The Project Gutenberg EBook of Vincenzo Monti (1754-1828), by Ernesto Masi This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org/license Title: Vincenzo Monti (1754-1828) La vita italiana durante la Rivoluzione francese e l'Impero Author: Ernesto Masi Release Date: July 10, 2013 [EBook #43180] Language: Italian Character set encoding: UTF-8 *** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK VINCENZO MONTI (1754-1828) *** Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli, Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive)
LA
VITA ITALIANA
DURANTE LA
Rivoluzione francese e l'Impero
Conferenze tenute a Firenze nel 1896
DA
Cesare Lombroso, Angelo Mosso, Anton Giulio Barrili, Vittorio Fiorini, Guido Pompilj, Francesco Nitti, E. Melchior de Vogüé, Ferdinando Martini, Ernesto Masi, Giuseppe Chiarini, Giovanni Pascoli, Adolfo Venturi, Enrico Panzacchi.
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1897.
PROPRIETÀ LETTERARIA
Riservati tutti i diritti.
Tip. Fratelli Treves.
Per discorrere di Vincenzo Monti mi par necessario prendere le mosse da alcuni fatti e da alcune considerazioni di ordine generale.
La letteratura italiana, non dirò moderna (perchè a costruir questa stiamo affaticandoci ancora, sempre un po' a tastoni, come in tutto il resto) ma dirò, la letteratura italiana contemporanea procede dal Parini e dall'Alfieri.
Sono due novatori il Parini e l'Alfieri? E chi lo sarebbe, se non lo sono essi, che si crearono di nuovo l'inspirazione, la materia, lo stile, persino il pubblico, a cui rivolgersi?
Ma l'uno e l'altro sono altresì essenzialmente classici, e generatori di quel neoclassicismo nazionale, in cui consiste tutta la letteratura nostra, che vien dietro a loro e sino al Manzoni. Questa considerazione ne richiama un'altra, che rientra nella prima, slargandola, ed è che in tutta [368] la letteratura italiana contemporanea v'ha due fatti di suprema importanza, da una parte il Manzoni (non dico il romanticismo del Manzoni, ma il Manzoni), dall'altra la tradizione classica, che permane, rammodernandosi bensì, ma sempre costante, e non come reminiscenza di scuola, d'accademia o di biblioteca, ma come forma viva, vivissima, e va dal Parini e dall'Alfieri al Monti, al Leopardi, al Giordani, al Botta, al Colletta, al Niccolini e sino al Carducci.
O io m'inganno, o questa è la nota fondamentale della nostra letteratura dal 1750 a tutt'oggi, nota caratteristica e tutta sua. Nelle letterature straniere contemporanee, dopo breve contrasto, tutto è assorbito dalla corrente nuova, romantica o moderna, ed ora realista, positivista, simbolista, estetica o decadente, che vogliate chiamarla, sicchè non trovate un poeta o un prosatore di gran levatura, che non le si abbandoni intieramente. In Italia invece ogni regione ha il suo cenacolo letterario od artistico, più o meno sensibile via via alle esigenze dei tempi, che mutano, e che più o meno consente ad esse o, come spesso accade, se ne infatua e le esagera, ma la tradizione classica resiste e mai cede il campo del tutto. È un bene, è un male? Il problema si può porre, ma non credo si possa ancora risolvere. Questo in quanto alla storia letteraria.
[369] Quanto alle relazioni di essa colla storia civile e politica, l'austera moralità del Parini riformista mira a rinnovare l'individuo in Italia; la passionata idealità dell'Alfieri rivoluzionario mira a rinnovare il cittadino; l'una e l'altra coll'individuo e col cittadino rinnovati a rifare un popolo e ridargli una coscienza nazionale.
Ridargli? Ma l'avea esso mai avuta? È dubbio, signore, se una vera coscienza nazionale sia mai esistita in Italia, prima che incominci colla Rivoluzione francese quella che chiamasi storia contemporanea. È dubbio, se a crearla sarebbe bastato il cosmopolitismo vago della letteratura filosofica francese del secolo XVIII, che pure avea varcato le Alpi prima di Napoleone Bonaparte e si sovrapponeva, come ha acutamente notato Augusto Franchetti, al concetto medievale e dantesco della monarchia, per cui l'Italia non poteva disgiungersi dall'Impero, e quindi al moto intellettuale del Rinascimento, che avea esso pure un carattere d'universalità e cronologicamente poi era connesso con la fine dell'indipendenza italiana.
Certo è che in Italia i primi segni del farsi o rifarsi una coscienza nazionale si hanno subito tra quel tumulto, tra quelle angoscie, tra quelle incertezze dell'invasione francese, guidata dal Bonaparte nel 1796.
[370] Lazzaro Papi, il futuro storico e giudice severo della Rivoluzione francese, chiude un suo sonetto così:
Tu che dell'avvenir nel grembo oscuro
Spinger sai l'occhio dell'acuta mente
E ciò che è dubbio altrui, vedi sicuro,
Dimmi: quel che dall'Alpi ora discende
D'armi e d'armati inondator torrente,
Ceppi a noi reca, o libertà ci rende?
Non avevano invece dubbi di sorta quei cittadini, che, quattro mesi appena dopo l'invasione ed invocando i ricordi della Lega Lombarda contro Barbarossa, fondavano già in Reggio d'Emilia la Federazione Cispadana, da cui come dai parlamenti della Cisalpina e dalla Costituente di Lione esce per la prima volta dopo tanti secoli uno stato di nome italiano, il quale, se non altro, a traverso le vicende seguenti della Repubblica e del Regno, rinnova lo spirito militare e civile del popolo, ed è la prima mossa della nostra rivoluzione.
Ma se Lazzaro Papi sta in forse, se i cittadini della Cispadana, della Cisalpina e dei Comizi di Lione (quel medio ceto, rialzato dalla moralità del Parini e dall'idealità dell'Alfieri) si abbandonano all'impulso ricevuto con cieca fede, molti altri invece, gli stessi Parini ed Alfieri, danno indietro; le plebi di Lugo, d'Arezzo, di Siena, [371] di Roma, di Verona, di Napoli, di Calabria, del Piemonte, risentono invece, come dice il Carducci, un vero “accesso medievale di ire guelfe e ghibelline contro i nemici della Chiesa e dell'Impero„; e chi esprime da cima a fondo tutti questi contrasti, e strappi e trapassi dolorosi, eppure fecondi, e le prime speranze, le prime avversioni, i pentimenti subitanei, le confidenze illimitate, poi i ciechi entusiasmi della gloria militare, la fede estrema nell'uomo che la rappresenta, e finalmente le disperazioni, i terrori, le viltà, che tengono dietro all'immane ruina di tanta grandezza, chi esprime, dico, da cima a fondo tutto ciò nei versi più splendidi, che si fossero sentiti da secoli, è Vincenzo Monti.
Sotto l'aspetto di tale espressione potente, immediata, soggettiva e oggettiva ad un tempo dei fatti contemporanei, non saprei dire che cosa importi di più, se la sua vita o la sua poesia, ond'è, che, comunque si giudichi il carattere del Monti, m'è sempre sembrata sommamente baggèa quella critica, che lo ha dipinto come non altro che un vacuo e felice accozzatore di frasi sonore ed ha voluto a forza applicare a lui il famoso
Sdegno il verso che suona e che non crea
di Ugo Foscolo (detto a proposito delle statue del Canova e non già della poesia del Monti), [372] falsa e sciocchissima applicazione, la quale, se fatta al Monti, significa una confusione completa d'ogni criterio d'arte e di storia e un rinunziar di proposito a intender nulla della nostra storia letteraria.
