.
Lun fu tutto serafico in ardore;
laltro per sapïenza in terra fue
di cherubica luce uno splendore.
De lun dirò, però che damendue
si dice lun pregiando, qual chom prende,
perch ad un fine fur lopere sue.
Intra Tupino e lacqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa dalto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.
Di questa costa, là dov ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange.
Però chi desso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Orïente, se proprio dir vuole.
Non era ancor molto lontan da lorto,
chel cominciò a far sentir la terra
de la sua gran virtute alcun conforto;
ché per tal donna, giovinetto, in guerra
del padre corse, a cui, come a la morte,
la porta del piacer nessun diserra;
e dinanzi a la sua spirital corte
et coram patre le si fece unito;
poscia di dì in dì lamò più forte.
Questa, privata del primo marito,
millecent anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette sanza invito;
né valse udir che la trovò sicura
con Amiclate, al suon de la sua voce,
colui cha tutto l mondo fé paura;
né valse esser costante né feroce,
sì che, dove Maria rimase giuso,
ella con Cristo pianse in su la croce.
Ma perch io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.
La lor concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi;
tanto che l venerabile Bernardo
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve esser tardo.
Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
dietro a lo sposo, sì la sposa piace.
Indi sen va quel padre e quel maestro
con la sua donna e con quella famiglia
che già legava lumile capestro.
Né li gravò viltà di cuor le ciglia
per esser fi di Pietro Bernardone,
né per parer dispetto a maraviglia;
ma regalmente sua dura intenzione
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
primo sigillo a sua religïone.
Poi che la gente poverella crebbe
dietro a costui, la cui mirabil vita
meglio in gloria del ciel si canterebbe,
di seconda corona redimita
fu per Onorio da lEtterno Spiro
la santa voglia desto archimandrita.
E poi che, per la sete del martiro,
ne la presenza del Soldan superba
predicò Cristo e li altri che l seguiro,
e per trovare a conversione acerba
troppo la gente e per non stare indarno,
redissi al frutto de litalica erba,
nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese lultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno.
Quando a colui cha tanto ben sortillo
piacque di trarlo suso a la mercede
chel meritò nel suo farsi pusillo,
a frati suoi, sì com a giuste rede,
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che lamassero a fede;
e del suo grembo lanima preclara
mover si volle, tornando al suo regno,
e al suo corpo non volle altra bara.
Pensa oramai qual fu colui che degno
collega fu a mantener la barca
di Pietro in alto mar per dritto segno;
e questo fu il nostro patrïarca;
per che qual segue lui, com el comanda,
discerner puoi che buone merce carca.
Ma l suo pecuglio di nova vivanda
è fatto ghiotto, sì chesser non puote
che per diversi salti non si spanda;
e quanto le sue pecore remote
e vagabunde più da esso vanno,
più tornano a lovil di latte vòte.
Ben son di quelle che temono l danno
e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
che le cappe fornisce poco panno.
Or, se le mie parole non son fioche,
se la tua audïenza è stata attenta,
se ciò chè detto a la mente revoche,
in parte fia la tua voglia contenta,
perché vedrai la pianta onde si scheggia,
e vedra il corrègger che argomenta
U ben simpingua, se non si vaneggia».
Sì tosto come lultima parola
la benedetta fiamma per dir tolse,
a rotar cominciò la santa mola;
e nel suo giro tutta non si volse
prima chunaltra di cerchio la chiuse,
e moto a moto e canto a canto colse;
canto che tanto vince nostre muse,
nostre serene in quelle dolci tube,
quanto primo splendor quel che refuse.
Come si volgon per tenera nube
due archi paralelli e concolori,
quando Iunone a sua ancella iube,
nascendo di quel dentro quel di fori,
a guisa del parlar di quella vaga
chamor consunse come sol vapori,
e fanno qui la gente esser presaga,
per lo patto che Dio con Noè puose,
del mondo che già mai più non sallaga:
così di quelle sempiterne rose
volgiensi circa noi le due ghirlande,
e sì lestrema a lintima rispuose.
Poi che l tripudio e laltra festa grande,
sì del cantare e sì del fiammeggiarsi
luce con luce gaudïose e blande,
insieme a punto e a voler quetarsi,
pur come li occhi chal piacer che i move
conviene insieme chiudere e levarsi;
del cor de luna de le luci nove
si mosse voce, che lago a la stella
parer mi fece in volgermi al suo dove;
e cominciò: «Lamor che mi fa bella
mi tragge a ragionar de laltro duca
per cui del mio sì ben ci si favella.
Degno è che, dov è lun, laltro sinduca:
sì che, com elli ad una militaro,
così la gloria loro insieme luca.
Lessercito di Cristo, che sì caro
costò a rïarmar, dietro a la nsegna
si movea tardo, sospeccioso e raro,
quando lo mperador che sempre regna
provide a la milizia, chera in forse,
per sola grazia, non per esser degna;
e, come è detto, a sua sposa soccorse
con due campioni, al cui fare, al cui dire
lo popol disvïato si raccorse.
In quella parte ove surge ad aprire
Zefiro dolce le novelle fronde
di che si vede Europa rivestire,
non molto lungi al percuoter de londe
dietro a le quali, per la lunga foga,
lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,
siede la fortunata Calaroga
sotto la protezion del grande scudo
in che soggiace il leone e soggioga:
dentro vi nacque lamoroso drudo
de la fede cristiana, il santo atleta
benigno a suoi e a nemici crudo;
e come fu creata, fu repleta
sì la sua mente di viva vertute
che, ne la madre, lei fece profeta.
Poi che le sponsalizie fuor compiute
al sacro fonte intra lui e la Fede,
u si dotar di mutüa salute,
la donna che per lui lassenso diede,
vide nel sonno il mirabile frutto
chuscir dovea di lui e de le rede;
e perché fosse qual era in costrutto,
quinci si mosse spirito a nomarlo
del possessivo di cui era tutto.
Domenico fu detto; e io ne parlo
sì come de lagricola che Cristo
elesse a lorto suo per aiutarlo.
Ben parve messo e famigliar di Cristo:
che l primo amor che n lui fu manifesto,
fu al primo consiglio che diè Cristo.
Spesse fïate fu tacito e desto
trovato in terra da la sua nutrice,
come dicesse: Io son venuto a questo.
Oh padre suo veramente Felice!
oh madre sua veramente Giovanna,
se, interpretata, val come si dice!
Non per lo mondo, per cui mo saffanna
di retro ad Ostïense e a Taddeo,
ma per amor de la verace manna
in picciol tempo gran dottor si feo;
tal che si mise a circüir la vigna
che tosto imbianca, se l vignaio è reo.
E a la sedia che fu già benigna
più a poveri giusti, non per lei,
ma per colui che siede, che traligna,
non dispensare o due o tre per sei,
non la fortuna di prima vacante,
non decimas, quae sunt pauperum Dei,
addimandò, ma contro al mondo errante
licenza di combatter per lo seme
del qual ti fascian ventiquattro piante.
Poi, con dottrina e con volere insieme,
con lofficio appostolico si mosse
quasi torrente chalta vena preme;
e ne li sterpi eretici percosse
limpeto suo, più vivamente quivi
dove le resistenze eran più grosse.
Di lui si fecer poi diversi rivi
onde lorto catolico si riga,
sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.
Se tal fu luna rota de la biga
in che la Santa Chiesa si difese
e vinse in campo la sua civil briga,
ben ti dovrebbe assai esser palese
leccellenza de laltra, di cui Tomma
dinanzi al mio venir fu sì cortese.
Ma lorbita che fé la parte somma
di sua circunferenza, è derelitta,
sì chè la muffa dov era la gromma.
La sua famiglia, che si mosse dritta
coi piedi a le sue orme, è tanto volta,
che quel dinanzi a quel di retro gitta;
e tosto si vedrà de la ricolta
de la mala coltura, quando il loglio
si lagnerà che larca li sia tolta.
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
nostro volume, ancor troveria carta
u leggerebbe I mi son quel chi soglio;
ma non fia da Casal né dAcquasparta,
là onde vegnon tali a la scrittura,
chuno la fugge e altro la coarta.
Io son la vita di Bonaventura
da Bagnoregio, che ne grandi offici
sempre pospuosi la sinistra cura.
Illuminato e Augustin son quici,
che fuor de primi scalzi poverelli
che nel capestro a Dio si fero amici.
Ugo da San Vittore è qui con elli,
e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
lo qual giù luce in dodici libelli;
Natàn profeta e l metropolitano
Crisostomo e Anselmo e quel Donato
cha la prim arte degnò porre mano.
Rabano è qui, e lucemi dallato
il calavrese abate Giovacchino
di spirito profetico dotato.
Ad inveggiar cotanto paladino
mi mosse linfiammata cortesia
di fra Tommaso e l discreto latino;
e mosse meco questa compagnia».
Imagini, chi bene intender cupe
quel chi or vidie ritegna limage,
mentre chio dico, come ferma rupe,
quindici stelle che n diverse plage
lo ciel avvivan di tanto sereno
che soperchia de laere ogne compage;
imagini quel carro a cu il seno
basta del nostro cielo e notte e giorno,
sì chal volger del temo non vien meno;
imagini la bocca di quel corno
che si comincia in punta de lo stelo
a cui la prima rota va dintorno,
aver fatto di sé due segni in cielo,
qual fece la figliuola di Minoi
allora che sentì di morte il gelo;
e lun ne laltro aver li raggi suoi,
e amendue girarsi per maniera
che luno andasse al primo e laltro al poi;
e avrà quasi lombra de la vera
costellazione e de la doppia danza
che circulava il punto dov io era:
poi chè tanto di là da nostra usanza,
quanto di là dal mover de la Chiana
si move il ciel che tutti li altri avanza.
Lì si cantò non Bacco, non Peana,
ma tre persone in divina natura,
e in una persona essa e lumana.
Compié l cantare e l volger sua misura;
e attesersi a noi quei santi lumi,
felicitando sé di cura in cura.
Ruppe il silenzio ne concordi numi
poscia la luce in che mirabil vita
del poverel di Dio narrata fumi,
e disse: «Quando luna paglia è trita,
quando la sua semenza è già riposta,
a batter laltra dolce amor minvita.
Tu credi che nel petto onde la costa
si trasse per formar la bella guancia
il cui palato a tutto l mondo costa,
e in quel che, forato da la lancia,
e prima e poscia tanto sodisfece,
che dogne colpa vince la bilancia,
quantunque a la natura umana lece
aver di lume, tutto fosse infuso
da quel valor che luno e laltro fece;
e però miri a ciò chio dissi suso,
quando narrai che non ebbe l secondo
lo ben che ne la quinta luce è chiuso.
Or apri li occhi a quel chio ti rispondo,
e vedräi il tuo credere e l mio dire
nel vero farsi come centro in tondo.
Ciò che non more e ciò che può morire
non è se non splendor di quella idea
che partorisce, amando, il nostro Sire;
ché quella viva luce che sì mea
dal suo lucente, che non si disuna
da lui né da lamor cha lor sintrea,
per sua bontate il suo raggiare aduna,
quasi specchiato, in nove sussistenze,
etternalmente rimanendosi una.
Quindi discende a lultime potenze
giù datto in atto, tanto divenendo,
che più non fa che brevi contingenze;
e queste contingenze essere intendo
le cose generate, che produce
con seme e sanza seme il ciel movendo.
La cera di costoro e chi la duce
non sta dun modo; e però sotto l segno
idëale poi più e men traluce.
Ond elli avvien chun medesimo legno,
secondo specie, meglio e peggio frutta;
e voi nascete con diverso ingegno.
Se fosse a punto la cera dedutta
e fosse il cielo in sua virtù supprema,
la luce del suggel parrebbe tutta;
ma la natura la dà sempre scema,
similemente operando a lartista
cha labito de larte ha man che trema.
Però se l caldo amor la chiara vista
de la prima virtù dispone e segna,
tutta la perfezion quivi sacquista.
Così fu fatta già la terra degna
di tutta lanimal perfezïone;
così fu fatta la Vergine pregna;
sì chio commendo tua oppinïone,
che lumana natura mai non fue
né fia qual fu in quelle due persone.
Or si non procedesse avanti piùe,
Dunque, come costui fu sanza pare?
comincerebber le parole tue.
Ma perché paia ben ciò che non pare,
pensa chi era, e la cagion che l mosse,
quando fu detto Chiedi, a dimandare.
Non ho parlato sì, che tu non posse
ben veder chel fu re, che chiese senno
acciò che re sufficïente fosse;
non per sapere il numero in che enno
li motor di qua sù, o se necesse
con contingente mai necesse fenno;
non si est dare primum motum esse,
o se del mezzo cerchio far si puote
trïangol sì chun retto non avesse.
Onde, se ciò chio dissi e questo note,
regal prudenza è quel vedere impari
in che lo stral di mia intenzion percuote;
e se al surse drizzi li occhi chiari,
vedrai aver solamente respetto
ai regi, che son molti, e buon son rari.
Con questa distinzion prendi l mio detto;
e così puote star con quel che credi
del primo padre e del nostro Diletto.
E questo ti sia sempre piombo a piedi,
per farti mover lento com uom lasso
e al sì e al no che tu non vedi:
ché quelli è tra li stolti bene a basso,
che sanza distinzione afferma e nega
ne lun così come ne laltro passo;
perch elli ncontra che più volte piega
loppinïon corrente in falsa parte,
e poi laffetto lintelletto lega.
Vie più che ndarno da riva si parte,
perché non torna tal qual e si move,
chi pesca per lo vero e non ha larte.
E di ciò sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso e Brisso e molti,
li quali andaro e non sapëan dove;
sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti
che furon come spade a le Scritture
in render torti li diritti volti.
Non sien le genti, ancor, troppo sicure
a giudicar, sì come quei che stima
le biade in campo pria che sien mature;
chi ho veduto tutto l verno prima
lo prun mostrarsi rigido e feroce,
poscia portar la rosa in su la cima;
e legno vidi già dritto e veloce
correr lo mar per tutto suo cammino,
perire al fine a lintrar de la foce.
Non creda donna Berta e ser Martino,
per vedere un furare, altro offerere,
vederli dentro al consiglio divino;
ché quel può surgere, e quel può cadere».
Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
movesi lacqua in un ritondo vaso,
secondo chè percosso fuori o dentro:
ne la mia mente fé sùbito caso
questo chio dico, sì come si tacque
la glorïosa vita di Tommaso,
per la similitudine che nacque
del suo parlare e di quel di Beatrice,
a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:
«A costui fa mestieri, e nol vi dice
né con la voce né pensando ancora,
dun altro vero andare a la radice.
Diteli se la luce onde sinfiora
vostra sustanza, rimarrà con voi
etternalmente sì com ell è ora;
e se rimane, dite come, poi
che sarete visibili rifatti,
esser porà chal veder non vi nòi».
Come, da più letizia pinti e tratti,
a la fïata quei che vanno a rota
levan la voce e rallegrano li atti,
così, a lorazion pronta e divota,
li santi cerchi mostrar nova gioia
nel torneare e ne la mira nota.
Qual si lamenta perché qui si moia
per viver colà sù, non vide quive
lo refrigerio de letterna ploia.
