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LIRICHE


LIRICHE

DI

GIUSEPPE MONTANELLI

Firenze
CO' TIPI DELLA GALILEIANA
1837


INDICE


al mio dolce amico
GIOVANNI BERTOLLI
di pisa
tolto sul fiore della vita
alla italia alle lettere
questi miei versi
consacro

O GIOVINE ADORNO D'OGNI ELETTA VIRTÙ
CHE DEI FILOSOFICI E POETICI STUDI
CULTORE ARDENTISSIMO
GRANDE SPERANZA DI TE SUSCITASTI
E NELLA ELVIRA TUA FESTI APERTO
QUANTO DI MELANCONICO E DI LEGGIADRO
ALLETTASSI NEL CUORE
QUESTO TARDO
MA SINCERO TESTIMONIO DI AFFETTO
IO DEPONGO SUL TUO SEPOLCRO
BAGNATO DALLA LACRIMA
DI QUANTI HANNO
INTELLETTO DI AMORE.

[5]

LA MADRE POVERA

Alta è la tenebra,

Torbido è il cielo,

L'aria è di gelo.

Sui figli l'aquila

L'ali distende,

Ma quella misera

Con che difende

Il pargoletto

Che accoglie al petto?

Sopra le soglie

D'un tempio assidesi;

E il rigido aere

Or col respiro

Or colla mano

Gli tempra — invano!

[6]

«Qual se m'avesse maledetta Iddio

«La gente mi scacciò!

«Crudeli! supplicando il labbro mio

«Che mai vi domandò?

«Un ricovero a questo sventurato

«Che il suo destin non sà;

«Lo vedeste dal gelo assiderato,

«E non trovò pietà!

«Sol, che avvivi nel mattino

«Il più languido tra i fior,

«Sul mio povero bambino

«Spargi un raggio animator.

Prima che spunti il sole

L'aere è più crudo: e l'infelice mira

Pietosamente senza moto il figlio

Che qual reciso giglio

Piega il capo sul petto, e non respira.

[7]

DAVANTI AL CIMITERO DELLA TERRA NATALE

Se mai di quel delubro un dì le soglie

Varchi il mio stanco frale, ed il riposo

Della tomba colà vegliato aspetti,

Forse anche allor sarà limpido il cielo.

Olezzante la terra, e rallegrato

L'aere dai canti. — Il viator solingo

Tra i cipressi vedrà splender la face

Alla mia bara accesa; e quando il sole

Schiari la terra scenderò nel fondo

Della scavata fossa. — O primo raggio

Che rider fai la valle, il monte, il fiume

D'un riso che somiglia all'innocenza,

Sulla gelida mia fronte ti posa!....

E già la matutina aura vivace

Svegliò il languido fior; già tra le amate

Frasche l'ilare augel cantando il giorno

Svolazza, e al suono delle sacre torri

Il cittadino romorìo s'innova;

Io sol fra tutti non mi sveglio, e intanto

La terra sopra il mio sonno si chiude.

Ah mi rimembra i dì che fanciulletto

Presso alla madre mia dinanzi a queste

Mura passando ella dicea: — De' nostri

Cari parenti le ossa han qui riposo,

[8]

Preghiam pace agli estinti; — e inginocchiato

Colle man giunte mormorai la prece

Che m'insegnò quella gentile. — Un giorno,

Mentre i monti tingea raggio morente,

Appressarsi vedemmo al cimitero

Stuol di fanciulle in bianco velo; a due

A due moveano il piè tardo per via

Sommessamente orando, e sulla bara

Dalle più giovanette sostenuta

Tra ghirlande di gigli e di viole

Era un fanciullo... A quella vista il tetro

Pensier di morte m'assalì la mente,

Strinsi la mano della madre, e piansi.

[9]

SALUTO A' QUATTRO POETI ITALIANI

A SILVESTRO CENTOFANTI.

DANTE

A Te fu soglio il giogo d'Appennino,

E sul capo di Lei che ti diè guerra

Qual tuon s'avvolse un cantico divino.

Sparsero i quattro venti sulla terra

Quante bestemmie, preghiere, concenti

Il trino spirital mondo rinserra;

E forse un giorno i sacri monumenti,

Che sorgon quai montagne adamantine

Del tempo a rintuzzar l'onde irrompenti,

Fien sassi ingombri d'edera e di spine,

Tra i quai melode spargerà notturna

L'alato abitator delle ruine.

Ma finchè non s'accenda la diurna

Lampa sopra la terra inabitata,

Qual face nell'orror muto dell'urna,

Come sul mar serenità stellata

Risplenderà sull'alme la novella

Parola dal tuo raggio illuminata,

O Imperator dell'itala favella.

[10]

PETRARCA

Come usignolo che soave canti

Allor ch'estivo raggio il suol percuote

È dolce al viator su' cui sembianti

Scherzano le ombre che la brezza scuote;

Tal se malinconia chiama gli erranti

Miei passi in valli a profan piede ignote,

De' tuoi diversi modulati pianti,

O Petrarca, m'è dolce udir le note.

E allora dalla pagina dolente

Levando il guardo all'irraggiato empiro,

Che si curva su me serenamente,

Esclamo — Italia! oh con quanto sospiro

Ei ti bramò più lieta; e ancor la gente

Sospirando ripete il bel desiro.

[11]

ARIOSTO E TASSO

O prima età del rinnovato mondo,

Rigogliosa d'eventi e di valore,

In cui fremea qual del caosse in fondo

La battaglia dell'odio e dell'amore;

Poichè Italia restò, come infecondo

Arbor, spogliata dell'antico onore,

A lei si pose tua grand'ombra accanto,

E dei poeti le parlò col canto.

Lieve volando come augel sull'onde

Lodovico vedea correre armati

Per mar, per monti e tra selvose fronde

Gli antichi cavalieri innamorati;

E femmine lascive e vereconde,

E spechi e larve e corridori alati

Agitava nell'alta fantasia

Tutta ardir, tutta luce e melodia.

Vide Torquato abbandonate ai venti

Le sacre insegne della gloria avita

Per gli assiri vagar campi fiorenti,

Mentre la fede il gran Sepolcro addita. —

D'amore inebbriato in carmi ardenti

Armonizzò la tempestosa vita;

E il genio in lui com'aquila in ritorte

Tanto si scosse che gli diè la morte.