Ma critica e politica hanno sempre in Italia proceduto a un dipresso così. V'ha i beniamini della fortuna, ai quali si perdona tutto e pei quali la gente arguta e disinvolta ha sempre in pronto una qualche spiegazione, e v'ha le vittime, alle quali non si perdona nulla, neppur l'ingegno, se l'hanno, e per le quali nessuno si dà briga neppur di cercare una spiegazione, che non sia un obbrobrio di più, e di tali vittime è il Monti.
Voi vedete quindi la difficoltà grande, che s'incontra a parlar di lui, senza inciampare nell'apologia o nella diatriba, come hanno fatto del resto quasi tutti quelli, che poco o molto hanno scritto del Monti fino al Carducci, il quale, dando all'Italia la più compiuta e meglio ordinata edizione delle sue poesie, la richiamò, se non altro, circa trent'anni sono, all'ammirazione del poeta, “i cui versi, dice il Carducci, corsero il bello italo regno, abbaglianti d'empito e di splendore, come gli squadroni di cavalleria del re Murat„ e promettendo un ampio studio sul Monti, che poi purtroppo non ha fatto, soggiungeva queste memorande parole: “Nella storia letteraria del [373] gran secolo, che corse per l'Italia dal 1750 al 1850, quando sarà scritta con serenità oggettiva e senza preoccupazioni di parte, Vincenzo Monti riprenderà il luogo che gli spetta, come a principe dell'arte d'un'intiera e ingegnosissima generazione, come a prosecutore ed allargatore dell'antica tradizione italiana, come a ravvivatore del sentimento classico nella sua migliore espressione.„
Difficile dir meglio e più vero di così. Ma come soggetto di conferenza il Monti ci si presenta di necessità non quale è, e dev'essere, come soggetto di studio esclusivamente letterario. Sotto quest'ultimo aspetto la sua massima importanza deriva dallo svolgimento del neoclassicismo del Parini e dell'Alfieri, ch'egli perfeziona, varia, adatta con inarrivabile potenza e facilità ed ammoderna sempre più col realismo storico e colle intonazioni preromantiche, che già si sentono in lui e fanno già presentire altri trapassi ed altre novità future e imminenti dell'arte. Ma come soggetto di conferenza, dico, l'uomo, la vita, le relazioni della sua poesia col suo tempo sembrano avere importanza o attrazione anche maggiore, se chi ne parla sapesse e potesse dir tutto di quei diversi e opposti ambienti e momenti letterari, morali, civili e politici, a traverso i quali toccò al Monti di passare, seguendo gli impulsi [374] della sua indole nativa, violenta come ogni indole debole, e debole come ogni indole violenta, con scatti improvvisi e cascaggini non meno improvvise ancor esse, con alternative continue di abnegazione e di egoismo, di audacie e di paure, di collere e di intenerimenti, di generosità e di bassezze, per le quali ora domina le circostanze, ora è dominato da esse, ed a vicenda ora le circostanze del tempo ci spiegano la sua vita, ora la sua vita è documento, che meglio d'ogni altro spiega e caratterizza le circostanze del suo tempo.
Che bel tema di psicologia storica, e come opportuno anche oggi!
Ma vorrebb'essere nelle mani del Sainte-Beuve, del Taine o di Carlo Hillebrand! In quella vece non l'hanno trattato in pieno (il grand'emporio Montiano di Leone Vicchi sta da sè e poi si ferma al 1799) non l'hanno trattato in pieno, che il Cantù e Achille Monti, un pronipote del poeta: il primo con tutta quella salmeria di pregiudizi e di rancori romantici, ultracattolici e politici, che si strascinava sempre dietro, e con cui rimestava la farragine di notizie grandi e piccine, che avea sempre a sua disposizione su ogni argomento, il secondo con sì sviscerata idolatria di quella sua gloria gentilizia, che quantunque fosse (me ne ricordo per [375] averlo conosciuto a Roma) la più mite, buona e serena natura di vecchio classicista e liberale alla Romana, che si potesse immaginare, una volta messo su questo terreno, montava su tutte le furie; sul Cantù e su ogni avversario o tiepido ammiratore del Monti menava giù botte da orbi, e di Vincenzo Monti difendeva tutto, assolveva tutto, persino quello, di cui il poeta stesso s'era con tanta fretta e sovrabbondanza di contrizione accusato da sè.
Voi lo vedete, signore; non s'era così sulla strada d'uno studio psicologico condotto con serenità oggettiva e con buon metodo d'osservazione e di critica; nè ora ho di certo alcuna pretensione di percorrerla io quella strada sul fragile veicolo, sul traballante velocipede d'una conferenza. Mi contenterei di non esserne fuori del tutto.
Leggendo le poesie del Monti si può temere di non veder giusto sotto l'impero d'una specie di seduzione estetica e perciò appunto vi dico: “oltre alle sue poesie, leggete il suo epistolario.„ Se c'è uomo, di cui l'epistolario privato dica di più ed a cui l'epistolario privato nuoccia di più, quest'uomo è il Monti di certo. Ma se c'è uomo altresì, verso il quale, più lo si conosce da vicino, e più si senta il dovere di non giudicarlo da pochi tratti e staccati, bensì nell'insieme e [376] bilanciando il bene ed il male con quella mesta carità e misericordia, a cui danno pure qualche diritto il genio, il lavoro, la sfortuna, la gloria, questo è pure il Monti di certo.
Apologisti e detrattori con lui hanno torto del pari. Le sue mancanze di carattere dispiacciono e sono antipatiche. Tanto più dispiacciono, quanto più s'ama la concordanza d'una forte virtù con l'ingegno grande e la sapienza. Ma è innegabile altresì quella fondamentale bontà dell'animo del Monti, su cui il Giordani, da psicologo acuto, anzichè da rétore, ha poggiato tutta la difesa che ha fatta di lui, quella fondamentale bontà, che pur congiunta a impressionabilità quasi morbose, a maggior vivezza che profondità di sentimento, alla mobilità della fantasia, alla muliebrità dell'indole “tanto più notabile in corpo quasi d'atleta e nella poetica baldanza dell'ingegno„ fu, direbbe il Taine, la faculté maîtresse del suo spirito, e lo preservò sempre, in mezzo a tutti i suoi errori, dal divenire un briccone, come lo furono invece quasi tutti i suoi più accaniti avversari, i quali tuttavia in tante particolarità non d'ingegno, ma di carattere, somigliano a lui.
Per uno studio, come il nostro, bisognerebbe dunque tener sempre riuniti, potendo, sullo stesso piano del quadro, l'uomo, il tempo, il poeta, più [377] importanti assai, tutti insieme, della pura tecnica letteraria dell'arte sua, più importanti assai dei colpi d'ala e dei voli della sua lirica, della continua eleganza della sua frase poetica, della profusione della sua vena, di quella sua potenza di dir tutto con una precisione e insieme con una facilità e un'armonia insuperabili, di quegli scoppi e di quei crescendo quasi di sinfonia rossiniana, che si incontrano ne' suoi versi, e infine di quella sua mirabile e organica struttura d'artista sovrano, che, pur alterando forse qua e là la semplicità divinamente classica di Omero, ha permesso a un poeta, che sta fra l'Arcadia del secolo XVIII ed il romanticismo del secolo XIX, ha permesso a lui, che poco o nulla sapeva di greco, d'essere l'interprete più felice di quel patriarca della poesia umana.