Quell uno e due e tre che sempre vive
e regna sempre in tre e n due e n uno,
non circunscritto, e tutto circunscrive,
tre volte era cantato da ciascuno
di quelli spirti con tal melodia,
chad ogne merto saria giusto muno.
E io udi ne la luce più dia
del minor cerchio una voce modesta,
forse qual fu da langelo a Maria,
risponder: «Quanto fia lunga la festa
di paradiso, tanto il nostro amore
si raggerà dintorno cotal vesta.
La sua chiarezza séguita lardore;
lardor la visïone, e quella è tanta,
quant ha di grazia sovra suo valore.
Come la carne glorïosa e santa
fia rivestita, la nostra persona
più grata fia per esser tutta quanta;
per che saccrescerà ciò che ne dona
di gratüito lume il sommo bene,
lume cha lui veder ne condiziona;
onde la visïon crescer convene,
crescer lardor che di quella saccende,
crescer lo raggio che da esso vene.
Ma sì come carbon che fiamma rende,
e per vivo candor quella soverchia,
sì che la sua parvenza si difende;
così questo folgór che già ne cerchia
fia vinto in apparenza da la carne
che tutto dì la terra ricoperchia;
né potrà tanta luce affaticarne:
ché li organi del corpo saran forti
a tutto ciò che potrà dilettarne».
Tanto mi parver sùbiti e accorti
e luno e laltro coro a dicer «Amme!»,
che ben mostrar disio di corpi morti:
forse non pur per lor, ma per le mamme,
per li padri e per li altri che fuor cari
anzi che fosser sempiterne fiamme.
Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
nascere un lustro sopra quel che vera,
per guisa dorizzonte che rischiari.
E sì come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nove parvenze,
sì che la vista pare e non par vera,
parvemi lì novelle sussistenze
cominciare a vedere, e fare un giro
di fuor da laltre due circunferenze.
Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
come si fece sùbito e candente
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
Ma Bëatrice sì bella e ridente
mi si mostrò, che tra quelle vedute
si vuol lasciar che non seguir la mente.
Quindi ripreser li occhi miei virtute
a rilevarsi; e vidimi translato
sol con mia donna in più alta salute.
Ben maccors io chio era più levato,
per laffocato riso de la stella,
che mi parea più roggio che lusato.
Con tutto l core e con quella favella
chè una in tutti, a Dio feci olocausto,
qual conveniesi a la grazia novella.
E non er anco del mio petto essausto
lardor del sacrificio, chio conobbi
esso litare stato accetto e fausto;
ché con tanto lucore e tanto robbi
mapparvero splendor dentro a due raggi,
chio dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».
Come distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra poli del mondo
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
sì costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo ngegno;
ché quella croce lampeggiava Cristo,
sì chio non so trovare essempro degno;
ma chi prende sua croce e segue Cristo,
ancor mi scuserà di quel chio lasso,
vedendo in quell albor balenar Cristo.
Di corno in corno e tra la cima e l basso
si movien lumi, scintillando forte
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
così si veggion qui diritte e torte,
veloci e tarde, rinovando vista,
le minuzie di corpi, lunghe e corte,
moversi per lo raggio onde si lista
talvolta lombra che, per sua difesa,
la gente con ingegno e arte acquista.
E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non è intesa,
così da lumi che lì mapparinno
saccogliea per la croce una melode
che mi rapiva, sanza intender linno.
Ben maccors io chelli era dalte lode,
però cha me venìa «Resurgi» e «Vinci»
come a colui che non intende e ode.
Ïo minnamorava tanto quinci,
che nfino a lì non fu alcuna cosa
che mi legasse con sì dolci vinci.
Forse la mia parola par troppo osa,
posponendo il piacer de li occhi belli,
ne quai mirando mio disio ha posa;
ma chi savvede che i vivi suggelli
dogne bellezza più fanno più suso,
e chio non mera lì rivolto a quelli,
escusar puommi di quel chio maccuso
per escusarmi, e vedermi dir vero:
ché l piacer santo non è qui dischiuso,
perché si fa, montando, più sincero.
Benigna volontade in che si liqua
sempre lamor che drittamente spira,
come cupidità fa ne la iniqua,
silenzio puose a quella dolce lira,
e fece quïetar le sante corde
che la destra del cielo allenta e tira.
Come saranno a giusti preghi sorde
quelle sustanze che, per darmi voglia
chio le pregassi, a tacer fur concorde?
Bene è che sanza termine si doglia
chi, per amor di cosa che non duri
etternalmente, quello amor si spoglia.
Quale per li seren tranquilli e puri
discorre ad ora ad or sùbito foco,
movendo li occhi che stavan sicuri,
e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond e saccende
nulla sen perde, ed esso dura poco:
tale dal corno che n destro si stende
a piè di quella croce corse un astro
de la costellazion che lì resplende;
né si partì la gemma dal suo nastro,
ma per la lista radïal trascorse,
che parve foco dietro ad alabastro.
Sì pïa lombra dAnchise si porse,
se fede merta nostra maggior musa,
quando in Eliso del figlio saccorse.
«O sanguis meus, o superinfusa
gratïa Deï, sicut tibi cui
bis unquam celi ianüa reclusa?».
Così quel lume: ond io mattesi a lui;
poscia rivolsi a la mia donna il viso,
e quinci e quindi stupefatto fui;
ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
tal, chio pensai co miei toccar lo fondo
de la mia gloria e del mio paradiso.
Indi, a udire e a veder giocondo,
giunse lo spirto al suo principio cose,
chio non lo ntesi, sì parlò profondo;
né per elezïon mi si nascose,
ma per necessità, ché l suo concetto
al segno di mortal si soprapuose.
E quando larco de lardente affetto
fu sì sfogato, che l parlar discese
inver lo segno del nostro intelletto,
la prima cosa che per me sintese,
«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
che nel mio seme se tanto cortese!».
E seguì: «Grato e lontano digiuno,
tratto leggendo del magno volume
du non si muta mai bianco né bruno,
solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
in chio ti parlo, mercè di colei
cha lalto volo ti vestì le piume.
Tu credi che a me tuo pensier mei
da quel chè primo, così come raia
da lun, se si conosce, il cinque e l sei;
e però chio mi sia e perch io paia
più gaudïoso a te, non mi domandi,
che alcun altro in questa turba gaia.
Tu credi l vero; ché i minori e grandi
di questa vita miran ne lo speglio
in che, prima che pensi, il pensier pandi;
ma perché l sacro amore in che io veglio
con perpetüa vista e che masseta
di dolce disïar, sadempia meglio,
la voce tua sicura, balda e lieta
suoni la volontà, suoni l disio,
a che la mia risposta è già decreta!».
Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
pria chio parlassi, e arrisemi un cenno
che fece crescer lali al voler mio.
Poi cominciai così: «Laffetto e l senno,
come la prima equalità vapparse,
dun peso per ciascun di voi si fenno,
però che l sol che vallumò e arse,
col caldo e con la luce è sì iguali,
che tutte simiglianze sono scarse.
Ma voglia e argomento ne mortali,
per la cagion cha voi è manifesta,
diversamente son pennuti in ali;
ond io, che son mortal, mi sento in questa
disagguaglianza, e però non ringrazio
se non col core a la paterna festa.
Ben supplico io a te, vivo topazio
che questa gioia prezïosa ingemmi,
perché mi facci del tuo nome sazio».
«O fronda mia in che io compiacemmi
pur aspettando, io fui la tua radice»:
cotal principio, rispondendo, femmi.
Poscia mi disse: «Quel da cui si dice
tua cognazione e che cent anni e piùe
girato ha l monte in la prima cornice,
mio figlio fu e tuo bisavol fue:
ben si convien che la lunga fatica
tu li raccorci con lopere tue.
Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.
Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder più che la persona.
Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre, che l tempo e la dote
non fuggien quinci e quindi la misura.
Non avea case di famiglia vòte;
non vera giunto ancor Sardanapalo
a mostrar ciò che n camera si puote.
Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, com è vinto
nel montar sù, così sarà nel calo.
Bellincion Berti vid io andar cinto
di cuoio e dosso, e venir da lo specchio
la donna sua sanza l viso dipinto;
e vidi quel di Nerli e quel del Vecchio
esser contenti a la pelle scoperta,
e le sue donne al fuso e al pennecchio.
Oh fortunate! ciascuna era certa
de la sua sepultura, e ancor nulla
era per Francia nel letto diserta.
Luna vegghiava a studio de la culla,
e, consolando, usava lidïoma
che prima i padri e le madri trastulla;
laltra, traendo a la rocca la chioma,
favoleggiava con la sua famiglia
di Troiani, di Fiesole e di Roma.
Saria tenuta allor tal maraviglia
una Cianghella, un Lapo Salterello,
qual or saria Cincinnato e Corniglia.
A così riposato, a così bello
viver di cittadini, a così fida
cittadinanza, a così dolce ostello,
Maria mi diè, chiamata in alte grida;
e ne lantico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida.
Moronto fu mio frate ed Eliseo;
mia donna venne a me di val di Pado,
e quindi il sopranome tuo si feo.
Poi seguitai lo mperador Currado;
ed el mi cinse de la sua milizia,
tanto per bene ovrar li venni in grado.
Dietro li andai incontro a la nequizia
di quella legge il cui popolo usurpa,
per colpa di pastor, vostra giustizia.
Quivi fu io da quella gente turpa
disviluppato dal mondo fallace,
lo cui amor molt anime deturpa;
e venni dal martiro a questa pace».
O poca nostra nobiltà di sangue,
se glorïar di te la gente fai
qua giù dove laffetto nostro langue,
mirabil cosa non mi sarà mai:
ché là dove appetito non si torce,
dico nel cielo, io me ne gloriai.
Ben se tu manto che tosto raccorce:
sì che, se non sappon di dì in die,
lo tempo va dintorno con le force.
Dal voi che prima a Roma sofferie,
in che la sua famiglia men persevra,
ricominciaron le parole mie;
onde Beatrice, chera un poco scevra,
ridendo, parve quella che tossio
al primo fallo scritto di Ginevra.
Io cominciai: «Voi siete il padre mio;
voi mi date a parlar tutta baldezza;
voi mi levate sì, chi son più chio.
Per tanti rivi sempie dallegrezza
la mente mia, che di sé fa letizia
perché può sostener che non si spezza.
Ditemi dunque, cara mia primizia,
quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
che si segnaro in vostra püerizia;
ditemi de lovil di San Giovanni
quanto era allora, e chi eran le genti
tra esso degne di più alti scanni».
Come savviva a lo spirar di venti
carbone in fiamma, così vid io quella
luce risplendere a miei blandimenti;
e come a li occhi miei si fé più bella,
così con voce più dolce e soave,
ma non con questa moderna favella,
dissemi: «Da quel dì che fu detto Ave
al parto in che mia madre, chè or santa,
sallevïò di me ond era grave,
al suo Leon cinquecento cinquanta
e trenta fiate venne questo foco
a rinfiammarsi sotto la sua pianta.
Li antichi miei e io nacqui nel loco
dove si truova pria lultimo sesto
da quei che corre il vostro annüal gioco.
Basti di miei maggiori udirne questo:
chi ei si fosser e onde venner quivi,
più è tacer che ragionare onesto.
Tutti color cha quel tempo eran ivi
da poter arme tra Marte e l Batista,
eran il quinto di quei chor son vivi.
Ma la cittadinanza, chè or mista
di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
pura vediesi ne lultimo artista.
Oh quanto fora meglio esser vicine
quelle genti chio dico, e al Galluzzo
e a Trespiano aver vostro confine,
che averle dentro e sostener lo puzzo
del villan dAguglion, di quel da Signa,
che già per barattare ha locchio aguzzo!
Se la gente chal mondo più traligna
non fosse stata a Cesare noverca,
ma come madre a suo figlio benigna,
tal fatto è fiorentino e cambia e merca,
che si sarebbe vòlto a Simifonti,
là dove andava lavolo a la cerca;
sariesi Montemurlo ancor de Conti;
sarieno i Cerchi nel piovier dAcone,
e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.
Sempre la confusion de le persone
principio fu del mal de la cittade,
come del vostro il cibo che sappone;
e cieco toro più avaccio cade
che cieco agnello; e molte volte taglia
più e meglio una che le cinque spade.
Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
come sono ite, e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
udir come le schiatte si disfanno
non ti parrà nova cosa né forte,
poscia che le cittadi termine hanno.
Le vostre cose tutte hanno lor morte,
sì come voi; ma celasi in alcuna
che dura molto, e le vite son corte.
E come l volger del ciel de la luna
cuopre e discuopre i liti sanza posa,
così fa di Fiorenza la Fortuna:
per che non dee parer mirabil cosa
ciò chio dirò de li alti Fiorentini
onde è la fama nel tempo nascosa.
Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
già nel calare, illustri cittadini;
e vidi così grandi come antichi,
con quel de la Sannella, quel de lArca,
e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.
Sovra la porta chal presente è carca
di nova fellonia di tanto peso
che tosto fia iattura de la barca,
erano i Ravignani, ond è disceso
il conte Guido e qualunque del nome
de lalto Bellincione ha poscia preso.
Quel de la Pressa sapeva già come
regger si vuole, e avea Galigaio
dorata in casa sua già lelsa e l pome.
Grand era già la colonna del Vaio,
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
e Galli e quei charrossan per lo staio.
Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
era già grande, e già eran tratti
a le curule Sizii e Arrigucci.
Oh quali io vidi quei che son disfatti
per lor superbia! e le palle de loro
fiorian Fiorenza in tutt i suoi gran fatti.
Così facieno i padri di coloro
che, sempre che la vostra chiesa vaca,
si fanno grassi stando a consistoro.
Loltracotata schiatta che sindraca
dietro a chi fugge, e a chi mostra l dente
o ver la borsa, com agnel si placa,
già venìa sù, ma di picciola gente;
sì che non piacque ad Ubertin Donato
che poï il suocero il fé lor parente.
Già era l Caponsacco nel mercato
disceso giù da Fiesole, e già era
buon cittadino Giuda e Infangato.
Io dirò cosa incredibile e vera:
nel picciol cerchio sentrava per porta
che si nomava da quei de la Pera.
Ciascun che de la bella insegna porta
del gran barone il cui nome e l cui pregio
la festa di Tommaso riconforta,
da esso ebbe milizia e privilegio;
avvegna che con popol si rauni
oggi colui che la fascia col fregio.
Già eran Gualterotti e Importuni;
e ancor saria Borgo più quïeto,
se di novi vicin fosser digiuni.
La casa di che nacque il vostro fleto,
per lo giusto disdegno che vha morti
e puose fine al vostro viver lieto,
era onorata, essa e suoi consorti:
o Buondelmonte, quanto mal fuggisti
le nozze süe per li altrui conforti!
Molti sarebber lieti, che son tristi,
se Dio tavesse conceduto ad Ema
la prima volta cha città venisti.
Ma conveniesi a quella pietra scema
che guarda l ponte, che Fiorenza fesse
vittima ne la sua pace postrema.
Con queste genti, e con altre con esse,
vid io Fiorenza in sì fatto riposo,
che non avea cagione onde piangesse.