[12]

Come due torri poste sul confine

Che una dall'altra region diparte

Spirto voi daste, o fantasie divine,

A tromba che squillò per ogni parte;

E della spenta età, le cui ruine

Giaccion quai membra di gigante sparte,

A noi, crescente procellosa etate,

La fè, il valor, le cortesie narrate.

[13]

L'AVE MARIA DELLA MATTINA

A G. P. VIEUSSEUX.

Il povero alla luce apre le ciglia

Sotto la chioma d'una querce annosa,

E lentamente colla sua famiglia

Vassene alla città che ancor riposa. —

Supplicando il signore a cui somiglia

Perchè si stenda a lui mano amorosa

Unico omaggio gli consacra — il pianto,

E i grami figli che gli stanno accanto. —

Presso alle strade ond'ei passa si desta

Intanto la famiglia dei cultori;

Qual con ampio cappello sulla testa

Ricomincia nel campo i suoi lavori;

Ed altri va con più pulita vesta

Alla città recando e frutta e fiori:

Lieta come armonia di primavera

Del popolo campestre è la preghiera.

Ma si risveglia sul diserto mare

Malinconicamente il navigante,

Cui tristezza maggior punge se appare

Nuvola minacciosa al sole innante;

Che teme più non riveder le care

Sembianze di colei che mesta, ansante

Al nuovo giorno va sul lido, e guata

Se ancor biancheggi la vela invocata.

[14]

Oh quanto ad ambidue tarda il momento

Che una medesma squilla li risvegli!

Ella alzando le braccia al firmamento

Sola davanti all'Oceano, ed egli

Sua voce unendo al supplice concento

D'altri raminghi giovanetti e vegli,

Muovon preci, che giunte oltre le stelle

Si dan l'amplesso come due sorelle. —

E ben di lor più misero è il giacente

Su nudo legno prigionier che scuote

La grave testa, allor che fiocamente

D'alto cadendo un raggio lo percuote.

Mentre d'intorno a lui l'astro nascente

È festeggiato da giulive note,

Giunte le palme, l'inno della spene

Egli accorda al fragor delle catene.

Oh, te beata, che in solinga cella

Di nero saio le tue membra ammanti,

Appena dal dì vinta è la facella,

Che per te veglia a sacra effigie innanti

Come astro cui non vela la procella,

Queta in mezzo a città romoreggianti

Invochi il giorno che il tuo bianco velo

Al serto ceda che s'intreccia in cielo.

E or lassù di cherubi eletto stuolo

Alla Madre di Dio s'aggira intorno;

Qual le reca la lacrima del duolo,

Quale una rosa che spuntò col giorno;

Altri sciogliendo roteante volo

Di canti allegran l'immortal soggiorno:

Ma più d'ogni altro don cara a Maria

De' matutini preghi è l'armonìa.

[15]

L'AVE MARIA DELLA SERA

A PIETRO BASTOGI.

E che lo nuovo peregrin d'amore

Punge se ode squilla di lontano

Che paja il giorno pianger che si muore.

Come sospir di vergine amorosa,

Che lontan sente il suo fedele e plora,

M'aleggia intorno un'aura rugiadosa

Che di malinconia l'anima irrora:

E in vagheggiar la nube vaporosa

Rosseggiante nel ciel, che si scolora,

E nell'udir dei villanelli il canto

Sento un piacer che si distempra in pianto.

E mentre piango, e l'occhio lacrimoso

Scorre sulla mestissima campagna,

Il colono che torna al suo riposo

Umile mi saluta e m'accompagna.

Or del soverchio ardore, or del piovoso

Tempo in semplice dir meco si lagna;

E dopo breve tratto un nuovo addio

Mi volge, e resta nel casal natio.

[16]

Solo il cammin proseguo — e la campana,

Che annunzia l'agonia del dì che muore,

Qual voce di notturna eco lontana

Va per gli orecchi flebilmente al cuore;

Ai lenti tocchi la famiglia umana

Supplice il pensier leva al suo Fattore,

E nella dubbia luce vespertina

Alle imagini sue l'alma è divina. —

Il giovinetto a cui ride speranza

Come sole in estivo etere ardente,

Benchè mesta del ciel sia la sembianza

Palpitar di mestizia il cor non sente;

E mentre il passo irrequieto avanza

Abbandonato ad estasi ridente,

Nel paradiso suo di gloria ornato

Splender vede un bel volto innamorato. —

Tempo forse verrà che alto cimento

Lunge lo tragga dalle sue dimore,

E forte di magnanimo ardimento

Seguirà lo stendardo dell'onore;

Ma quando fia che lieto ondeggi al vento

Il segno di vittoria annunziatore,

Sul consorte destrier farà ritorno

Alle dolcezze del natio soggiorno.

E nell'ora che il bruno aere percuote

La squilla della notte messaggiera,

Rischiarerà sembianze a lui già note

Il moribondo raggio della sera.

Calde di pianto le rugose gote

Tra i fidi amici dell'età primiera

Lo accoglieranno i genitor cadenti.

Alternando coi baci i lieti accenti. —

[17]

In altra etade mentre il sol declina

Vago di respirare aura più pura,

La procellosa cura cittadina

Queterà nel silenzio di natura;

E dal declivo della sua collina

Lieta di sparse ville e di verdura,

Colla consorte al fianco e i figli intorno

Udrà l'addio che dan le torri al giorno.

Ma l'uom, che al tempo dell'età fiorita

Tai speranze allettò nel vergin core,

E poscia nel cammin di nostra vita

Fra mille spine non rinvenne un fiore,

Tal che sovente a lacrimar lo invita

Una tristezza che non è dolore,

Ad altre fantasie l'alma abbandona,

Mentre la squilla lentamente suona.

E le ore impazienti di riposo

Rimembra del mattin di sua giornata;

E il palpitar del core impetuoso,

E i sogni della mente inebbriata;

E della madre lo sguardo pietoso,

E le sembianze della donna amata;

Ed il piacer che gli piovea nel petto

Lo stringer d'una mano, un guardo, un detto.

Ah troppo presto mosse la procella

Ad offuscar di sua vita il sereno,

E della lode la gentil favella

Ch'eccitatrice gli scaldava il seno;

E l'amistà che intemerata e bella

Gli dava il bacio di dolcezza pieno,

Poichè il sospetto se gli pose allato,

Più non ebber per lui l'incanto usato.

[18]

Or di grave mestizia lo confonde

L'idea dei cari che la morte ha spenti;

Ed alla terra che il lor fral nasconde

Immoti affisa i rai di pianto ardenti.