La Roma del 1778, in cui a ventiquattr'anni si rotolò per cercar fortuna Vincenzo Monti dalle native paludi delle Alfonsine presso Fusignano e dalle erbose solitudini di Ferrara, era ancora quella che videro il Mengs, il Winckelmann, il Gœthe, “i tre giganti dell'estetica tedesca, applicata alla pittura, all'antiquaria e alla poesia.„
Regnava Papa Braschi (Pio VI), un nobiluccio di provincia, a cui gli ordini d'elezione, sempre democratici, della Chiesa avevano dischiusa la via del trono, forse appunto perchè fra i vari candidati possibili era il più oscuro. Poco versato [378] in lettere umane e divine, era un dilettante di belle arti e ahimè! anche di politica e di finanze. Ahimè, dico, sapendo noi quel che costa tal sorta di dilettanti! — Non era bigotto. — L'avventuriere Gorani sparla de' suoi costumi, ma lo calunnia di certo. Era unicamente vano e fastoso; vano della sua bellezza e della sua eleganza, fastoso nell'aggiunger l'aquila di Casa d'Austria e i gigli di Francia al suo stemma, nel metter mano a grandi opere pubbliche e nell'arricchire e illustrar la sua casa, rappresentata in Roma dal nipote Luigi Braschi Onesti, un bestione, a cui diè in moglie una graziosissima ragazza romana, con un par d'occhi neri, cerchiati e fulminei, un corpo di Venere canoviana, Costanza Falconieri, e di tutti e due fece i maggiori e più splendidi personaggi della corte e del regno.
Così, e proteggendo un po' di lettere e d'arti, Pio VI potea figurarsi di rinnovare Pericle, Augusto e Leon X, e lasciarselo dire dai suoi poeti, i giornalisti d'allora; ma già i tempi mutavano; novità minacciose di scoperte scientifiche e di dottrine filosofiche solcavano l'aria; il laicato, in persona dei principi riformisti, batteva già in breccia le vecchie pretensioni di supremazia civile della Chiesa Cattolica; i giurisdizionalisti precorrevano già i rivoluzionari di pochi anni [379] dopo, e dovette accorgersene lo stesso Pio VI, quando per calmare le furie novatrici dell'Imperatore Giuseppe II pellegrinò a Vienna nel 1782, senz'altro risultamento notevole che di far morire di raffreddore il vecchio Metastasio, affacciatosi a una finestra per vederlo passare, e peggio ancora, quando dopo il 1789 incominciarono le prime agitazioni della Rivoluzione Francese.
Che cos'era il Monti in questi primi anni del suo soggiorno in Roma? Nelle apparenze un bel giovine, con titolo d'abate (gli abati erano i lions di Roma) con molto ingegno e pochissimi quattrini, un Pastor Arcade, che avea sempre in pronto un sonetto per ogni lietezza o sventura, specie dei pezzi grossi, e dopo le illustri nozze Braschi-Falconieri, da lui celebrate con un canto di stupenda fattura, la Bellezza dell'Universo, rimeritato coll'impiego di segretario del Duca Luigi Braschi, il magnifico nipote del Papa.
Vi figurate, signore, quello che avranno pensato i buoni villici delle Alfonsine e i solitari condiscepoli di Ferrara d'un così promettente esordio di fortuna? E quando poi lo avranno saputo Bussolante del Papa e Segretario degli Avvocati Concistoriali? Per lo meno si saranno aspettati di vederlo da un'ora all'altra Cardinale!
E certo, dato l'ambiente della Roma d'allora e colla forza d'ingegno di Vincenzo Monti, aver [380] voce in Arcadia, aver un piede in corte, un altro nelle anticamere di Casa Braschi, sarebbe come nella Roma d'adesso aver.... Ma non divaghiamo!... Le apparenze erano belle; la sostanza poco o niente, e l'aspettata fortuna pel Monti non venne mai.
Due cose l'attraversarono sempre, ora ed in avvenire, l'invidia degli emuli, che non gli diede mai tregua e contro la quale egli non ebbe mai nè la dignità della noncuranza e del disprezzo, nè la giusta misura della risposta; e l'indipendente superiorità, l'indocilità critica, starei per dire, della sua mente, che non gli consentì mai l'intiera sommissione, l'intiera dedizione di sè e la rinuncia incondizionata ad ogni discussione e ad ogni ribellione, quali bisognano agli uomini, che non hanno altra regola di vita che la propria fortuna.
Sta in ciò il bene ed il male del Monti, e colla subitaneità delle sue impressioni, de' suoi entusiasmi, de' suoi sdegni, delle sue audacie inconsiderate e de' suoi sgomenti quasi puerili, sta in ciò per gran parte il segreto delle sue mutazioni e dell'apparente leggerezza delle sue convinzioni, donde s'è formata per lui la leggenda dell'abate, del cittadino e del cavaliere, quasi a significare le sue calcolate e successive voltate di casacca, da clericale in Roma a repubblicano [381] nella Cisalpina e a cortigiano di Napoleone e poi della Ristaurazione.
In quella vece chi guardi bene e consideri spassionatamente la sua vita e la sua poesia, vedrà che per disgrazia sua egli è in disaccordo con tutte le vicende storiche, a traverso le quali gli è toccato passare. Nella Roma di Pio VI, prima di sentirsi rivoluzionario come l'Alfieri, egli s'è sentito riformista e filosofo, come il Parini, il Verri, il Beccaria, il Filangeri; poi ha idoleggiato, come tutti i giovani del suo tempo, nelle agitazioni sotterranee delle Logge Massoniche i primi e più puri ideali della Rivoluzione Francese, che parvero, ed erano, l'aurora della libertà sorgente sul vecchio mondo; poi ha inorridito degli eccessi del Terrore e ha dato indietro, e finalmente ha sperato la liberazione d'Italia dalle armi francesi ed è passato da Roma papale a Milano repubblicana. Qui, tra le violenze degli invasori e le scapestrerie stupide, ladre ed anarchiche dei neogiacobini italiani, il Monti, per organica dirittura di mente, si trova ad essere un liberale moderato: disgraziatissima disposizione di spirito in certi momenti politici, per la quale non si fa paura a nessuno e non vi vuole nè Dio nè il diavolo. Or bene, in chi fissar l'animo e gli occhi fra tutto quel pandemonio? Qual'è la forza unica, che sembra poter dominare e dar sesto ed [382] ordine a quel caos? Napoleone! Ed il Monti, come il Melzi, come l'Aldini, come tutti i ragionevoli e gli onesti, si volge a lui. Ma Napoleone alla sua volta s'ubbriaca di potenza e di gloria e strascina l'Italia dietro il carro della sua sfrenata ambizione, ed ecco il Monti non disposto a seguirlo. “Costui fa cose (così scriv'egli al Lampredi) da raffreddare un vulcano. Precipiterà sè e noi, quanti siamo a lui devoti. Una sola buona cosa ha fatto, l'organizzazione di questo regno: ma poi come tratta noi Italiani? Si rende nemici tutti i re d'Europa, che alla fine trionferanno. E noi cadremo con lui.„ Che ne dite? Il conte di Cavour, buon'anima, non potrebbe preveder meglio e ragionar più dritto di questo poeta!
E forsechè fu egli solo, il Monti, nell'immane catastrofe Europea dell'impero napoleonico, fu egli solo, il Monti, a confidare nei benefici della pace e nella moderazione degli alleati liberatori? No, signore! Era un'intiera generazione, che, sentendosi soccombere fra tante speranze deluse e gli strazi di vent'anni di guerre incessanti, acclamava fra le accumulate ruine alla pace ed a chi pareva portarla e con parole ingannatrici la prometteva.