Con queste genti vidio glorïoso
e giusto il popol suo, tanto che l giglio
non era ad asta mai posto a ritroso,
né per divisïon fatto vermiglio».
Qual venne a Climenè, per accertarsi
di ciò chavëa incontro a sé udito,
quei chancor fa li padri ai figli scarsi;
tal era io, e tal era sentito
e da Beatrice e da la santa lampa
che pria per me avea mutato sito.
Per che mia donna «Manda fuor la vampa
del tuo disio», mi disse, «sì chella esca
segnata bene de la interna stampa:
non perché nostra conoscenza cresca
per tuo parlare, ma perché tausi
a dir la sete, sì che luom ti mesca».
«O cara piota mia che sì tinsusi,
che, come veggion le terrene menti
non capere in trïangol due ottusi,
così vedi le cose contingenti
anzi che sieno in sé, mirando il punto
a cui tutti li tempi son presenti;
mentre chio era a Virgilio congiunto
su per lo monte che lanime cura
e discendendo nel mondo defunto,
dette mi fuor di mia vita futura
parole gravi, avvegna chio mi senta
ben tetragono ai colpi di ventura;
per che la voglia mia saria contenta
dintender qual fortuna mi sappressa:
ché saetta previsa vien più lenta».
Così diss io a quella luce stessa
che pria mavea parlato; e come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.
Né per ambage, in che la gente folle
già sinviscava pria che fosse anciso
lAgnel di Dio che le peccata tolle,
ma per chiare parole e con preciso
latin rispuose quello amor paterno,
chiuso e parvente del suo proprio riso:
«La contingenza, che fuor del quaderno
de la vostra matera non si stende,
tutta è dipinta nel cospetto etterno;
necessità però quindi non prende
se non come dal viso in che si specchia
nave che per torrente giù discende.
Da indi, sì come viene ad orecchia
dolce armonia da organo, mi viene
a vista il tempo che ti sapparecchia.
Qual si partio Ipolito dAtene
per la spietata e perfida noverca,
tal di Fiorenza partir ti convene.
Questo si vuole e questo già si cerca,
e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
là dove Cristo tutto dì si merca.
La colpa seguirà la parte offensa
in grido, come suol; ma la vendetta
fia testimonio al ver che la dispensa.
Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che larco de lo essilio pria saetta.
Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e l salir per laltrui scale.
E quel che più ti graverà le spalle,
sarà la compagnia malvagia e scempia
con la qual tu cadrai in questa valle;
che tutta ingrata, tutta matta ed empia
si farà contr a te; ma, poco appresso,
ella, non tu, navrà rossa la tempia.
Di sua bestialitate il suo processo
farà la prova; sì cha te fia bello
averti fatta parte per te stesso.
Lo primo tuo refugio e l primo ostello
sarà la cortesia del gran Lombardo
che n su la scala porta il santo uccello;
chin te avrà sì benigno riguardo,
che del fare e del chieder, tra voi due,
fia primo quel che tra li altri è più tardo.
Con lui vedrai colui che mpresso fue,
nascendo, sì da questa stella forte,
che notabili fier lopere sue.
Non se ne son le genti ancora accorte
per la novella età, ché pur nove anni
son queste rote intorno di lui torte;
ma pria che l Guasco lalto Arrigo inganni,
parran faville de la sua virtute
in non curar dargento né daffanni.
Le sue magnificenze conosciute
saranno ancora, sì che suoi nemici
non ne potran tener le lingue mute.
A lui taspetta e a suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta gente,
cambiando condizion ricchi e mendici;
e porterane scritto ne la mente
di lui, e nol dirai»; e disse cose
incredibili a quei che fier presente.
Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose
di quel che ti fu detto; ecco le nsidie
che dietro a pochi giri son nascose.
Non vo però cha tuoi vicini invidie,
poscia che sinfutura la tua vita
vie più là che l punir di lor perfidie».
Poi che, tacendo, si mostrò spedita
lanima santa di metter la trama
in quella tela chio le porsi ordita,
io cominciai, come colui che brama,
dubitando, consiglio da persona
che vede e vuol dirittamente e ama:
«Ben veggio, padre mio, sì come sprona
lo tempo verso me, per colpo darmi
tal, chè più grave a chi più sabbandona;
per che di provedenza è buon chio marmi,
sì che, se loco mè tolto più caro,
io non perdessi li altri per miei carmi.
Giù per lo mondo sanza fine amaro,
e per lo monte del cui bel cacume
li occhi de la mia donna mi levaro,
e poscia per lo ciel, di lume in lume,
ho io appreso quel che sio ridico,
a molti fia sapor di forte agrume;
e sio al vero son timido amico,
temo di perder viver tra coloro
che questo tempo chiameranno antico».
La luce in che rideva il mio tesoro
chio trovai lì, si fé prima corusca,
quale a raggio di sole specchio doro;
indi rispuose: «Coscïenza fusca
o de la propria o de laltrui vergogna
pur sentirà la tua parola brusca.
Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua visïon fa manifesta;
e lascia pur grattar dov è la rogna.
Ché se la voce tua sarà molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascerà poi, quando sarà digesta.
Questo tuo grido farà come vento,
che le più alte cime più percuote;
e ciò non fa donor poco argomento.
Però ti son mostrate in queste rote,
nel monte e ne la valle dolorosa
pur lanime che son di fama note,
che lanimo di quel chode, non posa
né ferma fede per essempro chaia
la sua radice incognita e ascosa,
né per altro argomento che non paia».
Già si godeva solo del suo verbo
quello specchio beato, e io gustava
lo mio, temprando col dolce lacerbo;
e quella donna cha Dio mi menava
disse: «Muta pensier; pensa chi sono
presso a colui chogne torto disgrava».
Io mi rivolsi a lamoroso suono
del mio conforto; e qual io allor vidi
ne li occhi santi amor, qui labbandono:
non perch io pur del mio parlar diffidi,
ma per la mente che non può redire
sovra sé tanto, saltri non la guidi.
Tanto poss io di quel punto ridire,
che, rimirando lei, lo mio affetto
libero fu da ogne altro disire,
fin che l piacere etterno, che diretto
raggiava in Bëatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto.
Vincendo me col lume dun sorriso,
ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
ché non pur ne miei occhi è paradiso».
Come si vede qui alcuna volta
laffetto ne la vista, selli è tanto,
che da lui sia tutta lanima tolta,
così nel fiammeggiar del folgór santo,
a chio mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancora alquanto.
El cominciò: «In questa quinta soglia
de lalbero che vive de la cima
e frutta sempre e mai non perde foglia,
spiriti son beati, che giù, prima
che venissero al ciel, fuor di gran voce,
sì chogne musa ne sarebbe opima.
Però mira ne corni de la croce:
quello chio nomerò, lì farà latto
che fa in nube il suo foco veloce».
Io vidi per la croce un lume tratto
dal nomar Iosuè, com el si feo;
né mi fu noto il dir prima che l fatto.
E al nome de lalto Macabeo
vidi moversi un altro roteando,
e letizia era ferza del paleo.
Così per Carlo Magno e per Orlando
due ne seguì lo mio attento sguardo,
com occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
e l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
Indi, tra laltre luci mota e mista,
mostrommi lalma che mavea parlato
qual era tra i cantor del cielo artista.
Io mi rivolsi dal mio destro lato
per vedere in Beatrice il mio dovere,
o per parlare o per atto, segnato;
e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
vinceva li altri e lultimo solere.
E come, per sentir più dilettanza
bene operando, luom di giorno in giorno
saccorge che la sua virtute avanza,
sì maccors io che l mio girare intorno
col cielo insieme avea cresciuto larco,
veggendo quel miracol più addorno.
E qual è l trasmutare in picciol varco
di tempo in bianca donna, quando l volto
suo si discarchi di vergogna il carco,
tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
per lo candor de la temprata stella
sesta, che dentro a sé mavea ricolto.
Io vidi in quella giovïal facella
lo sfavillar de lamor che lì era
segnare a li occhi miei nostra favella.
E come augelli surti di rivera,
quasi congratulando a lor pasture,
fanno di sé or tonda or altra schiera,
sì dentro ai lumi sante creature
volitando cantavano, e faciensi
or D, or I, or L in sue figure.
Prima, cantando, a sua nota moviensi;
poi, diventando lun di questi segni,
un poco sarrestavano e taciensi.
O diva Pegasëa che li ngegni
fai glorïosi e rendili longevi,
ed essi teco le cittadi e regni,
illustrami di te, sì chio rilevi
le lor figure com io lho concette:
paia tua possa in questi versi brevi!
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; e io notai
le parti sì, come mi parver dette.
DILIGITE IUSTITIAM, primai
fur verbo e nome di tutto l dipinto;
QUI IUDICATIS TERRAM, fur sezzai.
Poscia ne lemme del vocabol quinto
rimasero ordinate; sì che Giove
pareva argento lì doro distinto.
E vidi scendere altre luci dove
era il colmo de lemme, e lì quetarsi
cantando, credo, il ben cha sé le move.
Poi, come nel percuoter di ciocchi arsi
surgono innumerabili faville,
onde li stolti sogliono agurarsi,
resurger parver quindi più di mille
luci e salir, qual assai e qual poco,
sì come l sol che laccende sortille;
e quïetata ciascuna in suo loco,
la testa e l collo dunaguglia vidi
rappresentare a quel distinto foco.
Quei che dipinge lì, non ha chi l guidi;
ma esso guida, e da lui si rammenta
quella virtù chè forma per li nidi.
Laltra bëatitudo, che contenta
pareva prima dingigliarsi a lemme,
con poco moto seguitò la mprenta.
O dolce stella, quali e quante gemme
mi dimostraro che nostra giustizia
effetto sia del ciel che tu ingemme!
Per chio prego la mente in che sinizia
tuo moto e tua virtute, che rimiri
ond esce il fummo che l tuo raggio vizia;
sì chunaltra fïata omai sadiri
del comperare e vender dentro al templo
che si murò di segni e di martìri.
O milizia del ciel cu io contemplo,
adora per color che sono in terra
tutti svïati dietro al malo essemplo!
Già si solea con le spade far guerra;
ma or si fa togliendo or qui or quivi
lo pan che l pïo Padre a nessun serra.
Ma tu che sol per cancellare scrivi,
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
per la vigna che guasti, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire: «I ho fermo l disiro
sì a colui che volle viver solo
e che per salti fu tratto al martiro,
chio non conosco il pescator né Polo».
Parea dinanzi a me con lali aperte
la bella image che nel dolce frui
liete facevan lanime conserte;
parea ciascuna rubinetto in cui
raggio di sole ardesse sì acceso,
che ne miei occhi rifrangesse lui.
E quel che mi convien ritrar testeso,
non portò voce mai, né scrisse incostro,
né fu per fantasia già mai compreso;
chio vidi e anche udi parlar lo rostro,
e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
quand era nel concetto e noi e nostro.
E cominciò: «Per esser giusto e pio
son io qui essaltato a quella gloria
che non si lascia vincere a disio;
e in terra lasciai la mia memoria
sì fatta, che le genti lì malvage
commendan lei, ma non seguon la storia».
Così un sol calor di molte brage
si fa sentir, come di molti amori
usciva solo un suon di quella image.
Ond io appresso: «O perpetüi fiori
de letterna letizia, che pur uno
parer mi fate tutti vostri odori,
solvetemi, spirando, il gran digiuno
che lungamente mha tenuto in fame,
non trovandoli in terra cibo alcuno.
Ben so io che, se n cielo altro reame
la divina giustizia fa suo specchio,
che l vostro non lapprende con velame.
Sapete come attento io mapparecchio
ad ascoltar; sapete qual è quello
dubbio che mè digiun cotanto vecchio».
Quasi falcone chesce del cappello,
move la testa e con lali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello,
vid io farsi quel segno, che di laude
de la divina grazia era contesto,
con canti quai si sa chi là sù gaude.
Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
distinse tanto occulto e manifesto,
non poté suo valor sì fare impresso
in tutto luniverso, che l suo verbo
non rimanesse in infinito eccesso.
E ciò fa certo che l primo superbo,
che fu la somma dogne creatura,
per non aspettar lume, cadde acerbo;
e quinci appar chogne minor natura
è corto recettacolo a quel bene
che non ha fine e sé con sé misura.
Dunque vostra veduta, che convene
esser alcun de raggi de la mente
di che tutte le cose son ripiene,
non pò da sua natura esser possente
tanto, che suo principio discerna
molto di là da quel che lè parvente.
Però ne la giustizia sempiterna
la vista che riceve il vostro mondo,
com occhio per lo mare, entro sinterna;
che, ben che da la proda veggia il fondo,
in pelago nol vede; e nondimeno
èli, ma cela lui lesser profondo.
Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai; anzi è tenèbra
od ombra de la carne o suo veleno.
Assai tè mo aperta la latebra
che tascondeva la giustizia viva,
di che facei question cotanto crebra;
ché tu dicevi: Un uom nasce a la riva
de lIndo, e quivi non è chi ragioni
di Cristo né chi legga né chi scriva;
e tutti suoi voleri e atti buoni
sono, quanto ragione umana vede,
sanza peccato in vita o in sermoni.
Muore non battezzato e sanza fede:
ov è questa giustizia che l condanna?
ov è la colpa sua, se ei non crede?.
Or tu chi se, che vuo sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta duna spanna?
Certo a colui che meco sassottiglia,
se la Scrittura sovra voi non fosse,
da dubitar sarebbe a maraviglia.
Oh terreni animali! oh menti grosse!
La prima volontà, chè da sé buona,
da sé, chè sommo ben, mai non si mosse.
Cotanto è giusto quanto a lei consuona:
nullo creato bene a sé la tira,
ma essa, radïando, lui cagiona».
Quale sovresso il nido si rigira
poi cha pasciuti la cicogna i figli,
e come quel chè pasto la rimira;
cotal si fece, e sì leväi i cigli,
la benedetta imagine, che lali
movea sospinte da tanti consigli.
Roteando cantava, e dicea: «Quali
son le mie note a te, che non le ntendi,
tal è il giudicio etterno a voi mortali».
Poi si quetaro quei lucenti incendi
de lo Spirito Santo ancor nel segno
che fé i Romani al mondo reverendi,
esso ricominciò: «A questo regno
non salì mai chi non credette n Cristo,
né pria né poi chel si chiavasse al legno.
Ma vedi: molti gridan Cristo, Cristo!,
che saranno in giudicio assai men prope
a lui, che tal che non conosce Cristo;
e tai Cristian dannerà lEtïòpe,
quando si partiranno i due collegi,
luno in etterno ricco e laltro inòpe.
Che poran dir li Perse a vostri regi,
come vedranno quel volume aperto
nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?
Lì si vedrà, tra lopere dAlberto,
quella che tosto moverà la penna,
per che l regno di Praga fia diserto.
Lì si vedrà il duol che sovra Senna
induce, falseggiando la moneta,
quel che morrà di colpo di cotenna.
Lì si vedrà la superbia chasseta,
che fa lo Scotto e lInghilese folle,
sì che non può soffrir dentro a sua meta.