Poi se vicino a lui tra fronde e fronde

L'usignol rinnovella i suoi concenti,

Quasi d'un'immortal bellezza in traccia

Novellamente al ciel leva la faccia.

E gli astri vede.... ma simili al fiore

Che era l'amor dell'aura mattutina,

E che or senza vermiglio e senza odore

Il capo al suol languidamente inchina,

Perderanno le stelle il lor fulgore

Nella notte dell'ultima ruina....

E spenti del maggior lume vivace

I rai saranno come inutil face.

Oh mille volte più infelice e mille

Quei che lontano dall'ostello avito

Ode suonar le vespertine squille,

Mentre del mar solingo erra sul lito.

Ai mesti tocchi, dalle sue pupille

Scoppia il dolor dell'animo smarrito,

E va dicendo tra i sospiri e i lai,

— O patria mia non ti vedrò più mai! —

La campana che ascolta ah non è quella

Che il pargoletto orecchio gli molcea,

E quando al tempo della vita bella

D'amorosi pensier l'alma pascea;

E nell'ora che appar la prima stella

La sua diletta riveder solea:

Un'altra squilla gli suonava in core

Il sospirato istante dell'amore.

[19]

Sull'ali della speme egli sen vola

Alle bramate invan sponde natie,

E di soavità l'alma consola

Col dolce aspetto delle patrie vie:

Vede i più cari, e n'ode la parola

Qual per lui risuonava in altro die,

Ed il monte rimira e la vallea

Ond'estatico il guardo al ciel volgea.

Ma simile a colui che da molesta

Cura turbato al sonno chiuse i rai,

E allor che esterrefatto si ridesta

Più acerbi sente rinnovar suoi guai,

Al tornar dell'imagine funesta

L'esule ricomincia i primi lai,

E vede ovunque volga umido il ciglio

La dolorosa terra dell'esiglio.

O Poeta dell'italo destino,

Tu ben provasti quanto sia dolente

All'orecchio del nuovo pellegrino

Una squilla che pianga il dì morente.

Ed io, che al raggio del Cantor divino

Con giovanil disio scaldo la mente,

Spesso del mesto cor nel più segreto

Quei lamentosi tuoi carmi ripeto.

Parmi vederti della patria mia

Sdegnoso correr la pianura, il monte,

E mentre del pianeta che va via

L'ultimo raggio ti balena in fronte,

Sgorgan torrenti d'itala armonia

Del genio tuo dall'agitato fonte. —

Bella, ardente, immortale al par del sole

Sarà la luce delle tue parole.

[20]

LA CAMPANA DEL DE PROFUNDIS

A GINO CAPPONI.

Addormentata tace la campagna,

E il villan del lavoro si riposa

Seduto al fianco della sua compagna.

E mentre con melode lamentosa

Nel pargolo giacente che si duole

Alletta il sonno la madre amorosa;

Intorno al fuoco con antiche fole

Ricurva ed abbronzata vecchiarella

Trattien del figlio la più adulta prole.

Sovente il suon di supplice favella

E i latrati del vigile mastino

Interrompon la flebile novella;

E dal digiuno vinto e dal cammino

Di fuor sommessamente un vecchio esclama:

— Date asilo allo stanco pellegrino. —

Ti consola, o buon vecchio, ogni tua brama

Sarà contenta nell'umile ostello

Dove in ruvide spoglie è un cuor che ama.

Ma nelle vie più quete del castello,

Da lampada notturna rischiarate,

Invan cerca un albergo il poverello. —

E con note dal pianto accompagnate

Oh quante volte un fanciulletto ansante

Affretta il passo ad implorar pietate,

[21]

Mentre la vedovella lacrimante

Ristà più lunge, e quel prego seconda

Con interrotta voce tremolante.

Ora che popoli

Di stelle il cielo,

E della tenebra

Distendi il velo

Sulle città,

Tu sei propizia

Al masnadiero

Che dietro al cespite

Presso al sentiero

S'appiatterà.

E per te provido

Sonno le ambasce

Queta, e di rosei

Sogni si pasce

Giovin beltà;

Ma il genio indomito

Dell'inspirato

Veglia, e per l'ampio

Campo stellato

Volando và.

Allor che il cigolar delle quadrighe

Più non s'udrà, nè calpestio d'umani,

Ma sol del gufo il gemito interrotto

E l'abbajar dei veltri, e il gorgoglío

Delle fontane, e lo stormir dei rami

Turberanno la queta aura notturna

Rapito anch'io viaggierò nel cielo.

[22]

Or lo squillo lento lento

Che per l'aere si diffonde

Degli estinti par l'accento,

E c'inviti a lacrimar.

O cadente genitore,

Che sostegno più non hai,

I misteri del dolore

Vien fra le urne a celebrar.

Come spica verdeggiante

Il diletto tuo crescea,

E il tuo crine biancheggiante

Parea nato a carezzar;

E a fruir de' tuoi sudori,

E a donarti il bacio estremo,

E di lacrime e di fiori

La tua polve a consolar.

Veni, o donna sconsolata,

Nello squallido ricinto

Dove un'aura innamorata

Mestamente carezzò

La viola scolorita,

Che sul cener del tuo fido

Di tue lacrime nutrita

Soavissima spuntò.

Sotto un salice piangente,

Tra un cipresso ed una croce

Della vergine dolente

È sepolto l'avvenir;

E quel nome che nel petto

Ti scolpia la man d'amore.

Che del padre nel cospetto

Non osavi proferir;

[23]

Che dipinse il tuo sembiante

Mille volte di vermiglio

Quando il core palpitante

Dall'altrui labbro lo udì:

Ah quel nome! a questo e a quello

Or domanda una preghiera,

E la morte, d'un avello

Sulla pietra lo scolpì.

O voi tutti, da crudele

Fato umano combattuti

Che quai navi senza vele

Viaggiate in questo mar,

Sulla tomba in cui riposa

Un diletto a voi rapito

In quest'ora tenebrosa

Deh venite a lacrimar.

E tu perchè sì presto, o Madre mia,

Abbandonasti sulla terra un figlio

Che dolorosamente ti desia?

Involontaria lacrima sul ciglio

Mi spunta, e il cor mi palpita nel petto

Se a ragionar di te mi riconsiglio.

O rimembranze del sereno aspetto,

E delle voci dall'amor dettate,

E degli amplessi del materno affetto;

Voi nell'anima mia vi riposate,

Come nel sen di giovinetto ardente

Verginali sembianze innamorate.