Fu un errore, fu una colpa di tutti, ed al Monti, che canta il Ritorno d'Astrea, certamente preferisco [383] il Foscolo, che va in esilio, ma non dimentichiamo che fra quegli acclamanti era persino Federico Confalonieri, il glorioso martire del '21. Il Confalonieri scontò la sua illusione giovanile collo Spielberg; il Monti, vecchio e malato, coll'abbandono e la povertà. Non è lo stesso, ma è pur qualche cosa, e sarebbe anche di più, s'egli non se ne fosse lagnato, nella stessa guisa che sarebbe più bello l'esiglio del Foscolo, se avesse pagato i suoi debiti o saputo contrastare colla fame, come Giuseppe Mazzini. Ma io non v'ho detto che il Monti fosse un eroe; v'ho detto che oltre ad essere un gran poeta, era un uomo buono, migliore di certo di tutti i suoi avversari e detrattori, e questa (piaccia o non piaccia a tutti i Cantù vivi e morti) è la verità.
E poeta grande è pur anco per chi ha il senso vero dell'arte e la intende e ne giudica con criteri d'arte e di storia e non colle preferenze del giorno per giorno e dei gusti, che cambiano e rivengono, come le fogge del vestire.
Non lo cercate in quei primi vaneggiamenti d'amori giovanili, sfogati all'italiana in sonetti ed anacreontiche, nè in quei temi da seminario e da sagrestia, ch'erano d'obbligo nell'Arcadia di Roma, anticamera del Vaticano, nè in quei profluvi di lodi, di auguri e di pronostici strampalati, ai quali non potea ricusarsi l'abate novellino, [384] andato a Roma per far carriera, il segretario del duca Braschi e il bussolante di Sua Santità.
Cercatelo bensì dove un gran soggetto lo inspira, come nella Bellezza dell'Universo, o una convinzione sincera lo esalta, come quando celebra i trionfi della ragione e della scienza nell'ode a Montgolfier, o quando la passione lo trasporta, come nei versi sciolti a Sigismondo Chigi, nei Pensieri d'Amore e nelle Elegie, o quando la straordinarietà e la grandezza dei fatti contemporanei lo solleva alla concezione dantesca della Bassvilliana. Qui è il vero Monti, il Monti fantasista e coloritore insuperabile e pel suo tempo originalissimo, e con quella sua eloquenza, agilità e musicalità di verso, che prorompe a guisa di torrente e si prova e riesce a dir tutto, con una genialità, una vaghezza, una varietà, una potenza di forme, che prima di lui non hanno riscontro se non in Dante ed in Ariosto.
E se volete persuadervi di che cosa è capace come artista, vedetelo quando si rituffa in piena mitologia, come nella Musugonia e nella Feroniade (che il semi-romantico Zanella nella sua Storia non gli può perdonare) e non solo v'apparirà tutto il massimo svolgimento, ch'egli seppe dare al neoclassicismo, dominante dal Parini e dall'Alfieri sino al Manzoni, ma assisterete al [385] prodigio d'un arte, continuata e approfondita poi sempre più dal Foscolo e dal Leopardi, d'un arte, dico, che galvanizza cadaveri, e con sentimento moderno rimanifesta la giovinezza immortale del genio greco e romano e lo fa rivivere in pieno tra la fine del secolo XVIII e il principio del secolo presente.
Sotto tale aspetto il Monti fu paragonato giustamente al Canova, ma la Roma di Pio VI, che perdonerà allo scultore la bellezza pagana delle sue Dee e Semidee e persino la procace nudità di Paolina Bonaparte, sorgente in sembianza di Venere molto terrena dal piccolo sofà-empire di Villa Borghese, la Roma di Pio VI, dove si lascia morir di veleno o di crepacuore lo Spedalieri, perchè ha osata una timida conciliazione fra il dogma e il Contratto Sociale del Rousseau, non perdonerà al poeta d'avere, ripigliando la tesi degli Enciclopedisti, ricongiunto il suo pensiero a quello del Parini, dell'Alfieri e di tutti i contemporanei riformisti, Lombardi e Napoletani, d'aver intuonato, lì, appiè della cattedra infallibile di San Pietro, il peana trionfale della ragione e della scienza con quei versi:
Umano ardir, pacifica
Filosofia sicura,
Qual forza mai, qual limite
Il tuo poter misura?
[386] e, celebratene le continue vittorie, d'aver concluso con vaticinio superbo, che sa d'eresia:
Che più ti resta? Infrangere
Anche alla morte il telo
E della vita il nèttare
Libar con Giove in cielo.
La Roma di Pio VI non perdonerà al Monti queste audacie, e se poscia se ne impaura egli stesso, se vacilla, se piega ai terrori, che inspira un governo di preti implacabili, alle lusinghe, che la fortuna non gli mantenne mai, ai dolci errori, cui possono trascinare un giovine caldo di cuore, di sensi e di fantasia l'opulenta bellezza e il lampo dello sguardo, tra devoto e profano, delle donne Romane, e più inebbriante d'ogni altro quello, che lanciò sul poeta Costanza Braschi, ripeterò che il Monti non è un Catone, ma ripeterò altresì che non è meno gran poeta per questo, e poeta grande appunto, perchè somiglia al suo tempo, ed il tempo a lui.
Quando, a guisa di onde incalzantisi le une sulle altre, incominciarono a ripercuotersi anche in Italia gli echi della Rivoluzione Francese, gli animi pro o contro s'agitarono profondamente, ed in Roma assai più contro che pro.
S'immagini ora l'ambiente di Roma, allorchè fu tutta piena d'emigrati francesi, fra i quali le zie del Re, ospitate dal cardinale De Bernis, il [387] destituito ambasciatore di Francia, e mentre a Parigi si bruciava il Papa in effigie per rappresaglia al bruciamento in Roma dei libri massonici del Cagliostro.
L'avversione alle novità francesi andava crescendo in Roma ogni giorno. Le più strane novelle correvano e trovavano fede, ora del Re scampato e già rifugiato in Germania, ora degli alleati entrati trionfanti in Parigi, ed il popolo, se vedea allora passare il vecchio De Bernis, gli staccava i cavalli dal carrozzone e lo tirava a braccia, poi si precipitava a prosternarsi appiè di santi e madonne, che stillavano sangue, stralunavano gli occhi, e versavano lagrime, come persone vive.
Peggio fu, quando si riseppero le sanguinose scene della Rivoluzione, la ghigliottina in permanenza, il Re con la famiglia in carcere, la Repubblica proclamata, i Giacobini prevalenti con la Convenzione, e quando nel novembre del 1792 si vide capitare in Roma Niccola Giuseppe Hugou de Bassville, segretario della Legazione francese di Napoli, quel medesimo, che poi pel poema del Monti restò noto al mondo col nome più poetico di Ugo Bassville, e che prima fu spedito quasi di nascosto per tastar terreno, poi s'atteggiò a diplomatico, e d'intesa con pochi amici e colle Logge Massoniche accese, insieme ad un [388] La Flotte, ufficial di marina pure francese, una briga internazionale per surrogare sul palazzo del Consolato e dell'Accademia di Francia all'antico stemma Borbonico quello della Repubblica.
Il Papa resistette, lo sdegno universale divampò, e provocato con iattanza francese dal Bassville e dal La Flotte finì il 13 gennaio 1793 nell'assassinio, a furor di popolo, del Bassville.