Vedrassi la lussuria e l viver molle
di quel di Spagna e di quel di Boemme,
che mai valor non conobbe né volle.
Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
segnata con un i la sua bontate,
quando l contrario segnerà un emme.
Vedrassi lavarizia e la viltate
di quei che guarda lisola del foco,
ove Anchise finì la lunga etate;
e a dare ad intender quanto è poco,
la sua scrittura fian lettere mozze,
che noteranno molto in parvo loco.
E parranno a ciascun lopere sozze
del barba e del fratel, che tanto egregia
nazione e due corone han fatte bozze.
E quel di Portogallo e di Norvegia
lì si conosceranno, e quel di Rascia
che male ha visto il conio di Vinegia.
Oh beata Ungheria, se non si lascia
più malmenare! e beata Navarra,
se sarmasse del monte che la fascia!
E creder de ciascun che già, per arra
di questo, Niccosïa e Famagosta
per la lor bestia si lamenti e garra,
che dal fianco de laltre non si scosta».
Quando colui che tutto l mondo alluma
de lemisperio nostro sì discende,
che l giorno dogne parte si consuma,
lo ciel, che sol di lui prima saccende,
subitamente si rifà parvente
per molte luci, in che una risplende;
e questo atto del ciel mi venne a mente,
come l segno del mondo e de suoi duci
nel benedetto rostro fu tacente;
però che tutte quelle vive luci,
vie più lucendo, cominciaron canti
da mia memoria labili e caduci.
O dolce amor che di riso tammanti,
quanto parevi ardente in que flailli,
chavieno spirto sol di pensier santi!
Poscia che i cari e lucidi lapilli
ond io vidi ingemmato il sesto lume
puoser silenzio a li angelici squilli,
udir mi parve un mormorar di fiume
che scende chiaro giù di pietra in pietra,
mostrando lubertà del suo cacume.
E come suono al collo de la cetra
prende sua forma, e sì com al pertugio
de la sampogna vento che penètra,
così, rimosso daspettare indugio,
quel mormorar de laguglia salissi
su per lo collo, come fosse bugio.
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
per lo suo becco in forma di parole,
quali aspettava il core ov io le scrissi.
«La parte in me che vede e pate il sole
ne laguglie mortali», incominciommi,
«or fisamente riguardar si vole,
perché di fuochi ond io figura fommi,
quelli onde locchio in testa mi scintilla,
e di tutti lor gradi son li sommi.
Colui che luce in mezzo per pupilla,
fu il cantor de lo Spirito Santo,
che larca traslatò di villa in villa:
ora conosce il merto del suo canto,
in quanto effetto fu del suo consiglio,
per lo remunerar chè altrettanto.
Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
colui che più al becco mi saccosta,
la vedovella consolò del figlio:
ora conosce quanto caro costa
non seguir Cristo, per lesperïenza
di questa dolce vita e de lopposta.
E quel che segue in la circunferenza
di che ragiono, per larco superno,
morte indugiò per vera penitenza:
ora conosce che l giudicio etterno
non si trasmuta, quando degno preco
fa crastino là giù de lodïerno.
Laltro che segue, con le leggi e meco,
sotto buona intenzion che fé mal frutto,
per cedere al pastor si fece greco:
ora conosce come il mal dedutto
dal suo bene operar non li è nocivo,
avvegna che sia l mondo indi distrutto.
E quel che vedi ne larco declivo,
Guiglielmo fu, cui quella terra plora
che piagne Carlo e Federigo vivo:
ora conosce come sinnamora
lo ciel del giusto rege, e al sembiante
del suo fulgore il fa vedere ancora.
Chi crederebbe giù nel mondo errante
che Rifëo Troiano in questo tondo
fosse la quinta de le luci sante?
Ora conosce assai di quel che l mondo
veder non può de la divina grazia,
ben che sua vista non discerna il fondo».
Quale allodetta che n aere si spazia
prima cantando, e poi tace contenta
de lultima dolcezza che la sazia,
tal mi sembiò limago de la mprenta
de letterno piacere, al cui disio
ciascuna cosa qual ell è diventa.
E avvegna chio fossi al dubbiar mio
lì quasi vetro a lo color chel veste,
tempo aspettar tacendo non patio,
ma de la bocca, «Che cose son queste?»,
mi pinse con la forza del suo peso:
per chio di coruscar vidi gran feste.
Poi appresso, con locchio più acceso,
lo benedetto segno mi rispuose
per non tenermi in ammirar sospeso:
«Io veggio che tu credi queste cose
perch io le dico, ma non vedi come;
sì che, se son credute, sono ascose.
Fai come quei che la cosa per nome
apprende ben, ma la sua quiditate
veder non può se altri non la prome.
Regnum celorum vïolenza pate
da caldo amore e da viva speranza,
che vince la divina volontate:
non a guisa che lomo a lom sobranza,
ma vince lei perché vuole esser vinta,
e, vinta, vince con sua beninanza.
La prima vita del ciglio e la quinta
ti fa maravigliar, perché ne vedi
la regïon de li angeli dipinta.
Di corpi suoi non uscir, come credi,
Gentili, ma Cristiani, in ferma fede
quel di passuri e quel di passi piedi.
Ché luna de lo nferno, u non si riede
già mai a buon voler, tornò a lossa;
e ciò di viva spene fu mercede:
di viva spene, che mise la possa
ne prieghi fatti a Dio per suscitarla,
sì che potesse sua voglia esser mossa.
Lanima glorïosa onde si parla,
tornata ne la carne, in che fu poco,
credette in lui che potëa aiutarla;
e credendo saccese in tanto foco
di vero amor, cha la morte seconda
fu degna di venire a questo gioco.
Laltra, per grazia che da sì profonda
fontana stilla, che mai creatura
non pinse locchio infino a la prima onda,
tutto suo amor là giù pose a drittura:
per che, di grazia in grazia, Dio li aperse
locchio a la nostra redenzion futura;
ond ei credette in quella, e non sofferse
da indi il puzzo più del paganesmo;
e riprendiene le genti perverse.
Quelle tre donne li fur per battesmo
che tu vedesti da la destra rota,
dinanzi al battezzar più dun millesmo.
O predestinazion, quanto remota
è la radice tua da quelli aspetti
che la prima cagion non veggion tota!
E voi, mortali, tenetevi stretti
a giudicar: ché noi, che Dio vedemo,
non conosciamo ancor tutti li eletti;
ed ènne dolce così fatto scemo,
perché il ben nostro in questo ben saffina,
che quel che vole Iddio, e noi volemo».
Così da quella imagine divina,
per farmi chiara la mia corta vista,
data mi fu soave medicina.
E come a buon cantor buon citarista
fa seguitar lo guizzo de la corda,
in che più di piacer lo canto acquista,
sì, mentre che parlò, sì mi ricorda
chio vidi le due luci benedette,
pur come batter docchi si concorda,
con le parole mover le fiammette.
Già eran li occhi miei rifissi al volto
de la mia donna, e lanimo con essi,
e da ogne altro intento sera tolto.
E quella non ridea; ma «Sio ridessi»,
mi cominciò, «tu ti faresti quale
fu Semelè quando di cener fessi:
ché la bellezza mia, che per le scale
de letterno palazzo più saccende,
com hai veduto, quanto più si sale,
se non si temperasse, tanto splende,
che l tuo mortal podere, al suo fulgore,
sarebbe fronda che trono scoscende.
Noi sem levati al settimo splendore,
che sotto l petto del Leone ardente
raggia mo misto giù del suo valore.
Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
e fa di quelli specchi a la figura
che n questo specchio ti sarà parvente».
Qual savesse qual era la pastura
del viso mio ne laspetto beato
quand io mi trasmutai ad altra cura,
conoscerebbe quanto mera a grato
ubidire a la mia celeste scorta,
contrapesando lun con laltro lato.
Dentro al cristallo che l vocabol porta,
cerchiando il mondo, del suo caro duce
sotto cui giacque ogne malizia morta,
di color doro in che raggio traluce
vid io uno scaleo eretto in suso
tanto, che nol seguiva la mia luce.
Vidi anche per li gradi scender giuso
tanti splendor, chio pensai chogne lume
che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
E come, per lo natural costume,
le pole insieme, al cominciar del giorno,
si movono a scaldar le fredde piume;
poi altre vanno via sanza ritorno,
altre rivolgon sé onde son mosse,
e altre roteando fan soggiorno;
tal modo parve me che quivi fosse
in quello sfavillar che nsieme venne,
sì come in certo grado si percosse.
E quel che presso più ci si ritenne,
si fé sì chiaro, chio dicea pensando:
Io veggio ben lamor che tu maccenne.
Ma quella ond io aspetto il come e l quando
del dire e del tacer, si sta; ond io,
contra l disio, fo ben chio non dimando.
Per chella, che vedëa il tacer mio
nel veder di colui che tutto vede,
mi disse: «Solvi il tuo caldo disio».
E io incominciai: «La mia mercede
non mi fa degno de la tua risposta;
ma per colei che l chieder mi concede,
vita beata che ti stai nascosta
dentro a la tua letizia, fammi nota
la cagion che sì presso mi tha posta;
e dì perché si tace in questa rota
la dolce sinfonia di paradiso,
che giù per laltre suona sì divota».
«Tu hai ludir mortal sì come il viso»,
rispuose a me; «onde qui non si canta
per quel che Bëatrice non ha riso.
Giù per li gradi de la scala santa
discesi tanto sol per farti festa
col dire e con la luce che mi ammanta;
né più amor mi fece esser più presta,
ché più e tanto amor quinci sù ferve,
sì come il fiammeggiar ti manifesta.
Ma lalta carità, che ci fa serve
pronte al consiglio che l mondo governa,
sorteggia qui sì come tu osserve».
«Io veggio ben», diss io, «sacra lucerna,
come libero amore in questa corte
basta a seguir la provedenza etterna;
ma questo è quel cha cerner mi par forte,
perché predestinata fosti sola
a questo officio tra le tue consorte».
Né venni prima a lultima parola,
che del suo mezzo fece il lume centro,
girando sé come veloce mola;
poi rispuose lamor che vera dentro:
«Luce divina sopra me sappunta,
penetrando per questa in chio minventro,
la cui virtù, col mio veder congiunta,
mi leva sopra me tanto, chi veggio
la somma essenza de la quale è munta.
Quinci vien lallegrezza ond io fiammeggio;
per cha la vista mia, quant ella è chiara,
la chiarità de la fiamma pareggio.
Ma quell alma nel ciel che più si schiara,
quel serafin che n Dio più locchio ha fisso,
a la dimanda tua non satisfara,
però che sì sinnoltra ne lo abisso
de letterno statuto quel che chiedi,
che da ogne creata vista è scisso.
E al mondo mortal, quando tu riedi,
questo rapporta, sì che non presumma
a tanto segno più mover li piedi.
La mente, che qui luce, in terra fumma;
onde riguarda come può là giùe
quel che non pote perché l ciel lassumma».
Sì mi prescrisser le parole sue,
chio lasciai la quistione e mi ritrassi
a dimandarla umilmente chi fue.
«Tra due liti dItalia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto che troni assai suonan più bassi,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria».
Così ricominciommi il terzo sermo;
e poi, continüando, disse: «Quivi
al servigio di Dio mi fe sì fermo,
che pur con cibi di liquor dulivi
lievemente passava caldi e geli,
contento ne pensier contemplativi.
Render solea quel chiostro a questi cieli
fertilemente; e ora è fatto vano,
sì che tosto convien che si riveli.
In quel loco fu io Pietro Damiano,
e Pietro Peccator fu ne la casa
di Nostra Donna in sul lito adriano.
Poca vita mortal mera rimasa,
quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
che pur di male in peggio si travasa.
Venne Cefàs e venne il gran vasello
de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
prendendo il cibo da qualunque ostello.
Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
li moderni pastori e chi li meni,
tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
Cuopron di manti loro i palafreni,
sì che due bestie van sott una pelle:
oh pazïenza che tanto sostieni!».
A questa voce vid io più fiammelle
di grado in grado scendere e girarsi,
e ogne giro le facea più belle.
Dintorno a questa vennero e fermarsi,
e fero un grido di sì alto suono,
che non potrebbe qui assomigliarsi;
né io lo ntesi, sì mi vinse il tuono.
Oppresso di stupore, a la mia guida
mi volsi, come parvol che ricorre
sempre colà dove più si confida;
e quella, come madre che soccorre
sùbito al figlio palido e anelo
con la sua voce, che l suol ben disporre,
mi disse: «Non sai tu che tu se in cielo?
e non sai tu che l cielo è tutto santo,
e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
Come tavrebbe trasmutato il canto,
e io ridendo, mo pensar lo puoi,
poscia che l grido tha mosso cotanto;
nel qual, se nteso avessi i prieghi suoi,
già ti sarebbe nota la vendetta
che tu vedrai innanzi che tu muoi.
La spada di qua sù non taglia in fretta
né tardo, ma chal parer di colui
che disïando o temendo laspetta.
Ma rivolgiti omai inverso altrui;
chassai illustri spiriti vedrai,
se com io dico laspetto redui».
Come a lei piacque, li occhi ritornai,
e vidi cento sperule che nsieme
più sabbellivan con mutüi rai.
Io stava come quei che n sé repreme
la punta del disio, e non sattenta
di domandar, sì del troppo si teme;
e la maggiore e la più luculenta
di quelle margherite innanzi fessi,
per far di sé la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udi: «Se tu vedessi
com io la carità che tra noi arde,
li tuoi concetti sarebbero espressi.
Ma perché tu, aspettando, non tarde
a lalto fine, io ti farò risposta
pur al pensier, da che sì ti riguarde.
Quel monte a cui Cassino è ne la costa
fu frequentato già in su la cima
da la gente ingannata e mal disposta;
e quel son io che sù vi portai prima
lo nome di colui che n terra addusse
la verità che tanto ci soblima;
e tanta grazia sopra me relusse,
chio ritrassi le ville circunstanti
da lempio cólto che l mondo sedusse.
Questi altri fuochi tutti contemplanti
uomini fuoro, accesi di quel caldo
che fa nascere i fiori e frutti santi.
Qui è Maccario, qui è Romoaldo,
qui son li frati miei che dentro ai chiostri
fermar li piedi e tennero il cor saldo».
E io a lui: «Laffetto che dimostri
meco parlando, e la buona sembianza
chio veggio e noto in tutti li ardor vostri,
così mha dilatata mia fidanza,
come l sol fa la rosa quando aperta
tanto divien quant ell ha di possanza.
Però ti priego, e tu, padre, maccerta
sio posso prender tanta grazia, chio
ti veggia con imagine scoverta».
Ond elli: «Frate, il tuo alto disio
sadempierà in su lultima spera,
ove sadempion tutti li altri e l mio.
Ivi è perfetta, matura e intera
ciascuna disïanza; in quella sola
è ogne parte là ove sempr era,
perché non è in loco e non simpola;
e nostra scala infino ad essa varca,
onde così dal viso ti sinvola.
Infin là sù la vide il patriarca
Iacobbe porger la superna parte,
quando li apparve dangeli sì carca.