E quando favellar soavemente

Odo una madre coll'amata prole,

Che nel medesmo palpito consente;

[24]

E il suon delle dolcissime parole

In quell'età beata mi trasporta

Che con rammarco rimembrar si suole,

Una voce repente mi sconforta

E mi dice — colei che le tue voglie

Allor quetava, ah troppo presto è morta! —

Ma più non ci attristi l'orror della fossa.

Vedete quegli astri? — qui polvere ed ossa....

I nostri diletti saliron lassù.

E già de' futuri già sanno il destino,

Proteggon le genti che sono in cammino,

Compreser gli arcani del tempo che fu.

Il gemito, o Padre, che t'esce dal seno

Fra gl'inni che allegran l'eterno sereno

Del figlio beato s'accoglie nel cor,

E mentre lo credi qui dentro sepolto

Ei dice all'Eterno con supplice volto

— Consola il martiro del mio genitor. —

Non muore disperso sull'aura notturna

Che lene sussurra tra i salci dell'urna,

O Donna, il sospiro del petto fedel;

E al par dei sospiri che al tempo giocondo

Sfogavan la piena del sen verecondo

È caro al tuo fido che t'ama dal ciel.

E suona oltre il regno dei mondi lucenti

O madre, la voce degl'inni gementi

Ond'io disacerbo l'immenso martir:

Mi vedi se assorto m'ispiro al creato,

Mi vedi se ai mesti favello inspirato,

Mi vedi se fervo di santo desir.......

[25]

E quando varcate le nubi e le stelle

Non cupo rimbombo d'umane favelle,

Ma l'eco dei cieli per noi suonerà:

Udremo la voce de' nostri diletti. —

O spirti, diranno, tra gli angeli eletti

Venite alla gioia che fine non ha —

Siccome il torrente precipita al piano,

E il fiume va in traccia del vasto oceano,

E un porto sospira la nave nel mar,

Sospinte nostr'alme da vago disio

Sospiran la pace ch'è in grembo di Dio.

Ah quando i diletti potremo abbracciar?

[26]

RIMEMBRANZE D'INFANZIA

O care soglie dell'ostello avito!

Dite, dite i consigli

E i voti e i preghi che con mesto affetto

La Madre a me volgea,

Allor che fui rapito

Ancor fanciullo al suo grembo diletto.

— Fuggi, sclamò, i perigli

Ond'è piena la vita, e qual partisti

A me ritorna affettuoso e puro; —

Poi nell'estremo istante

Per man mi prese; il suo congiunse al mio

Labbro tutta tremante,

E fra i singulti risuonò l'addio.

Cigolaron le rote; il guardo estremo

Diedi al tetto paterno,

E coi cenni del volto e della mano

Al suon risposi dell'addio lontano.

Ma tu, giorno sereno,

Che il figlio sospirato

Della donna gentil rendesti al seno,

Dal confin del passato

Sfolgorante t'affaccia al mio pensiero.

Quando il bramato raggio

Sulla vegliata coltre alfin battea,

[27]

Salve, salve, io dicea,

Beatissimo dì! nel tuo viaggio

Mi vedrai consolato!

Perchè di penne armato

Il cavallo non era, e qual baleno

Non volai sul terreno?

Allor che di lontano al guardo apparve

Il nativo castello, e sulle antiche

Torri, e sui rudi tetti,

E sulle verdi collinette apriche

Morir vidi del sole il raggio estremo,

La piena degli affetti

Con più tumulto m'ondeggiò nel seno.

Forse chi m'era appresso

Nelle tronche parole in quell'istante

Il commosso sentia spirto ondeggiante.

Tregua, tregua al disio — la man percuote

L'umil porta degli avi; e a quel rimbombo

La Madre si riscuote. —

Nella sala paterna il nome mio

Festeggiato risuona, e tre dilette

Sorelle picciolette

Muovon dall'alto frettolose il piede. —

Qual mi si slancia al collo, e quale il fianco

Colle palme m'abbraccia, e qual si vede

Saltellarmi dinante:

Nel materno sembiante

Alfin l'alma si sazia, e la consola

Una dolcezza che non ha parola.

[28]

IL SALICE

La tua fronte il ciel non guata;

Baci il suol languidamente;

E sei l'arbor destinata

I sepolcri ad ombreggiar.

Di tue foglie il verde è bello

Se si specchia in queto rio,

Ma sul marmo d'un avello

L'ombra tua più sacra appar.

Ah! dai colpi lo difendi

Di procella struggitrice!

Solo il varco non contendi

Della luna allo splendor;

E mentr'ella qual pietoso

Volto guata il cimitero

Su te canti lamentoso

Il notturno volator.

Un magnanimo Possente

Cui fu carcer l'oceano

La sua tomba mai non sente

D'un sospiro consolar.

Ma tu pieghi i rami mesti

Su quell'urna illacrimata,

Tu che un giorno lo vedesti

Penseroso in riva al mar.

[29]

Spesso memore nocchiero

Tra le sacre aure s'aggira

Che dell'esule Guerriero

Ebber l'ultimo sospir;

E se all'urna s'avvicina

Ode i passi d'una scolta,

L'ulular della marina,

E de' tuoi rami il fremir.

[30]

LA TROVATELLA

Infelice trovatella!

Malinconico sorriso

Sorvolando il tuo bel viso

Con amor mi salutò.

Quante cose a me dicea

Quel sorriso in sua favella!

Sì t'intesi, o trovatella,

E il mio ciglio lacrimò.

Non hai nome, non hai tetto

E non sai qual sen t'accolse....

Nata appena ti ravvolse

Entro un velo ignota man:

E lasciata nella notte

Sulle selci del cammino

Fin al sorger del mattino

Invocasti aiuto invan.

Qui raccolta fra gli stenti

Sei cresciuta, o trovatella:

Ah la faccia tua sì bella

Come presto impallidì!

Non suonò sulla tua cuna

Mai di madre il pio concento;

Sventurata! al tuo lamento

Mai niun cor s'intenerì.

[31]

E tra poco vagherai

Sola sola tra le genti

Come foglia in preda ai venti,

Come sperso viator.

Forse.... ah l'orrido pensiero

Che nell'anima si desta

Crudelmente mi funesta!....

Deh su lei veglia, o Signor.