Si disse allora e si ripetè poi, che il governo ci avesse mano, ma non è provato, e le circostanze di fatto, diligentemente vagliate dal Vicchi, sembrano anzi escludere tale complicità.
Comunque, la reazione popolare giunse a tale, che ad imbrigliarla bisognò tutto il vigore e la sollecitudine, che prima adopravansi solo contro i sospettati aderenti della Rivoluzione, fra i quali era certamente anche il Monti, framassone, amico al Bassville, e che avea lasciate in mano di lui carte compromettenti.
Seguirono in Francia la decapitazione del re e della regina, il Terrore, le stragi, la guerra universale, e a tali eccessi anche i più caldi in Italia ristettero e ripugnarono. Così pure accadde al Monti, che oltre a trescare in cospirazioni avea già dovuto a questo tempo cercar di deviare la maldicenza e l'invidia, suscitate dalla sua gloria e dal misterioso romanzo dei suoi [389] amori colla duchessa Braschi, mercè un matrimonio improvviso con Teresa Pickler, bellissima giovinetta romana, tutta gloriosa d'aver conquistato il cuore dell'acclamato autore dell'Aristodemo e del Galeotto Manfredi e certo ignara di servire da parafulmine alle sue politiche e galanti marachelle. Ma che bel parafulmine era allora Teresa Pickler! Ed il Monti se ne innamorò per davvero, e forse la duchessa Braschi avrà detto fra sè: “troppa grazia!„
Fra tali intimi e segreti contrasti di terrori personali, di passioni colpevoli, di affetti legittimi, di illusioni e disinganni patriottici è nata la Bassvilliana, il vero poema storico della controrivoluzione italiana.
Esso è troppo noto da doverne a lungo parlare.
Anche oggi (e vi è corso sopra più d'un secolo) esso è uno dei capolavori più popolari della poesia italiana. Ma vedete destino di persecuzione, signore! Quando alla lunga scemò d'interesse e venne a noia l'eterna inquisizione sulla versatilità politica del Monti, ad un'altra croce fu messo, la ricerca di tutte le sue imitazioni e assimilazioni come poeta, specie dalle letterature straniere. E si comincia dalla Bellezza dell'Universo, di cui il meglio sarebbe levato dal Milton, dai sonetti sulla Morte di Giuda, nei quali il Monti avrebbe accattato dal Klopstock persino [390] l'immagine della Divina Giustizia, che pigliò pel collo il traditore
E lo piombò sdegnosa in Acheronte.
(dimando io, se c'è bisogno di farsi imprestar questa roba!) e via di questo passo, il Monti non avrebbe mai fatto altro che un cibreo d'imitazioni felici, belle, armoniose, ma composto a un dipresso, come lo speziale, pigliando da tutti i barattoli, compone le ricette del medico.
L'idea madre della stessa Bassvilliana (che non è il meglio di certo di quel poema) si vuole tolta dal Klopstock. E ammettiamo pure che la Messiade sia il modello della Bassvilliana. Che cosa significa ciò? La macchina poetica, su cui adattare un soggetto particolare e contemporaneo, qual'è la morte del Bassville, un soggetto cioè, la piena realtà del quale è presente e a tutti nota, non ha la stessa importanza, che in una vasta creazione epica, com'è la Messiade, in cui deve rispecchiarsi qualche punto prominente della storia del genere umano, qualche punto vecchissimo di data, con pochi o molti fatti, la verità dei quali si perde o svanisce nel vago della tradizione e della leggenda e quindi lascia al poeta ogni libertà d'immaginare e di ricomporre.
V'ha qui uno stadio di premeditazione e di lunga gestazione organica, che non ha rapporto [391] coll'improvvisazione, coll'estemporaneità d'una poesia d'occasione, com'è in sostanza la Bassvilliana del Monti.
D'altra parte qual è il poeta, anche fra i sommi, che nella scelta della sua macchina poetica non abbia attinto da quel fondo comune, che l'arte, la storia, gli ingegni colti e la fantasia popolare vengono tutti insieme accumulando e che in ogni tempo appresta, si direbbe, lo stampo, in cui il poeta getta le bellezze originali del proprio estro e dell'arte propria? A questa legge, benchè di tanto scemata di forza, di quanta n'ha acquistata nel tempo moderno l'individualità dell'ingegno, a questa legge s'è conformato anche il Monti.
V'ha anche al suo tempo col ravvivato studio di Dante, colla sazietà degli ideali arcadici, colla voga del preromanticismo fantastico del falso Ossian e sepolcrale del Gray e del Young un materiale poetico molto diffuso e forme molto comuni, nelle quali tutti incappano: il Bertola, Alessandro Verri, il Varano, non meno dell'Alfieri, del Monti e del Foscolo, e da qui procede in parte il meraviglioso anche delle più consuete macchine poetiche del Monti, quella sua quasi continua evocazione spiritica, quella sua folla di ombre, quel suo collocarsi fra cielo e terra, fra la morte e il misterioso al di là, quando non [392] preferisce inforcare il vecchio Pegasèo e sparire in pieno olimpo mitologico.
Per ora gli toccherà fra poco di sparire soltanto da Roma. L'enfasi e le invettive della Bassvilliana contro gli eccessi della Rivoluzione francese non bastarono a smorzare i sospetti del Governo Pontificio. Ed ecco il Monti, il poeta di Bassville, che la notte del 3 marzo 1797 fugge nascostamente da Roma nella carrozza d'un aiutante di campo del generale Bonaparte, venutovi apportatore del trattato di Tolentino, e piomba prima a Bologna, indi a Milano in mezzo a tutto il bailamme delle repubbliche improvvisate dai Francesi.
Quando la Bassvilliana fu ideata e composta, essa rispondeva al sentimento più diffuso e comune allora in Italia. Ma gli avvenimenti successivi dal '93 al '97, l'anno in cui il Monti fuggì da Roma, lasciando interrotta la Bassvilliana, siccome interruppe sempre tutte le sue creazioni maggiori (altro segno grandemente caratteristico e dei tempi e di lui), ma gli avvenimenti successivi, dico, aveano mutata la faccia delle cose; aveano dato tutt'altro corso ai pensieri e alle speranze dei molti, che pur ripugnando agli eccessi, favorivano in cuore i principii della Rivoluzione francese; e il Monti, con quel bel senso di prudenza e di opportunità, che avea sortito [393] da natura, e il Monti giù, a precipizio, per questa china, senza pensare un momento, se vi coglierà allori o legnate, se vi troverà in fondo un Campidoglio o una Rupe Tarpea. Ma egli nella sua testa dovea a un dipresso ragionare così: “non sono stati ben accolti nella Cispadana e nella Cisalpina tanti altri profughi di Roma? non vi sono il Gianni, il Lattanzi, stati ben più di me servili alla Curia Romana e per di più canaglie di tre cotte e tanto inferiori a me d'ingegno e di gloria? E il Cicognara, che ieri recitava in Arcadia il necrologio di Luigi XVI, non è ora Presidente del Comitato di difesa nella Cispadana? e il Salfi, che fino a ieri ha piaggiato i Borboni di Napoli, non è ora a Milano il giornalista più temuto e il portavoce del giacobinismo più puro? perchè dunque dovrebbero pigliarsela solo con me, non reo che d'aver detto in versi magnifici quello, che quasi tutti gli Italiani migliori pensavano e sentivano, allorchè composi la Bassvilliana?„
Ah, signore, era un gran furbo quel buon Monti e val proprio la pena d'esser uomo di genio per conoscere così bene il mondo, gli uomini, la vita, e ragionare a questo modo, dimenticando per di più che quei Gianni, quei Lattanzi erano suoi nemici giurati, da lui in Roma mille volte aizzati, scorbacchiati, flagellati, e che [394] ora non avrebbero mancato di ripagarlo a misura di carbone! Ma non basta. Il Monti è anche più imbecille di così. Salta il fosso del tutto, anzi va a ruzzoloni al di là dell'altra sponda, e in un'ignobile lettera al Salfi sconfessa la Bassvilliana e nelle nuove sue cantiche: il Fanatismo, la Superstizione, il Pericolo e nell'inno per l'anniversario della decapitazione di Luigi XVI, traveste addirittura la nobile Musa della Bassvilliana in scapigliata e discinta tricoteuse de la guillotine; sfoghi sinceri forse, per quanto eccessivi, di sentimenti dovuti celare e comprimere troppo a lungo, ma che ad ogni modo sono la più brutta e dissennata pagina della vita del Monti.