Ma, per salirla, mo nessun diparte
da terra i piedi, e la regola mia
rimasa è per danno de le carte.
Le mura che solieno esser badia
fatte sono spelonche, e le cocolle
sacca son piene di farina ria.
Ma grave usura tanto non si tolle
contra l piacer di Dio, quanto quel frutto
che fa il cor de monaci sì folle;
ché quantunque la Chiesa guarda, tutto
è de la gente che per Dio dimanda;
non di parenti né daltro più brutto.
La carne di mortali è tanto blanda,
che giù non basta buon cominciamento
dal nascer de la quercia al far la ghianda.
Pier cominciò sanz oro e sanz argento,
e io con orazione e con digiuno,
e Francesco umilmente il suo convento;
e se guardi l principio di ciascuno,
poscia riguardi là dov è trascorso,
tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente Iordan vòlto retrorso
più fu, e l mar fuggir, quando Dio volse,
mirabile a veder che qui l soccorso».
Così mi disse, e indi si raccolse
al suo collegio, e l collegio si strinse;
poi, come turbo, in sù tutto savvolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
con un sol cenno su per quella scala,
sì sua virtù la mia natura vinse;
né mai qua giù dove si monta e cala
naturalmente, fu sì ratto moto
chagguagliar si potesse a la mia ala.
Sio torni mai, lettore, a quel divoto
trïunfo per lo quale io piango spesso
le mie peccata e l petto mi percuoto,
tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito, in quant io vidi l segno
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
O glorïose stelle, o lume pregno
di gran virtù, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
con voi nasceva e sascondeva vosco
quelli chè padre dogne mortal vita,
quand io senti di prima laere tosco;
e poi, quando mi fu grazia largita
dentrar ne lalta rota che vi gira,
la vostra regïon mi fu sortita.
A voi divotamente ora sospira
lanima mia, per acquistar virtute
al passo forte che a sé la tira.
«Tu se sì presso a lultima salute»,
cominciò Bëatrice, «che tu dei
aver le luci tue chiare e acute;
e però, prima che tu più tinlei,
rimira in giù, e vedi quanto mondo
sotto li piedi già esser ti fei;
sì che l tuo cor, quantunque può, giocondo
sappresenti a la turba trïunfante
che lieta vien per questo etera tondo».
Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, chio sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che lha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell ombra che mi fu cagione
per che già la credetti rara e densa.
Laspetto del tuo nato, Iperïone,
quivi sostenni, e vidi com si move
circa e vicino a lui Maia e Dïone.
Quindi mapparve il temperar di Giove
tra l padre e l figlio; e quindi mi fu chiaro
il varïar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
Laiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom io con li etterni Gemelli,
tutta mapparve da colli a le foci;
poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
Come laugello, intra lamate fronde,
posato al nido de suoi dolci nati
la notte che le cose ci nasconde,
che, per veder li aspetti disïati
e per trovar lo cibo onde li pasca,
in che gravi labor li sono aggrati,
previene il tempo in su aperta frasca,
e con ardente affetto il sole aspetta,
fiso guardando pur che lalba nasca;
così la donna mïa stava eretta
e attenta, rivolta inver la plaga
sotto la quale il sol mostra men fretta:
sì che, veggendola io sospesa e vaga,
fecimi qual è quei che disïando
altro vorria, e sperando sappaga.
Ma poco fu tra uno e altro quando,
del mio attender, dico, e del vedere
lo ciel venir più e più rischiarando;
e Bëatrice disse: «Ecco le schiere
del trïunfo di Cristo e tutto l frutto
ricolto del girar di queste spere!».
Pariemi che l suo viso ardesse tutto,
e li occhi avea di letizia sì pieni,
che passarmen convien sanza costrutto.
Quale ne plenilunïi sereni
Trivïa ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni,
vid i sopra migliaia di lucerne
un sol che tutte quante laccendea,
come fa l nostro le viste superne;
e per la viva luce trasparea
la lucente sustanza tanto chiara
nel viso mio, che non la sostenea.
Oh Bëatrice, dolce guida e cara!
Ella mi disse: «Quel che ti sobranza
è virtù da cui nulla si ripara.
Quivi è la sapïenza e la possanza
chaprì le strade tra l cielo e la terra,
onde fu già sì lunga disïanza».
Come foco di nube si diserra
per dilatarsi sì che non vi cape,
e fuor di sua natura in giù satterra,
la mente mia così, tra quelle dape
fatta più grande, di sé stessa uscìo,
e che si fesse rimembrar non sape.
«Apri li occhi e riguarda qual son io;
tu hai vedute cose, che possente
se fatto a sostener lo riso mio».
Io era come quei che si risente
di visïone oblita e che singegna
indarno di ridurlasi a la mente,
quand io udi questa proferta, degna
di tanto grato, che mai non si stingue
del libro che l preterito rassegna.
Se mo sonasser tutte quelle lingue
che Polimnïa con le suore fero
del latte lor dolcissimo più pingue,
per aiutarmi, al millesmo del vero
non si verria, cantando il santo riso
e quanto il santo aspetto facea mero;
e così, figurando il paradiso,
convien saltar lo sacrato poema,
come chi trova suo cammin riciso.
Ma chi pensasse il ponderoso tema
e lomero mortal che se ne carca,
nol biasmerebbe se sott esso trema:
non è pareggio da picciola barca
quel che fendendo va lardita prora,
né da nocchier cha sé medesmo parca.
«Perché la faccia mia sì tinnamora,
che tu non ti rivolgi al bel giardino
che sotto i raggi di Cristo sinfiora?
Quivi è la rosa in che l verbo divino
carne si fece; quivi son li gigli
al cui odor si prese il buon cammino».
Così Beatrice; e io, che a suoi consigli
tutto era pronto, ancora mi rendei
a la battaglia de debili cigli.
Come a raggio di sol, che puro mei
per fratta nube, già prato di fiori
vider, coverti dombra, li occhi miei;
vid io così più turbe di splendori,
folgorate di sù da raggi ardenti,
sanza veder principio di folgóri.
O benigna vertù che sì li mprenti,
sù tessaltasti, per largirmi loco
a li occhi lì che non teran possenti.
Il nome del bel fior chio sempre invoco
e mane e sera, tutto mi ristrinse
lanimo ad avvisar lo maggior foco;
e come ambo le luci mi dipinse
il quale e il quanto de la viva stella
che là sù vince come qua giù vinse,
per entro il cielo scese una facella,
formata in cerchio a guisa di corona,
e cinsela e girossi intorno ad ella.
Qualunque melodia più dolce suona
qua giù e più a sé lanima tira,
parrebbe nube che squarciata tona,
comparata al sonar di quella lira
onde si coronava il bel zaffiro
del quale il ciel più chiaro sinzaffira.
«Io sono amore angelico, che giro
lalta letizia che spira del ventre
che fu albergo del nostro disiro;
e girerommi, donna del ciel, mentre
che seguirai tuo figlio, e farai dia
più la spera suprema perché lì entre».
Così la circulata melodia
si sigillava, e tutti li altri lumi
facean sonare il nome di Maria.
Lo real manto di tutti i volumi
del mondo, che più ferve e più savviva
ne lalito di Dio e nei costumi,
avea sopra di noi linterna riva
tanto distante, che la sua parvenza,
là dov io era, ancor non appariva:
però non ebber li occhi miei potenza
di seguitar la coronata fiamma
che si levò appresso sua semenza.
E come fantolin che nver la mamma
tende le braccia, poi che l latte prese,
per lanimo che nfin di fuor sinfiamma;
ciascun di quei candori in sù si stese
con la sua cima, sì che lalto affetto
chelli avieno a Maria mi fu palese.
Indi rimaser lì nel mio cospetto,
Regina celi cantando sì dolce,
che mai da me non si partì l diletto.
Oh quanta è lubertà che si soffolce
in quelle arche ricchissime che fuoro
a seminar qua giù buone bobolce!
Quivi si vive e gode del tesoro
che sacquistò piangendo ne lo essilio
di Babillòn, ove si lasciò loro.
Quivi trïunfa, sotto lalto Filio
di Dio e di Maria, di sua vittoria,
e con lantico e col novo concilio,
colui che tien le chiavi di tal gloria.
«O sodalizio eletto a la gran cena
del benedetto Agnello, il qual vi ciba
sì, che la vostra voglia è sempre piena,
se per grazia di Dio questi preliba
di quel che cade de la vostra mensa,
prima che morte tempo li prescriba,
ponete mente a laffezione immensa
e roratelo alquanto: voi bevete
sempre del fonte onde vien quel chei pensa».
Così Beatrice; e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi poli,
fiammando, a volte, a guisa di comete.
E come cerchi in tempra dorïuoli
si giran sì, che l primo a chi pon mente
quïeto pare, e lultimo che voli;
così quelle carole, differente-
mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente.
Di quella chio notai di più carezza
vid ïo uscire un foco sì felice,
che nullo vi lasciò di più chiarezza;
e tre fïate intorno di Beatrice
si volse con un canto tanto divo,
che la mia fantasia nol mi ridice.
Però salta la penna e non lo scrivo:
ché limagine nostra a cotai pieghe,
non che l parlare, è troppo color vivo.
«O santa suora mia che sì ne prieghe
divota, per lo tuo ardente affetto
da quella bella spera mi disleghe».
Poscia fermato, il foco benedetto
a la mia donna dirizzò lo spiro,
che favellò così com i ho detto.
Ed ella: «O luce etterna del gran viro
a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
chei portò giù, di questo gaudio miro,
tenta costui di punti lievi e gravi,
come ti piace, intorno de la fede,
per la qual tu su per lo mare andavi.
Selli ama bene e bene spera e crede,
non tè occulto, perché l viso hai quivi
dov ogne cosa dipinta si vede;
ma perché questo regno ha fatto civi
per la verace fede, a glorïarla,
di lei parlare è ben cha lui arrivi».
Sì come il baccialier sarma e non parla
fin che l maestro la question propone,
per approvarla, non per terminarla,
così marmava io dogne ragione
mentre chella dicea, per esser presto
a tal querente e a tal professione.
«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:
fede che è?». Ond io levai la fronte
in quella luce onde spirava questo;
poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
sembianze femmi perch ïo spandessi
lacqua di fuor del mio interno fonte.
«La Grazia che mi dà chio mi confessi»,
comincia io, «da lalto primipilo,
faccia li miei concetti bene espressi».
E seguitai: «Come l verace stilo
ne scrisse, padre, del tuo caro frate
che mise teco Roma nel buon filo,
fede è sustanza di cose sperate
e argomento de le non parventi;
e questa pare a me sua quiditate».
Allora udi: «Dirittamente senti,
se bene intendi perché la ripuose
tra le sustanze, e poi tra li argomenti».
E io appresso: «Le profonde cose
che mi largiscon qui la lor parvenza,
a li occhi di là giù son sì ascose,
che lesser loro vè in sola credenza,
sopra la qual si fonda lalta spene;
e però di sustanza prende intenza.
E da questa credenza ci convene
silogizzar, sanz avere altra vista:
però intenza dargomento tene».
Allora udi: «Se quantunque sacquista
giù per dottrina, fosse così nteso,
non lì avria loco ingegno di sofista».
Così spirò di quello amore acceso;
indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa
desta moneta già la lega e l peso;
ma dimmi se tu lhai ne la tua borsa».
Ond io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
che nel suo conio nulla mi sinforsa».
Appresso uscì de la luce profonda
che lì splendeva: «Questa cara gioia
sopra la quale ogne virtù si fonda,
onde ti venne?». E io: «La larga ploia
de lo Spirito Santo, chè diffusa
in su le vecchie e n su le nuove cuoia,
è silogismo che la mha conchiusa
acutamente sì, che nverso della
ogne dimostrazion mi pare ottusa».
Io udi poi: «Lantica e la novella
proposizion che così ti conchiude,
perché lhai tu per divina favella?».
E io: «La prova che l ver mi dischiude,
son lopere seguite, a che natura
non scalda ferro mai né batte incude».
Risposto fummi: «Dì, chi tassicura
che quell opere fosser? Quel medesmo
che vuol provarsi, non altri, il ti giura».
«Se l mondo si rivolse al cristianesmo»,
diss io, «sanza miracoli, quest uno
è tal, che li altri non sono il centesmo:
ché tu intrasti povero e digiuno
in campo, a seminar la buona pianta
che fu già vite e ora è fatta pruno».
Finito questo, lalta corte santa
risonò per le spere un Dio laudamo
ne la melode che là sù si canta.
E quel baron che sì di ramo in ramo,
essaminando, già tratto mavea,
che a lultime fronde appressavamo,
ricominciò: «La Grazia, che donnea
con la tua mente, la bocca taperse
infino a qui come aprir si dovea,
sì chio approvo ciò che fuori emerse;
ma or convien espremer quel che credi,
e onde a la credenza tua sofferse».
«O santo padre, e spirito che vedi
ciò che credesti sì, che tu vincesti
ver lo sepulcro più giovani piedi»,
comincia io, «tu vuo chio manifesti
la forma qui del pronto creder mio,
e anche la cagion di lui chiedesti.
E io rispondo: Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto l ciel move,
non moto, con amore e con disio;
e a tal creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma dalmi
anche la verità che quinci piove
per Moïsè, per profeti e per salmi,
per lEvangelio e per voi che scriveste
poi che lardente Spirto vi fé almi;
e credo in tre persone etterne, e queste
credo una essenza sì una e sì trina,
che soffera congiunto sono ed este.
De la profonda condizion divina
chio tocco mo, la mente mi sigilla
più volte levangelica dottrina.
Quest è l principio, quest è la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla».
Come l segnor chascolta quel che i piace,
da indi abbraccia il servo, gratulando
per la novella, tosto chel si tace;
così, benedicendomi cantando,
tre volte cinse me, sì com io tacqui,
lappostolico lume al cui comando
io avea detto: sì nel dir li piacqui!
Se mai continga che l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che mha fatto per molti anni macro,
vinca la crudeltà che fuor mi serra
del bello ovile ov io dormi agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra;
con altra voce omai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò l cappello;
però che ne la fede, che fa conte
lanime a Dio, quivi intra io, e poi
Pietro per lei sì mi girò la fronte.
Indi si mosse un lume verso noi
di quella spera ond uscì la primizia
che lasciò Cristo di vicari suoi;
e la mia donna, piena di letizia,
mi disse: «Mira, mira: ecco il barone
per cui là giù si vicita Galizia».
Sì come quando il colombo si pone
presso al compagno, luno a laltro pande,
girando e mormorando, laffezione;
così vid ïo lun da laltro grande
principe glorïoso essere accolto,
laudando il cibo che là sù li prande.
Ma poi che l gratular si fu assolto,
tacito coram me ciascun saffisse,
ignito sì che vincëa l mio volto.
Ridendo allora Bëatrice disse:
«Inclita vita per cui la larghezza
de la nostra basilica si scrisse,
fa risonar la spene in questa altezza:
tu sai, che tante fiate la figuri,
quante Iesù ai tre fé più carezza».
«Leva la testa e fa che tassicuri:
che ciò che vien qua sù del mortal mondo,
convien chai nostri raggi si maturi».