[32]

PER UN NUOVO PONTE SULL'ARNO

(Concepito da Pietro Martini di Fucecchio, giovine architetto di alte speranze, morto sul fiore dell'età, ed eseguito con proprio disegno da Ridolfo Castinelli di Pisa. Durante l'esecuzione, a questo ultimo mancarono due cari figli, onde rimase sconsolatissimo senza prole. Il ponte è collocato in luogo da cui si vede Vinci, patria di Leonardo, i poggi di Cerreto, villa Medicea celebre per la morte d'Isabella, ec., ec., Empoli ove Farinata si oppose al ghibellino disegno di spianare Firenze).

Ed io lo vidi nell'estremo istante!

Io lo udii delirante!

E mentre i cari amici

Facean corona al doloroso letto,

E il Dio degli infelici

Gli posava sul petto,

Ei la turba vedea degli operanti

Nel lavoro sudanti,

Ed or con rauca voce

Quella turba animava,

Or con le scarne braccia

Le contrapposte forze equilibrava. —

[33]

La gente allor dicea

— Con lui morrà la generosa idea. —

Ma tu, Ridolfo mio,

Tu di morte all'artiglio la rapisti

Poichè in grembo di Dio

L'ali raccolse il giovine compianto;

E con nuovo artificio

La grand'opra compisti

Onde ti vien da mille labbri il vanto.

Oh qual strale tremendo,

Mentre vegliavi sulla cara mole

Come una madre sull'infante prole,

Nel più vivo dell'alma ti trafisse!

Sì t'intendo, t'intendo.........

Ma lascia, o Padre orbato,

Lascia allo stuolo degli amici il pianto

E dell'Arte nel seno

Sfoga gli affetti onde il tuo core è pieno.

Queste colline apriche

Ov'è sì dolce l'agonia del giorno,

Queste castella antiche

Tra la verdura torreggianti intorno,

Allegreranno i rai

D'estranio viatore

Che arresterà sul nuovo Ponte i passi.

A questo aere sereno

Di Leonardo il seno

S'apria qual rosa al matutino albore;

E su quella pendice

Strangolata peria dal suo tiranno

Una sposa infelice;

E là seduto a cittadino scranno

[34]

Farinata salvava

Dall'incendio delle ire ghibelline

Le gigantesche moli fiorentine.

Allor che il verno infurierà più crudo,

E scalzo contadino,

E industre mercatore,

E stanco pellegrino,

Non più da questi liti

Su lenta nave il fiume varcheranno

Tremanti irrigiditi,

Il nome tuo fra gl'inni dell'affetto

Suonerà benedetto.

Ah perchè lo straniero

Che dall'alpe discende

A meditar sull'italo mistero;

Sorger non vede a mille

Le moli delle antiche emulatici?

E spreca i suoi tesori

La tralignata gente

In lascivie di mimi e di cantori?

Quando nella più cupa ora tacente

A quei delubri aviti

Che immoti al par del sole

Aspetteranno i secoli, m'inspiro,

In lor della gigante

Età che li creò l'ombra rimiro.

Ma che dirà dinante

Alla fragil beltà di nostre mura

Che mai dirà la poesia futura?

[35]

IL GIOVINE

Il Giovine

Qual chi seduto al rinascente giorno

D'una montagna sull'aurata cima

Ampio vede orizzonte a sè d'intorno

Che arcanamente l'anima sublima;

Tal'è il mio spirto. — O immenso azzurro vano

Inondato di raggi e di concenti,

O bei colori onde si veste il piano,

O flutti, o alpestri gioghi, o monumenti,

Virtù superna al vostro aperto sole

Mi sollevò da tenebroso fondo,

E a lei và l'ala delle mie parole

In mezzo a tutte l'armonie del mondo.

Il Sospetto

Quei che sembra a te dinante

D'ogni gioia tua goder,

Ha il sorriso nel sembiante

E il dispetto nel pensier.

La Morte

Non vedesti quella schiera

Che vicina a te passò

[36]

Mormorando una preghiera?

Vieni al tempio ov'ella entrò.

S'alza il panno d'una bara,

Ed un lugubre splendor

Faccia immobile rischiara

Che par vinta nel sopor.

T'avvicina — egli fioria

Giovinetto al par di tè,

Quanto senti ei pur sentia

Cadde infermo, e più non è.

La Distruzione

Ve' quel monte? ai nuovi rai

In vermiglio pinto appar;

Ma tra poco lo vedrai

Infuocata onda eruttar.

E saette il ciel disserra

Sull'altera umanità;

Nelle sue febbri la terra

Trema, e inghiotte le città.

Il Giovine

Floride piaggie, azzurro ciel raggiante

Sognava inebbriato il mio pensiero:

Ma sol scheletri vede a sè dinante

Or che dal sogno si destò nel vero.

E me tranquillo qual marina calma

Crede chi guata la fronte serena;

Ah non sa il mondo che mi piange l'alma,

Mentre il riso sul volto mi balena!

[37]

La Speranza

E perchè a terra pieghi la fronte

Nel bel teatro che Dio ti fè?

Degli inspirati vieni sul monte

E il tuo destino saprai qual'è.

Vedi quegli astri! Son mondi erranti

Perennemente d'intorno al sol;

E sopra gli astri schiere di santi

E di cherubi spiegano il vol.

Dal ciel discesa l'alma immortale

Di prova in prova passa quaggiù,

E quando all'alta patria risale

Le fan ghirlanda le sue virtù.

Pria che tu levi l'ala da terra

In gran battaglia dovrai pugnar:

Sarà tremenda l'ultima guerra,

Ma lieto giorno vedo albeggiar.

Allor dei templi tra le colonne

Incoronati tutti di fior

Vecchi, fanciulli, giovani e donne

Alterneranno canti d'amor;

E la parola degli inspirati

Sopra le genti si spanderà

Qual sui marini flutti placati

Ampia si spande serenità.

[38]

LA SPOSA DEL RICCO

Al verecondo raggio

Della sorgente luna

Alta magion si specchia

In placida laguna.

Delle ampie sale l'aere

Profondamente tace;

Sol di notturna face

Al debile chiaror

In solitaria stanza

Siede una giovin sposa,

E sulla destra in languido

Atto la fronte posa.

Aperte son le pagine

Onde tentava invano

Porger conforto arcano

Al combattuto cor;

E solo in quel silenzio

Lene alitar si sente

D'addormentato parvolo

L'anelito frequente.

Oh qual pesa sull'anima,

Di lei crudel martiro!