Ne pagò il fio, non dubitate! E quantunque egli appartenesse in realtà alla parte più onesta, più saggia, più nobilmente liberale della Cisalpina, e forse anzi appunto per questo, non ebbe mai tregua nè mercè e più d'una volta parla in certe sue lettere disperate della tentazione di farsi saltare in aria le cervella.
La Cisalpina, già agonizzante (mentre il Bonaparte era in Egitto) per le violenze, le corruzioni, i ladronecci, le frenesie d'ogni guisa, sprofondò del tutto sotto la vittoriosa reazione Austro-Russa, ed il Monti esulò in Francia, fino a che la vittoria di Marengo non gli consentì d'intuonare [395] lo splendido inno del ritorno e della redenzione sua e dell'Italia:
Bell'Italia, amate sponde,
Pur vi torno a riveder!
Trema in petto e si confonde
L'alma oppressa dal piacer.
Egli ricupera la patria e sè stesso e nella Mascheroniana vendica sublimemente la patria e sè stesso. “Molti, diceva, ne rimarranno scottati, ma è giunto il tempo di un'onorata vendetta e perdio me la voglio prendere, per istruzione della mia patria, lacerata da tanti birbanti.„ Sentitelo come descrive il leggiadro vivere della Cisalpina con quella potenza tremenda d'invettiva, per cui la poesia si eleva a storica e umana ad un tempo, è specchio cioè del presente e vaticinio e ammonimento solenne per altri tempi, che con quel presente avessero mai, per caso, qualche rassomiglianza:
Altri stolti, altri vili, altri perversi,
Tiranni molti, cittadini pochi
E i pochi o muti, o insidïati, o spersi.
Inique leggi e per crearle rochi
Sulla tribuna i gorgozzuli e in giro
La discordia co' mantici e co' fochi,
E l'orgoglio con lei, l'odio, il deliro,
L'ignoranza, l'error, mentre alla sbarra
Sta del popolo il pianto ed il sospiro.
Tal s'allaccia in senato la zimarra,
Che d'elleboro ha d'uopo e d'esorcismo;
Tal vi tuona, che il callo ha della marra;
Tal vi trama, che tutto è parossismo
Di delfica mania, vate più destro
La calunnia a filar che il sillogismo;
Vile! tal altro del rubar maestro
A Caton si pareggia e monta i rostri
Scappato al remo e al tiberin capestro.
Oh iniqui! E tutti in arroganti inchiostri
Parlar virtude e sè dir Bruto e Gracco
Genuzi essendo, Saturnini e mostri.
Colmo era insomma de' delitti il sacco;
In pianto il giusto, in gozzoviglia il ladro,
E i Bruti a desco con Ciprigna e Bacco.
. . . . . . . . . . . . . . .
Dal calzato allo scalzo le fortune
Migrar fur viste e libertà divenne
Merce di ladri e furia di tribune.
V'eran leggi; il gran patto era solenne,
Ma fu calpesto....
Vôta il popol per fame avea la vena;
E il viver suo vedea fuso e distrutto
De' suoi pieni tiranni in una cena.
Squallido, macro il buon soldato e brutto
Di polve, di sudor, di cicatrici,
Chiedea plorando di suo sangue il frutto:
Ma l'inghiottono l'arche voratrici
Di onnipossenti....
. . . . . . . . . . . . . . . .
Sai come s'arrabatta esta genìa,
Che ambizïosa, obbliqua entra e penètra
E fora e s'apre ai primi onor la via.
Il poeta, signore, ha sfogato il suo nobile sdegno e si calma, perchè è da sperare che questa tregenda d'infamie sia finita. Sia finita? Oh sì! Quando finirà l'uomo!
[397] E un altro entusiasmo ora trascina il Monti. Ma chi glielo inspira? Napoleone! E chi vuole accusare il Monti pei suoi poemi napoleonici, il Prometeo, il Bardo, la Spada di Federico e la Palingenesi politica, rientri in sè o si guardi attorno e dica se spesso non ha visto gente più spassionata e di più astuto cervello del Monti scalmanarsi per personaggi centomila volte minori! Fossero pure falsi miraggi gli splendori del vice-regno napoleonico, ma certo è che fra quei miraggi la nostra coscienza politica ed un partito nazionale si venivano formando. Si vorrà forse dire che ciò non apparisce nei versi del Monti? Lo dirà chi non gli ha letti, perchè mai il nome sacro d'Italia suonò più alto che nei versi e nelle prose di lui e ad ogni occasione, anche quando allo stesso dominatore francese quel nome cominciava a dar ombra. Nella prolusione alle sue lezioni universitarie di Pavia nel 1803 (prolusione, che si direbbe lo schema del futuro libro del Primato di Vincenzo Gioberti) parlò sì alto e sì libero anche contro i Francesi, che la censura non ne permise la stampa, se non mutilata e mutata.
Riunitosi nel 1815 il Congresso di Vienna, che spartì i popoli come branchi di pecore, il Monti trovò ancora accenti nobili e degni, ma poco dopo cantò per l'Imperatore d'Austria il [398] Ritorno d'Astrea, e questa è senza dubbio, al pari della lettera al Salfi, una delle sue mancanze di carattere più ripugnanti. Non c'è scusa che tenga a tale viltà, ma non mi par giusto, ripeto, in mezzo ad un moto così grande di reazione Europea qual'è quello del '15, e mentre in Italia il regno napoleonico cadeva senza rimpianti e peggio fra vendette nefande e applausi, non di sola plebaglia prezzolata, agli alleati liberatori, non mi par giusto, dico, imprecar solo al Monti, quasi rappresentasse egli solo tanto stolta rapidità d'ingratitudine, d'obblìo e di nuove speranze.
Ben presto esso e gli altri dovettero ricredersi, e quanto al Monti in particolare, esso nel consacrare, alcuni anni dopo, al marchese Trivulzio uno de' suoi ultimi canti chiudeva così:
.... E s'ei dimanda
Come del viver mio si volga il corso,
Di' che ad umil ruscello egli è simìle,
Su le cui rive impetuosa e dura
I fior più cari la tempesta uccise.
Di quel po' che avea raggranellato, durante il regno italico, avea salvato appena qualche briccica. A sentir certuni, si direbbe essersi esso, nei nove anni, che quel regno durò, tuffato sino alla gola in tutte le voluttà sardanapaliche, che aveano ammollito e corrotto i proconsoli e i marescialli napoleonici, legittimi precursori di quelli, [399] che nei disastri francesi del 1870 si consolavano dicendo: “c'est égal! nous nous sommes bien amusés!„ In quella vece che cos'era stato il Monti in realtà? Un segretario senza segreti, un consulente non consultato, un professore senza cattedra, uno storiografo senza storia, un poeta Cesareo con un Cesare troppo affaccendato da badare a' poeti.