Questo conforto del foco secondo
mi venne; ond io leväi li occhi a monti
che li ncurvaron pria col troppo pondo.
«Poi che per grazia vuol che tu taffronti
lo nostro Imperadore, anzi la morte,
ne laula più secreta co suoi conti,
sì che, veduto il ver di questa corte,
la spene, che là giù bene innamora,
in te e in altrui di ciò conforte,
di quel chell è, di come se ne nfiora
la mente tua, e dì onde a te venne».
Così seguì l secondo lume ancora.
E quella pïa che guidò le penne
de le mie ali a così alto volo,
a la risposta così mi prevenne:
«La Chiesa militante alcun figliuolo
non ha con più speranza, com è scritto
nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:
però li è conceduto che dEgitto
vegna in Ierusalemme per vedere,
anzi che l militar li sia prescritto.
Li altri due punti, che non per sapere
son dimandati, ma perch ei rapporti
quanto questa virtù tè in piacere,
a lui lasc io, ché non li saran forti
né di iattanza; ed elli a ciò risponda,
e la grazia di Dio ciò li comporti».
Come discente cha dottor seconda
pronto e libente in quel chelli è esperto,
perché la sua bontà si disasconda,
«Spene», diss io, «è uno attender certo
de la gloria futura, il qual produce
grazia divina e precedente merto.
Da molte stelle mi vien questa luce;
ma quei la distillò nel mio cor pria
che fu sommo cantor del sommo duce.
Sperino in te, ne la sua tëodia
dice, color che sanno il nome tuo:
e chi nol sa, selli ha la fede mia?
Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
ne la pistola poi; sì chio son pieno,
e in altrui vostra pioggia repluo».
Mentr io diceva, dentro al vivo seno
di quello incendio tremolava un lampo
sùbito e spesso a guisa di baleno.
Indi spirò: «Lamore ond ïo avvampo
ancor ver la virtù che mi seguette
infin la palma e a luscir del campo,
vuol chio respiri a te che ti dilette
di lei; ed emmi a grato che tu diche
quello che la speranza ti mpromette».
E io: «Le nove e le scritture antiche
pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
de lanime che Dio sha fatte amiche.
Dice Isaia che ciascuna vestita
ne la sua terra fia di doppia vesta:
e la sua terra è questa dolce vita;
e l tuo fratello assai vie più digesta,
là dove tratta de le bianche stole,
questa revelazion ci manifesta».
E prima, appresso al fin deste parole,
Sperent in te di sopr a noi sudì;
a che rispuoser tutte le carole.
Poscia tra esse un lume si schiarì
sì che, se l Cancro avesse un tal cristallo,
linverno avrebbe un mese dun sol dì.
E come surge e va ed entra in ballo
vergine lieta, sol per fare onore
a la novizia, non per alcun fallo,
così vid io lo schiarato splendore
venire a due che si volgieno a nota
qual conveniesi al loro ardente amore.
Misesi lì nel canto e ne la rota;
e la mia donna in lor tenea laspetto,
pur come sposa tacita e immota.
«Questi è colui che giacque sopra l petto
del nostro pellicano, e questi fue
di su la croce al grande officio eletto».
La donna mia così; né però piùe
mosser la vista sua di stare attenta
poscia che prima le parole sue.
Qual è colui chadocchia e sargomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa;
tal mi fec ïo a quell ultimo foco
mentre che detto fu: «Perché tabbagli
per veder cosa che qui non ha loco?
In terra è terra il mio corpo, e saragli
tanto con li altri, che l numero nostro
con letterno proposito sagguagli.
Con le due stole nel beato chiostro
son le due luci sole che saliro;
e questo apporterai nel mondo vostro».
A questa voce linfiammato giro
si quïetò con esso il dolce mischio
che si facea nel suon del trino spiro,
sì come, per cessar fatica o rischio,
li remi, pria ne lacqua ripercossi,
tutti si posano al sonar dun fischio.
Ahi quanto ne la mente mi commossi,
quando mi volsi per veder Beatrice,
per non poter veder, benché io fossi
presso di lei, e nel mondo felice!
Mentr io dubbiava per lo viso spento,
de la fulgida fiamma che lo spense
uscì un spiro che mi fece attento,
dicendo: «Intanto che tu ti risense
de la vista che haï in me consunta,
ben è che ragionando la compense.
Comincia dunque; e dì ove sappunta
lanima tua, e fa ragion che sia
la vista in te smarrita e non defunta:
perché la donna che per questa dia
regïon ti conduce, ha ne lo sguardo
la virtù chebbe la man dAnania».
Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo
vegna remedio a li occhi, che fuor porte
quand ella entrò col foco ond io sempr ardo.
Lo ben che fa contenta questa corte,
Alfa e O è di quanta scrittura
mi legge Amore o lievemente o forte».
Quella medesma voce che paura
tolta mavea del sùbito abbarbaglio,
di ragionare ancor mi mise in cura;
e disse: «Certo a più angusto vaglio
ti conviene schiarar: dicer convienti
chi drizzò larco tuo a tal berzaglio».
E io: «Per filosofici argomenti
e per autorità che quinci scende
cotale amor convien che in me si mprenti:
ché l bene, in quanto ben, come sintende,
così accende amore, e tanto maggio
quanto più di bontate in sé comprende.
Dunque a lessenza ov è tanto avvantaggio,
che ciascun ben che fuor di lei si trova
altro non è chun lume di suo raggio,
più che in altra convien che si mova
la mente, amando, di ciascun che cerne
il vero in che si fonda questa prova.
Tal vero a lintelletto mïo sterne
colui che mi dimostra il primo amore
di tutte le sustanze sempiterne.
Sternel la voce del verace autore,
che dice a Moïsè, di sé parlando:
Io ti farò vedere ogne valore.
Sternilmi tu ancora, incominciando
lalto preconio che grida larcano
di qui là giù sovra ogne altro bando».
E io udi: «Per intelletto umano
e per autoritadi a lui concorde
di tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
Ma dì ancor se tu senti altre corde
tirarti verso lui, sì che tu suone
con quanti denti questo amor ti morde».
Non fu latente la santa intenzione
de laguglia di Cristo, anzi maccorsi
dove volea menar mia professione.
Però ricominciai: «Tutti quei morsi
che posson far lo cor volgere a Dio,
a la mia caritate son concorsi:
ché lessere del mondo e lesser mio,
la morte chel sostenne perch io viva,
e quel che spera ogne fedel com io,
con la predetta conoscenza viva,
tratto mhanno del mar de lamor torto,
e del diritto mhan posto a la riva.
Le fronde onde sinfronda tutto lorto
de lortolano etterno, am io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto».
Sì com io tacqui, un dolcissimo canto
risonò per lo cielo, e la mia donna
dicea con li altri: «Santo, santo, santo!».
E come a lume acuto si disonna
per lo spirto visivo che ricorre
a lo splendor che va di gonna in gonna,
e lo svegliato ciò che vede aborre,
sì nescïa è la sùbita vigilia
fin che la stimativa non soccorre;
così de li occhi miei ogne quisquilia
fugò Beatrice col raggio di suoi,
che rifulgea da più di mille milia:
onde mei che dinanzi vidi poi;
e quasi stupefatto domandai
dun quarto lume chio vidi tra noi.
E la mia donna: «Dentro da quei rai
vagheggia il suo fattor lanima prima
che la prima virtù creasse mai».
Come la fronda che flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva
per la propria virtù che la soblima,
fec io in tanto in quant ella diceva,
stupendo, e poi mi rifece sicuro
un disio di parlare ond ïo ardeva.
E cominciai: «O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico
a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
divoto quanto posso a te supplìco
perché mi parli: tu vedi mia voglia,
e per udirti tosto non la dico».
Talvolta un animal coverto broglia,
sì che laffetto convien che si paia
per lo seguir che face a lui la nvoglia;
e similmente lanima primaia
mi facea trasparer per la coverta
quant ella a compiacermi venìa gaia.
Indi spirò: «Sanz essermi proferta
da te, la voglia tua discerno meglio
che tu qualunque cosa tè più certa;
perch io la veggio nel verace speglio
che fa di sé pareglio a laltre cose,
e nulla face lui di sé pareglio.
Tu vuogli udir quant è che Dio mi puose
ne leccelso giardino, ove costei
a così lunga scala ti dispuose,
e quanto fu diletto a li occhi miei,
e la propria cagion del gran disdegno,
e lidïoma chusai e che fei.
Or, figluol mio, non il gustar del legno
fu per sé la cagion di tanto essilio,
ma solamente il trapassar del segno.
Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
quattromilia trecento e due volumi
di sol desiderai questo concilio;
e vidi lui tornare a tutt i lumi
de la sua strada novecento trenta
fïate, mentre chïo in terra fumi.
La lingua chio parlai fu tutta spenta
innanzi che a lovra inconsummabile
fosse la gente di Nembròt attenta:
ché nullo effetto mai razïonabile,
per lo piacere uman che rinovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile.
Opera naturale è chuom favella;
ma così o così, natura lascia
poi fare a voi secondo che vabbella.
Pria chi scendessi a linfernale ambascia,
I sappellava in terra il sommo bene
onde vien la letizia che mi fascia;
e El si chiamò poi: e ciò convene,
ché luso di mortali è come fronda
in ramo, che sen va e altra vene.
Nel monte che si leva più da londa,
fu io, con vita pura e disonesta,
da la prim ora a quella che seconda,
come l sol muta quadra, lora sesta».
Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo,
cominciò, gloria!, tutto l paradiso,
sì che minebrïava il dolce canto.
Ciò chio vedeva mi sembiava un riso
de luniverso; per che mia ebbrezza
intrava per ludire e per lo viso.
Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
oh vita intègra damore e di pace!
oh sanza brama sicura ricchezza!
Dinanzi a li occhi miei le quattro face
stavano accese, e quella che pria venne
incominciò a farsi più vivace,
e tal ne la sembianza sua divenne,
qual diverrebbe Iove, selli e Marte
fossero augelli e cambiassersi penne.
La provedenza, che quivi comparte
vice e officio, nel beato coro
silenzio posto avea da ogne parte,
quand ïo udi: «Se io mi trascoloro,
non ti maravigliar, ché, dicend io,
vedrai trascolorar tutti costoro.
Quelli chusurpa in terra il luogo mio,
il luogo mio, il luogo mio, che vaca
ne la presenza del Figliuol di Dio,
fatt ha del cimitero mio cloaca
del sangue e de la puzza; onde l perverso
che cadde di qua sù, là giù si placa».
Di quel color che per lo sole avverso
nube dipigne da sera e da mane,
vid ïo allora tutto l ciel cosperso.
E come donna onesta che permane
di sé sicura, e per laltrui fallanza,
pur ascoltando, timida si fane,
così Beatrice trasmutò sembianza;
e tale eclissi credo che n ciel fue
quando patì la supprema possanza.
Poi procedetter le parole sue
con voce tanto da sé trasmutata,
che la sembianza non si mutò piùe:
«Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
per essere ad acquisto doro usata;
ma per acquisto desto viver lieto
e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra intenzion cha destra mano
di nostri successor parte sedesse,
parte da laltra del popol cristiano;
né che le chiavi che mi fuor concesse,
divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse;
né chio fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ond io sovente arrosso e disfavillo.
In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua sù per tutti i paschi:
o difesa di Dio, perché pur giaci?
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
sapparecchian di bere: o buon principio,
a che vil fine convien che tu caschi!
Ma lalta provedenza, che con Scipio
difese a Roma la gloria del mondo,
soccorrà tosto, sì com io concipio;
e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
ancor giù tornerai, apri la bocca,
e non asconder quel chio non ascondo».
Sì come di vapor gelati fiocca
in giuso laere nostro, quando l corno
de la capra del ciel col sol si tocca,
in sù vid io così letera addorno
farsi e fioccar di vapor trïunfanti
che fatto avien con noi quivi soggiorno.
Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
e seguì fin che l mezzo, per lo molto,
li tolse il trapassar del più avanti.
Onde la donna, che mi vide assolto
de lattendere in sù, mi disse: «Adima
il viso e guarda come tu se vòlto».
Da lora chïo avea guardato prima
i vidi mosso me per tutto larco
che fa dal mezzo al fine il primo clima;
sì chio vedea di là da Gade il varco
folle dUlisse, e di qua presso il lito
nel qual si fece Europa dolce carco.
E più mi fora discoverto il sito
di questa aiuola; ma l sol procedea
sotto i mie piedi un segno e più partito.
La mente innamorata, che donnea
con la mia donna sempre, di ridure
ad essa li occhi più che mai ardea;
e se natura o arte fé pasture
da pigliare occhi, per aver la mente,
in carne umana o ne le sue pitture,
tutte adunate, parrebber nïente
ver lo piacer divin che mi refulse,
quando mi volsi al suo viso ridente.
E la virtù che lo sguardo mindulse,
del bel nido di Leda mi divelse,
e nel ciel velocissimo mimpulse.
Le parti sue vivissime ed eccelse
sì uniforme son, chi non so dire
qual Bëatrice per loco mi scelse.
Ma ella, che vedëa l mio disire,
incominciò, ridendo tanto lieta,
che Dio parea nel suo volto gioire:
«La natura del mondo, che quïeta
il mezzo e tutto laltro intorno move,
quinci comincia come da sua meta;
e questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che saccende
lamor che l volge e la virtù chei piove.
Luce e amor dun cerchio lui comprende,
sì come questo li altri; e quel precinto
colui che l cinge solamente intende.
Non è suo moto per altro distinto,
ma li altri son mensurati da questo,
sì come diece da mezzo e da quinto;
e come il tempo tegna in cotal testo
le sue radici e ne li altri le fronde,
omai a te può esser manifesto.
Oh cupidigia che i mortali affonde
sì sotto te, che nessuno ha podere
di trarre li occhi fuor de le tue onde!
Ben fiorisce ne li uomini il volere;
ma la pioggia continüa converte
in bozzacchioni le sosine vere.
Fede e innocenza son reperte
solo ne parvoletti; poi ciascuna
pria fugge che le guance sian coperte.
Tale, balbuzïendo ancor, digiuna,
che poi divora, con la lingua sciolta,
qualunque cibo per qualunque luna;
e tal, balbuzïendo, ama e ascolta
la madre sua, che, con loquela intera,
disïa poi di vederla sepolta.
Così si fa la pelle bianca nera
nel primo aspetto de la bella figlia
di quel chapporta mane e lascia sera.
Tu, perché non ti facci maraviglia,
pensa che n terra non è chi governi;
onde sì svïa lumana famiglia.
Ma prima che gennaio tutto si sverni
per la centesma chè là giù negletta,
raggeran sì questi cerchi superni,
che la fortuna che tanto saspetta,
le poppe volgerà u son le prore,
sì che la classe correrà diretta;
e vero frutto verrà dopo l fiore».
Poscia che ncontro a la vita presente
di miseri mortali aperse l vero
quella che mparadisa la mia mente,
come in lo specchio fiamma di doppiero
vede colui che se nalluma retro,
prima che labbia in vista o in pensiero,
e sé rivolge per veder se l vetro
li dice il vero, e vede chel saccorda
con esso come nota con suo metro;
così la mia memoria si ricorda
chio feci riguardando ne belli occhi
onde a pigliarmi fece Amor la corda.