Difficile il respiro

Sprigionasi dal sen.....

[39]

Sorge, al balcon s'affaccia

Cercando aura più pura,

E pensierosa, immobile

Contempla la natura —

Suona delle onde il murmure

E un odoroso fiato

il crine inanellato

Ad agitar le vien.

«Perchè festevole

«Al mio pensiero

«T'affacci, o vergine,

«Dal piè leggiero

«Dal vel che ogn'aura

«Lieve carezza

«Dal crin che olezza

«Come il mattin?

«Quando di rosea

«Veste ammantata

«Varchi di splendida

«Sala l'entrata,

«S'alza nell'ilare

«Stuolo un bisbiglio,

«Ed ogni ciglio

«S'affisa in te.

«Son io la stessa? oh come disadorna

«È la pianta che lieta un dì fioria!

«La stagione dei fiori a me ritorna....

«Ma dove andò la primavera mia?

«Infelice! il genitore

«Qual vil merce m'ha venduta

«Alle voglie d'un signore

«Che sua sposa mi nomò.

[40]

«E nel dì che trasportato

«Da brittannici destrieri

«Alto cocchio inargentato

«Al palagio mi recò

«Del novello mio consorte,

«Chi non disse — Oh lei felice

«Che varcate quelle porte

«Non saprà che sia dolor! —

«Ma che val della ricchezza

«Lo splendore invidiato

«Se non è la giovinezza

«Consolata dall'amor?

«Era a questa simigliante

«Quella notte avventurosa

«Che in quell'astro tremolante

«Il mio sguardo si fissò

«Teco, o C..., e si smarria

«La nostr'alma nell'empiro;

«In sul sen la fronte mia

«Lievemente si posò!

«. . . . . . . . . . . . . . . .

«. . . . . . . . . . . . . . .

«. . . . . . . . . . . . . . .

«. . . . . . . . . . . . . . .

«O Fanciulla dei campi abitatrice

«Quanto sei più felice!

«Nel dì che un umil tetto

«S'allegrerà del tuo riso di sposa,

«Di gemme peregrine

«Ghirlanda non avrai sul biondo crine,

«Ma porterai sul petto

«D'aprile il più bel fiore

«Rapito ai campi dalla man d'amore.

[41]

Da un improvviso tremito

Perchè scossa è la bella,

Qual per fragor di fulmine,

Smarrita tortorella?

Diè un rimbombo la porta dorata,

Nel grand'atrio il mastino latrò,

Suona un'ora di notte avanzata,

Il consorte dall'orgia tornò.

[42]

IL POETA CIECO

A G. BATTISTA NICCOLINI

I. Sopra un colle al levarsi del sole.

Il Poeta

La faccia mia sia volta all'oriente: —

E tu dimmi che vedi, or che la brezza

Del sol foriera mormorar si sente.

Il Fanciullo

Vedo una barca

Che il lago varca.

Là sulla via

Un villanello

Và lento lento

Verso il castello.

Di pianta in pianta

L'augel che canta

Svolazza, e limpide

Stille dai rami

Cadono al suol.

[43]

A noi di fronte

Sol vedo il monte

Che appar turchino

Come tranquillo

Flutto marino:

Inargentato

Splendidamente

E l'oriente....

Vedo una nuvola!...

Ah padre mio

Si leva il sol!

Il Poeta

Sì lo sento — e allor che il nuovo

Sole, o patria, in te fiammeggia

Come dio nella sua reggia,

Il tuo ciel, le tue montagne

Il tuo pian, le tue marine

I castelli, le ruine,

Svegliano aura di speranza

Nel poeta che in suo core

Teco piange al tuo dolore!

Il caro pargolo

Che ancor riposa

Già l'amorosa

Madre guardò.

Al prigioniero

Nel duolo antico

Come un amico

Il dì tornò.

[44]

E l'uom dal debile

Fianco or non sente

L'età cadente

Su lui gravar.

Anche l'infermo

Cui speme è morta

Si riconforta

Nel sol che appar.

Tu pur lieve com'ala, o salma mia,

Diventi al matutino aere novello:

Ma che giova all'estinto che gli sia

Lieve la polve sparsa sull'avello?

Si spanderà dinanzi al gran pianeta

L'alito vaporoso della terra

Ora in vista scherzevole e quieta,

Or con tremendo sonito di guerra;

Rapidi come i palpiti del core

Gli uni sugli altri scoppieranno i lampi;

Poi l'arco del sereno annunziatore

Sorriderà sui desolati campi;

Coronerà le torri il sol cadente

D'un bel vermiglio dolcemente fioco;

Azzurro il monte, roseo l'occidente,

Tutte le nubi diverran di fuoco;

Gli astri confusi alle riverse piante

Tremoleranno in sen della laguna;

Or emula del sole, or simigliante

A lucid'arco sorgerà la luna;

Pria squallide le valli e la pianura,

Poi la virtù che terra e ciel trasmuta

Risveglierà le rose e la verzura....

Ma per quest'alma ogni sembianza è muta!

[45]

II. Nelle vie d'una città d'Italia all'ora di mezzogiorno.

Dei fanciulli lo stuol folleggiante

S'apre obliquo sentier clamoroso

Tra vegliardi dal fronte pensoso,

Tra garzoni dal volto seren,

Mentre il cieco rasenta le mura,

Col bastone tentando il terren.

Il Fanciullo

Giovine donna avvolta in bianco velo

Vicina a noi passò,

E le pupille sue color del cielo

Pietosa in te fissò,

Disse — Infelice! e pianger la mirai!

Il Poeta

Io non la vidi e non la vedrò mai!

Un picciolo piede com'aura leggiera,

Un guardo ove brilli sereno il pensiero,

Un crine diffuso su candido petto,

Un pallido aspetto,

Il cor del poeta facean palpitar! —

Ed or se voce intorno a me sonante

Com'arpa tocca da mirabil'arte

M'invoglia di conoscere il sembiante

Onde il soave accento si diparte,

[46]

L'alma dal sen si svelle disiante

Quasi l'abisso che da lui mi parte

Varcar s'affidi; e poi franta la spene

Riman qual prigionier nelle catene.

Ma ben del poeta lo sguardo si serra

Davanti ai codardi che calcan la terra

Impressa dell'orme d'antico valor,

Con fronte ombreggiato da crine odoroso

In cui non lampeggia pensier generoso,

Con riso che insulta dei forti al dolor. —

Chi tragge un sospiro guardando il sereno

Del ciel che si curva d'Italia sul seno

Qual volto d'amico su spenta beltà?