Contuttociò, dopo la Restaurazione, la carriera, anche letteraria, del Monti, si può considerare come finita, perchè poetò per piccole occasioni o in difesa della vecchia arte sua, come nell'elegantissimo sermone sulla Mitologia, o s'abbaruffò coi Cruscanti su quell'eterna questione della lingua, che gli Italiani, come se non avessero niente altro di meglio da fare, rinnovano quasi ad ogni età della loro storia. Ma nè a compire i poemi interrotti potea pensare, nè a tentarne di nuovi, e tutt'al più si deliziò, coll'incontentabilità del vecchio artista, d'andar sempre accarezzando e perfezionando le linee della Feroniade, il solo poema, che trascinò dalla gioventù fino ai suoi ultimi anni, senza compir mai neppur questo.
Bisogna dire però che la grande nomea del suo ingegno e la popolarità della sua gloria poetica non fossero stato punto oscurate presso i contemporanei dalle sue metamorfosi politiche, [400] delle quali menarono tanto scalpore critici e biografi posteriori, se il romanticismo lombardo, che era la forma letteraria del liberalismo nascente e dell'opposizione alla letteratura officiale, gli profferiva di diriger esso il Conciliatore, il famoso giornale-programma dell'arte nuova nel 1818; se due giovani, caldissimi d'amor patrio, come Silvio Pellico ed il Berchet, lo stimolavano ad entrar con essi nella setta dei Carbonari; se il Leopardi ed il Manzoni cercavano la sua approvazione ed il suo appoggio; se finalmente la Polizia Austriaca l'avea in sospetto e facea sorvegliare la sua corrispondenza col conte Giulio Perticari, suo genero, anch'esso in voce d'aderente alle cospirazioni marchigiane e romagnole.
Ma ormai il povero Monti non era più che l'ombra di sè stesso. Ogni speranza, ogni dolcezza, ogni gloria si concentravano per lui nella moglie e nella figlia Costanza, sposata nel '12 al Perticari, e per le cui nozze i poeti d'Italia incomodarono tutti i vecchi Dei dell'Olimpo.
La moglie però, Teresa Pickler, bellezza giunonica, e che il Cantù chiama ironicamente fior di virtù, nelle acerbe polemiche letterarie e politiche, combattute dal Monti, non fu risparmiata, e forse non era senza torti, se è vero che non fu del tutto insensibile alle marziali eleganze degli ufficiali francesi; se è vero che fu [401] l'eroina della prima redazione dell'Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, e che l'avarizia e l'avidità di lei furono cagione di più d'una delle debolezze politiche di Vincenzo Monti.
Comunque (e questo è l'importante) esso l'amò sempre tenerissimamente e la immortalò in quei versi soavissimi:
.... La stella
Del viver mio s'appressa
Al suo tramonto: ma sperar ti giovi
Che tutto io non morrò: pensa che un nome
Non oscuro io ti lascio, e tal che un giorno
Fra le italiche donne
Ti fia bel vanto il dire: “io fui l'amore
Del cantor di Bassville,
Del cantor che di care itale note
Vestì l'ira d'Achille.„
I disseppellitori implacabili di carte vecchie, i quali al primo brano di lettera un po' calda, in cui s'imbattono, d'una donna celebre ad un uomo celebre altrettanto, s'esaltano subito d'aver messa la mano su grandi arcani d'amori proibiti (sono i piccoli carnevali dei topi d'archivio e di biblioteca) fantasticarono, fra gli strappi del Monti alla fedeltà coniugale, anche di suoi amori colla baronessa di Staël, da lui conosciuta in Italia nel 1805; ma per poco che si conosca dell'indole e delle abitudini epistolari della famosa autrice di Corinna, si vedrà che non trattasi se non di [402] frasi e della passione consueta di quell'illustre donna di trarsi dietro aggiogati al suo carro trionfale tutti i più notevoli uomini del suo tempo e d'aver dato a tutti inspirazioni, consigli, conforti; specie di mecenatismo femmineo, civettuolo ed inconcludente, che di rado poi valica ne' suoi benefici certi confini.
Basti questo aneddoto. Il Monti e la Staël si scambiarono un giorno il dono d'un libro. Nel giorno stesso il Monti capita in visita dalla contessa Cicognara e ve lo depone, dicendo che sarebbe tornato a riprenderlo. Di lì a poco eccoti la Staël, che, dicendo lo stesso, vi depone il suo; ma tutti e due quei libri rimasero alla contessa Cicognara, e nè la Staël, nè il Monti si ricordarono mai più di ridomandarglieli.
Ben più della moglie del Monti è notevole figura di donna la sua figlia Costanza, che fu veramente il suo idolo. Era ingegnosa assai e un vero miracolo di bellezza, e con questi pregi ereditò anche il destino del padre d'essere fatta segno a molti amori di certo, ma anche ad odii feroci, perocchè alle colpe della mediocrità, che non dà ombra, s'usa misericordia, non a splendori d'ingegno e di bellezza, dai quali troppa gente si sente offuscata. Restò vedova nel 22 e fu accusata persino d'avere avvelenato il marito. Era una calunnia infame, ma fu creduta, e dovettero [403] scolparnela solennemente i suoi amici e vendicarnela il padre ne' suoi ultimi versi.
Il Monti morì nel '28, Costanza nel '40; e di tutte queste vicende del poeta, che ne' suoi versi, nella sua vita e in quella pure della sua famiglia rispecchiò più caratteristicamente d'ogni altro le vicende del suo tempo, il Niccolini faceva, non volendo, l'epilogo in una lettera al Maffei con queste parole: “in breve tempo il Monti, la sua moglie, la sua figlia sono spariti: pochi ne parlano, e i più di questi ne dicono male. Oh vanagloria delle umane grandezze!„
Nota del Trascrittore
Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.
Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
End of Project Gutenberg's Vincenzo Monti (1754-1828), by Ernesto Masi *** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK VINCENZO MONTI (1754-1828) *** ***** This file should be named 43180-h.htm or 43180-h.zip ***** This and all associated files of various formats will be found in: http://www.gutenberg.org/4/3/1/8/43180/ Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli, Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive) Updated editions will replace the previous one--the old editions will be renamed. Creating the works from public domain print editions means that no one owns a United States copyright in these works, so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United States without permission and without paying copyright royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part of this license, apply to copying and distributing Project Gutenberg-tm electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG-tm concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark, and may not be used if you charge for the eBooks, unless you receive specific permission. If you do not charge anything for copies of this eBook, complying with the rules is very easy. You may use this eBook for nearly any purpose such as creation of derivative works, reports, performances and research. They may be modified and printed and given away--you may do practically ANYTHING with public domain eBooks. Redistribution is subject to the trademark license, especially commercial redistribution. *** START: FULL LICENSE *** THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free distribution of electronic works, by using or distributing this work (or any other work associated in any way with the phrase "Project Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full Project Gutenberg-tm License (available with this file or online at http://gutenberg.org/license). Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg-tm electronic works 1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to and accept all the terms of this license and intellectual property (trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all the terms of this agreement, you must cease using and return or destroy all copies of Project Gutenberg-tm electronic works in your possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a Project Gutenberg-tm electronic work and you do not agree to be bound by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the person or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8. 1.B. "Project Gutenberg" is a registered trademark. It may only be used on or associated in any way with an electronic work by people who agree to be bound by the terms of this agreement. There are a few things that you can do with most Project Gutenberg-tm electronic works even without complying with the full terms of this agreement. See paragraph 1.C below. There are a lot of things you can do with Project Gutenberg-tm electronic works if you follow the terms of this agreement and help preserve free future access to Project Gutenberg-tm electronic works. See paragraph 1.E below. 1.C. The Project Gutenberg Literary Archive Foundation ("the Foundation" or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection of Project Gutenberg-tm electronic works. Nearly all the individual works in the collection are in the public domain in the United States. If an individual work is in the public domain in the United States and you are located in the United States, we do not claim a right to prevent you from copying, distributing, performing, displaying or creating derivative works based on the work as long as all references to Project Gutenberg are removed. Of course, we hope that you will support the Project Gutenberg-tm mission of promoting free access to electronic works by freely sharing Project Gutenberg-tm works in compliance with the terms of this agreement for keeping the Project Gutenberg-tm name associated with the work. You can easily comply with the terms of this agreement by keeping this work in the same format with its attached full Project Gutenberg-tm License when you share it without charge with others. 1.D. The copyright laws of the place where you are located also govern what you can do with this work. Copyright laws in most countries are in a constant state of change. If you are outside the United States, check the laws of your country in addition to the terms of this agreement before downloading, copying, displaying, performing, distributing or creating derivative works based on this work or any other Project Gutenberg-tm work. The Foundation makes no representations concerning the copyright status of any work in any country outside the United States. 1.E. Unless you have removed all references to Project Gutenberg: 1.E.1. The following sentence, with active links to, or other immediate access to, the full Project Gutenberg-tm License must appear prominently whenever any copy of a Project Gutenberg-tm work (any work on which the phrase "Project Gutenberg" appears, or with which the phrase "Project Gutenberg" is associated) is accessed, displayed, performed, viewed, copied or distributed: This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org/license 1.E.2. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is derived from the public domain (does not contain a notice indicating that it is posted with permission of the copyright holder), the work can be copied and distributed to anyone in the United States without paying any fees or charges. If you are redistributing or providing access to a work with the phrase "Project Gutenberg" associated with or appearing on the work, you must comply either with the requirements of paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 or obtain permission for the use of the work and the Project Gutenberg-tm trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or 1.E.9. 1.E.3. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is posted with the permission of the copyright holder, your use and distribution must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any additional terms imposed by the copyright holder. Additional terms will be linked to the Project Gutenberg-tm License for all works posted with the permission of the copyright holder found at the beginning of this work. 1.E.4. Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg-tm License terms from this work, or any files containing a part of this work or any other work associated with Project Gutenberg-tm. 1.E.5. Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this electronic work, or any part of this electronic work, without prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with active links or immediate access to the full terms of the Project Gutenberg-tm License. 1.E.6. You may convert to and distribute this work in any binary, compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including any word processing or hypertext form. However, if you provide access to or distribute copies of a Project Gutenberg-tm work in a format other than "Plain Vanilla ASCII" or other format used in the official version posted on the official Project Gutenberg-tm web site (www.gutenberg.org), you must, at no additional cost, fee or expense to the user, provide a copy, a means of exporting a copy, or a means of obtaining a copy upon request, of the work in its original "Plain Vanilla ASCII" or other form. Any alternate format must include the full Project Gutenberg-tm License as specified in paragraph 1.E.1. 1.E.7. Do not charge a fee for access to, viewing, displaying, performing, copying or distributing any Project Gutenberg-tm works unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9. 1.E.8. You may charge a reasonable fee for copies of or providing access to or distributing Project Gutenberg-tm electronic works provided that - You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from the use of Project Gutenberg-tm works calculated using the method you already use to calculate your applicable taxes. The fee is owed to the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, but he has agreed to donate royalties under this paragraph to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation. Royalty payments must be paid within 60 days following each date on which you prepare (or are legally required to prepare) your periodic tax returns. Royalty payments should be clearly marked as such and sent to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation at the address specified in Section 4, "Information about donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation." - You provide a full refund of any money paid by a user who notifies you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he does not agree to the terms of the full Project Gutenberg-tm License. You must require such a user to return or destroy all copies of the works possessed in a physical medium and discontinue all use of and all access to other copies of Project Gutenberg-tm works. - You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of any money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the electronic work is discovered and reported to you within 90 days of receipt of the work. - You comply with all other terms of this agreement for free distribution of Project Gutenberg-tm works. 1.E.9. If you wish to charge a fee or distribute a Project Gutenberg-tm electronic work or group of works on different terms than are set forth in this agreement, you must obtain permission in writing from both the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and Michael Hart, the owner of the Project Gutenberg-tm trademark. Contact the Foundation as set forth in Section 3 below. 1.F. 1.F.1. Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread public domain works in creating the Project Gutenberg-tm collection. Despite these efforts, Project Gutenberg-tm electronic works, and the medium on which they may be stored, may contain "Defects," such as, but not limited to, incomplete, inaccurate or corrupt data, transcription errors, a copyright or other intellectual property infringement, a defective or damaged disk or other medium, a computer virus, or computer codes that damage or cannot be read by your equipment. 1.F.2. LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the "Right of Replacement or Refund" described in paragraph 1.F.3, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, and any other party distributing a Project Gutenberg-tm electronic work under this agreement, disclaim all liability to you for damages, costs and expenses, including legal fees. YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE PROVIDED IN PARAGRAPH 1.F.3. YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH DAMAGE. 1.F.3. LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a written explanation to the person you received the work from. If you received the work on a physical medium, you must return the medium with your written explanation. The person or entity that provided you with the defective work may elect to provide a replacement copy in lieu of a refund. If you received the work electronically, the person or entity providing it to you may choose to give you a second opportunity to receive the work electronically in lieu of a refund. If the second copy is also defective, you may demand a refund in writing without further opportunities to fix the problem. 1.F.4. Except for the limited right of replacement or refund set forth in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS' WITH NO OTHER WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT LIMITED TO WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE. 1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied warranties or the exclusion or limitation of certain types of damages. If any disclaimer or limitation set forth in this agreement violates the law of the state applicable to this agreement, the agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or unenforceability of any provision of this agreement shall not void the remaining provisions. 1.F.6. INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in accordance with this agreement, and any volunteers associated with the production, promotion and distribution of Project Gutenberg-tm electronic works, harmless from all liability, costs and expenses, including legal fees, that arise directly or indirectly from any of the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this or any Project Gutenberg-tm work, (b) alteration, modification, or additions or deletions to any Project Gutenberg-tm work, and (c) any Defect you cause. Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg-tm Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of electronic works in formats readable by the widest variety of computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life. Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation web page at http://www.pglaf.org. Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Its 501(c)(3) letter is posted at http://pglaf.org/fundraising. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state's laws. The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S. Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered throughout numerous locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email business@pglaf.org. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation's web site and official page at http://pglaf.org For additional contact information: Dr. Gregory B. Newby Chief Executive and Director gbnewby@pglaf.org Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide spread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS. The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit http://pglaf.org While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate. International donations are gratefully accepted, but we cannot make any statements concerning tax treatment of donations received from outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff. Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation methods and addresses. Donations are accepted in a number of other ways including checks, online payments and credit card donations. To donate, please visit: http://pglaf.org/donate Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic works. Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be freely shared with anyone. For thirty years, he produced and distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support. Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper edition. Most people start at our Web site which has the main PG search facility: http://www.gutenberg.org This Web site includes information about Project Gutenberg-tm, including how to make donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.