E com io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da ciò che pare in quel volume,
quandunque nel suo giro ben sadocchi,
un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che l viso chelli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si collòca.
Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che l dipigne
quando l vapor che l porta più è spesso,
distante intorno al punto un cerchio digne
si girava sì ratto, chavria vinto
quel moto che più tosto il mondo cigne;
e questo era dun altro circumcinto,
e quel dal terzo, e l terzo poi dal quarto,
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sopra seguiva il settimo sì sparto
già di larghezza, che l messo di Iuno
intero a contenerlo sarebbe arto.
Così lottavo e l nono; e chiascheduno
più tardo si movea, secondo chera
in numero distante più da luno;
e quello avea la fiamma più sincera
cui men distava la favilla pura,
credo, però che più di lei sinvera.
La donna mia, che mi vedëa in cura
forte sospeso, disse: «Da quel punto
depende il cielo e tutta la natura.
Mira quel cerchio che più li è congiunto;
e sappi che l suo muovere è sì tosto
per laffocato amore ond elli è punto».
E io a lei: «Se l mondo fosse posto
con lordine chio veggio in quelle rote,
sazio mavrebbe ciò che mè proposto;
ma nel mondo sensibile si puote
veder le volte tanto più divine,
quant elle son dal centro più remote.
Onde, se l mio disir dee aver fine
in questo miro e angelico templo
che solo amore e luce ha per confine,
udir convienmi ancor come lessemplo
e lessemplare non vanno dun modo,
ché io per me indarno a ciò contemplo».
«Se li tuoi diti non sono a tal nodo
sufficïenti, non è maraviglia:
tanto, per non tentare, è fatto sodo!».
Così la donna mia; poi disse: «Piglia
quel chio ti dicerò, se vuo saziarti;
e intorno da esso tassottiglia.
Li cerchi corporai sono ampi e arti
secondo il più e l men de la virtute
che si distende per tutte lor parti.
Maggior bontà vuol far maggior salute;
maggior salute maggior corpo cape,
selli ha le parti igualmente compiute.
Dunque costui che tutto quanto rape
laltro universo seco, corrisponde
al cerchio che più ama e che più sape:
per che, se tu a la virtù circonde
la tua misura, non a la parvenza
de le sustanze che tappaion tonde,
tu vederai mirabil consequenza
di maggio a più e di minore a meno,
in ciascun cielo, a süa intelligenza».
Come rimane splendido e sereno
lemisperio de laere, quando soffia
Borea da quella guancia ond è più leno,
per che si purga e risolve la roffia
che pria turbava, sì che l ciel ne ride
con le bellezze dogne sua paroffia;
così fecïo, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro,
e come stella in cielo il ver si vide.
E poi che le parole sue restaro,
non altrimenti ferro disfavilla
che bolle, come i cerchi sfavillaro.
Lincendio suo seguiva ogne scintilla;
ed eran tante, che l numero loro
più che l doppiar de li scacchi sinmilla.
Io sentiva osannar di coro in coro
al punto fisso che li tiene a li ubi,
e terrà sempre, ne quai sempre fuoro.
E quella che vedëa i pensier dubi
ne la mia mente, disse: «I cerchi primi
thanno mostrato Serafi e Cherubi.
Così veloci seguono i suoi vimi,
per somigliarsi al punto quanto ponno;
e posson quanto a veder son soblimi.
Quelli altri amori che ntorno li vonno,
si chiaman Troni del divino aspetto,
per che l primo ternaro terminonno;
e dei saper che tutti hanno diletto
quanto la sua veduta si profonda
nel vero in che si queta ogne intelletto.
Quinci si può veder come si fonda
lesser beato ne latto che vede,
non in quel chama, che poscia seconda;
e del vedere è misura mercede,
che grazia partorisce e buona voglia:
così di grado in grado si procede.
Laltro ternaro, che così germoglia
in questa primavera sempiterna
che notturno Arïete non dispoglia,
perpetüalemente Osanna sberna
con tre melode, che suonano in tree
ordini di letizia onde sinterna.
In essa gerarcia son laltre dee:
prima Dominazioni, e poi Virtudi;
lordine terzo di Podestadi èe.
Poscia ne due penultimi tripudi
Principati e Arcangeli si girano;
lultimo è tutto dAngelici ludi.
Questi ordini di sù tutti sammirano,
e di giù vincon sì, che verso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano.
E Dïonisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise,
che li nomò e distinse com io.
Ma Gregorio da lui poi si divise;
onde, sì tosto come li occhi aperse
in questo ciel, di sé medesmo rise.
E se tanto secreto ver proferse
mortale in terra, non voglio chammiri:
ché chi l vide qua sù gliel discoperse
con altro assai del ver di questi giri».
Quando ambedue li figli di Latona,
coperti del Montone e de la Libra,
fanno de lorizzonte insieme zona,
quant è dal punto che l cenìt inlibra
infin che luno e laltro da quel cinto,
cambiando lemisperio, si dilibra,
tanto, col volto di riso dipinto,
si tacque Bëatrice, riguardando
fiso nel punto che mavëa vinto.
Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,
quel che tu vuoli udir, perch io lho visto
là ve sappunta ogne ubi e ogne quando.
Non per aver a sé di bene acquisto,
chesser non può, ma perché suo splendore
potesse, risplendendo, dir Subsisto,
in sua etternità di tempo fore,
fuor dogne altro comprender, come i piacque,
saperse in nuovi amor letterno amore.
Né prima quasi torpente si giacque;
ché né prima né poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest acque.
Forma e materia, congiunte e purette,
usciro ad esser che non avia fallo,
come darco tricordo tre saette.
E come in vetro, in ambra o in cristallo
raggio resplende sì, che dal venire
a lesser tutto non è intervallo,
così l triforme effetto del suo sire
ne lesser suo raggiò insieme tutto
sanza distinzïone in essordire.
Concreato fu ordine e costrutto
a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto;
pura potenza tenne la parte ima;
nel mezzo strinse potenza con atto
tal vime, che già mai non si divima.
Ieronimo vi scrisse lungo tratto
di secoli de li angeli creati
anzi che laltro mondo fosse fatto;
ma questo vero è scritto in molti lati
da li scrittor de lo Spirito Santo,
e tu te navvedrai se bene agguati;
e anche la ragione il vede alquanto,
che non concederebbe che motori
sanza sua perfezion fosser cotanto.
Or sai tu dove e quando questi amori
furon creati e come: sì che spenti
nel tuo disïo già son tre ardori.
Né giugneriesi, numerando, al venti
sì tosto, come de li angeli parte
turbò il suggetto di vostri alimenti.
Laltra rimase, e cominciò quest arte
che tu discerni, con tanto diletto,
che mai da circüir non si diparte.
Principio del cader fu il maladetto
superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto.
Quelli che vedi qui furon modesti
a riconoscer sé da la bontate
che li avea fatti a tanto intender presti:
per che le viste lor furo essaltate
con grazia illuminante e con lor merto,
si channo ferma e piena volontate;
e non voglio che dubbi, ma sia certo,
che ricever la grazia è meritorio
secondo che laffetto lè aperto.
Omai dintorno a questo consistorio
puoi contemplare assai, se le parole
mie son ricolte, sanz altro aiutorio.
Ma perché n terra per le vostre scole
si legge che langelica natura
è tal, che ntende e si ricorda e vole,
ancor dirò, perché tu veggi pura
la verità che là giù si confonde,
equivocando in sì fatta lettura.
Queste sustanze, poi che fur gioconde
de la faccia di Dio, non volser viso
da essa, da cui nulla si nasconde:
però non hanno vedere interciso
da novo obietto, e però non bisogna
rememorar per concetto diviso;
sì che là giù, non dormendo, si sogna,
credendo e non credendo dicer vero;
ma ne luno è più colpa e più vergogna.
Voi non andate giù per un sentiero
filosofando: tanto vi trasporta
lamor de lapparenza e l suo pensiero!
E ancor questo qua sù si comporta
con men disdegno che quando è posposta
la divina Scrittura o quando è torta.
Non vi si pensa quanto sangue costa
seminarla nel mondo e quanto piace
chi umilmente con essa saccosta.
Per apparer ciascun singegna e face
sue invenzioni; e quelle son trascorse
da predicanti e l Vangelio si tace.
Un dice che la luna si ritorse
ne la passion di Cristo e sinterpuose,
per che l lume del sol giù non si porse;
e mente, ché la luce si nascose
da sé: però a li Spani e a lIndi
come a Giudei tale eclissi rispuose.
Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
quante sì fatte favole per anno
in pergamo si gridan quinci e quindi:
sì che le pecorelle, che non sanno,
tornan del pasco pasciute di vento,
e non le scusa non veder lo danno.
Non disse Cristo al suo primo convento:
Andate, e predicate al mondo ciance;
ma diede lor verace fondamento;
e quel tanto sonò ne le sue guance,
sì cha pugnar per accender la fede
de lEvangelio fero scudo e lance.
Ora si va con motti e con iscede
a predicare, e pur che ben si rida,
gonfia il cappuccio e più non si richiede.
Ma tale uccel nel becchetto sannida,
che se l vulgo il vedesse, vederebbe
la perdonanza di chel si confida:
per cui tanta stoltezza in terra crebbe,
che, sanza prova dalcun testimonio,
ad ogne promession si correrebbe.
Di questo ingrassa il porco sant Antonio,
e altri assai che sono ancor più porci,
pagando di moneta sanza conio.
Ma perché siam digressi assai, ritorci
li occhi oramai verso la dritta strada,
sì che la via col tempo si raccorci.
Questa natura sì oltre singrada
in numero, che mai non fu loquela
né concetto mortal che tanto vada;
e se tu guardi quel che si revela
per Danïel, vedrai che n sue migliaia
determinato numero si cela.
La prima luce, che tutta la raia,
per tanti modi in essa si recepe,
quanti son li splendori a chi sappaia.
Onde, però che a latto che concepe
segue laffetto, damar la dolcezza
diversamente in essa ferve e tepe.
Vedi leccelso omai e la larghezza
de letterno valor, poscia che tanti
speculi fatti sha in che si spezza,
uno manendo in sé come davanti».
Forse semilia miglia di lontano
ci ferve lora sesta, e questo mondo
china già lombra quasi al letto piano,
quando l mezzo del cielo, a noi profondo,
comincia a farsi tal, chalcuna stella
perde il parere infino a questo fondo;
e come vien la chiarissima ancella
del sol più oltre, così l ciel si chiude
di vista in vista infino a la più bella.
Non altrimenti il trïunfo che lude
sempre dintorno al punto che mi vinse,
parendo inchiuso da quel chelli nchiude,
a poco a poco al mio veder si stinse:
per che tornar con li occhi a Bëatrice
nulla vedere e amor mi costrinse.
Se quanto infino a qui di lei si dice
fosse conchiuso tutto in una loda,
poca sarebbe a fornir questa vice.
La bellezza chio vidi si trasmoda
non pur di là da noi, ma certo io credo
che solo il suo fattor tutta la goda.
Da questo passo vinto mi concedo
più che già mai da punto di suo tema
soprato fosse comico o tragedo:
ché, come sole in viso che più trema,
così lo rimembrar del dolce riso
la mente mia da me medesmo scema.
Dal primo giorno chi vidi il suo viso
in questa vita, infino a questa vista,
non mè il seguire al mio cantar preciso;
ma or convien che mio seguir desista
più dietro a sua bellezza, poetando,
come a lultimo suo ciascuno artista.
Cotal qual io lascio a maggior bando
che quel de la mia tuba, che deduce
lardüa sua matera terminando,
con atto e voce di spedito duce
ricominciò: «Noi siamo usciti fore
del maggior corpo al ciel chè pura luce:
luce intellettüal, piena damore;
amor di vero ben, pien di letizia;
letizia che trascende ogne dolzore.
Qui vederai luna e laltra milizia
di paradiso, e luna in quelli aspetti
che tu vedrai a lultima giustizia».
Come sùbito lampo che discetti
li spiriti visivi, sì che priva
da latto locchio di più forti obietti,
così mi circunfulse luce viva,
e lasciommi fasciato di tal velo
del suo fulgor, che nulla mappariva.
«Sempre lamor che queta questo cielo
accoglie in sé con sì fatta salute,
per far disposto a sua fiamma il candelo».
Non fur più tosto dentro a me venute
queste parole brievi, chio compresi
me sormontar di sopr a mia virtute;
e di novella vista mi raccesi
tale, che nulla luce è tanto mera,
che li occhi miei non si fosser difesi;
e vidi lume in forma di rivera
fulvido di fulgore, intra due rive
dipinte di mirabil primavera.
Di tal fiumana uscian faville vive,
e dogne parte si mettien ne fiori,
quasi rubin che oro circunscrive;
poi, come inebrïate da li odori,
riprofondavan sé nel miro gurge,
e suna intrava, unaltra nuscia fori.
«Lalto disio che mo tinfiamma e urge,
daver notizia di ciò che tu vei,
tanto mi piace più quanto più turge;
ma di quest acqua convien che tu bei
prima che tanta sete in te si sazi»:
così mi disse il sol de li occhi miei.
Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi
chentrano ed escono e l rider de lerbe
son di lor vero umbriferi prefazi.
Non che da sé sian queste cose acerbe;
ma è difetto da la parte tua,
che non hai viste ancor tanto superbe».
Non è fantin che sì sùbito rua
col volto verso il latte, se si svegli
molto tardato da lusanza sua,
come fec io, per far migliori spegli
ancor de li occhi, chinandomi a londa
che si deriva perché vi simmegli;
e sì come di lei bevve la gronda
de le palpebre mie, così mi parve
di sua lunghezza divenuta tonda.
Poi, come gente stata sotto larve,
che pare altro che prima, se si sveste
la sembianza non süa in che disparve,
così mi si cambiaro in maggior feste
li fiori e le faville, sì chio vidi
ambo le corti del ciel manifeste.
O isplendor di Dio, per cu io vidi
lalto trïunfo del regno verace,
dammi virtù a dir com ïo il vidi!
Lume è là sù che visibile face
lo creatore a quella creatura
che solo in lui vedere ha la sua pace.
E si distende in circular figura,
in tanto che la sua circunferenza
sarebbe al sol troppo larga cintura.
Fassi di raggio tutta sua parvenza
reflesso al sommo del mobile primo,
che prende quindi vivere e potenza.
E come clivo in acqua di suo imo
si specchia, quasi per vedersi addorno,
quando è nel verde e ne fioretti opimo,
sì, soprastando al lume intorno intorno,
vidi specchiarsi in più di mille soglie
quanto di noi là sù fatto ha ritorno.
E se linfimo grado in sé raccoglie
sì grande lume, quanta è la larghezza
di questa rosa ne lestreme foglie!
La vista mia ne lampio e ne laltezza
non si smarriva, ma tutto prendeva
il quanto e l quale di quella allegrezza.
Presso e lontano, lì, né pon né leva:
ché dove Dio sanza mezzo governa,
la legge natural nulla rileva.