E invan tra l'olezzo di floridi piani,

O a piè di montagne che nutron vulcani

Danno ombre di gloria le antiche città. —

[47]

III. Sulla riva del mare — la sera —

Il Fanciullo

Alla torre noi siam dei prigionieri! —

Il Poeta

E che vedi sul mar? —

Il Fanciullo

Vele lontane! —

Il Poeta

Ma dove l'onda al ciel si ricongiunge

Non si stende una striscia porporina

Lungamente sui flutti?

Il Fanciullo

— Ah quanto è bella!

E un'altra striscia sopra lei si posa

Che somiglia al color della viola. —

Il Poeta

Or guarda il ciel — splende la luna?

[48]

Il Fanciullo

Un lieve

Velo di cerchio in guisa la circonda,

E a lei vicina tremola la stella.

Il Poeta

Qui ci arrestiam — di queste aure marine

Quanto m'è grato inebbriarmi il petto! —

E presso al mar s'asside — il figlio intanto

Va sull'arena di conchiglie in traccia,

O in barca irrequieta al lido avvinta

Entra, e coll'agil remo si trastulla.

Un Pescatore (cantando)

«Sempre vicina al lido

«Và questa navicella,

«Italia è troppo bella

«Io non la vuo' lasciar. —

«Prima che l'alba nasca

«Lasciando il tetto mio

«Degli astri al tremolio

«Gitto le reti in mar.

«E al mio ritorno i figli

«Con ilare sembiante

«La preda ancor guizzante

«Accorrono a mirar.

[49]

«Vada il nocchiero ardito

«Incontro alla procella:

«Italia è troppo bella

«Io non la vuo' lasciar.

Un Prigioniero (cantando)

«M'hai rapita la bellezza

«De' miei poggi, del mio sole,

«Della sposa la carezza,

«II sorriso della prole.

«Perchè l'ala del pensier

«È rimasta al prigionier?

Poi di lontane

Voci armonia

Suona sull'onde,

E a lor risponde

Altra armonia, —

Son naviganti

Son prigionieri

Che della sera

Fan la preghiera

Sacra a Maria. —

L'augel notturno

Flebilemente

Cantar si sente;

E i doppi ferri

Della prigion

Da mano vigile

Percossi mandano

Lugubre suon.

[50]

Il Poeta

Del pescator la melodia si tace,

Muore sull'aura il prego del nocchier;

Quetò la rondinella il vol loquace,

E più non si lamenta il prigionier.

Ah conosco la notturna

Ora all'aere taciturna,

Interrotta sol dal murmure

Del tranquillo mar che frange,

Simigliante ad uom che piange.

La conosco: e questa è l'ora

Che ricurvo sulla prora

Il nocchier pensa più flebile

Della patria le pendici,

E l'addio dei cari amici!

Mare! allor che il tuo vergine zaffiro

Era alle stelle e al sol specchio lucente,

E di natura al matutin respiro

I tuoi flutti turgean candidamente,

Nè ancor dei venti al procelloso spiro

S'unía la voce del nocchier morente,

Te delle madri il disperato affetto

Non avea maledetto.

Ministro ai voli dell'uman desio

L'ardimentoso pin lottò coll'onde,

E l'inquieto spirto discoprio

Quanto mistero il velo tuo nasconde.

Ala d'italo genio il sol seguio

Anche nel ciel di sconosciute sponde,

E qual gemma rapita al tuo profondo

Fu dissepolto un mondo....

[51]

Al marin suolo instabile

Somiglia l'inquieta

Anima del poeta,

Che più scolpito sente

Il verbo della mente,

Allor che delle tenebre

Entro la pace immensa

Piange, s'allegra, e pensa.

Mentre serene rilucean le stelle

Sui taciturni alberghi dei cultori,

Quai solitarie e più d'ogni altra belle,

E quai ristrette in variati cori,

Lo spirto mio da questa bassa stanza

A voi s'ergea tra i mondi, e queti i vanni

Dove degl'infelici è la speranza,

Il terror dei codardi e dei tiranni,

Vedea da quell'eterna aura sicura

Qual lento verme su fiorito stelo

Il tempo passeggiar sulla natura

Stampando orma di morte in terra e in cielo.

E in altre notti, allor che il firmamento

Era da spesse folgori solcato,

E si spandea col sibilar del vento

Il muggito del mare infuriato,

Oh quante volte di funereo cinto

Sulla soglia inspirato m'arrestai!

E antico grandeggiar popolo estinto

Fuor delle scoperchiate urne mirai.

Poscia quando tra brani di procella

Azzurreggiava il ciel novellamente,

E a lui tornava la smarrita stella

Quai pensier dolce a disperata mente;

[52]

E della notte il queto orror profondo

Sol da cadenti stille era turbato,

Esser mi parve abitator d'un mondo

Dal sole e dalla gente abbandonato.

Veglie di gaudio arcano

Inebbriate — addio!

Or come il vulgo umano

Invoco il sonno anch'io.

Nè davanti a marmoreo

Vetusto monumento,

Allorchè rinnovellano

Le upupe il lor lamento,

M'assiderò stupito

Pensando ai corsi secoli,

Al nulla, all'infinito.

[53]

IV. In famiglia — la notte —

Il Poeta

A me ti appressa, o figlio — oh come dolce

Mi fia sentir sulle ginocchia il peso

Delle tue membra, e aver la mano avvolta

Entro la chioma tua! — voi, figlie, intanto

Addormentate il mio dolor col canto.

Le figlie (cantando sull'arpa)

«In densa nube avvolto

È il nostro genitor,

E sempre di pallor

Dipinto ha il volto.

«Non vede il nostro aspetto,

Non vede i nostri fior,

Ma l'inno dell'amor

Gli molce il petto.

«Compagne e notte e die

Sarem del suo dolor,

Gli allegreremo il cor

Coll'armonie,

«E alfine i nostri lai

Ascolterà il Signor;

La luce, o Genitor,

Tu rivedrai.

[54]

Poi chetamente

Ciascuna aspetta

Che i labbri s'aprano

Del genitor:

Anche il fanciullo

Lo guarda immoto

Per lo stupor.

Il Poeta

Matutino il Poeta un dì sedea

Al rezzo aprico di fiorita altura,

E a sè dinanzi folleggiar vedea

Due fanciullette d'un egual statura;

Neri sguardi elle avean, guancie rosate

E bionde chiome al vento abbandonate.