Nel giallo de la rosa sempiterna,
che si digrada e dilata e redole
odor di lode al sol che sempre verna,
qual è colui che tace e dicer vole,
mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira
quanto è l convento de le bianche stole!
Vedi nostra città quant ella gira;
vedi li nostri scanni sì ripieni,
che poca gente più ci si disira.
E n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
per la corona che già vè sù posta,
prima che tu a queste nozze ceni,
sederà lalma, che fia giù agosta,
de lalto Arrigo, cha drizzare Italia
verrà in prima chella sia disposta.
La cieca cupidigia che vammalia
simili fatti vha al fantolino
che muor per fame e caccia via la balia.
E fia prefetto nel foro divino
allora tal, che palese e coverto
non anderà con lui per un cammino.
Ma poco poi sarà da Dio sofferto
nel santo officio; chel sarà detruso
là dove Simon mago è per suo merto,
e farà quel dAlagna intrar più giuso».
In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa;
ma laltra, che volando vede e canta
la gloria di colui che la nnamora
e la bontà che la fece cotanta,
sì come schiera dape che sinfiora
una fïata e una si ritorna
là dove suo laboro sinsapora,
nel gran fior discendeva che saddorna
di tante foglie, e quindi risaliva
là dove l süo amor sempre soggiorna.
Le facce tutte avean di fiamma viva
e lali doro, e laltro tanto bianco,
che nulla neve a quel termine arriva.
Quando scendean nel fior, di banco in banco
porgevan de la pace e de lardore
chelli acquistavan ventilando il fianco.
Né linterporsi tra l disopra e l fiore
di tanta moltitudine volante
impediva la vista e lo splendore:
ché la luce divina è penetrante
per luniverso secondo chè degno,
sì che nulla le puote essere ostante.
Questo sicuro e gaudïoso regno,
frequente in gente antica e in novella,
viso e amore avea tutto ad un segno.
O trina luce che n unica stella
scintillando a lor vista, sì li appaga!
guarda qua giuso a la nostra procella!
Se i barbari, venendo da tal plaga
che ciascun giorno dElice si cuopra,
rotante col suo figlio ond ella è vaga,
veggendo Roma e lardüa sua opra,
stupefaciensi, quando Laterano
a le cose mortali andò di sopra;
ïo, che al divino da lumano,
a letterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano,
di che stupor dovea esser compiuto!
Certo tra esso e l gaudio mi facea
libito non udire e starmi muto.
E quasi peregrin che si ricrea
nel tempio del suo voto riguardando,
e spera già ridir com ello stea,
su per la viva luce passeggiando,
menava ïo li occhi per li gradi,
mo sù, mo giù e mo recirculando.
Vedëa visi a carità süadi,
daltrui lume fregiati e di suo riso,
e atti ornati di tutte onestadi.
La forma general di paradiso
già tutta mïo sguardo avea compresa,
in nulla parte ancor fermato fiso;
e volgeami con voglia rïaccesa
per domandar la mia donna di cose
di che la mente mia era sospesa.
Uno intendëa, e altro mi rispuose:
credea veder Beatrice e vidi un sene
vestito con le genti glorïose.
Diffuso era per li occhi e per le gene
di benigna letizia, in atto pio
quale a tenero padre si convene.
E «Ov è ella?», sùbito diss io.
Ond elli: «A terminar lo tuo disiro
mosse Beatrice me del loco mio;
e se riguardi sù nel terzo giro
dal sommo grado, tu la rivedrai
nel trono che suoi merti le sortiro».
Sanza risponder, li occhi sù levai,
e vidi lei che si facea corona
reflettendo da sé li etterni rai.
Da quella regïon che più sù tona
occhio mortale alcun tanto non dista,
qualunque in mare più giù sabbandona,
quanto lì da Beatrice la mia vista;
ma nulla mi facea, ché süa effige
non discendëa a me per mezzo mista.
«O donna in cui la mia speranza vige,
e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige,
di tante cose quant i ho vedute,
dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute.
Tu mhai di servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt i modi
che di ciò fare avei la potestate.
La tua magnificenza in me custodi,
sì che lanima mia, che fatt hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi».
Così orai; e quella, sì lontana
come parea, sorrise e riguardommi;
poi si tornò a letterna fontana.
E l santo sene: «Acciò che tu assommi
perfettamente», disse, «il tuo cammino,
a che priego e amor santo mandommi,
vola con li occhi per questo giardino;
ché veder lui tacconcerà lo sguardo
più al montar per lo raggio divino.
E la regina del cielo, ond ïo ardo
tutto damor, ne farà ogne grazia,
però chi sono il suo fedel Bernardo».
Qual è colui che forse di Croazia
viene a veder la Veronica nostra,
che per lantica fame non sen sazia,
ma dice nel pensier, fin che si mostra:
Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
or fu sì fatta la sembianza vostra?;
tal era io mirando la vivace
carità di colui che n questo mondo,
contemplando, gustò di quella pace.
«Figliuol di grazia, quest esser giocondo»,
cominciò elli, «non ti sarà noto,
tenendo li occhi pur qua giù al fondo;
ma guarda i cerchi infino al più remoto,
tanto che veggi seder la regina
cui questo regno è suddito e devoto».
Io levai li occhi; e come da mattina
la parte orïental de lorizzonte
soverchia quella dove l sol declina,
così, quasi di valle andando a monte
con li occhi, vidi parte ne lo stremo
vincer di lume tutta laltra fronte.
E come quivi ove saspetta il temo
che mal guidò Fetonte, più sinfiamma,
e quinci e quindi il lume si fa scemo,
così quella pacifica oriafiamma
nel mezzo savvivava, e dogne parte
per igual modo allentava la fiamma;
e a quel mezzo, con le penne sparte,
vid io più di mille angeli festanti,
ciascun distinto di fulgore e darte.
Vidi a lor giochi quivi e a lor canti
ridere una bellezza, che letizia
era ne li occhi a tutti li altri santi;
e sio avessi in dir tanta divizia
quanta ad imaginar, non ardirei
lo minimo tentar di sua delizia.
Bernardo, come vide li occhi miei
nel caldo suo caler fissi e attenti,
li suoi con tanto affetto volse a lei,
che miei di rimirar fé più ardenti.
Affetto al suo piacer, quel contemplante
libero officio di dottore assunse,
e cominciò queste parole sante:
«La piaga che Maria richiuse e unse,
quella chè tanto bella da suoi piedi
è colei che laperse e che la punse.
Ne lordine che fanno i terzi sedi,
siede Rachel di sotto da costei
con Bëatrice, sì come tu vedi.
Sarra e Rebecca, Iudìt e colei
che fu bisava al cantor che per doglia
del fallo disse Miserere mei,
puoi tu veder così di soglia in soglia
giù digradar, com io cha proprio nome
vo per la rosa giù di foglia in foglia.
E dal settimo grado in giù, sì come
infino ad esso, succedono Ebree,
dirimendo del fior tutte le chiome;
perché, secondo lo sguardo che fée
la fede in Cristo, queste sono il muro
a che si parton le sacre scalee.
Da questa parte onde l fiore è maturo
di tutte le sue foglie, sono assisi
quei che credettero in Cristo venturo;
da laltra parte onde sono intercisi
di vòti i semicirculi, si stanno
quei cha Cristo venuto ebber li visi.
E come quinci il glorïoso scanno
de la donna del cielo e li altri scanni
di sotto lui cotanta cerna fanno,
così di contra quel del gran Giovanni,
che sempre santo l diserto e l martiro
sofferse, e poi linferno da due anni;
e sotto lui così cerner sortiro
Francesco, Benedetto e Augustino
e altri fin qua giù di giro in giro.
Or mira lalto proveder divino:
ché luno e laltro aspetto de la fede
igualmente empierà questo giardino.
E sappi che dal grado in giù che fiede
a mezzo il tratto le due discrezioni,
per nullo proprio merito si siede,
ma per laltrui, con certe condizioni:
ché tutti questi son spiriti ascolti
prima chavesser vere elezïoni.
Ben te ne puoi accorger per li volti
e anche per le voci püerili,
se tu li guardi bene e se li ascolti.
Or dubbi tu e dubitando sili;
ma io discioglierò l forte legame
in che ti stringon li pensier sottili.
Dentro a lampiezza di questo reame
casüal punto non puote aver sito,
se non come tristizia o sete o fame:
ché per etterna legge è stabilito
quantunque vedi, sì che giustamente
ci si risponde da lanello al dito;
e però questa festinata gente
a vera vita non è sine causa
intra sé qui più e meno eccellente.
Lo rege per cui questo regno pausa
in tanto amore e in tanto diletto,
che nulla volontà è di più ausa,
le menti tutte nel suo lieto aspetto
creando, a suo piacer di grazia dota
diversamente; e qui basti leffetto.
E ciò espresso e chiaro vi si nota
ne la Scrittura santa in quei gemelli
che ne la madre ebber lira commota.
Però, secondo il color di capelli,
di cotal grazia laltissimo lume
degnamente convien che sincappelli.
Dunque, sanza mercé di lor costume,
locati son per gradi differenti,
sol differendo nel primiero acume.
Bastavasi ne secoli recenti
con linnocenza, per aver salute,
solamente la fede di parenti;
poi che le prime etadi fuor compiute,
convenne ai maschi a linnocenti penne
per circuncidere acquistar virtute;
ma poi che l tempo de la grazia venne,
sanza battesmo perfetto di Cristo
tale innocenza là giù si ritenne.
Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
più si somiglia, ché la sua chiarezza
sola ti può disporre a veder Cristo».
Io vidi sopra lei tanta allegrezza
piover, portata ne le menti sante
create a trasvolar per quella altezza,
che quantunque io avea visto davante,
di tanta ammirazion non mi sospese,
né mi mostrò di Dio tanto sembiante;
e quello amor che primo lì discese,
cantando Ave, Maria, gratïa plena,
dinanzi a lei le sue ali distese.
Rispuose a la divina cantilena
da tutte parti la beata corte,
sì chogne vista sen fé più serena.
«O santo padre, che per me comporte
lesser qua giù, lasciando il dolce loco
nel qual tu siedi per etterna sorte,
qual è quell angel che con tanto gioco
guarda ne li occhi la nostra regina,
innamorato sì che par di foco?».
Così ricorsi ancora a la dottrina
di colui chabbelliva di Maria,
come del sole stella mattutina.
Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria
quant esser puote in angelo e in alma,
tutta è in lui; e sì volem che sia,
perch elli è quelli che portò la palma
giuso a Maria, quando l Figliuol di Dio
carcar si volse de la nostra salma.
Ma vieni omai con li occhi sì com io
andrò parlando, e nota i gran patrici
di questo imperio giustissimo e pio.
Quei due che seggon là sù più felici
per esser propinquissimi ad Agusta,
son desta rosa quasi due radici:
colui che da sinistra le saggiusta
è il padre per lo cui ardito gusto
lumana specie tanto amaro gusta;
dal destro vedi quel padre vetusto
di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi
raccomandò di questo fior venusto.
E quei che vide tutti i tempi gravi,
pria che morisse, de la bella sposa
che sacquistò con la lancia e coi clavi,
siede lungh esso, e lungo laltro posa
quel duca sotto cui visse di manna
la gente ingrata, mobile e retrosa.
Di contr a Pietro vedi sedere Anna,
tanto contenta di mirar sua figlia,
che non move occhio per cantare osanna;
e contro al maggior padre di famiglia
siede Lucia, che mosse la tua donna
quando chinavi, a rovinar, le ciglia.
Ma perché l tempo fugge che tassonna,
qui farem punto, come buon sartore
che com elli ha del panno fa la gonna;
e drizzeremo li occhi al primo amore,
sì che, guardando verso lui, penètri
quant è possibil per lo suo fulgore.
Veramente, ne forse tu tarretri
movendo lali tue, credendo oltrarti,
orando grazia conven che simpetri
grazia da quella che puote aiutarti;
e tu mi seguirai con laffezione,
sì che dal dicer mio lo cor non parti».
E cominciò questa santa orazione:
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso detterno consiglio,
tu se colei che lumana natura
nobilitasti sì, che l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese lamore,
per lo cui caldo ne letterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra mortali,
se di speranza fontana vivace.
Donna, se tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te saduna
quantunque in creatura è di bontate.
Or questi, che da linfima lacuna
de luniverso infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,
supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso lultima salute.
E io, che mai per mio veder non arsi
più chi fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co prieghi tuoi,
sì che l sommo piacer li si dispieghi.
Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.
Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!».
Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne lorator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati;
indi a letterno lume saddrizzaro,
nel qual non si dee creder che sinvii
per creatura locchio tanto chiaro.
E io chal fine di tutt i disii
appropinquava, sì com io dovea,
lardor del desiderio in me finii.
Bernardo maccennava, e sorridea,
perch io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea:
ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de lalta luce che da sé è vera.
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che l parlar mostra, cha tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio.
Qual è colüi che sognando vede,
che dopo l sogno la passione impressa
rimane, e laltro a la mente non riede,
cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visïone, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.
Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.
O somma luce che tanto ti levi
da concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,
e fa la lingua mia tanto possente,
chuna favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente;
ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria.
Io credo, per lacume chio soffersi
del vivo raggio, chi sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi.
E mi ricorda chio fui più ardito
per questo a sostener, tanto chi giunsi
laspetto mio col valore infinito.
Oh abbondante grazia ond io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi!
Nel suo profondo vidi che sinterna,
legato con amore in un volume,
ciò che per luniverso si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò chi dico è un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo chi vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento chi godo.
Un punto solo mè maggior letargo
che venticinque secoli a la mpresa
che fé Nettuno ammirar lombra dArgo.
Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa.
A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta;
però che l ben, chè del volere obietto,
tutto saccoglie in lei, e fuor di quella
è defettivo ciò chè lì perfetto.
Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel chio ricordo, che dun fante
che bagni ancor la lingua a la mammella.
Non perché più chun semplice sembiante
fosse nel vivo lume chio mirava,
che tal è sempre qual sera davante;
ma per la vista che savvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom io, a me si travagliava.
Ne la profonda e chiara sussistenza
de lalto lume parvermi tre giri
di tre colori e duna contenenza;
e lun da laltro come iri da iri
parea reflesso, e l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri.
Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel chi vidi,
è tanto, che non basta a dicer poco.
O luce etterna che sola in te sidi,
sola tintendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi!
Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che l mio viso in lei tutto era messo.
Qual è l geomètra che tutto saffige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
limago al cerchio e come vi sindova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A lalta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e l velle,
sì come rota chigualmente è mossa,
lamor che move il sole e laltre stelle.
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TAVOLA DEI CARATTERI SPECIALI
TABLE OF SPECIAL CHARACTERS
à = a grave
è = e grave
ì = i grave
ò = o grave
ù = u grave
é = e acute
ó = o acute
ä = a uml
ë = e uml
ï = i uml
ö = o uml
ü = u uml
È = E grave
Ë = E uml
Ï = I uml
« = left angle quotation mark
» = right angle quotation mark
= left double quotation mark
= right double quotation mark
= left single quotation mark
= right single quotation mark
= em dash
= middot
. . . = ellipsis