Repente alta caligine

Gli s'addensò d'intorno. —

«O Figlie mie, la nebbia

«C'invidia i rai del giorno! —

«Padre travedi; un velo

«Sarà negli occhi tuoi;

«Sempre sereno è il cielo,

«Risplende il sol per noi. —

Tacquero; e la caligine

Più folta si facea,

Al fianco suo le figlie

Stringendo allor dicea: —

«Ogni creato oggetto

«Invola al guardo mio,

«Ma dei figli l'aspetto

«Nò non rapirmi, o Dio —

[55]

Ah fu vano il pregar, fu vano il pianto,

Crebbe la nebbia, e le due fanciullette

Quell'infelice più non vide accanto. —

Dove ne andaste? — Padre,

Risposero, Siam qui! —

Ma qual da un altro mondo

Ei la risposta udì.

Or sono adulte, ogni gentil le adora:

Egli le vede pargolette ancora.

Delle due figlie quella

Che al padre e più vicina

A lui s'appressa, e in volto

Lo bacia affettuosa.

Egli a quel bacio sente

Sua guancia lacrimosa.

Oh dell'amor la lacrima

Perchè non ha virtù

D'animar la pupilla

Di chi non vede più?

E poi l'altra sorella

Si stringe al padre anch'ella,

E sui ginocchi il figlio

Riposa; nel silenzio

Solo alitar si sente

Un sospirar frequente.

[56]

LAMENTO

In questo umano esiglio

Compagna io sol non ho.

Sempre la cerca il ciglio,

Dove la incontrerò?

Forse in festiva stanza

Tra vergini beltà,

Commosso dalla danza

Il crin le ondeggierà?

O a rai del sol cadente

Avvolta in bruno vel

Nel tempio mestamente

Leverà il guardo al ciel?

Oh se mi fosse accanto

Quella gentile, allor

Che in armonia di pianto

Saluto il dì che muor!

Oh se con lei le stelle

Potessi vagheggiar,

Mentre infinite e belle

Si specchiano nel mar!

Quanto maggior la piena

Saria del mio piacer,

E quanto più serena

La luce del pensier!

[57]

Ma questa assidua guerra

D'indomiti desir

Che il petto mio rinserra,

Accelera il morir!

E forse il nuovo aprile

Su tomba fiorirà

Che niun ciglio gentile

Di pianto bagnerà.

[58]

A GIO. BATT. NICCOLINI

La giovin rigogliosa età serena

Fugge per me qual odoroso spiro,

E i procellosi affetti ond'è ripiena

In dolce nota modular desiro.

Benchè il pensier mi gravi aspra catena,

Spesso tra lievi fantasie m'aggiro,

Ma del cor l'armonia cessata appena

Sento il dir fioco, e col sermon m'adiro.

Tu di conforti a me deh sii cortese,

O Generoso, perchè in altri petti

Serpeggi il fuoco che di sè m'accese:

Tu per cui dal sepolcro delle istorie

Escono a risvegliar sopiti affetti

Vergogne antiche, Scelleranze e Glorie.

[59]

LA POESIA

Non stenda la mano sull'arpa del vate

Chi ferver, quai fiamme dai venti agitate,

Magnanimi affetti non sente nel cor!

E qui più vivaci scintillan le stelle,

Qui sboccian le rose più grate, più belle,

Qui splenda nel Verso più luce d'amor.

Somigli all'olezzo dei floridi piani,

Somigli alla lava dei nostri vulcani,

Somigli al sereno dell'italo ciel.

Ah fosse scintilla di luce divina

Quest'alma inquieta che va pellegrina

Qual'umile vela su flutto crudel!

Vorrei dell'afflitto sul languido core

Passar dolcemente qual brezza sul fiore

Il vile, il superbo vorrei fulminar....

E queste montagne che bacian l'empiro,

Le nubi, le stelle, l'immenso zaffiro,

Gli antichi castelli, la voce del mar;

Le note d'un'arpa lontana lontana,

Il suon di campestre notturna campana,

La foglia cadente su queto ruscel;

[60]

Un raggio tra gli archi del tempio languente,

La pallida gota di bella dolente,

Il canto solingo di flebile augel;

La luna tra i fiori d'antica ruina,

La croce tra i salci d'aperta collina,

Un serto appassito su marmo feral;

Di supplice veglio le palme tremanti,

Di vispo fanciullo le chiome ondeggianti,

La rosa caduca, la querce immortal;

E i molti fantasmi di vinti nemici,

Di prodi esultanti, di prodi infelici

Che vagan tra l'urne dell'italo suol;

E questo rimbombo di grida di pianti,

Di preghi e bestemmie che all'inno dei santi,

Si mesce varcando la spera del sol;

Arcani concenti mi svegliano in petto;

E come a fanciulla se vide il diletto,

E come alla terra se il giorno sentì.

Un lampo m'arride di gioia immortale

Allor che dei vati la febbre m'assale....

Ardenti quai raggi di fervido dì

Traboccan gli affetti... già tutto m'inonda

La piena... ma come del verso la sponda

Il turgido fiume raccoglier potrà?...

O caro usignolo che in selva tacente

La luna novella dal balzo sorgente

Saluti coll'inno che pianger mi fà,

[61]

O caro usignolo!... qual corda di cetra

Te scoton le brezze vaganti nell'etra,

Il raggio degli astri, l'oleggio dei fior:

E come dal monte perenne fontana,

Dal pieno tuo core prorompe l'arcana

Notturna melode che inebbria d'amor.

Io come saetta nel nembo raccolta,

Io come facella nell'urna sepolta,

Ho fiamma nel petto che irromper non può.

E al par della nube che in cielo viaggia,

E al par della nave che cerca una spiaggia

Varcando la vita senz'orma morrò.

FINE.

[63]

INDICE

A Giovanni Bertolli Pag. 3
La Madre Povera 5
Davanti al cimitero della terra natale 7
Saluto a' quattro Poeti italiani 9
L'Ave Maria della mattina 13
L'Ave Maria della sera 15
La Campana del Deprofundis 20
Rimembranze d'infanzia 26
Il Salice 28
La Trovatella 30
Per un nuovo Ponte sull'Arno 32
Il Giovine 35
La Sposa del Ricco 38
Il Poeta cieco 42
Lamento 56
A G. B. Niccolini 58
La Poesia 59

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.

*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 60549 ***